Parte prima del Re Enrico IV/Atto quarto
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Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1858)
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ATTO QUARTO
SCENA I.
Il campo dei ribelli vicino a Shrewsbury.
Entrano Hotspur, Worcester e Douglas.
Hot. Ben detto, mio nobile Scozzese. Se la verità in questo secolo non fosse stimata adulazione, affermerei che non v’è guerriero più illustre e famoso di Douglas. Pel Cielo! mi è impossibile il piaggiare: sdegno il molle linguaggio dei cortigiani: ma non v’è uomo che occupi più bel posto di voi nel mio cuore e nella mia amicizia: ponetemi alla prova.
Doug. Tu sei il re dell’onore. — Non esiste sulla terra mortale tanto potente di cui io non isfidi la forza.
Hot. Continuate: (entra un messaggero con alcune lettere) che lettere hai tu costà? — Non posso che ringraziarvi.
Mess. Queste lettere vengono da vostro padre...
Hot. Da lui! Perchè non viene egli stesso?
Mess. Nol può, milord: è gravemente infermo.
Hot. Affè! come ha egli l’agio d’esser infermo in questo tempo d’azione, e di crisi? — Chi guida le sue schiere? Sotto qual comando marciano?
Mess. Le sue lettere, Milord, non io, dichiarano le sue intenzioni.
Wor. Pregoti, dimmi, sta egli in letto?
Mess. V’è stato, milord, quattro giorni prima della mia partenza: e al momento in cui lo lasciai, i medici temevan molto per la sua vita.
Wor. Avrei voluto vedere i nostri negozi in uno stato sicuro prima che la malattia venisse a trovarlo. Non mai la sua salute fu di maggior prezzo che oggi.
Hot. Malato ora! Debile e giacente in letto in tali strettezze! Codesta malattia avvelena la sorgente e l’anima della nostra impresa: il suo contagio invade tutto il nostro campo. — Egli mi scrive (scorrendo le lettere) che un’infermità interna..... che i suoi amici non possono esser radunati sì tosto coi messaggi..... ch’ei non ha creduto prudente di confidare ad alcun’anima straniera alla sua, segreto sì importante e pericoloso. Nondimeno ne dà un consiglio pieno d’audacia. È che col nostro piccolo esercito ci avanziamo onde conoscer le disposizioni della fortuna; perocchè, scrive egli, non è più tempo di retrocedere; essendo il re pienamente istrutto dei nostri disegni — Che dite, o signori, di ciò?
Wor. La malattia di vostro padre è per noi una disavventura crudele.
Hot. Disavventura fatale! Ma tutto contemplato, il bisogno di lui alla prova si mostrerà minore che ora non ci sembra. — Sarebbe ben fatto lo arrischiare sopra un colpo di dadi la somma di tutte le nostre forze? Il mettere sì ricca fortuna sulla perfida eventualità di un’ora incerta? Ciò non sarebbe prudente: perocchè allora noi vedremmo a nudo, e toccheremmo al fondo delle nostre speranze, all’ultimo termine delle nostre fortune.
Doug. Nulla è più vero, è questo ne accadrebbe; mentre adesso ci rimane una specie di sopravvivenza piacevole. Noi possiamo spendere arditamente confidando nelle speranze venture: e ciò ne pone davanti una prospettiva consolante.
Hot. Sì, un riparo per salvarci se avviene che l’inferno e la corte contraria ci attraversino la via.
Wor. Malgrado ciò, vorrei che vostro padre fosse qui. La natura e il filo della nostra impresa non soffrono divisione. Vi sarà taluno che, ignorando la cagione della sua assenza, vedrà in essa la disapprovazione della nostra condotta, e crederà che la prudenza e la fedeltà al re abbia ritenuto il conte dall’unirsi a noi: ora considerate quanto una tale idea può nutrire il corso di una fazione inquieta e timida, e spargere dubbi sulla legittimità della nostra causa. Voi non ignorate che a noi, cui non è dato di sostenere il nostro partito che con offerte e promesse, diviene necessario di tener lontano dalla vista un pericolo troppo sensibile e troppo forte, e il chiudere ogni più lieve foro pel quale l’occhio della fredda ragione possa spiar l’importanza dei nostri mezzi. Questa assenza di vostro padre squarcia le bende e svela agli occhi dei nostri amici oggetti di terrore, ai quali non aveano per lo innanzi pensato.
