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ATTO QUARTO
SCENA I.
Il campo dei ribelli vicino a Shrewsbury.
Entrano Hotspur, Worcester e Douglas.
Hot. Ben detto, mio nobile Scozzese. Se la verità in questo secolo non fosse stimata adulazione, affermerei che non v’è guerriero più illustre e famoso di Douglas. Pel Cielo! mi è impossibile il piaggiare: sdegno il molle linguaggio dei cortigiani: ma non v’è uomo che occupi più bel posto di voi nel mio cuore e nella mia amicizia: ponetemi alla prova.
Doug. Tu sei il re dell’onore. — Non esiste sulla terra mortale tanto potente di cui io non isfidi la forza.
Hot. Continuate: (entra un messaggero con alcune lettere) che lettere hai tu costà? — Non posso che ringraziarvi.
Mess. Queste lettere vengono da vostro padre...
Hot. Da lui! Perchè non viene egli stesso?
Mess. Nol può, milord: è gravemente infermo.
Hot. Affè! come ha egli l’agio d’esser infermo in questo tempo d’azione, e di crisi? — Chi guida le sue schiere? Sotto qual comando marciano?
Mess. Le sue lettere, Milord, non io, dichiarano le sue intenzioni.
Wor. Pregoti, dimmi, sta egli in letto?
Mess. V’è stato, milord, quattro giorni prima della mia partenza: e al momento in cui lo lasciai, i medici temevan molto per la sua vita.
Wor. Avrei voluto vedere i nostri negozi in uno stato sicuro prima che la malattia venisse a trovarlo. Non mai la sua salute fu di maggior prezzo che oggi.
Hot. Malato ora! Debile e giacente in letto in tali strettezze! Codesta malattia avvelena la sorgente e l’anima della nostra impresa: il suo contagio invade tutto il nostro campo. — Egli mi scrive (scorrendo le lettere) che un’infermità interna..... che i suoi amici non possono esser radunati sì tosto coi messaggi..... ch’ei non ha creduto prudente di confidare ad alcun’anima stra-