Osservazioni sull'architettura degli antichi/Capo II/All'esterno degli edifizj
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Traduzione dal tedesco di Carlo Fea (1784)
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§. 1. Un edifizio senza ornati potrebbe paragonarli alla sanità d’un corpo nell’indigenza, che sola non si crede ballante per la felicità dell’uomo, come osservò Aristotele1; e la monotonia può diventare ugualmente viziosa nell’Architettura, che nello stile d’un libro, e in tutte le altre produzioni dell’arte. La varietà è la base degli ornati: sì negli scritti che nell’Architettura ferve a lusingare lo spirito, e gli occhi; e allorché l’eleganza congiunta si trova alla semplicità, ne risulta il bello; essendo bella, e buona una cosa quando in sé riunisce tutte le parti, che le sono essenziali. Questa è la ragione, per cui gli ornati di un edifizio devono essere conformi, e proporzionati tanto al loro oggetto generale, che al particolare. Considerati sotto questo primo aspetto, devono stimarsi come un accessorio; e per il secondo, non devono apportare alcun cangiamento alla natura del luogo, e alla sua degnazione: possono riguardarsi come un vestito, che non ferve se non che a coprire il nudo; e quanto più un edifizio è grande nel suo piano, tanto meno esige d’ornamenti; simile ad una pietra preziosa, che non deve, per così dire, esser incartata se non che in un filo d’oro per meglio conservare il suo splendore2.
§. 2. Ne’ primi tempi dell’arte gli ornamenti erano rari negli edifizj, come nelle statue; e non vedesi a quelle fabbriche alcuna modinatura in fuori, o in dentro; siccome neppur vedesi alle are antiche; ma le parti, alle quali in appresso si sono adattati quegli ornamenti, o vi sono affatto liscie, o poco escono in fuori, o rientrano in dentro. Poco prima d’Augusto, sotto il consolato di Dolabella, si aggiunge un’arcata all’acquedotto di Claudio sul monte Celio in Roma, in cui la cornice di travertino, che sporge sopra l’iscrizione3, è inclinata in semplice linea retta: il che in appresso non è stato fatto d’una maniera così semplice.
§. 3. Ma quando nell’Architettura si cominciò a ricercare la varietà, che nasce dall’entrare, e uscire, ossia da linee convesse, o concave, s’interruppero allora le parti diritte; e con ciò si moltiplicavano quelle modinature. Nulladimeno questa varietà, che ciascun ordine d’Architettura in diversa maniera fece sua propria, non fu riguardata propriamente come ornato, il quale di fatti era sì poco ricercato dagli antichi, che la parola usata per esprimerlo4, non era adoprata dai Romani se non per significare ciò, che concerneva gli ornamenti degli abiti. In tempi posteriori solamente fu applicato il termine latino, che noi traduciamo per quello d’ornamenti, anche alle produzioni intellettuali; imperocchè quando il buon gusto cominciò a perdersi, e che più si pregiava l’apparenza, che la realità, non furono più riguardati gli ornamenti come semplici accessorj; ma ne furono caricati i luoghi, che fin allora erano restati nudi. Quindi nacque il gusto meschino nell’Architettura; poichè è regola, che quando ciascuna parte è piccola, il tutto ancora debba esser piccolo, come dice Aristotele. Avvenne all’Architettura come alle lingue antiche, le quali più ricche divennero mano mano che andavano perdendo la loro energia, e la loro bellezza; come è facile a provarsi coll’esempio della lingua greca, e della latina: e siccome gli architetti videro che non potevano sorpassare, e ne anche uguagliare i loro predecessori nella bellezza delle opere; cercarono di superarli nella ricchezza, e nella profusione.
§. 4. Fu certamente ai tempi di Nerone che si cominciò a far uso d’ornamenti inutili; vedendosi che un tal gusto già dominava al tempo di Tito, come può notarsi nel di lui arco; e molto più andò crescendo sotto i seguenti imperatori. Si scorge al tempio, ed al palazzo di Palmira lo stile dell’Architettura dei tempi di Aureliano; poichè gli avanzi di quelle fabbriche sono stati senza dubbio fatti immediatamente avanti il regno di quello imperatore, e forse anche sotto di lui, essendo tutti d’uno stile medesimo gli edifizj di quelle parti5. Ma non è possibile decidere se il pezzo enorme d’un intavolato di marmo, che vedesi nel giardino del palazzo Colonna, sia del tempio del Sole6 fabbricato sotto questo imperatore7.
