Per la storia della cultura italiana in Rumania/III. Per la fortuna del Teatro Alfieriano in Rumania/2. Le origini del teatro rumeno e le prime rappresentazioni delle tragedie alfieriane a Bucarest

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III. Per la fortuna del Teatro Alfieriano in Rumania - 2. Le origini del teatro rumeno e le prime rappresentazioni delle tragedie alfieriane a Bucarest
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2. Le origini del teatro rumeno e le prime rappresentazioni delle tragedie alfieriane a Bucarest1.

a) Il Bruto, l’Oreste e il Filippo.

Prima del 1814-15, in Rumania, non che un teatro rumeno (che sarebbe un pretender troppo da un popolo, la cui lingua ufficiale era la greca, ed era stata, per ciò che riguarda la letteratura religiosa, la slavona), non esisteva la più lontana idea di quanto si suol comunemente intendere, quando si dice: un teatro. [p. 294 modifica]

La più antica traduzione di un’opera drammatica, quella dell’Achille in Sciro del Metastasio pubblicata a Sibiiu da Iordache Slătineanu, è del 17972, e rappresenta il più antico documento che possediamo sulle origini del teatro rumeno con intenzioni letterarie; ma, per quanto io sappia, non fu mai rappresentata, nè a Bucarest, nè altrove. Del resto sarebbe stato, a quell’epoca, assolutamente impossibile. Molti anni dopo, intorno appunto al 1814-15, le condizioni della cultura in Valachia erano ancora così tristi che Ion Ghica, in una delle sue Lettere a Vasile Alecsandri, poteva tracciarne il quadro seguente, che non è certo lusinghiero: „L’arte era qualcosa di assolutamente sconosciuto. In tutta Bucarest, a fatica si sarebbe trovato un pianoforte e un’arpa. La musica rappresentava una prerogativa dei lăutari e dei cantori delle chiese. Una sola persona c’era con aspirazioni artistiche, e questa era Domnitza Ralù, la figliuola minore di Carageà, spirito eletto, che possedeva al più alto grado il gusto del bello, ammiratrice della musica di Mozart e di Beethoven, nutrita degli scritti di Schiller e di Goethe3. Orbene, sempre da quanto ce ne fa sapere Ion Ghica, Domnitza Ralù fu la prima a vagheggiare l’idea di dare alla Rumania un teatro greco, che pure sarà il primo passo verso quel teatro nazionale ispirato a forti sensi di patriottismo e di libertà, la fondazione del quale è merito esclusivo di Ion Heliade Rădulescu e de’ suoi seguaci, uomini meravigliosi, che in ogni campo seppero combattere e vincere, e ai quali la Rumania deve tutto: letteratura, teatro, scuole, patria, libertà. A quanto dunque ce ne fa saper Ghica nella lettera pocanzi citata, le prime rappresentazioni teatrali avvennero appunto a Bucarest negli appartamenti della intellettuale principessa. „Ella”, — prosegue Ghica, — „aveva trovato in alcuni giovani greci, suoi parenti, [p. 295 modifica] amici della scuola greca di Măgureanu, studenti ammiratori delle tragedie di Euripide e di Sofocle, un elemento adatto a porre in iscena alcune opere di teatro. Con un po’ di tela cucita e un po’ di carta colorata, Domnitza aveva rizzato ne’ suoi appartamenti una piccola scena, sulla quale si rappresentarono in greco l’Oreste, la Morte dei figli di Bruto e qualche idillio, come per esempio Dafni e Cloe4

Le notizie che Ghica ci fornisce si arrestano qui. Non sappiamo con precisione nè l’anno in cui quelle rappresentazioni avvennero, nè l’autore di quell’Oreste, che potrebb’essere il Voltaire, ma potrebb’essere anche l’Alfieri. Per ciò che riguarda l’anno della rappresentazione, la signoria di Carageà fu così breve (1813-1819), che non è difficile determinarlo almeno approssimativamente. Secondo il Vellescu5, autore di alcune lettere assai ricche di notizie (non sempre però attendibili) sulla storia del teatro rumeno, sarebbe da ritenere avvenuta il 1814-15; ma, per le relazioni che intercedono tra queste rappresentazioni in casa di Domnitza Ralù e quelle del 1819 avvenute al teatro della Fontana rossa (Cișmeaua roșie), e tra queste ultime e la traduzione greca pubblicata a Bucarest il 1820, sembra potersi piuttosto ritenere, coll’Ollănescu6, il 1817. In questo caso la rappresentazione del Bruto II, avvenuta a Iassy il 1814, precederebbe di tre anni quella dell’Oreste e sarebbe la prima in ordine di tempo avvenuta in Rumania7. Quanto all’autore, [p. 296 modifica] confesso che da principio non ho osato neppure pensare all’Alfieri, tanto mi sembrava naturale che quell’Oreste, nominato senz’altra indicazione insieme con una tragedia sicuramente del Voltaire, dovesse appartenere anch’esso all’autore della Zaira e del Maometto. Se non che il veder pubblicato pochi anni dopo (1820) l’Oreste dell’Alfieri preceduto appunto dalla Morte dei figli di Bruto, mentre d’altra parte sembra assodato che la prima traduzione dell’Oreste volteriano sia quella (in rumeno) fatta a Buda da Alexandru Beldiman nello stesso anno 1820, e, più d’ogni altro, il trovar l’Oreste alfieriano, e non quello del Voltaire, fra le tragedie recitate intorno al 1819-20 al teatro della Fontana rossa (sulle scene del quale continuavan le loro prove quei medesimi giovani che avevan già recitato alla presenza della Princepessa); mi fa sembrare inverosimile nelle recite del 1819 la sostituzione dell’Oreste alfieriano a quello del Voltaire, e di conseguenza ritenere, che l’Oreste rappresentato in casa di Domnitza Ralù, fosse proprio del nostro Alfieri. Quella del 1819 rappresenterebbe allora una seconda e non una prima rappresentazione, come una seconda rappresentazione fu certamente quella che della Morte dei figli di Bruto si dette il 1818, sulle medesime scene della Fontana rossa, dai medesimi giovani dilettanti, nei quali doveva esser grandissimo il desiderio di vedere come sarebbero state accolte da un pubblieo assai più largo quelle medesime tragedie, che tanti patriottici entusiasmi avevan destato nei loro animi, fin da quando si eran provati per la prima volta a recitarle negli appartamenti della figliuola di Carageà.

