Per Cannatà Girolamo/V. Incidenti e sentenze penali
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V. Incidenti e sentenze penali
Venuta la causa all’udienza del Tribunale di Palmi, addì 13 aprile 1898, il Cannatà si costituì parte civile. La difesa degl’imputati, prima che si procedesse agli interrogatorî, esibendo le sentenze civili sopra accennate, si oppose alla costituzione di parte civile, sostenendo, che a tenore dell’articolo 7 (1.a parte) del Codice di proc. penale, il Cannatà non poteva più sperimentare l’azione penale.
Invano la difesa del Cannatà ed il Pubblico Ministero sostennero che Cannatà non aveva scelto l’azione civile, anzi nessuna azione aveva scelto, perchè, compulso in giudizio, era stato costretto a difendersi allo scopo di non pagare quella ingente somma che non aveva mai ricevuto: e che difendendosi in linea civile, non aveva chiesto nessun rifacimento di danno nascente dal delitto di abuso di foglio in bianco.
Il Tribunale, invece, ritenne che il Cannatà avesse scelto l’azione civile; che questa fosse stata per il risarcimento dei danni, e quindi non ammise la costituzione di parte civile e dichiarò «non luogo a penale procedimento sul conto degl’imputati Polimeni e Caracciolo».
Contro tale assoluzione produsse appello il Pubblico Ministero, perchè stava in fatto che il Cannatà non avesse scelto la via civile, mentre era convenuto e non attore nel giudizio civile, e perchè la difesa che sì è costretti a fare in giudizio civile da chi è convenuto non è da confondersi con l’azione civile che si sceglie e s’inizia per risarcimento di danni derivanti da un reato, dalla parte lesa come attore — e perciò era inapplicabile l’Art. 7 della procedura penale, il quale prevede il caso della scelta da parte del danneggiato — e sempre scelta dell’azione civile per risarcimento di danno, non già altra azione e molto meno eccezione a difesa.
La Corte di Appello di Catanzaro — con sentenza del 30 maggio 1898 fece dritto all’appello del P. M., appunto perchè il querelante Cannatà «non fu lui che istituì il giudizio civile contro il Polimeni e perciò non può dirsi che Cannata abbia scelto la via civile per sostenersi che non abbia più dritto ad agire in via penale» e per tali motivi la Corte ammise «la costituzione di parte civile fatta da Girolamo Cannatà nella causa penale a carico di Luigi Polimeni e Paolo Caracciolo».
In tal modo, tornò la causa alla cognizione del Tribunale di Palmi — nell’udienza del 15 luglio del 1898. E la difesa degli imputati sollevò l’incidente sostenendo l’incompetenza del Tribunale pei seguenti motivi:
1. perchè la Corte non rinviò gl’imputati al giudizio del Tribunale; e, non essendovi rinvio, il Tribunale rimaneva legato dalla precedente ordinanza di non luogo.
2. perchè la Corte, annullando la precedente sentenza, avrebbe dovuto avocare a sè il merito della causa — e perciò la Corte di Appello soltanto era competente a giudicare gli accusati.
La difesa della parte civile controsservò:
a) che la Corte, ammettendo la costituzione di parte civile del Cannatà, implicitamente mise nel nulla la precedente sentenza del Tribunale del 13 aprile 1898, togliendo l’ ostacolo della inammessibilità dell’azione penale. Perciò il Tribunale non rimaneva legato dal suo precedente pronunziato, che oramai era stato virtualmente annullato dalla Corte.
b) che non occorreva che la Corte pronunziasse il rinvio, giacchè il Tribunale era già investito della cognizione della causa per effetto dell’ordinanza del giudice istruttore, che rinviò gli accusati al giudizio del Tribunale. Eliminato l’ostacolo del non luogo pronunziato dal Tribunale colla sentenza 13 aprile 1898, il Collegio rimaneva investito della causa per effetto della ordinanza di rinvio del giudice istruttore, senza bisogno di ulteriore rinvio della Corte.
c) che la Corte non poteva ritenersi competente a giudicare in merito, giacchè innanti al Tribunale non si era affatto celebrato il dibattimento, non essendosi proceduto all’interrogatorio. Gli Art.i 419 e 365 C. P. P. presuppongono che il giudice di prima sede abbia proceduto al dibattimento e questo venga annullato per violazione od omissione di forme di legge. In tal caso la Corte deve decidere in merito, ordinando, se occorre, la ripetizione del dibattimento. Nella specie la Corte non poteva ripetere un dibattimento, che non è mai esistito.