§. 5. Gli stipiti delle porte grandi e piccole erano lavorati a modo di semplici festoni di fiori, e di foglie, come si vede al tempio di Balbec8; e si hanno anche in Roma parecchie porte consimili9. Cariche ne erano allo stesso modo le colonne. La base intiera con tutte le sue parti era circondata di festoni; e può vedersene l’esempio nelle basi delle colonne di porfido del così detto Battistero di Costantino in questa città10, e in altra base di straordinaria grandezza nella chiesa di s. Paolo fuor delle mura11, la quale ha nove palmi di diametro. Nello stesso modo erano scolpite quelle, che a’ dì nostri furono scoperte sul Palatino12. Si cominciò parimente a dare alle colonne dei bastoncelli nelle scanalature, che arrivano sino alla terza parte del fusto: s’interruppero quei bastoncelli piatti fra le scanalature, dividendoli in tre, ed anche in cinque parti, o più piccoli bastoncelli. In appretto fu data alle scanalature una forma spirale, o torta13, per cui le colonne si chiamarono εἱληματικοί κίονες volutiles columnæ14. Le più grandi colonne antiche di questa specie sono state adoprate ad un altare della chiesa di s. Pietro15; e così è fatta quella d’alabastro orientale, che si vede nella biblioteca Vaticana16. Finalmente si pensò di fare alle colonne delle mensole, o modiglioni, che reggevano delle piccole figure; come se ne vedono alle colonne di Palmira17, e a due colonne di porfido all’altare della cappella Paolina al Vaticano18. Stanno addosso di queste colonne in maniera, che toccano quasi il sommo toro di esse, due piccole figure d’imperatori romani dei successori di Gallieno, colla loro armatura, che si abbracciano, e tengono in mano il solito globo. La loro altezza è di due palmi e mezzo, e la sola testa è di sette once, che formano la quarta parte dell’intiera figura: donde può trarsi un’idea dello stile del lavoro. Si sono fatti anche dei busti, i quali sporgono totalmente in fuori nel pezzo medesimo del fusto della colonna, come può vedersi a due colonne d’una stessa pietra poste nel palazzo Altemps in Roma19. Simile è il lavoro di questi due busti a quello dei suddetti imperatori. Nel giardino del signor marchese Belloni vi sono dei pilastri triangolari isolati, che hanno scanalature20. Quando più non si seppe inventar altro di nuovo, si fecero le colonne d’un sol pezzo col capitello: e due se ne hanno di questa forte nel palazzo Giustiniani del più duro serpentino orientale.
§. 6. Le terme di Diocleziano, che sussistevano ancora in gran parte due secoli fa, allorché l’Architettura cangiò di faccia, erano allora la principale scuola degli architetti per la parte degli ornamenti. Chambray21 ne ha riportati due pezzi. Sull’esempio delle nicchie con colonne ai lati, e cornice sopra, il vecchio Sangallo fece il primo degli ornamenti simili alle finestre del palazzo Farnese. La cornice interrotta al di sopra delle alte arcate di quelle terme22 portò Michelangelo a uscire anche di regola, e ad interrompere la cornice del finestrone, che è sopra l’ingresso del palazzo dei Conservatori in Campidoglio; siccome ancora a far uscire quello finestrone per mezzo d’un arco al di sopra della itessa cornice. Gli architetti moderni hanno presa l’idea delle colonne senza intavolato, e con un arco, il quale serve a legarle insieme, dal medesimo edifizio, ove unicamente ne trovarono i modelli. Il portico semicircolare della chiesa della Pace, quello della chiesa di sant’Andrea a Monte Cavallo, e quello della chiesa all’Ariccia furono imitati dal Bernini sulle stampe di quelle terme. Potrebbe citarti anche un maggior numero d’imitazioni, che sono state dalle medesime ricavate.
§. 7. Per ciò che spetta agli ornati in particolare, sono collocati in parte all’esterno, e in parte all’interno degli edifizj. Noi prima dobbiamo osservare quelli, che servivano a decorare i tempj, e gli edifizj pubblici, cominciando dal tetto.
§. 8. Dai più remoti secoli fu usato anche in Roma di porre delle statue sul frontispizio dei tempj; e Tarquinio Prisco23 fece collocare su quello del tempio di Giove Capitolino delle quadrighe di terra-cotta, in luogo delle quali in appresso ne furono poste altre d’oro24, o piuttosto dorate solamente. In cima al tempio di Giove Olimpico in Elide25 v’era una Vittoria indorata, e da ciascuna parte, o vogliam dire negli acroterj, o sommità dei cantoni, era posto un vaso similmente indorato. Macrobio26 parla d’un tempio di Saturno, sul frontispizio del quale v’erano dei Tritoni, che sonavano una conca marina. Sugli acroterj del frontispizio del detto tempio di Giove Capitolino furono poste delle Vittorie volanti27.
§. 9. Le cornici dei frontispizj, che finiscono in punta, erano decorate di piccoli ornati, che somigliavano agli scudi delle Amazoni, quali si vedono a un tempio del Virgilio vaticano28, e sovente d’una specie di fogliami, e fiori, come si osservano in qualche basso-rilievo. Questi ornamenti erano spesse volte di terra-cotta, de’ quali sonosi conservati alcuni pezzi; e talvolta il frontispizio era anche dorato29.