Che cos’era questo teatro della Fontana rossa? Dove sorgeva? Che specie di spettatori lo frequentava? Ce ne dà notizia il Filimon8 in quel suo prezioso libretto che s’intitola: Ciocoii [p. 297 modifica] vechi și ciocoii noui (Villani rifatti vecchi e nuovi), e non dispiacerà, spero, ai lettori di queste pagine saper qualcosa intorno al teatro, sul quale comparvero per la prima volta in Rumania l’Oreste e il Filippo di Vittorio Alfieri.

Nell’inverno del 1817, Domnitza Ralù, animata dall’intenzione di riuscir gradita a tutti, anche a coloro che per caso non comprendessero il greco o non avessero per il teatro l’entusiasmo che aveva lei, fondò nella località che ora si chiama della Chiesa bianca (Biserica albă) e allora si chiamava della Fontana rossa (Cișmeaua roșie) una sala di ballo e di trattenimento, nella quale, dice il Filimon, si radunavano boieri e cucoane a passar le lunghe sere d’inverno. Intorno al 1818 la sala di ballo si trasformò a poco a poco in un teatro della lunghezza di 18 per 9 stîjeni9 e 5 palmi di larghezza. „Aveva tre ordini di palchi rivestiti di stoffa (postav) rossa e panneggiamenti di cambrì con frange bianche. Nella prima fila, a destra, un grosso sofà di velluto rosso per il Voda. Nella sala, 14 file di banchi di legno rivestiti di stoffa rossa. Fra gli spettatori e la scena, alta 7 palmi dal suolo, sedevano i musici. Il sipario rappresentava Apollo colla lira in mano. La sala aveva press’a poco la forma di un uovo, senza alcun ornamento e senza alcuna pretensione di eleganza, come quella che era stata edificata in fretta e furia e solo in legno. Intorno alla sala e sul palcoscenico candelabri di ferro bianco con candele di sego, che due zingari vestiti di rosso smoccolavano fra un atto e l’altro. Quando il Voda si recava a teatro, le candele erano di cera. I palchi dell’ordine centrale erano naturalmente per la nobiltà, i consoli stranieri ed altri personaggi di grande importanza, e costavano un galben per sera. Gli altri erano a disposizione di chiunque per dieci lire. Un posto in platea, cioè fra i banchi, costava tre lire. Gli affissi erano scritti in greco.... Di solito l’arrivo del Domnitor era annunziato dal Selam-Ciaușul di Corte. Il pubblico doveva alzarsi in piedi e gridare tre volte: Trăiască Măria Sa! Viva Sua Grandezza!”10

Sulle scene di questo teatro, furono rappresentati, rispettivamente il 1819 e il 1820, l’Oreste e il Filippo di Vittorio Alfieri. Per l’Oreste mi riesce precisare persino il giorno, che fu il 21 [p. 298 modifica] novembre 1819; non così per il Filippo, del quale sappiamo soltanto che andò in iscena nel maggio dell’anno seguente11. Visto poi, che giornali intorno al 1819-20 non ne esistevano in Rumania12, neppure scritti in greco, avevo perduto ogni speranza di sapere alcunchè intorno all’esito della rappresentazione, alla qualità degli attori e alla interpretazione delle singole parti, quando mi sono imbattuto nel seguente prezioso periodetto del Filimon, che soddisfa, mi pare, alle nostre legittime curiosità: „Ai tempi del governo provvisorio, si fece da parte di Aristia un certo tentativo di risvegliare il gusto del teatro. Egli rappresentò infatti, insieme co’ suoi scolari, il Giunio Bruto e l’Oreste di Alfieri, poi l’Alzira di Voltaire. Le due prime in greco, l’altra in francese. Fra i giovani scolari di Aristia, si fece molto onore (così si dice) C. A. Rossetti, che rappresentò la parte del tiranno Egisto nell’Oreste, con una ferocia tanto naturale, da meravigliare il pubblico e persino il suo professore Aristia”13. Oggi, [p. 299 modifica]leggendo queste parole, non si può fare a meno di sorridere; ma allora, si sa, i re eran tutti tiranni e i tiranni eran tutti feroci. Niente di strano che la ferocia, in un tiranno, sembrasse persino naturale! Ricordiamoci le condizioni politiche e le aspirazioni della Rumania intorno a quell’epoca, e potremo avere un’idea sufficientemente esatta dell’impressione potente, che le due tragedie alfieriane dovettero lasciare negli animi generosi di quei giovanissimi attori. Non così nel pubblico degli ascoltatori, un pubblico di boieri e di ciocoi, che a teatro andava come a luogo di convegno, per imitare i viveurs occidentali, e poco o nulla s’interessava a quanto avveniva sul palcoscenico14. È vero che il 1818, dopo la rappresentazione della Morte dei figli di Bruto del Voltaire — e non del Giunio Bruto dell’Alfieri, come dice il Filimon15 — alcuni greci tirarono colpi di pistola e attraversarono le strade di Bucarest cantando inni patriottici16.; ma ciò riguarda i soli greci, i quali avevano fondato in Rumania una società segreta, chiamata Etairia, e solo indirettamente la popolazione rumena, la quale o non andava a teatro, o vi andava per passare la serata in un modo qualsiasi. Quando infatti, nell’autunno del 1818, Domnitza Ralù fece venire a Bucarest una [p. 300 modifica] compagnia di attori tedeschi, che rappresentavano indifferentemente opere in musica e tragedie in prosa, da principio le rappresentazioni, fra cui quella dell’Italiana in Algeri di Rossini avvenuta l’8 di settembre, andarono a gonfie vele; ma, cessata l’attrattiva della novità, i comici tedeschi non ebbero altri spettatori e sostenitori del teatro all’infuori di pochi boieri e dei consoli delle nazioni straniere, ai quali, nella Bucarest del 1818, non doveva parer vero potersi concedere il lusso di andar la sera a teatro17.

Poca o nessuna ripercussione ebbero dunque nel gran pubblico rumeno le rappresentazioni dell’Oreste e del Filippo, nè poteva essere altrimenti, visto e considerato che si rappresentarono in greco. Pure servirono a infiammare gli attori e il loro Direttore C. Aristia, che non mancherà di coglier l’occasione propizia e ritentare il colpo.

Il 1836 si rappresentavano a Bucarest per la prima volta, tradotte in rumeno, altre due tragedie alfieriane: la Virginia e il Saul. L’entusiasmo patriottico prorompeva, come avremo occasione di vedere, violento, minaccioso, inaspettato, e, in seguito alle proteste del console russo, il Teatro Nazionale era costretto a sospender le sue recite.