Malgrado la evidenza di tali ragioni esposte al Tribunale di Palmi, questo accolse l’incidente della difesa degl’imputati e affermando nel suo ragionamento che nella prima sua sentenza penale del 13 Aprile 1898 aveva dichiarato prescritta l’azione penale (mentre invece aveva soltanto risoluto l’incidente sulla costituzione di parte civile) — affermando che la Corte d’Appello con la sua sentenza del 30 Maggio 1898 aveva accolto l’appello del Pubblico Ministero, ammesso il Cannatà come parte civile, ma «senza indicare quali ulteriori provvedimenti intendesse prendere per il proseguimento del giudizio» — mentre la Corte avendo deciso l’incidente nessun provvedimento doveva indicare essendo sottinteso che il procedimento, sospeso a Palmi sull’incidente, dovesse a Palmi stesso proseguire — concluse che il giudizio emesso dal Tribunale di Palmi a 13 aprile 1898 era deffinitivo, cioè sul merito, e quindi si dichiarò incompetente.
Altro appello del Pubblico Ministero — altra sentenza della Corte d'Appello di Catanzaro in data 3 dicembre 1898 — e questa volta la Corte fu d’ accordo col Tribunale, dicendo «che essa Corte aveva deciso sull’ammissibilità della parte civile, ma non si era pronunziata sull’ammissibilità o meno dell’azione che il Tribunale dichiarò estinta» e quindi la sentenza del Tribunale, non modificata e non annullata dalla Corte, era esistente — e perciò, se avendo il Tribunale deciso e la sua sentenza non era stata modificata o annullata, meritava conferma la sentenza del Tribunale che si diceva incompetente per avere già giudicato.
Questa sentenza della Corte d’Appello (3 dicembre 1898) fu gravata di ricorso per violazione dell’Art. 366 (1a parte) del Codice di Proc. Pen., perchè non potevasi ritenere deffinitiva la prima pronuncia del Tribunale emessa in limine litis, innanzi che si procedesse all’interrogatorio degli imputati e questa implicitamente annullata, doveva il Tribunale riprendere la causa e giudicare in merito.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 23 Febbraio 1899, statuì nel modo seguente:
illustrazione della scienza e
della magistratura italiana
Considerando
«che veramente deplorevole sia il cumulo di errori in cui sono rispettivamente caduti i magistrati decidenti nella presente causa.
Che infatti non poteva il Tribunale di Palmi nella sua prima decisione del 13 aprile 1898, ritenere precluso l’adito alle querele di Cannatà perciò che chiamato in causa civile dal Caracciolo, egli si era difeso dall’azione temeriante contro di lui intentata sia perchè l’azione civile di cui parla l'articolo 7 Procedura penale e che è pregiudiziale alla querela nei delitti in cui è condizione di perseguibilità, non può essere che azione di danni, più o meno diretta ed esplicita ne sia la domanda di essa soltanto essendo quistione sul Codice di Procedura Penale, sia perchè deve trattarsi di azione civile promossa, scelta dalla parte offesa e non già come nella fatti specie, da essa subita, e sarebbe strano per non dire altro, che la parte lesa si vedesse chiuse le porte del procedimento penale sol perchè il colpevole avesse avuto lo sfrontato accorgimento di chiamarla previamente in sede civile per contestarle la sussistenza e legittimità del suo diritto che esso ebbe a disconoscere e manomettere.
Che a nulla approdi lo invocato principio reus in eccipiendo fit auctor, che é di mera azione civile e non può avere efficacia di sovvertire le precise e categoriche norme di ragione penale.
Che d'altronde, il Tribunale abbia commesso un’imperdonabile irregolarità rituale nel dichiarare, mercè ordinanza incidentale, non farsi luogo a procedere rispetto alla imputazione di abuso di foglio in bianco a carico di Polimeni e Caracciolo per estinzione della azione penale e ciò, tanto perchè doveva risolvere non con una semplice ordinanza in limine lites, ma con formale sentenza e dopo avere completamente espletato il giudizio, una quistione che involgeva la sorte di tutta la causa, quanto perchè in mancanza di querela non è che si estingue l' azione penale, ma questa non può neanche aver vita e principio.
Che sull’appello dall’ordinanza del Tribunale per parte del Pubblico Ministero, che si doleva dell’indebita applicazione dello articolo 7 Proc. Pen. la Corte di Catanzaro equivocasse sulla decisione appellata e sul gravame prodotto contradicendo allo stesso motivato della propria sentenza, quando anzicchè risolvere la quistione di ammissibilità o meno della querela si pronunziava sull’ammissibilità della costituzione di parte civile che non si era discussa dichiarandola regolare.
Che non meno erroneo sia stato il secondo pronunziato del Tribunale di Palmi che dall’equivoco in cui era caduta la Corte di Catanzaro, traeva origine per qualificare sentenza irretrattabile la prima sua pronunzia alla quale senza il giudicato di appello tendeva a conferire più ancora il carattere interlocutorio mentre poi da parte del Tribunale in ogni caso, avrebbesi dovuto far quistione di cosa giudicata non mai d’incompetenza.