§. 10. Lo stesso frontispizio era già ne’ più antichi tempi di Roma ornato di lavori a basso-rilievo anche in terracotta30. Nei tempj greci, e agli edifizj pubblici v’erano delle opere di molte figure. Al tempio di Giove in Elide, di cui parlammo, si vedeva la corsa dei cavalli di Pelope, e di Enomao31. Il frontispizio anteriore del tempio di Pallade in Atene32 era ornato di figure, che rappresentavano la nascita di questa dea; e su quello di dietro era rappresentata la contesa di lei con Nettuno. Sul frontispizio del Tesoro della città di Megara in Elide vedeasi il combattimento degli Dei colli Giganti; e nella sommità era posto uno scudo33. I più grandi artisti hanno cercato di distinguersi con questa sorte di lavori; tra i quali Prassitele34 rappresentò molte delle dodici forze d’Ercole sul frontispizio d’un tempio di questo dio a Tebe. Ciò non hanno inteso nè il traduttor latino di Pausania, nè il francese; avendo egli creduto che quella sorta di lavoro a basso-rilievo adornasse una cupola, che si sono ideata su quel tempio. Eppure Pausania dice chiaramente ἐν τοῖς ἀετοῖς sul frontispizio35. Sopra un tempio d’Atene, probabilmente consecrato a Castore, e a Polluce, erano collocati dei vasi36, i quali senza dubbio alludevano agli atleti37; poiché nei primi tempi il loro premio in Atene38 consisteva in vasi pieni d’olio sacro, che si raccoglieva dagli ulivi piantati nell’Acropoli di quella città; e così parimente come un simbolo dei giuochi veggonsi quelli vasi sulle medaglie39, e sulle pietre intagliate, ove si rappresentano lottatori40.
§. 11. In varie maniere si ornavano i capitelli delle colonne; ma le nuove invenzioni in quello genere non sono siate mai generalmente ricevute, e non hanno fatto regola. Tolomeo Filopatore per la magnifica festa descrittaci da Ateneo41, fece fabbricare una gran sala da mangiare retta da colonne, i capitelli delle quali erano comporti di rose, di loto, e d’altri fiori. Nel tempio di Pallade nel Foro di Nerva vedeansi capitelli, dai quattro angoli de’ quali usciva un Pegaso42. Il conte Fede nel suo casino nella villa Adriana a Tivoli possiede due capitelli con dei delfini, i quali probabilmente hanno appartenuto al tempio di Nettuno di quella villa; e dei somiglianti veggonsi nel tempio a Nocera de’ Pagani poco distante da Napoli. Parlandosi di capitelli di quella specie, si diceva figuratamente, che vomitavano delfini (delphinos vomere 43 ). Nella chiesa di s. Lorenzo fuor delle mura di Roma vi sono due colonne con capitelli, che hanno ai quattro angoli altrettante Vittorie, con trofei tra di esse; e due così fatti, ma più grandi, si vedono nel cortile del palazzo Massimi alle colonne44.
§. 12. Quanto alle Cariatidi, alle quali è stato anche dato il nome d’Atlanti45, e di Telamoni46, e che servivano in vece di colonne, se ne osservano in un tempio rappresentato su di una medaglia47; e in Atene vi sono figure di donne con lunghe trecce di capelli, che sostengono il coperto d’una galleria aperta al così detto tempio d’Eretteo48; ma nessun viaggiatore conosciuto ce ne ha data ancora una esatta descrizione, sulla quale si possa dire con sicurezza di qual tempo siano. Pausania non ne parla. L’accennata49 Cariatide maschile del palazzo Farnese è stata trovata, per quanto si dice, vicino al Panteon: è credibile che sia una delle Cariatidi fatte da Diogene ateniese, e che fosse collocata sul colonnato di sotto nel tempio, ove servisse per second’ordine di colonne in luogo dell’attico, che vi è al presente50. La cornice, che vi si vede oggidì sulle colonne suddette non ha l’aggetto necessario per servir di base a simili figure: convien però ricordarsi, che quel tempio è stato due volte incendiato, e quindi restaurato da M. Aurelio e da Settimio Severo; e per conseguenza dee aver sofferti dei gran cangiamenti nell’interno. Forse che il fuoco fra le altre cose vi ha distrutti i capitelli siracusani di bronzo51, o piuttosto di bronzo di Siracusa, il quale deve essere stato una qualità particolare di bronzo composto di varj metalli; e di bronzo di Siracusa era coperto il tempio di Vesta52. L’attico suddetto, che era un’opera composta di un piccol numero di pilastri in fuori, d’una maniera barbara53, toltine due anni fa, non era certamente analogo, e corrispondente alla grandezza del tempio. Nel luogo di quelli pilastri doveano essere anticamente le Cariatidi; almeno la grandezza della figura del palazzo Farnese si accorda coll’altezza dello stesso attico, che è di circa diciannove palmi. Quella mezza figura ha circa gli otto palmi, e il canestro che sostiene col capo ne ha due e mezzo54. Quelle, che da alcuni scrittori55 sono state considerate sin ad ora per quelle Cariatidi, non lo sono certamente. V’era una specie singolare di Cariatidi56 nel sepolcro dei liberti di Sesto Pompeo, ove figure d’uomini nudi reggevano un capitello colla testa, e tenevano con ambe le mani una colonna dritta, che nulla reggeva.