Del resto, neppure il 1818, l’entusiasmo di quei greci, che, all’uscita del teatro, sparavan colpi di pistola e cantavano inni patriottici, sfuggì all’occhio inquisitore del Voda, il quale istituiva (con un pitac domnesc dell’8 novembre 1819), una Eforie a teatrelor nella persona del Grande Spătar (Generale di cavalleria) Iacovachi Rizo, perchè d’allora in poi si proibisse ogni specie di rappresentazioni „diffamatoci della religione, dello stato, o della pubblica moralità”18.

Se la scelta dell’Eforo non par troppo opportuna (il Rizo era stato proprio lui a tradurre in collaborazione con un tal Monti l’Oreste e il Filippo), è chiaro che il Voda, una volta compreso a che mirassero quelle recite, avesse cercato estinguere quel piccolo fuoco, che minacciava di prender le proporzioni di un grande incendio. [p. 301 modifica]

Ma il fuoco non si estinse, chè non si estingue fuoco di libertà, e ad ogni buon italiano deve recar piacere, che, a tenerlo vivo, contribuisse il teatro di Vittorio Alfieri19.


b) Il Saul e la Virginia.

Quando, il primo decembre del 1836, andò in iscena20 per la prima volta, tradotto da C. Aristia, il Saul di Vittorio Alfieri, la lingua rumena era già da qualche tempo salita agli onori del palcoscenico. Fin dal 1819, quando la lingua ufficiale era ancora la greca, Ienăchiță Văcărescu, un rumeno puro sangue, salutava con questi versi la prima opera21 recitata in rumeno sulle scene [p. 302 modifica] della Fontana rossa22, l’anno stesso che vi si rappresentava, in greco, l’Oreste:

V’am dat teatru, vi-l păziți,
     Ca un lăcaș de muse,
Cu el curînd veți fi vestiți
     Prin vești departe duse.

In el năravuri îndreptați,
     Dați ascuțiri la minte;
Podoabe limbii voastre dați
     Cu rumănești cuvinte!23

Anche le condizioni del teatro apparivan cambiate non poco da quelle degli anni 1819-20, quando si rappresentarono, per la prima volta davanti a un pubblico largo, l’Oreste e il Filippo. Da tre anni esisteva la Società Filarmonica, che, fondata (nel dicembre del 1833) da Ioan Heliade-Rădulescu, si proponeva la formazione di un teatro nazionale in lingua rumena e con attori rumeni, che servisse a nutrir viva nel cuore la fiamma dell’amor patrio. A questo scopo patriottico, che i membri della Società si guardavan bene però dal confessare apertamente, [p. 303 modifica] si deve senza dubbio la scelta del Saul e più ancora della Virginia per le rappresentazioni del 1836.

I preparativi per la messa in iscena del Saul furon grandi e l’aspettazione enorme. L’Ollănescu24 ritiene persino inutile il caldo appello che Heliade rivolse al pubblico in quell’occasione, visto che la tragedia dell’Alfieri, dopo il gran parlare che se n’era fatto, non solo era attesa con impazienza, ma „...era considerata come un vero e proprio avvenimento, in tempi, in cui pure gli avvenimenti e le emozioni politiche occupavano e preoccupavano tanto l’attività e l’attenzione di ognuno”25.

L’annunzio, che Heliade dava al pubblico della prossima rappresentazione del Saul, e che all’Ollănescu sembra, non so perchè, retorico e pomposo, si trova nel n. 47 del Curierul românesc (27 novembre 1837)26 ed è il seguente: „Mercoledì prossimo, 1-o decembre, gli allievi (della Società Filarmonica) diretti e preparati dal sig. Aristia, rappresenteranno, nella sala del Teatro, la tragedia di Alfieri intitolata Saul. Nulla si è trascurato per mettere in iscena come si merita questa rinomata opera di teatro. La declamazione conveniente all’età dei profeti, i costumi adatti alla parte di ciascuno, al luogo e all’epoca in cui si suppone si svolgano gli avvenimenti, le notizie religiose e letterarie intorno alla poesia sacra, nulla s’è omesso per poter trasportare sulla scena rumena quest’opera classicamente religiosa. Nè a fatica, nè a tempo, nè a spese si è badato: la sola messa in iscena è costata circa 12.000 lire. Quelli dunque che volessero dare il loro incoraggiamento ad una organizzazione così costosa, intervenendo alla prima recita, avranno una prova sì degli sforzi sostenuti dal sig. Professore, che di quelli sostenuti dagli alunni, e vorranno far del loro meglio per incoraggiar questa iniziativa, affinchè prenda la sua vera direzione e divenga una scuola di morale e di cultura, che, con vivi esempii, riaccenda nel pubblico gli alti sentimenti di religione, di patriottismo, di cittadinanza, la conoscenza dei diritti e dei doveri, l’obbedienza alle leggi e ai superiori; [p. 304 modifica] sentimenti tutti, dei quali David è una immagine viva. Se la nostra nazione, risorta pur ora, incomincia appena a muovere i primi passi, se i popoli nella loro infanzia hanno bisogno di una educazione morale e politica, se è necessario che ogni educazione segua un metodo; questo metodo retorico o organo di educazione, il teatro dico, bisogna che cominci in un modo classico, che contribuisca alla formazione dello spirito, della lingua, del cuore: di questa trinità, per mezzo della quale l’uomo si differenzia dall’animale e concepisce una immagine viva della divinità, la quale anch’essa appare in ogni cosa come trinità”27.

Davvero che Heliade aveva curiose e punto ortodosse idee intorno alla Trinità! Ma non per questo noi diremo pomposo il suo concitato annunzio teatrale del Saul. A me par di vedere nello stile di Heliade qualcosa di quello fra romantico, mistico e patriottico di Giuseppe Mazzini. E, come nessuno ora scriverebbe in quello stile, ma nessuno d’altra parte oserebbe in Italia tacciarlo di retorico e di gonfio, mentre è di tal potenza che fa assai spesso venir le lagrime agli occhi ed empie l’animo di una ammirazione sconfinata per quella fede e per quell’entusiasmo, senza de’ quali l’Italia forse non sarebbe; così a me non par bella, per l’amore stesso grandissimo che porto alla Rumania l’aria di suffisance, con cui da taluno si parla oggi di Heliade, le ardenti pagine del quale, se pure non sian sempre modello di stile, hanno certo una potenza di suggestione e un sapore di sincerità, che, a petto loro, quelle più ricercate e polite degli scrittori moderni, danno una impressione di falso e di vuoto da far pena addirittura.