Hot. Voi ite troppo lungi. Ecco piuttosto come interpreterei la sua lontananza. Essa dà di noi una più alta idea; e accresce più lustro e audacia alla nostra impresa. Imperocchè si dovrà pensare che, se soli, senza il suo soccorso, possiamo costituire un partito abbastanza grande per sommuovere il regno, coll’aiuto suo non potremo mancar di sconvolgerlo da cima a fondo. — Tutto fin qui procede bene; le nostre giunture non sono per anche rotte.
Doug. I desiderii del nostro cuore son paghi: la paura non è parola che s’oda mai pronunziare in Iscozia. (entra sir Riccardo Vernon)
Hot. Mio cugino Vernon! Siate il ben ricevuto sull’anima mia!
Ver. Prego Dio, milord, che le mie novelle non guastino l’accoglimento. Il conte di Westmoreland, forte di sette mila uomini, marcia verso questi luoghi: il principe Giovanni è seco.
Hot. In ciò non è alcun male: che di più?
Ver. Di più ho saputo, che il re in persona s’è messo in via e si accinge a venirne addosso con forze superlative.
Hot. Ei pure sarà il ben accolto. Dov’è suo figlio il principe di Galles, quel giovine folle dal piè leggero, dalla testa vana, e i suoi degni compagni che han come lasciato da parte il mondo e le sue cure, dicendogli di girare a sua posta?
Ver. Tutti armati; tutti piumati come struzzi stendenti le ali al vento, tutti alacri quasi aquile novellamente sprigionate, e lucidi come imagini, addobbate per un dì di festa: pieni di speranza come il maggio; fecondi d’avvenire come il sole; avventati e bollenti come il torello in amore. Ho veduto il giovine Enrico, colla visiera alzata, colla corazza e lo scudo di prode cavaliero, sollevarsi dalla terra pari a Mercurio, e curvarsi in sella con tanta grazia, quanta ne potrebbe spiegare un angelo, che caduto dai cieli avesse impreso a domare un fiero cavallo per ricreazione degli spettatori.
Hot. Basta, non dirne altro: cotesti elogi accendono la febbre nel mio sangue più che il sole di marzo. Vengano. Saranno vittime pomposamente adorne pel sagrifizio e le offriremo tutte fumanti alla Dea della guerra, il di cui occhio ardente scintilla fra le nubi delle battaglie. Marte vestito di ferro si assiderà sul suo altare, immerso nel sangue fino alle spalle. Sono irato che sì ricca conquista ne stia tanto presso, e non sia ancora in nostro potere. — Su, lasciatemi prendere il mio cavallo, che mi porterà come folgore contro il seno del principe di Galles. Un Enrico contro un altro Enrico, il suo corridore si congiungerà col mio per non più separarsi finchè l’uno dei due non cada morto. — Oh così fosse giunto Glendower.
Ver. Ho altre novelle ancora. Mi fu detto, traversando il Worcester, ch’ei non poteva radunare il suo esercito prima almeno che fossero trascorsi quindici giorni.
Doug. Ecco la più sinistra di tutte le novelle.
Worc. Sì, sulla fede mia, essa ha un suono che agghiaccia il cuore.
Hot. A quanto si fanno ascendere le schiere del re?
Ver. A trentamila uomini.
Hot. Siano pur quarantamila; senza mio padre e Glendower, l’esercito che abbiamo può bastare in questo gran giorno. Andiamo, affrettiamoci a passarlo in rassegna. L’ora fatale in cui tutto decider si debbe è vicina: moriamo tutti, e moriamo allegramente.
Doug. Non parlate di morire; io non temo la morte e il suo braccio in questi sei mesi dell’anno. (escono)
SCENA II.
Una strada pubblica vicino a Coventry.
Entrano Falstaff e Bardolfo.
Fal. Bardolfo, vattene a Coventry; empivi un buon fiasco per me; i nostri soldati traverseranno la città e anderanno a Sutton-Coldfield questa sera.
Bard. Volete darmi un po’ di denaro, capitano?
Fal. Mettilo fuori tu, mettilo fuori tu.
Bard. Questa bottiglia costerà un angelo1.