Che per colmo di tutto ciò, la Corte di Catanzaro, con la impugnata sentenza disconoscesse il suo medesimo anteriore pronunziato, col quale pur equivocando deplorevolmente sull’oggetto della ordinanza appellata, intendeva implicitamente nello accogliere il gravame di ridare il suo naturale svolgimento al giudizio interrotto dappoichè dichiarando legittima la costituzione della parte civile, riconosceva per implicito e legittimo l’esercizio dell’azione penale, mentre poi la formola del presente giudicato della detta Corte a non trovar luogo a provvedere sull’appello del Pubblico Ministero non ha riscontro in alcuna disposizione di legge.
Che pertanto si renda inevitabile un nuovo giudizio, mercè cui sia riparato agli errori giudiziarii incorsi e a tutte codeste irregolarità rituali.
Per questi motivi
La Corte
In seguito a tale sentenza la Corte di Appello di Napoli in data 19 agosto 1899 decise come segue:
Considerato
«Che il dibattimento a carico di Polimeni e Caracciolo con due sentenze del Tribunale di Palmi e due sentenze della Corte di Catanzaro non abbia avuto alcuno svolgimento, non abbia fatto un passo e dopo sollevato nel primo dibattimento in limine lites la applicabilità dell’Articolo 7 Procedura Penale è ammesso dal Tribunale che parte l’errore gravissimo di quel Collegio, di aver creduto di definire una causa con un’ordinanza contraria al tassativo disposto degli Articoli 318 e 322 Procedura Penale ed a tutto il sistema procedurale che stabilisce doversi provvedere con ordinanza nel periodo istruttorio inquisitorio e con sentenza nel periodo accusatorio e nei pubblici dibattimenti a pena di nullità, consacrando i principi dell’orale pubblicità, e contraddittorietà, su di che né il Tribunale pon mente, nè la Corte, la quale in rito prima che in merito doveva annullare il primo pronunziato di Palmi, poichè egli è certo che il Tribunale di Palmi non procedè a dibattimento, non interrogò nemmeno gl’imputati sul reato loro addebitato, ma sollevato, dopo che le parti si furono costituite, la eccezione dell’applicabilità dell’Art. 7 Proc. Pen. quel Collegio lo accolse e dichiarò estinta l’azione penale. Ma prodottosi appello del Pubblico Ministero ed accoltosi dalla Corte di Appello medesima, contro l’ordinanza, col fatto dell’accoglimento dell’appello la ordinanza va revocata.
Pur troppo la sentenza della Corte (poichè la Corte emise sentenza e non ordinanza) non è da prendersi ad esempio per precisione, esattezza e chiarezza, ma se dinanzi il Tribunale si era dibattuto unicamente dell’applicabilità dell’Art. 7 Procedura Penale il Collegio lo ritenne applicabile e per conseguenza dichiarò estinta l’azione penale, ma l’appello del Pubb. Min. fu accolto e necessariamente, più che implicitamente, l’ordinanza veniva revocata ed annullata per la inapplicabilità del sudetto Art. 7 unica eccezione sollevata e dibattuta anche dalla parte civile già costituita poco prima all’udienza, senza eccezione ed impugnativa, unica statuizione appellata, ed il gravame accolto. Sarà implicita la revoca dell’ordinanza, sarà superflua o fuor di luogo l’ammissione della costituzione di parte civile, ma conseguenza sola ed unica, necessaria ed indiscutibile dell’appello accolto è la revoca e l’annullamento dell’impugnata ordinanza e conseguente inapplicabilità del ripetuto Art. 7 P. P. L’ammissione di costituzione di parte civile che era già avvenuta (fol. 78) è un dippiù che sta a dimostrare come la ordinanza nulla per la forma, era stata annullata nel merito e che il dibattimento doveva riprendersi e svolgersi con la parte civile.
E quando ripropostasi la causa dinanzi al Tribunale quel Collegio dichiarò di aver esaurito la propria giurisdizione, una col dispositivo dichiarò la propria incompetenza e quando la Corte pur censurando la formola terminativa finiva col confermarla, Tribunale e Corte di Appello, emettevano due sentenze che hanno dato luogo alle aspre censure della Corte regolatrice.
Da che consegue che revocata dalla Corte l’ordinanza del Tribunale, ritornata dinanzi a questo la causa, esso dovea procedere senz’altro a dibattimento a carico di Polimeni e Caracciolo. Ma poichè, invece il Tribunale emise una sentenza con la quale si dichiarava incompetente e questa sentenza fu confermata dalla Corte di Catanzaro, annullata dalla Corte di Cassazione questa ultima sentenza, a questa Corte non rimane che fare quello che doveva quella di Catanzaro, revocare ed annullare cioè la seconda sentenza o meglio il secondo pronunziato del Tribunale di Palmi, come era stato annullato il primo, l’ordinanza 13 aprile 1898 per modo che la causa ritorna al primo stato dinanzi ai giudici di primo grado per procedere al dibattimento eliminata solamente l’eccezione della difesa, dell’applicabilità dell’Art. 7 Proc. Penale respinto con la prima sentenza della Corte di merito che revocò ed annullò l’ordinanza del Tribunale e dispose la prosecuzione del dibattimento con l’ammissione della costituzione di parte civile.