§. 13. Gli ornamenti del cornicione, che posa sulle colonne, erano differenti secondo l’ordine dell’architettura dell’edifizio. Ho parlato più su d’una congettura, che m’ha dato occasione di fare un passo d’Euripide, sullo spazio aperto fra i triglifi dei tempj dorici ne’ primi tempi. Quando in seguito fu chiuso quello spazio, che si chiama metopa, si pensò a mettervi qualche ornato. Questo deve la sua origine agli scudi, coi quali si decorava il fregio, e che si sospendevano verosimilmente alle metope57. Furono sospesi degli scudi d’oro al tempio d’Apollo a Delfo, fatti colle spoglie dei Persiani dopo la battaglia di Maratona58; e dorati erano quelli, che il console romano Mummio fece attaccare al fregio del tempio dorico di Giove in Elide59. Le armi che il poeta Alceo abbandonò fuggendo, e che gli Ateniesi appesero al tempio di Pallade nel promontorio Sigeo60, erano probabilmente collocate al luogo stesso del cornicione. Nel primo passo addotto di Pausania il traduttore latino, ed altri hanno letto capitello in luogo di fregio, o di cornicione, contro il vero senso della parola ἐπιστύλιον, la quale sebbene spieghisi per una parte del cornicione61, che va da una colonna all’altra; pure quì, come in altri luoghi, viene adoperata a significare l’intiero cornicione, oppure il fregio in particolare62. Il fregio del tempio d’Elide è detto per circolocuzione ἡ ὑπὲρ τῶν κιόνων περιθεούσης ζώνη, cioè la fascia, che gira intorno all’edifizio sopra, le colonne63. In un altro passo, ove questo stesso scrittore parla del lavoro fatto sul fregio del tempio di Giunone vicino a Micene, lo descrive ὁπόσα δὲ ὑπὲρ τοὺς κίονάς ἐστιν εἰργασμένα, ciò che è lavorato a rilievo sulle colonie64. Altri scrittori hanno dato al fregio il nome di διάζωσμα 65. Domenichi, traduttore italiano di Plutarco, ha pure spiegato ἐπιστύλιον per capitello nel luogo, ove lo scrittore greco parla del tempio, che Pericle fece alzare in Eleusi66. Comunque sia, v’erano anche degli scudi attaccati alle colonne nel tempio di Giove Capitolino in Roma67.
§. 14. Questi scudi effettivi diedero in seguito occasione di porre degli scudi a bassorilievo nelle metope: ornamento, che fu usato egualmente dagli architetti de’ tempi moderni nell’ordine dorico; come può vedersi in varj palazzi di Roma, che sono stati decorati con altre armi, e trofei militari. Ma furono anche posti degli scudi al frontispizio dei tempj, come a quello di Giove or mentovato68.
§. 15. Sulle metope del fregio del tempio dorico di Pallade in Atene sono rappresentati combattimenti con animali69; e su quello del tempio di Teseo si vedevano i fatti di questo eroe70. Vitruvio suggerisce di scolpirvi dei fulmini71. I fregi dell’ordine corintio erano ornati di teschi di bovi, e di arieti, quali vedeansi al tempio di Milasso nella Caria72; o vi si rappresentavano degli utensili di sacrifizj, come al fregio su tre colonne sotto il Campidoglio73. Al fregio del tempio d’Antonino e di Faustina v’hanno de’ grifoni, che tengono dei lustri74. Cogli stessi ornati è decorato il fregio d’un grazioso tempietto75, o piuttosto cappella distante un’ora da Siena verso Firenze, ed è di terra cotta, come lo sono i capitelli corintj dei pilastri. V’ha parimente de’ sepolcri nei contorni di Roma ornati a quella maniera. Verso pasqua di quest’anno 1761, furono trovati in Roma sei pezzi di un fregio consimile dell’altezza di due palmi, che era attaccato al muro con chiodi di piombo, uno de’ quali era più lungo d’un mezzo palmo. Il lavoro a rilievo di questi pezzi di fregio era di un buon disegno, e ben eseguito. Sopra di uno si vede Bacco, ed una Baccante, che danza battendo i crotali: fra quelle due figure v’è un giovane Satiro, che porta sulla spalla un’urna funerale di forma lunga, e conica con due manichi, e nell’altra mano una fiaccola accesa, e capovolta. Questa figura è un simbolo dell’uso, che far si deve della vita, e dei godimenti di essa, prima che se ne estingua il lume, e che le nostre ceneri si raccolgano per deporle nella tomba. Su due altri pezzi di quel fregio è rappresentato Sileno, che abbraccia un Genietto alato di Bacco, e si accosta a lui per baciarlo76. Ho parlato di questo Genio di Bacco nella definizione delle pietre intagliate del museo di Stosch77. Questi bassirilievi erano dipinti, come si vede chiaramente in qualcheduno78.