Fal. Sia, e valga esso a ricompensarti del tuo prestito. Di’ al mio luogotenente Pito di raggiungermi al termine della città.
Bard. Così farò, capitano: addio. (esce)
Fal. Se i miei soldati non mi fanno arrossire di vergogna, vuo’ non esser più che una vil mora secca. Ho diabolicamente abusato della fretta del re, prendendo in cambio di centocinquanta soldati, trecento e più ghinee. Non iscrivo alle insegne che buoni borghesi, figli di ricchi proprietarii; non cerco che giovani fidanzati, a cui più talenterebbe la voce di Satana che un colpo di tamburo; persone che han maggior paura dello scoppio di una colubrina che un daino o un beccaccino già ferito. Io non chiamo a me che coloro che chiudono un cuore non più grosso del capo di una spilla, talchè a quest’ora tutti han comprato il loro congedo, e il mio esercito è composto dell’alfiere, due caporali, e un luogotenente, insieme con alquanti tapini laceri, come ci si rappresenta Lazzaro sulla tela, quando ingordi cani gli leccavano le piaghe; uomini infine che non han mai militato, e che rigettati sempre furono, come inetti a servire; cancheri di un mondo tranquillo, frutto di una lunga pace, mille volte più tristamente scerpati che nol sia uno stendardo dopo cento battaglie. Ecco gli uomini che debbo sostituire a quelli che han comprato il loro congedo: e vedendoli si direbbe che ho altrettanti figli prodighi, reduci dall’aver fatto pascere i maiali, e dall’essersi nutriti cogli avanzi di un bifolco. Un uom di spirito, in cui mi abbattei, osservò che avevo spigolate tutte le forche, e battuto l’allarme in tutti i cimiteri: e che mai non si erano veduti spauracchi più orribili. Con costoro io non traverserò Coventry: ciò è sicuro. V’è di più, che i malandrini incedono a gambe larghe come se avessero i ceppi ai piedi; e infatti io li tolsi la maggior parte dalle prigioni. Non v’è che una camicia e mezzo in tutta la compagnia, e quest’ultima ancora fu fatta con due asciugatoi uniti insieme, e gettati sulle spalle a guisa di tonaca senza maniche; la camicia intera poi, a dir vero, fu rubata al nostro ospite di sant’Albano, all’albergatore dal naso rosso di Daintry. Ma ciò non vuol tenersi in conto; in breve si troverà biancheria sopra le siepi. (entra il principe Enrico, e Westmoreland)
P. Enr. Ebbene, pingue sir Giovanni? Che v’è di nuovo, materasso di carne?
Fal. Sei tu, Enrico? Malvagio schernitore, che diavolo fai nella provincia di Warvick? Mio caro milord di Westmoreland, vi chieggo perdono, ma vi credevo già a Shrewsbury.
West. In fede, sir Giovanni, sarebbe più che tempo che vi fossi, e voi pure; il mio esercito è già arrivato, e il re ci aspetta là tutti; convien che partiamo questa notte.
Fal. Non temiate di me, io sono vigile come un gatto intento a rubare il formaggio.
P. Enr. Oh! lo credo. Ma dimmi dunque, sir Giovanni, a chi appartengono quei pezzenti che vidi là giù?
Fal. A me, Enrico, a me.
P. Enr. Non mai mi abbattei in più villana plebaglia.
Fal. Eccellente, eccellente, per andar all’aria. Selvaggina da polvere, selvaggina da polvere. Coloro empiranno una fossa al pari dei migliori soldati. Mio caro, sono uomini mortali e nulla più.
West. Ah! Ma, sir Giovanni, e’ mi pare siano orrendamente poveri e scarni, hanno aspetto di mendichi.
Fal. Intorno alla loro povertà non so dove se l’abbiano presa; ma per la magrezza vo fiducioso che non l’hanno presa da me.
P. Enr. No, lo giurerei; a meno che non si chiami magrezza lo aver tre dita di lardo sopra le costole. Ora spicciati, malandrino: Percy è già in via.
Fal. Si è forse accampato il re?
West. Questo fa appunto, sir Giovanni, e temo che non arriviam troppo tardi.
Fal. Bene; nulla si addice tanto ad un pauroso, come il termine di una battaglia, e nulla meglio conviene a un convitato famelico, quanto il principio di un banchetto. (escono)
SCENA III.