La professione di fede politica e letteraria contenuta nell’annunzio sopra riferito, e, in ispecial modo, quanto da esso traspariva, non dovè piacer troppo a quelli che erano in alto, i quali (dice maliziosamente l’Ollănescu) avevano il privilegio di legger tra le righe, anzi soprattuto fra le righe. „Essi lasceranno per ora che si rappresenti la tragedia dell’Alfieri, visto che non potrebbero impedirlo, ma avran cura di specular attentamente sì l’argomento della tragedia, che l’impressione enorme che produrrà nel pubblico e troveran modo in seguito di non concedere mai più al troppo ardente Direttore della Società [p. 305 modifica] filarmonica il permesso di sceglier da solo le opere da porre in iscena, nè di replicar quelle già rappresentate una volta, senza un secondo permesso dell’Eforia dei Teatri. Una vera e propria censura, che, data la sua ipocrisia e brutalità, si capiva subito venir dalle parti di mezzanotte (da parte cioè della Russia) d’onde ci venivano allora tutti i soprusi”.28 Il successo del Saul fu ad ogni modo straordinario, superiore, come si suol dire, ad ogni aspettativa. „Lo spettacolo incominciò alle 7½ p. m., ma la sala era già piena, anzi gremita, fin dalle sei. Una quantità di gente, non trovando più posti, dovette tornare indietro, ma non si decise a sfollare l’entrata del teatro, se non quando il cassiere ebbe loro assicurato un posto qualsiasi per la seconda rappresentazione”29. „L’eccellente recitazione degli scolari, la bella traduziome di Aristia, l’armonia dei costumi e dei colori, in una parola la messa in iscena di quest’opera, perfettamente rispondente alla grande importanza religiosa e classica di essa, strapparono dal più profondo dell’animo gli applausi del pubblico”. Così Heliade in un passo del Curierul românesc30 citato dall’Ollănescu, dal quale traggo nella maggior parte le notizie che si riferiscono a questa rappresentazione, e che dobbiamo considerare come un testimonio autorevolissimo, come quegli che ha raccolto quanto scrive dalla viva voce di suo padre, che vi sostenne la parte di David. „Quando tutto è bello”,— continua Heliade, — „la nostra incontentabilità comincia a trovar pretesti per immaginare in che modo potrebb’esser più bello; mentre, quando non c’è nulla che non sia brutto, il più delle volte, per compassione, ci lasciamo sfuggire una mezza parola di lode. Qui tutto fu bello in ogni suo particolare”, sicchè „qualche appunto si fece, sì da parte del pubblico che da parte dei critici e degl’intendenti”. Ne riferiremo qualcuno; intanto sarà bene vedere come furon distribuite le parti. Mi risparmio, beninteso, l’incomodo di tradurre, anche per lasciare al manifesto, chiamiamolo così, la sua fisionomia originale.

Saul, Rege al Jerusalimiii D-l Joan Curie.
David, tîner păstor profet „Const. Ollănescu.

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Jonathan Mavrodin.
Abner, Ministru Lăscarescu.
Achimelech, Pontifice Grigorescu.
Micola, fiica lui Saul D-na Catinca Buzoianca.


Curie rappresentò con tanto fuoco e con tanta penetrazione il personaggio di Saul, che, quando uscì a ringraziare il pubblico degli applausi prodigatigli, svenne sulla scena e bisognò „trargli sangue da una mano perchè rinvenisse”31. Ollănescu, quasi ad ogni frase, era interrotto da applausi, che alla fine della scena si facevano anche più insistenti e fragorosi: „la parola, i gesti, la statura, tutto lo favoriva, e tutti rimasero soddisfatti”32 della sua interpretazione del personaggio di David. Mavrodin invece, „per quanto si fosse assai bene investito della parte e i suoi gesti si accordassero benissimo colla declamazione, non era aiutato dal tono della voce un po’ strozzata”33, era imbarazzato, sicchè si perdette di coraggio e non recitò com’era solito di recitare. Lăscărescu „fece della sua parte una interpretazione un po’ troppo personale ed esagerata”34. Grigorescu „aveva sì tutta la grande maestà pontificale, ma non si sentiva quando rispondeva alle ingiurie di Saul”. Il pubblico, non solo sarebbe rimasto più contento, ma avrebbe anche prese un po’ le parti del clero, che, in bocca di Saul, appar maltrattato non poco”. La signora Buzoianca, che per la prima volta calcava le scene, non deluse le speranze degli spettatori, interpretando la parte di Micol. Il tono della sua voce era tanto chiaro e armonioso, „che ogni sillaba si udiva perfettamente”. A molti la voce della signora Buzoianca parve troppo piagnucolosa. „Ma”, — risponde a questa critica Heliade nel Curierul [p. 307 modifica] românesc del 16 dicembre 1837, — „qual’è l’uficio di Micol” nella tragedia alfieriana „se non quello di pianger dal principio alla fine?”

Come si vede, qualche deficienza d’interpretazione ci fu; ma, ad onta di tutto, la rappresentazione ebbe una forte eco nel popolo. „Non si parlava che del successo ottenuto dalla compagnia „rumena, successo che aveva fatto impallidire al confronto quelli „più splendidi riportati fino allora dalla compagnia „francese”. Heliade e Aristia gongolavan di gioia e divulgavan da per tutto la notizia del meraviglioso successo ottenuto dal Saul: nei salotti dell’alta società bucarestina, a scuola, fra i negozianti, senza sapere (o forse appunto perchè sapevano assai bene) che una tal propaganda dava maledettamente sui nervi al console russo. Il 2 gennaio 1838, il Saul fu rappresentato una seconda volta35, ma, dopo questa rappresentazione, che non ebbe minor successo della prima, incominciaron le prime difficoltà da parte dell’Eforia teatrelor: Aristia volle porre allo studio il Britannico di Racine tradotto da I. Văcărescu, ma gli si fece osservare che una tal recita non sembrava troppo opportuna, essendo noto a tutti l’odio fierissimo, che il Văcărescu aveva sempre nutrito contro la Russia. Cercò allora di far recitare il Bruto36 di Voltaire, ma questa volta gli si disse chiaro e tondo, che la rappresentazione non sarebbe stata permessa, perchè la [p. 308 modifica] tragedia era troppo rivoluzionaria. Contemporaneamente, curiosa coincidenza!, la compagnia francese, che fino allora non aveva trovato nulla a ridire sulle recite degli scolari di Aristia, incomincia a lagnarsi di non aver mai libera la scena per le prove, del mobilio che deperiva... ecc., ecc; il Principe Ghica, che pur si era dichiarato protettore del Teatro Nazionale, dopo le prime rappresentazioni si vide costretto a piegare il capo alle rimostranze del console russo e ritrasse l’aiuto pecuniario concesso alla Società Filarmonica; di maniera che il Teatro Nazionale, non potendo far fronte a tante difficoltà, fu costretto a sospendere per allora le sue recite.