§. 16. La cornice era generalmente ornata di teste di leoni a certe distanze o per servire allo scolo delle acque, o per indicarne il luogo. Si è conservata all’intavolato la cornice con simili teste sulle tre colonne in Campo Vaccino, delle quali fu parlato avanti79.
§. 17. Alle rotonde aperture, che nei tempj, e in altri edifizj tenevan luogo di finestre, si scolpivano dei festoni a modo di fettucce, o di fiori80. Nel frontispizio del tempio di Giove Tonante in Campidoglio erano attaccati dei campanelli81.
§. 18. Le archivolte delle nicchie erano ornate con una specie di conchiglia. Il più antico monumento, a cui quest’ornamento siasi conservato, è un edifizio circolare in forma di teatro, che verosimilmente spettava al Foro di Trajano82: una tale conchiglia si trova parimente nelle nicchie di Palmira83, e al tempio di Roma, al quale falsamente si è dato il nome di tempio di Giano.
§. 19. Nel pronao, o portico del tempio il muro all’ingresso era sovente dipinto, come era quello del tempio di Pallade a Platea, sul quale era stato rappresentato Ulisse vincitore degli amanti di Penelope84; qualche edifizio era colorito di rosso85, altri di verde.
Note
- ↑ Rethor. lib. 1. cap. 5. oper. Tom. iiI. pag. 713. B.
- ↑ Luciano, che prima di darsi alla filosofia era stato scultore fino all’età d’anni trenta, De domo, §. 7. op. Tom. iiI. p. 194., paragona gli ornamenti giusti, e moderati di un edifizio ad una bella fanciulla modestamente, e mediocremente ornata, che lasci luogo a far risaltare le sue bellezze naturali; all’opposto la fabbrica soverchiamente carica di abbellimenti ei la paragona ad una meretrice, che a forza di ornamenti cerca di coprire, e nascondere i suoi difetti.
- ↑ Grut. Inscript. Tom. I. pag. 176. n. 2., Montfauc. Diar. ital. cap. 10. pag. 148.
- ↑ Gellius Noct. attic. lib. 2. cap. 2.
- ↑ Si legga Wood Ruin. de Palm. pag. 15. segg., che ciò diffusamente sostiene.
- ↑ Vedi Tom. iI. pag. 413. Questo tempio avea le colonne, o almeno otto, di porfido, che ne erano già state tolte al tempo di Giustiniano, vale a dire circa il principio del secolo VI. dell’era volgare, come meglio diremo nella nostra dissertazione qui appresso. Esistendo esse ancora oggidì nel tempio di s. Sofia riedificato da quell’imperatore in Costantinopoli, potrebbero cavarsene le misure, e quindi arguire delle proporzioni, e ordine del tempio del Sole, a cui prima servirono; e confrontarle colle proporzioni del pezzo di cornicione, di cui parla qui il nostro Autore.
- ↑ Questo pezzo, che Palladio Architett. lib. 4. cap. 12. ha dato, o e stato disegnato piuttosto d’idea, che sul vero, perchè vi si fa uscire dai festoni un Amorino armato del suo arco, e del turcasso; oppure convien dire, che Palladio abbia disegnato il pezzo di quell’intavolato, che è stato segato per fare la balaustrata della cappella di casa Colonna nella chiesa de’ Ss. Apostoli, e il pavimento della galleria della stessa casa. Chambray, che ha copiato il disegno di Palladio, Parall. de l’archit. anc. & mod. cap. 28., lo ha di nuovo alterato a suo capriccio: in vece di un Amorino vi ha posto un fanciullo spaventato da un leone, che sembra uscire da’ fogliami. Il fregio del pezzo, che esiste tuttora colla cornice, non ha altro ornato che tre gran tratti di fogliami. Le due parti inferiori di quell’intavolato, cioè l’architrave, ossia la parte, che posa sulle colonne, ed il fregio, che ha sopra, amendue d’un sol pezzo, hanno in tutto tredici palmi, e quattr’once di altezza; e tutto il pezzo è lungo palmi ventidue, e quattr’once: l’altro pezzo, vale a dire una parte della cornice dell’intavolato, sulla quale comincia il frontone lavorato d’uno stesso pezzo, ha presso a poco la stessa lunghezza, ed altezza.
- ↑ Pocock’s Desciption of the East. ec. Tom. iI. par. 1. p. 109. Wood The Ruins of Balbec, pl. 32.
- ↑ Probabilmente si è fatto alle porte questo lavoro di scultura, perchè anticamente si usava di ornarle così di frondi di lauro, e altre piante in varie occasioni principalmente di allegrezza; come si ha da Stazio Sylv. lib. 4. cap. 8. vers. 38., Elladio presso Fozio cod. CCLXXIX. col. 1591. in fine, Tertulliano Apolog. c. 35., ed ivi il P. de la Cerda, e da tanti altri autori citati dal Sagittario De jan. vet. cap. 30., Donati De’ dittici degli ant. lib. 3. cap. 1. pag. 173. segg. Secondo lo Scoliaste d’Aristofane in Equit. vers. 725. ai rami d’ulivo, ed altri, che si attaccavano così alle porte in occasione di certe feste, si appendevano delle bende di lana. Vedi anche ivi la nota del Casaubono.
