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198 | enrico iv |
aver tre dita di lardo sopra le costole. Ora spicciati, malandrino: Percy è già in via.
Fal. Si è forse accampato il re?
West. Questo fa appunto, sir Giovanni, e temo che non arriviam troppo tardi.
Fal. Bene; nulla si addice tanto ad un pauroso, come il termine di una battaglia, e nulla meglio conviene a un convitato famelico, quanto il principio di un banchetto. (escono)
SCENA III.
Il campo dei ribelli vicino a Shrewsbury.
Entrano Hotspur, Worcester, Douglas e Vernon.
Hot. Nè verrem con lui a battaglia questa sera?
Wor. Ciò è impossibile.
Doug. Lo credete forse in vantaggio?
Ver. No.
Hot. Per qual ragione? Non aspetta un rinforzo?
Ver. E noi pure.
Hot. Il suo è certo; il nostro dubbio.
Wor. Caro cugino, ascoltate la prudenza. Non combattiamo questa sera.
Ver. Non lo facciamo, milord.
Doug. Il vostro consiglio non è buono: è un cuore agghiacciato dalla paura che ve lo detta.
Ver. Non mi calunniate, Douglas: sulla mia vita! (e lo sosterrò a spese di essa) se una volta la voce del vero onore mi grida di marciare, attendo tanto poco ai consigli della vil paura, quanto voi, milord, o ogni altro Scozzese che sia al mondo: prego si voglia osservare dimani quando ferverà la battaglia chi teme di noi.
Doug. Sì, o piuttosto questa sera.
Ver. Sono contento.
Hot. Questa sera dico anch’io.
Ver. Ite, ite: ciò non è possibile: rimango stupito che duci così esperti quanto siete voi non veggano quali ostacoli ci costringono a differire la nostra spedizione. La squadra di cavalleria di mio cugino Vernon non è ancora giunta: quella di vostro zio Worcester è arrivata soltanto oggi, ed è anche troppo stanca; non v’è un solo cavallo, nè un solo cavaliere a cui la lunga marcia non abbia tolto tre quarti del suo valore.