Fino al 21 settembre 1839, in cui sappiamo da Gh. Asaki, che, „dopo una lunga tregua che ha addolorato quanti sono amatori del teatro nazionale”37 si rappresentò finalmente di nuovo un’opera in lingua rumena”38, non ci furono che rappresentazioni in francese quasi tutte d’occasione e in determinate solennità39. Quella in rumeno di cui ci parla Asaki avvenne a Iași e fu una replica del Saul nella ormai celebre traduzione di C. Aristia. Rileviamo dal citato articolo dell’Albina Românească (tutt’altro che favorevole al povero Aristia e perciò insospettabile di parzialità nelle lodi che prodiga agli attori che interpretaron le parti della tragedia alfieriana) che anche questa terza rappresenzatione andò a gonfie vele. „Per ciò che riguarda la rappresentazione” — scrive Asaki in fin dell’articolo — „essa ha fatto senza dubbio buona impressione sia per il personale che per gli accessorii. Saul ne’ gesti e nell’atteggiamento della persona s’è rivelato un vero talento tragico ed è riuscito a comunicare più volte agli spettatori le sue sofferenze; David ha mostrato tutto il suo carattere nobile pio e melanconico; Micol, la cui parte è stata rappresentata da una damigella che finora non aveva mai visto teatri ha recitato come non si trovasse sulla scena, ma fosse realmente partecipe di quegli avvenimenti, [p. 309 modifica] sì da farci sperare che con un lungo studio potrà diventare un’artista degna in tutto di lode; infine Abner ha mostrato anche lui molta bravura recitando, come del resto tutti gli altri, con un tono di voce assai adatto e conveniente alla declamazione tragica”. Che codesta rappresentazione del Saul non ottenesse un successo inferiore a quelle precedenti, possiamo del resto argomentare, oltre che dalle parole riferite di Asaki, anche dagli effetti che produsse e dalla speranza che ridestò nei cuori di poter forse rinnovare con miglior fortuna il tentativo di Heliade, e por le basi di quel teatro nazionale, che oramai era nel cuore di tutti. „In seguito al successo ottenuto da questa rappresentazione”, — scrive il Burada40, — „il gusto del pubblico per il teatro crebbe di giorno in giorno; la nobiltà e quanti a que’ tempi erano amanti dell’arte, fecero ogni sforzo per poter costituire una compagnia di attori rumeni, i quali, sia pure di quando in quando, dessero delle rappresentazioni in lingua rumena, da potersi contrapporre a.quelle in francese che si seguivan l’una all’altra senza interruzione nella capitale della Moldavia durante la stagione d’inverno. Si costituì persino fra gli allievi del Conservatorio e alcuni dilettanti una Società, con Carageali a capo, per 12 rappresentazioni di commedie, melodrammi e tragedie da farsi in lingua rumena e si aprirono anche degli abbonamenti”; ma neppur questo tentativo riuscì a superare i molteplici ostacoli che alla formazione di un teatro nazionale ancora si opponevano. Ad ogni modo non sarà inutile rilevare come al nome dell’Alfieri vada congiunto anche questa volta un nobile tentativo d’indipendenza nazionale, che trascende i limiti ristretti della letteratura e del teatro, poichè in quella lotta per la conservazione della lingua degli avi i Rumeni attingevan le forze per le vicine battaglie di libertà.

Tornando alla rappresentazione della quale ci occupiamo, ecco come furon divise le parti:

Saul. . . . . . . D-l Costachi Carageali.
David. . . . . . . „ Dimitrie Gusti.
Abner. . . . . . . „ Ioan Poni.
Jonathan. . . . „ Dimitrie Gherghel.
Micol. . . . . . . D-ra Poni.

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La Poni, divenuta nel frattempo signora Teodori, ebbe la fortuna di recitare un’altra volta il Saul — sempre a Iași — il 13 decembre 1844, in una serata fuori abbonamento data a suo beneficio. Lo rileviamo da un affisso teatrale, che ci è avvenuto di rinvenire fra le numerose carte che riguardano il teatro, che si conservano nella Sezione Documenti della Biblioteca dell’Accademia Rumena. Diamo qui la trascrizione in caratteri latini di questo affisso, che riproduciamo in facsimile:

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Intorno alla rappresentazione della Virginia, avvenuta nel giugno del 1836, non sappiamo altro se non che la signora Vlasto [p. 312 modifica]e Curie riportarono un gran successo rispettivamente nelle parti di Virginia e di Virginio41.

Non ho notizia di altre rappresentazioni alfieriane posteriori42. Senza affermarlo, potrebbe darsi benissimo che non ve ne fossero più state. L’italianismo di Heliade provocò ben presto, co’ suoi eccessi, una reazione; la cacciata degli austriaci, per cui la Lombardia e il Veneto cessavan per sempre d’esser provincie dell’impero austro-ungarico, chiuse la via principale della importazione letteraria italiana in Rumania; la politica orientale del giovine regno eccessivamente timida, e paurosa sempre di urtare le suscettibilità dei terzi, la triste mania latina di screditarsi a vicenda, la discordia che travaglia le colonie il aliane così in Rumania come altrove, impedirono che se ne aprissero delle altre. Oggi, se in Oriente qualcosa della letteratura italiana si sa, si sa per il tramite delle traduzioni e dei libri francesi, il che purtroppo non può valere a consolarci gran fatto, vista l’ignoranza e i pregiudizi di molti francesi intorno alle cose d’Italia.