- ↑ Pallad. Archit. l. 4. cap. 16. [ Piranesi Della magnif. de’ Rom. Tav. 9.
- ↑ Piranesi loc. cit.
- ↑ Bianchini Palazzo de’ Cesari, Tav. 3.
- ↑ Vedi Tom. iI. pag. 336.
- ↑ Salmas. Not. in Vopisc. pag. 393. F. [ Anastasio nella vita di Papa Gregorio III. sect. 194. Tom. I. pag. 176. le chiama volubiles columnæ, secondo la lezione dell’edizione romana fatta da monsignor Bianchini, il quale non ha rilevato, come neppure i tanti altri annotatori, che Salmasio luc. cit. vuol che vi si legga volutiles, come in fatti leggesi in varj codici, che riporta ivi lo stesso Bianchini.
- ↑ Vuol dire le due colonne, che stanno nella cappella del Sagramento. Simili a queste sono le otto, che adornano le quattro logge sotto la cupola grande; ed una, che sta nella cappella del Crocifisso, data da Piranesi Della magnif. de’ Rom. Tav. 6. fig. 5. Anticamente ornavano la Confessione di san Pietro in numero di dodici; e una si ruppe nel levarle da quel luogo. Si dice volgarmente, e dagli scrittori, che hanno data relazione della Basilica, che Costantino le facesse venire dalla Grecia per quell’uso; ma io credo che siano quelle stesse colonne, appunto in numero di dodici, sei delle quali Anastasio al luogo citato nella nota precedente dice aver poste in quel luogo Papa Gregorio III., che cominciò a governare la Chiesa nell’anno 731., e le ebbe dall’esarco Eutichio; e sei già vi erano. Sono torte a spirale, come quelle, che loro ha sostituite il Bernini di metallo, secondo che già notammo nel Tom. iI. pag. 336. n. a; il quale per ciò non avrà commessa una novità sì stravagante, e capricciosa, come tanti pretendono, ignorando la storia.
- ↑ Questa è a semplici scanalature spirali da cima in fondo.
- ↑ Wood Ruin. de Palm. pl. 14. 28.
- ↑ Passate ora nel Museo Pio-Clementino. Noi daremo in appresso la figura di una di esse colle due figure.
- ↑ Ora più non vi sono.
- ↑ Vedine la figura presso Piranesi Della magnif. de’ Rom. Tav. 18. fig. A.
- ↑ loc. cit. chap. 16. 29.
- ↑ Si vedono così anche ai tempj di Balbec. Ved. Wood The Ruins of Balbec, pl. 6.
- ↑ Plin. lib. 35. cap. 12. sect. 45. [Vedi qui avanti Tom. il. pag. 51.
- ↑ Liv. l. 29. tav. 23. n. 28. [ Livio parla di più quadrighe d’oro; e non dice che fossero sostituite a quelle di terra cotta; ma soltanto, che fossero poste in Campidoglio. Pare che a quelle di terra corta ne fossero sostituite delle altre, probabilmente di bronzo, nell’anno di Roma 457., quando fu fatta la lupa dello stesso metallo, di cui parlammo nel Tomo l. p. 202. Ecco le parole di Livio a questo proposto, l. 10. c. 16. n. 22.: eodem anno Cn. & Q. Ogulnii ædiles curules aliquot fœneratoribus diem dixerunt; quorum bonis multatis, ex eo, quod in publicum redactum est, ænea in Capitolio limina, & trium mensarum argentea vasa in cella Jovis, Jovemque in culmine cum quadrigis, & ad Ficum Rumìnalem simulacra infantium conditorum urbis fui uberibus lupæ posuerunt. Non credo che si porta sospettare, che Livio intenda del frontispizio della cappelletta interna, o edicola, e non del tempio stesso; riflettendo, che lib. 35. cap. 32. n. 41. scrive in termini diversi, e chiari, che furono poste nella sommità dell’edicola quadrighe indorate: de multa damnatorum quadrigæ inauratæ in Capitolo posit in cella Jovis supra fastigium ædiculæ, & duodecim clypea inaurata.
- ↑ Paus. lib. 5. cap. 10. pag. 398.
- ↑ Saturn. lib. 1. cap. 8.
- ↑ Rycq. De Capit. cap. 15. pag. 191.
- ↑ num. 44.
- ↑ Smetius Inscript. fol. 6. n. 7.
- ↑ Plin. lib. 35. cap. 12. sect. 43. & 46., lib. 36. cap. 2. sect. 2.
- ↑ Paus. loc. cit. pag. 399. lin. 10. seqq.
- ↑ id. lib. 1. cap. 24.. pag. 57. lin. 28.
- ↑ id. lib. 6. cap. 19. pag. 500. lin. 23.
- ↑ id. lib. 9. cap. 11. pag. 732. in fine.