Il campo dei ribelli vicino a Shrewsbury.
Entrano Hotspur, Worcester, Douglas e Vernon.
Hot. Nè verrem con lui a battaglia questa sera?
Wor. Ciò è impossibile.
Doug. Lo credete forse in vantaggio?
Ver. No.
Hot. Per qual ragione? Non aspetta un rinforzo?
Ver. E noi pure.
Hot. Il suo è certo; il nostro dubbio.
Wor. Caro cugino, ascoltate la prudenza. Non combattiamo questa sera.
Ver. Non lo facciamo, milord.
Doug. Il vostro consiglio non è buono: è un cuore agghiacciato dalla paura che ve lo detta.
Ver. Non mi calunniate, Douglas: sulla mia vita! (e lo sosterrò a spese di essa) se una volta la voce del vero onore mi grida di marciare, attendo tanto poco ai consigli della vil paura, quanto voi, milord, o ogni altro Scozzese che sia al mondo: prego si voglia osservare dimani quando ferverà la battaglia chi teme di noi.
Doug. Sì, o piuttosto questa sera.
Ver. Sono contento.
Hot. Questa sera dico anch’io.
Ver. Ite, ite: ciò non è possibile: rimango stupito che duci così esperti quanto siete voi non veggano quali ostacoli ci costringono a differire la nostra spedizione. La squadra di cavalleria di mio cugino Vernon non è ancora giunta: quella di vostro zio Worcester è arrivata soltanto oggi, ed è anche troppo stanca; non v’è un solo cavallo, nè un solo cavaliere a cui la lunga marcia non abbia tolto tre quarti del suo valore.
Hot. Tale è pur anche lo stato della cavalleria nemica: in paragone di essa la nostra può dirsi riposata.
Wor. L’esercito del re è più numeroso: in nome di Dio, cugino, aspettiamo che tutti i nostri rinforzi siano giunti. (Una tromba suona a parlamento; entra sir Gualterio Blunt)
Blunt. Vengo con graziose offerte per parte del re, se mi volete udir coi riguardi dovuti al mio messaggio.
Hot. Siate il ben venuto, Blunt: e piacesse al Cielo che foste dei nostri! V’hanno molti di noi che vi amano teneramente, che sono in qualche modo gelosi del vostro gran merito e della vostra splendida fama, e gemono che non nutriate i nostri sentimenti, e che ci stiate in sembianza di nemico.
Blunt. Il Cielo mi preservi dal non esserlo finchè vorrete inceder lungi dal retto sentiero, ribelli alla sacra maestà del vostro re! Ma veniamo al mio messaggio. — Sua Altezza mi spedisce per sapere i vostri lagni: per conoscere qual è la cagione per cui dal seno della pace pubblica evocate repentinamente la guerra, dando al suo regno sottomesso il funesto esempio d’una ribellione rea. Se il re ha sconosciuto in qualche maniera i vostri servigi, che confessa essere numerosi, vi invita a muovergli i vostri reclami onde siate appagati: ei vi offre un perdono assoluto, per voi e per coloro che ad istigazion vostra furono travolti in questo turbine.
Hot. Mite assai è il re: e noi sappiamo ch’egli troppo ben conosce in qual tempo giova promettere, e in quale attenere. Mio padre, mio zio, ed io, gli abbiamo data la corona di cui si cinge; e quando egli non aveva con sè che ventisei compagni, che privo viveva della stima degli uomini e misero, proscritto, da tutti dimenticato, intendeva ricorrere al seno della sua patria, mio padre solo fu che si degnò di accoglierlo. Allorchè poi l’intese affermare con giuramento alla faccia del Cielo ch’ei non tornava che per esser duca di Lancastro, e riavere i suoi possedimenti, mio padre, tocco di compassione, gli promise assistenza, e gli tenne la parola. Fu allora che i lôrdi ed i baroni del regno, vedendo che Northumberland gli prestava il suo appoggio, accorsero a lui col capo scoperto e l’incontrarono a torme per le città e pei borghi, mostrandosi tutti presti ad obbedire a’ suoi ordini; e fu anche allora che quest’uomo (tanto là grandezza sa conoscersi e misurarsi rapidamente!) fe’ un passo più alto del gradino a cui aveva giurato a mio padre di arrestarsi, mentre approdava debole e nudo sulle sterili roccie di Ravensburg. Dipoi egli ostentò di farsi riformatore di molti mali; gridò contro gli abusi, simulò gemere sulle piaghe della sua patria, e con siffatti sembianti di giustizia si guadagnò il cuore di tutti quelli che voleva ingannare. Da ultimo andando più lungi fece balzar le teste di tutti i favoriti, che il re assente avea lasciati per amministrare il regno, intantochè egli personalmente attendeva alle guerre d’Irlanda.
