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Ma il fuoco non si estinse, chè non si estingue fuoco di libertà, e ad ogni buon italiano deve recar piacere, che, a tenerlo vivo, contribuisse il teatro di Vittorio Alfieri1.


b) Il Saul e la Virginia.

Quando, il primo decembre del 1836, andò in iscena2 per la prima volta, tradotto da C. Aristia, il Saul di Vittorio Alfieri, la lingua rumena era già da qualche tempo salita agli onori del palcoscenico. Fin dal 1819, quando la lingua ufficiale era ancora la greca, Ienăchiță Văcărescu, un rumeno puro sangue, salutava con questi versi la prima opera3 recitata in rumeno sulle scene



  1. Cfr. Filimon, op. cit., p. 180: „Cel ce voiește să afle dacă aceste piese au produs sau nu efectul lor, să întrebe câmpiile Drăgășanilor din România și pe ale Grecieĭ sclave pe atunei, și ele vor răspunde arătându-ĭ un popor liber și un regat nou înscris pe harta Europei” [„Chi volesse sapere se queste rappresentazioni producessero o no il loro effetto, ne domandi i campi di Dragasciani in Rumania e quelli della Grecia schiava di allora, ed essi gli risponderanno mostrandogli un popolo libero e un regno nuovo sulla carta geografica dell’Europa”]. E l’Ollănescu, op. cit., p. 118, dopo aver rilevato come i fondatori della Società Filarmonicasi proponevan di dare alla Rumania un teatro che servisse a ridestar la coscienza nazionale, aggiunge che questo è tanto vero, che tutte le lunghe filze di vaudevilles e di commedie „ce atrăgeau și desfătau cu hohote de rîs pe public, nu au putut produce măcar o parte din emotiunea cea caldă, adîncă, reinvietóre, pe care a produs-o Saul asupra lui”, [„che attiravano e divertivano il pubblico, facendolo ridere a crepapelle, non han potuto produrre neppur l’ombra dell’emozione calda, profonda, rigeneratrice che ha prodotto sopra di esso il ’Saul”].
  2. Non più al teatro della Fontana rossa; ma nella nuova sala di teatro fondata nel 1833 dal cuoco italiano Girolamo Momolo, celebre non meno per i suoi piatti italo-orientali, fra i quali va ricordato honoris causa il gallinaccio ripieno (in rumeno curcan țințirom cioè tacchino gentiluomo), che per le magnifiche feste di ballo che si davano nelle sue bellissime sale. Il teatro di Momolo si trovava dove ora s’incrociano le strade Academiei e Nouă. Era una gran sala più lunga che larga, con un solo ordine di palchi, divisi fra loro da un colonnino di legno, sul quale era conficcato un lume, e 15 file di banchi di legno ricoperti di cambrì che comprendevano tre file di poltrone, e una galleria in fondo alla sala con sette gradini e banchi di legno senz’alcun rivestimento di stoffa. Accanto al palcoscenico, il palco del Dormitor, assai piccolo; nel corridoio tre divani per la Corte. L’illuminazione era fatta con lampade ad olio e candele di sego; nel palco del Principe ardevano invece candele di cera. Cfr. Ollănescu, op. cit., p. 48; Curierul românesc, n. 34 (ottobre 1833); Cantor de avis, dell’anno 1839, nn. 44, 47, 49, 54.
  3. L’Ecuba di Euripide tradotta da Ioan Heliade-Rădulescu, che vi recitò e che vi fece anche da suggeritore, nei momenti in cui non era in iscena. Il ten-