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338 | capitolo sesto. |
tanto umile, tanto parlante che il viaggiatore seduto dirimpetto a Jeanne guardò subito negli occhi l’uomo a cui la bellissima signora sorrideva così.
“E l’elezione?„ diss’ella. Sulle prime Piero non intese. Ah, sì! Il suocero gli aveva scritto e telegrafato a Brescia supplicandolo di lavorare o almeno di far lavorare. Lettera e telegramma gli erano stati trasmessi in Valsolda. Proprio per questo, neppure voleva fermarsi a Brescia fra un treno e l’altro. Nella galleria di Lonato Jeanne gli prese una mano, se ne recò il polso scoperto alle labbra e poi agli occhi umidi. La mano si arrendeva senza resistere nè secondare. Usciti dalla galleria, guardavano entrambi in silenzio, per il finestrino, i poggi ridenti, ma un lieve ansare li tradiva. Quando apparvero le sfumate montagne grandi e il marino azzurro del Garda, Jeanne domandò: “Com’era il Suo lago, stamattina?„ Piero rispose ch’era drammatico, tutto un tremolio di brillanti a levante nei vapori azzurrini, tutto verde cupo a ponente sotto nere minacce di nuvoloni. Descrisse le battaglie della luce e dell’ombra sulle montagne che cingono il lago, con molto calore, con abbondanza di parole, come rifacendosi del silenzio serbato riguardo ad altre battaglie. Jeanne si fece coraggio. “Quella persona, come l’ha lasciata?„ E accennò impercettibilmente del capo a lui stesso. Piero so-