- ↑ Questa stessa critica la ripete il nostro Autore nella Storia, Tom. iI. pag. 190., dicendo, che que’ traduttori intendono ἀετός per una volta; ove io ho notato, che per laqueare intendono una soffitta piana, come era nei tempj quadrati per lo più. Certo si è, che quei traduttori mostrano di non aver inteso il vero significato architettonico di quella parola, traducendola ora in un modo, ora in un altro, e con circolocuzioni improprie; ma è vero altresì, che il nostro Autore nel volerli criticare è caduto anch’egli in due errori manifesti. Il primo di tradurre ἀετός per frontispizio semplicemente; il secondo, nel volere intendere le parole di Pausania ἐν τοῖς ἀετοῖς per un frontispizio, o apice solo. Frontispizio, fastigium, è l’ornamento superiore del tempio, ossia la fronte, o facciata dalle colonne in su, che viene a formare il triangolo. Ἀετός poi è il tamburo, o timpano, ossia lo spazio per lo più triangolare, che resta dentro lo stesso frontispizio, tympanum, quod est in fastigio, come scrive Vitruvio lib. 3. cap. 3.; così chiamato per l’aquila, detta in greco ἀετός, che vi si scolpiva dentro, come si è detto qui avanti p. 65. Che Pausania intenda del timpano, è chiaro per sè; trattando egli di bassi rilievi, e in gruppi, che non potevano stare in altra parte del frontispizio nè sopra, nè sotto: e lo vediamo confermato in tanti avanzi di tempj della Grecia dati da le Roy, Stuart, ed altri, ne’ quali appunto lui timpano si vedono i bassi, rilievi. Vedi anche la figura del basso rilievo, che si è data nel Tom. iI. pag. 162.
Per l’altro errore di pretendere, che le parole ἐν τοῖς ἀετοῖς vadano intese di un solo frontispizio, e noi diciamo timpano, benchè in numero plurale, Winkelmann non ha badato, che Pausania in quei due luoghi, cioè lib. 1. cap. 24. pag. 57., e lib. 5. cap. 10. pag. 399., parla di due tempj, ciascuno dei quali aveva due frontispizj, e due timpani, uno dalla parte avanti, e l’altro dalla parte di dietro, come si è veduto dei tempj di Pesto alla pag. 5.; e perciò dopo aver detto, che vi erano bassi rilievi in amendue i timpani ἐν τοῖς ἀετοῖς, segue a descrivere quelli, che stanno nel timpano avanti ἔμπροσθεν, e poi quelli dell’altro ὄπισθεν: parole, che usa anche lo Scoliaste di Pindaro Olymp. 13. per significare le stesse parti, distinguendole una dall’altra. Nella stessa maniera spiegheremo ἐν τοῖς ἀετοῖς nel lib. 10. cap. 19. pag. 842. in fine, ove Pausania parla del tempio d’Apollo a Delfo. - ↑ Callim. in fragm. CXXII. Tom. iI. pag. 366.
- ↑ Ho riportato il citato frammento di Callimaco nel Tom. I. pag. 227., motivando, che quei vasi potessero essere di terra cotta, appunto perchè simili vasi solevano darsi agli atleti per premio. Possono essere stati anche di bronzo, argomentandolo da quelli quali nominati del tempio di Giove Olimpico in Elide di bronzo indorato, i quali, a mio giudizio, vi stavano per simbolo dei giuochi, che colà si facevano.
- ↑ Descr. des pierr. grav. du Cab. de Stosch, cl. 5. n. 23. pag. 460.
- ↑ Spanheim. De præst. & usu numism. Tom. I. diss. 3. §. 1. pag. 134.
- ↑ Vedi Tom. I. pag. 225. seg. Ajace nei giuochi funebri istituiti da Achille in onore di Patroclo ebbe in premio un vaso d’oro, Igino Fab. 273.
- ↑ Athen. Deipnos. lib. 5. c. 9. p. 205. B. [ Dice però, che erano all’uso egizio. Nel palazzo di Salomone v’erano capitelli ornati di gigli, come si ha Regum lib. 2. c. 7. v. 19., e al tempio, Giuseppe Flavio Antiq. Judaic. lib. 8. cap. 3. n. 4. Tom. I. pae. 424. Saranno forse stati fatti anch’essi ad imitazione degli egiziani.
- ↑ Labac. Archit. fig. 15.
- ↑ Salmas. Plin. exercit. in Solin. cap. 45. Tom. iI. pag. 640.
- ↑ Si veda Piranesi Della magnif. de’ Romani, Tav. 7. e segg., ove ha raccolti moltissimi capitelli d’ogni forma, e con tante diverse figure d’uomini, d’animali, e di fiorami, anche i più stravaganti.
- ↑ Athen. lib. 5. cap. 11. pag. 208. B.
- ↑ Vitruv. lib. 6. cap. 10. [Vedi Tom. iI. pag. 180. not. *.
- ↑ Havercamp. Numism. Reg. Christ. Tab. 19.