Note

  1. Lavori intorno al teatro rumeno (specie delle origini) non mancano; ad eccezione però di pochissimi, van nella maggior parte considerati piuttosto come ricche miniere di notizie (non sempre sicure), che come monografie condotte con metodo ed ispirate a fine scientifico. Fra gli studii migliori ricorderemo quelli di Dimitrie C. Ollănescu, Teatrul la Români in Analele Academiei române, Seria II, Tomul XX (1897-98) (Memoriile Secținii Literare), Bucuresci, Institutul de Arte Grafice Göbl, 1899; Th. Burada, Inceputul teatrului în Moldova in Arhiva di Iassy 1907-1909. Non sono però da passar sotto silenzio nè il volumetto di Mihail M. Belador, Istoria Teatrului român, Craiova (s. d.), nè le interessanti notizie pubblicate da St. Vellescu, sotto forma di lettere a un amico, nella Revista literara, XIX (1897-98), pp. 55 sgg. Dal volumetto del Belador prende infatti le mosse il Vellescu, correggendo date, chiarendo particolari, rettificando giudizii, sopra tutto aggiungendo preziosi documenti e notizie; e senza le lettere del Vellescu, i buoni lavori dell'Olănescu e del Burada non sarebbero stati possibili. Di questi lavori e dell’ottima Bibliografia românească veche di Ion Bianu e Nerva Hodos, Bucuresci, Socec, 1909, ci siamo avvalsi in questi nostri appunti, non trascurando di ricorrere, quando ci era possibile, ai giornali letterarii e teatrali del tempo: il Curierul românesc, l’Albina românească, il Curier de Ambe Sexe, la Gazeta teatrului, per controllar date e particolari. Abbiamo insomma fatto del nostro meglio per non cadere in inesattezze e dare nelle pagine che seguono, i risultati, quali che sieno, di lunghe e coscienziose ricerche. Il che valga a farci perdonare qualche inesattezza, che potrebbe bene esserci sfuggita, ma che abbiamo coscienza di aver fatto di tutto per evitare.
  2. Cfr. la citata Bibliografia românească veche, Tomo II, fasc. V, sotto il n. 611.
  3. Ion Ghica, Scrisori către Vasile Alexandri, Bucuresti, Alcalay, 1905, Scris. III (Din vremea lui Caragea), p. 66: „Arta era un lucru necunoscut. În tot Bucureștiul nu se afla de cât un singur piano și o harpă. Musica aparținea lautarilor și cântăreților de la biserici. Persoană cu inspirații artistice era numai Domnitza Ralu, fata cea mai mică a lui Caragea, natură aleasa, posedând gustul frumosului în cel mai mare grad, admiratoare a muzici! lui Mozart și Beethoven, hrănită cu scrierile lui Schiller și Goethe”.
  4. Ghica, op. cit., loc. cit.: „Ea gasise în câți-va tineri greci, rude și amici din școala grecească de la Măgureanu, studenți admiratori ai tragediilor lui Euripide și Sofocle, un element pentru a pune in scena câte-va piese de teatru. Cu nițică pânza croită și cu hârtie poleită, Domnița organizase în apartamentele sale o mica scenă, pe care se jucau în limba Elenă: Oreste, Moartea fiilor lui Brutus, și câte-va idile, ca Daphnis si Chloe”.
  5. Vellescu, op. cit., p. 386.
  6. Ollănescu, op. cit., p. 32.
  7. Ce ne dà notizia Theodor T. Burada, Inceputul teatrului în Moldova, in Archiva di Iassy, 1905, p. 58: „Verso l’anno 1814, alcuni figli di boieri che frequentavano la scuola greca del maestro Kiriac, unica allora a Iassy, osservando che gli attori tedeschi avevano creato colle loro rappresentazioni teatrali la più bella distrazione per il pubblico, vollero rappresentare anch’essi alcune opere, e, dopo qualche mese di studio, dettero più d’una rappresentazione in lingua greca o francese in case private boieresche, delle quali La Morte di Cesare di Voltaire e il Giunio Bruto di Alfieri ebbero uno splendido successo”.
  8. Niculae Filimon, Opere complecte, vol. I, Ciocoii vechi și noui sau ce naște din pisică șoareci mănâncă, București, 1902, Capitolul XXII (Italiana în Algir), pp. 201 sgg. L’Italiana in Algeri fu rappresentata l’8 settembre 1818 da una compagnia di artisti tedeschi fatti venire da Vienna da Domnitza Ralù. Cfr. Ghica, op. cit., pp. 66-67; Ollănescu, op. cit., loc. cit., e a pp. 282 n. 3 di questi nostri appunti. „Repertoriul lor”, ci fa sapere il Filimon, op. cit., cap. XX (Teatru în țara românească), p. 179, „se compunea din cele mai frumoase producțiuni dramatice și opere muzicale ale școlilor italiană și germană; dar piesele care întâmpinau o primire mai favorabilă în publicul teatrului nostru erau: Saul, Ida, Pla-de (sic) Tolomei, Briganzii și Faust precum și operele Gazza-Landra (sic), Moise in Egipt, Cenerentola, Flautul magic, Idomeneu și câte-va altele”.
  9. Un stînjen corrisponde a quasi due metri.
  10. Traduco dall’Ollănescu, op. cit, p. 34-36. Cfr. Filimon, op. cit., loc. cit.
  11. Il 1820 fu anche recitato l’Aristodemo di V. Monti. Cfr. Ollănescu, op. cit., p. 37.
  12. La prima idea di un giornale rumeno scritto in lingua rumena si deve a un signor Racocea, che il 1817 pubblicò a Lemberg il manifesto di un giornale che però non vide mai la luce (cfr. quanto ne dice M. Kogălniceanu nella Dacia literară del 1840, n. 1). Un altro tentativo si deve al sig. Z. Karcaleki, che il 1822 per la seconda volta sperò condurre in porto una simile intrapresa, senza riuscirvi neppur lui. Finalmente, verso la fine del 1827, I. Heliade-Rădulescu avrebbe potuto condurre ad effetto l’idea di Racocea e di Karcaleki, se il governo di allora non gli avesse negato il necessario permesso. Traggo queste notizie dall’ottima Bibliografia publicațiunilor periodice românesci | și a celor | publicate în limbi străine în România | sau de Romania in străinetate, | 1817-1887 | de | Alexandru Pop | Archivarul Academiel Române, | Bucuresci. | Tipografia Academiei Române, | 1888. [É un ottimo lavoro che riesce utilissimo allo studioso delle relazioni che intercedon fra la letteratura rumena e le altre europee. Ho presente un esemplare della Biblioteca Academiei fornito di molte giunte manoscritte, utilissime. Prima di questo lavoro esisteva un saggio di C. D. Aricescu in Columna lui Traian (1873, n. 9) e un altro di D. Iarcu in Bibliographia chronologica română (ed. II, Bucuresci, 1873); ma ambedue i saggi eran molto difettosi].