Questa Corte annullata la sentenza di Catanzaro, deve giudicare in merito all'appello del Procuratore Generale contro la sentenza 15 luglio 1898 del Tribunale di Palmi, la quale deve essere revocata ed annullata, per avere ritenuto che con la sentenza 30 maggio 1898 la Corte di Catanzaro contrariamente al fatto ed alla verità, non avesse annullata l'ordinanza che fu appellata, e l’appello accolto.
E poichè il Tribunale di Palmi non si è occupato del merito non avendo nemmeno, in entrambe le volte, interrogato gl’imputati sui reati loro ascritti, si deve applicare l'Art. 366 Proc: Pen: e revocata la sentenza 15 Luglio 1898, rinviare la causa allo stesso Tribunale di Palmi per il dibattimento in merito alle imputazioni, ascritte ai sudetti Polimeni e Caracciolo per esaurire il primo grado di giurisdizione.»
Per tali motivi
«La Corte d’Appello di Napoli letti ed applicati gli Articoli 366, 398, 399 e 410 Proc. Penale;
Pronunziando in grado di rinvio, disposto dalla Corte di Cassazione con sentenza 23 febbraio 1899, revoca ed annulla la sentenza 15 luglio 1898 del Tribunale di Palmi, e dichiarando revocata ed annullata dalla Corte di Catanzaro con la sentenza 20 maggio 1896 l’ordinanza dello stesso Tribunale di Palmi, in data 13 aprile 1898 rinvia la causa al Tribunale medesimo per il dibattimento in merito alle imputazioni ascritte a Polimeni e Caracciolo.
Pareva, che dopo ciò fosse finita la lunga e dolorosa istoria — ma no.
Il Tribunale di Palmi — nell’udienza del 22 gennaio ultimo — si trovò per la terza volta di fronte gl’imputati Polimeni e Caracciolo e per la terza volta non volle giudicarli. Vale la pena di riprodurre integralmente il pronunziato su cui è chiamata ora la Ecc.ma Corte di Appello delle Calabrie a giudicare.
Premesso l’accenno alle precedenti sentenze, il Tribunale di Palmi si diverte a ragionare ancora intorno il pronunziato della Corte d'Appello e della Cassazione — e poi continua:
«Allo stato, la posizione giuridica del Tribunale non è cambiata neppure di fronte al rinvio pronunziato dalla Corte d’Appello di Napoli, la quale essendo stata dalla Corte Suprema surrogata a quella di Catanzaro, altri poteri non poteva avere se non quelli che la Corte medesima dalla legge avea. E ciò implica che dessa avrebbe dovuto conoscere del merito della imputazione, riparando e confermando la sentenza, ma giammai rinviare per un nuovo giudizio la causa a questo Tribunale.
Nè si potrebbe osservare che la sentenza della Corte di Napoli ha carattere definitivo, e che questo Tribunale debba per necessità ottemperare e giudicare in merito come la Suprema Corte addì 16 Agosto ’99 sentenziava. È giurisprudenza costante e duratura del Supremo Collegio che definitiva sia soltanto la sentenza che decide in merito della causa e non già quella preparatoria come sarebbe la sentenza della Corte d’Appello in sede di rinvio, che rinvia a sua volta al Tribunale per il merito.
Dunque il Tribunale non è legato dalla sentenza della Corte di Napoli, ma riprende integro il suo dritto tal quale, come era prima che dessa fosse intervenuta, e siccome lo stesso magistrato non può rivenire su quanto ha definitivamente statuito in merito ad una imputazione, e siccome col giudizio definitivo del 13 Aprile 1898 fu dichiarata da questo Tribunale estinta l’azione penale a favore del Luigi Polimeni e del Paolo Caracciolo, così non resta che dichiarare a favore di costoro non essere luogo a penale procedimento.
Se così è, come non vi ha dubbio, inutile riuscirebbe procedere agl’interrogatorii degl’imputati ed al dibattimento, per poi venire a dichiarare quello che ora già si conosce, cioè estinta l’azione penale, oltre che l’imputato ha diritto anche di non lasciarsi interrogare quando l’azione penale non può esercitarsi contro di lui
Per tali motivi
Il Tribunale
Letto l’Art. 393 C. P. P.
Dichiara
non farsi luogo a penale procedimento contro Polimeni Luigi e Caracciolo Paolo perchè estinta l’azione penale».