Blunt. Tacete, io non venni per udir ciò.
Hot. Concedete ch’io continui. — Poco tempo dopo egli ha deposto il re: poco dopo gli ha tolta la vita: in seguito ha oppresso lo Stato di taglie, ed ha permesso che il suo parente, il conte della Marca (che, se ogni uomo fosse al suo posto e godesse de’ suoi diritti, sarebbe suo re legittimo) venisse imprigionato nella provincia di Galles, e rimanesse proscritto senza riscatto. Me poi ripudiò fra le mie più liete vittorie: me cercò di sedurre co’ suoi arteficii; mio zio escluse dal consiglio; mio padre accomiatò dalla corte; violò giuramento sopra giuramento. Alla fine respingendone, ei ne ha costretti a cercar la nostra salute nella forza di questo esercito, e a sottoporre a disamina un po’ più attenta il suo titolo che troviamo troppo dubbio per durar a lungo.
Blunt. Debbo io rendere questa risposta al re?
Hot. No, sir Gualterio; ci ritireremo un poco per consultare. Ite a trovare il re; ci dia egli qualche garanzia che assicuri il suo mutamento, e dimani mattina mio zio gli significherà le nostre intenzioni: addio.
Blunt. Desidero che accettiate le offerte della sua clemenza della sua amistà.
Hot. Forse le accetteremo.
Blunt. Prego il Cielo che lo facciate! (escono)
SCENA IV.
York. — Una stanza nella casa dell’Arcivescovo.
Entrano l’Arcivescovo di York e un Gentiluomo.
Arc Affrettati, buon sir Michele: reca prontamente queste lettere suggellate al lord maresciallo, quest’altra al mio cugino Scroop, e tutto il resto alle persone a cui sono indiritte. Se sapessi di quale importanza è il loro contenuto, non indugieresti un istante.
Gent. Mio buon signore, imagino quello che contengono.
Arc. Facilmente lo credo. Dimani, mio amato Michele, è il giorno in cui la fortuna di diecimila uomini deve sostenere la prova; perocchè dimani, a Shrewsbury, secondo ciò che risulta da avvisi certi che ho ricevuti, il re alla testa di poderoso esercito scontrerassi con lord Enrico; e temo, sir Michele, considerando l’infermità di Northumberland, e l’assenza di Owen Glendower che al ritrovo non andò, trattenuto da non so quali predizioni, temo che l’esercito di Percy non sia troppo debole, per sostenere una battaglia contro il re.
Gent. No, degno signore, non dovete temerlo, avvegnachè siano con lui i signori Douglas e Mortimero.
Arc. Mortimero non vi è.
Gent. Ma vi è Mordake, Vernon, Percy, Worcester, e una schiera di eletti prodi e di valenti gentiluomini.
Arc. Così è infatti; ma dal lato suo il re ha chiamato sotto i suoi vessilli la miglior parte del regno. Il principe di Galles, Giovanni di Lancastro, il nobile Westmoreland, il bellicoso Blunt e molti altri guerrieri chiari in armi sono con lui.
Gent. Non dubitate, milord, che non trovino avversari degni del valore che essi posseggono.
Arc. Così io pure spero: ma nullameno è impossibile di non temere; e per prevenire le maggiori sventure, siate sollecito, sir Michele; perchè se Percy non riesce, il re, prima di licenziare il suo esercito, si propone di visitarci. Egli è stato avvertito della nostra confederazione, e prudenza vuole che ci mettiamo in guardia. Studiate adunque il passo: bisogna intanto ch’io vada a scrivere ad altri amici. — Sir Michele, addio. (escono da varie parti)
Note
- ↑ Moneta.