  13. Filimon, op. cit., p. 183, nota 1-a: „In timpul guvenului provizoriu s’a făcut o mica încercare din partea lui Aristia pentru deșteptarea gustului de teatru. El a reprezentat cu școlarii săi pe „Iunius Brutus” și „Orest” de Alfieri, iar mai în urmă pe „Zaira” de Voltaire. Pe cele doue dintâi in limba elenă, iar pe cea din urmă în limba franceză. Dintre junii școlari s’au distins mai mult (asă se zice) C. A. Rosetti, care a reprezentat pe „Egist” tiranul din tragedia Orest” cu o ferocitate atât de naturală în cât a spăimântat pe public și chiar pe Aristia, profesorul sèu.”
  14. Cfr. William Wilkinson, Tableau historique, gèographique et politique de la Moldavie et de la Valachie, traduit de l’anglais par Mons. de la Roquette, Paris, 1829, p. 127.
  15. Filimon, op. cit., loc. cit.
  16. Cfr. Ollănescu, op. cit., pp. 36-37: „Repertoriul era, firesce, întocmit numai din lucrari pline de cel mai cald patriotism, de virtùte, de lepădare de sine, și de ură împotriva tiraniei. Cu un asemenea material ei [patrioți greci din București] erau aprópe sigurì de a pregati bine tinerimea grècă de la noii pentru lupta suprema a neatârnării. Și aveau dreptate!... Intâia representațiune pe acèstă scenă patriotică fu tragedia lui Voltaire Moartea fiiloru lui Brutus, tradusă în elinesce de Logofèful Gheorghe Serurie. Ea avù atât de mare succes sì lasă o așà de mare întipărire în inimile spectatorilor, că la eșirea din teatru mulți Greci descarcau pistòle și cântau imnuri rasboinice pe ulițe”. [„Il repertorio era, naturalmente, composto unicamente di opere ispirate ai più caldi sensi di patriottismo, di virtù, di sacrificio e d’odio contro la tirannide. Con un tal materiale essi [i patrioti greci di Bucarest] eran quasi sicuri di preparare: bene la gioventù greca della Rumania alla lotta suprema per l’indipendenza. Ed avevano ragione!... La prima rappresentazione avvenuta su codeste patriottiche scene fu quella della tragedia del Voltaire: La Morte dei figli di Bruto tradotta dal greco dal Segretario Gheorghe Serurie ed ebbe tale successo ed una così grande influenza sull’animo degli spettatori, che all’uscita dal teatro molti greci tiravan colpi di pistola e cantavan per le strade inni guereschi”].
  17. Cfr. William Wilkinson, op. cit., loc. cit.
  18. Cfr. Ollănescu, op. cit., p. 39, che riferisce il documento nella traduzione rumena, mentre l’originale è naturalmente in greco. Il Voda di allora era Alexandru N. Sutzu, succeduto a Carageà il 1819.
  19. Cfr. Filimon, op. cit., p. 180: „Cel ce voiește să afle dacă aceste piese au produs sau nu efectul lor, să întrebe câmpiile Drăgășanilor din România și pe ale Grecieĭ sclave pe atunei, și ele vor răspunde arătându-ĭ un popor liber și un regat nou înscris pe harta Europei” [„Chi volesse sapere se queste rappresentazioni producessero o no il loro effetto, ne domandi i campi di Dragasciani in Rumania e quelli della Grecia schiava di allora, ed essi gli risponderanno mostrandogli un popolo libero e un regno nuovo sulla carta geografica dell’Europa”]. E l’Ollănescu, op. cit., p. 118, dopo aver rilevato come i fondatori della Società Filarmonicasi proponevan di dare alla Rumania un teatro che servisse a ridestar la coscienza nazionale, aggiunge che questo è tanto vero, che tutte le lunghe filze di vaudevilles e di commedie „ce atrăgeau și desfătau cu hohote de rîs pe public, nu au putut produce măcar o parte din emotiunea cea caldă, adîncă, reinvietóre, pe care a produs-o Saul asupra lui”, [„che attiravano e divertivano il pubblico, facendolo ridere a crepapelle, non han potuto produrre neppur l’ombra dell’emozione calda, profonda, rigeneratrice che ha prodotto sopra di esso il ’Saul”].
  20. Non più al teatro della Fontana rossa; ma nella nuova sala di teatro fondata nel 1833 dal cuoco italiano Girolamo Momolo, celebre non meno per i suoi piatti italo-orientali, fra i quali va ricordato honoris causa il gallinaccio ripieno (in rumeno curcan țințirom cioè tacchino gentiluomo), che per le magnifiche feste di ballo che si davano nelle sue bellissime sale. Il teatro di Momolo si trovava dove ora s’incrociano le strade Academiei e Nouă. Era una gran sala più lunga che larga, con un solo ordine di palchi, divisi fra loro da un colonnino di legno, sul quale era conficcato un lume, e 15 file di banchi di legno ricoperti di cambrì che comprendevano tre file di poltrone, e una galleria in fondo alla sala con sette gradini e banchi di legno senz’alcun rivestimento di stoffa. Accanto al palcoscenico, il palco del Dormitor, assai piccolo; nel corridoio tre divani per la Corte. L’illuminazione era fatta con lampade ad olio e candele di sego; nel palco del Principe ardevano invece candele di cera. Cfr. Ollănescu, op. cit., p. 48; Curierul românesc, n. 34 (ottobre 1833); Cantor de avis, dell’anno 1839, nn. 44, 47, 49, 54.
  21. L’Ecuba di Euripide tradotta da Ioan Heliade-Rădulescu, che vi recitò e che vi fece anche da suggeritore, nei momenti in cui non era in iscena. Il tentativo non attecchì per allora; ma, rinnovato di lì a non molto, riuscì alla fondazione della Società Filarmonica, che seppe dare alla Rumania il suo teatro. Cfr. Ollănescu, op. cit., p. 37. Secondo il Filimon, op. cit., p. 181, nota 2-a, la traduzione non sarebbe stata fatta da Heliade, ma da A. Naniescu, „unul dintre juniĭ actorĭ români”, ed Heliade vi avrebbe sostenuto la parte di Ecuba „și rolul de suflet”. Poichè, sì l’Ollănescu che il Filimon si fondano sulla tradizione orale, non abbiamo elementi di giudizio bastevoli per deciderci per l’uno o per l’altro dei traduttori.
  22. A Bucarest dunque e in Muntenia. Per ciò che riguarda la Moldavia, fin dal 1816-17, gli scolari di Asaki recitarono nella casa di un vecchio boiardo, il Hatman (=comandante generale della cavalleria moldava), Costachi Ghica, Mirtil și Cloe „,piesă, în genul ușor, copilăresc al luì Gessner și Florian— pastorală de salon, cu suspinele parfumate și mieiĭ înfățișată în horbote legați cu panglicuțe trandafiriĭ și albastre”. Cfr. N. Iorga, Istoria literaturiĭ românești în veacul al XIX-lea, vol. I, p. 21. La traduzione, opera di G. Asaki, pubblicata assai più tardi (il 1850), contiene, come ha rilevato il Iorga, non pochi neologismi occidentali, fra i quali parecchi italianismi.
  23. „V’ho dato un teatro, sappiatevelo conservare | come una dimora delle Muse; | con esso sarete subito informati | con notizie apportate di lontano. | Correggete in esso i vostri vizii | e date ascolto alla ragione; | date ornamenti alla lingua vostra | con parole rumene”. Il prologo dal quale ho tolto questi pochi versi, era intitolato Saturno.
  24. Ollănescu, op. cit., p. 96.
  25. [„..erà socotită ca un adevărat eveniment, în acele vremurì, unde evenimentele și emoțiunile politice ocupau și preocupau atât de mult activitatea șì atențiunea tututora”.] Cfr. Ollănescu, ibid.
  26. Non settembre, come per errore dice l’Ollănescu, op. cit,. p. 96, nota 1.
  27. Curierul românesc, 27 novembre 1837.
  28. Ollănescu, op. cit., p. 97.
  29. Ibid.
  30. 16 dicembre 1837, n. 50.
  31. Curierul românesc, loc. cit. Un po’ scherzando, un po’ sul serio Heliade scrive a questo proposito che Curie „può ben vantarsi d’aver versato il suo sangue per l’onore del teatro rumeno”.
  32. Jbid.
  33. Ibid.
  34. Ibid. Sappiamo dall’articolo poco innanzi citato del Curierul Românesc (anni 1837, loc. cit.) che, malgrado Lăscărescu avesse recitato nella parte di Abner con molta pătrundere, molti dicevano „că de aceea a isbutit, căci póte cine-va vede Abnerii mai cu înlesnire”, [„che era riuscito per questo, che chiunque può vedere assai facilmente degli Abner”]. Ed Heliade pronto a ribattere: „Dar un zugrav, când va zugravì un șèrpe en adevărul său, nu perde cinstea pentru că șerpii sunt mai lesne de vezut decât leii și elefanții”. [„Ma un pittore, quando dipinge un serpe dal vero non perde nulla del suo merito, per il fatto che le serpi sono assai più facili a vedersi che non i leoni e gli elefanti!”].
  35. Cfr. N. Iorga, Istoria literaturiĭ românești, în veacul al XIX-lea (de al 1821 înnainte) în legatură cu dezvoltarea culturală a neamuluĭ, Bucureștǐ, „Minerva”, 1907, vol. I, p. 152 e Ollănescu, op. cit., loc. cit.
  36. L’Ollănescu, op. cit., pp. 71 e 98) e il Iorga, (Op. cit., p. 152) fondandosi sopra un passo id Heliade (Curierul românesc, anul 1835, n. 73, p. 173) ritengono trattarsi del Bruto II di V. Alfieri. Io per me ritengo che il permesso fosse negato al Brutus del Voltaire, o, con maggior verisimiglianza, alla Mort de César. Certo è che nel passo citato del Curierul Românesc Heliade ci parla di Aristia come del traduttore „nemuritórilor tragediǐ ale luĭ Alfieri: Brutus, Virginia și Saul”, mentre in realtà Aristia ci risulta avere tradotto solo la Virginia e il Saul. Può darsi che Heliade abbia fatto qui un po’ di confusione, cosa che avviene assai facilemente a chi come lui si fida esclusivamente della memoria. Il Bruto del Voltaire era stato infatti rappresentato in greco insieme col Filippo e l’Oreste dell’Alfieri, e pubblicato insieme colle tragedie del nostro, da un Χριστόφορος Κρατερός, del quale avremo a riparlare. D’altra parte, visto che questo Bruto non fu in fin dei conti rappresentato mai, Heliade potè benissimo esser tratto in errore dal sapere che una tragedia con quel titolo l’aveva scritta anche l’Alfieri. Del resto non è detto a p. 31 della Gazeta teatruluĭ (anul 1836), che la traduzione del Saul è dovuta a Heliade, mentre non cade dubbio che appartiene ad Aristia? Cfr. Burada, Cercetări asupra Școaleĭ Filarmonice din Bucureștĭ (1833-1837) in 'Convorbirĭ Literare, anul XXIX (1890), p. 136.
  37. [„ După o îndelungată păcuire, care au intristat pe toți doritorii teatrului național”]. Cfr. l’articolo inserito da Gh. Asaki nel foiletonul della sua Albina Românească, anul X (1839), n. 75 (21 septembrie), p. 309.
  38. [„ O piesă în limbă Românească”].
  39. Cfr. quanto a questo proposito scrive il Iorga a p. 152 (vol. I) della sua bella Storia della letteratura rumena del secolo XIX, pocanzi ricordata: „De acum înnainte,și la prilejuri solemne, piesele de ocasie ce se dadură,.... se fac și represintă pe franțusește”. [„ D’ora innanzi, anche nelle solennità, le opere d’occasione che si rappresenteranno, si scriveranno e si reciteranno in francese”].
  40. Th. D. Burada, Inceputul Teatrului în Moldova in Arhiva di Iași, XVIII (1906), p. 260.
  41. Cfr. Ollănescu, op. cit., p. 79. Nello stesso mese di giugno si rappresentò La vedova scaltra del Goldoni, tradotta da Costache Moroiu.
  42. Nel Curierul Român del 20 marzo 1846 (n. 27), p. 108, Cesar Bolliac si lagna, che, dopo quattro mesi dal giorno che al teatro di Bucarest si son cominciate le rappresentazioni, si sien rappresentate esclusivamente commedie, e P. Teulescu coglie l’occasione di raccomandare per la rappresentazione la Francesca da Rimini del Pellico, il Filippo e l’Oreste dell’Alfieri, tradotte in rumeno da Simeon Marcovici; ma non pare che le proteste del Bolliac e la raccomandazione del Teulescu ottenessero alcun effetto. Cfr. a tal proposito Ollănescu, op. cit., p. 220.