- ↑ Pocock’s Descript. of the East, ec. Tom. iI. par. 2. pl. 68. pag. 163. [ Le Roy Ruin. des plus beaux monunt. ec. Tom. I. pl. 5. e 32. Egli scrive pag. 11., che nella prima edizione di quest’opera lo credette di Eretteo; ma in appresso pensò, che piuttosto fosse di Minerva Pallade, appoggiandosi a Pausania, che non mi pare lo favorisca molto. Se si volesse ammettere questa opinione, si potrebbe pensare, che queste Cariatidi rappresentassero le vergini Cistifere, o Canefore, che secondo Pausania lib. 1. c. 27. pag. 64. erano addette a quel tempio di Minerva; ma io non saprei accordarmici, primieramente, perchè le vergini Canefore erano due sole, come dice Pausania; e due sole ne fece in bronzo Policleto, come fu osservato nel Tom. iI. pag. 196. In secondo luogo, non sarebbe stata cosa propria fare delle Cariatidi per rappresentare delle Canefore, e far loro reggere un portico. Policleto le fece con un semplice canestro in capo; e un canestro solo hanno le due in un basso rilievo di terra cotta, dato dal nostro Autore nei Monum. ant. ined. n. 182., che Par. IV. cap. 2. par. 240. crede probabile sieno state modellate a vista delle originali di tanto stimato artefice. Vedi anche Tom. iI. p. 107. not. *.
- ↑ Vedi pag. 59.
- ↑ Questa Cariatide, o Telamone, ora è a Napoli. Vedi Tom. iI. pag. 332. §. 11.
- ↑ Plin. lib. 34. cap. 3. sect. 7.
- ↑ Plin loc. cit.
- ↑ Confer Stuckely’s Account of a Roman temple, in Philosoph. Transact. ann. 1720. decembr.
- ↑ Essendo stato restaurato il Panteon dai nominati imperatori, e per conseguenza toltene le Cariatidi secondo il discorso di Winkelmann per sostituirvi l’attico, in qual maniera potremo figurarci, che vi sia restata la Cariatide, di cui si tratta, rotta in quella guisa?
- ↑ Demontios. Gallus Romæ hospes, pag. 12., Nardini Roma antica, lib. 6. cap. 4. pag. 296.
- ↑ Montfauc. Antiq. expl. Tom, V. pl. 16. pag. 54.
- ↑ Credo che l’origine di quell’ornato sia più semplice, e più antica. Nacque certamente dall’usanza di appendere alla porta della casa, o in altra parte di essa visibile al pubblico, come un segnale di gloria, e trofeo, qualche simbolo delle bravure, o azioni gloriose del padrone di essa. Nel principio probabilmente sono state le teste, pelli, corna, o altre parti delle fiere prese alla caccia; usanza, che ci confermano tutti gli antichi scrittori, molti de’ quali sono riportati dallo Spanhemio nelle note a Callimaco Hymn. in Dian. vers. 104. pag. 205., dal Casaubono nelle note a Strabone l. 4. p. 302. Tom. I., da Wesselingio a Diodoro Siculo lib. 4. §. 22. p. 268. Tom. I., e dal Sagittario De Jan. vet. cap. 29. In appresso vi si faranno attaccate le spoglie dei nemici vinti, fra le quali era la più distinta lo scudo, di cui dai soldati li dovea far più conto, che delle altre armi, secondo che osserva Massieu Dissert. sur les boucl. votifs, Acad. des Inscr. Tom. I. Mém. p. 177. segg., e più diffusamente il traduttor fiorentino dei Caratteri di Teofrasto Tom. IV. cap. 25. 71. 6. pag. 228. seg. Gli antichi Galli, o Celti, al riferire di Diodoro, e Strabone ai luoghi citati, usavano conficcare sulla porta di casa le teste dei loro nemici. Anche gli ambiziosi di bagattelle, come scrive Teofrasto cap. 21., quando aveano fatto un sagrifizio d’un bove, ne affiggeano dirimpetto all’ingresso della loro casa la pelle della testa attorniata di gran corone. Alle case private si faranno dipoi sostituiti i tempj per mettere in mostra que’ trofei, come luoghi pubblici, e in allertato di ripeterli la vittoria dagli dei; e come insegna dei sagrifizj, che vi si facevano, vi si faranno attaccate le teste, o pelli dei bovi. Quando siano state affisse tali cose alle metope, io noi saprei dire. Non trovo altra autorità, che possa dar lume, se non che Euripide, il quale scrive in Bacch. vers. 1210. segg., che Agave regina di Tebe chiamò il suo figlio Penteo per dirgli, che attaccasse ai triglifi della sua casa, ossia regia di Cadmo suo marito, una testa di leone, che ella aveva ucciso colle sue proprie mani alla caccia; ed era lo stesso suo figlio Penteo, che essa aveva ucciso essendo fuori di sè.
Πενθεύς τ᾽ ἐμὸς παῖς ποῦ 'στιν; αἰρέσθω λαβὼν
Πλεκτῶν πρὸς οἴκων κλιμάκων προσαμβάσεις,
Ὡς πασσαλεύσῃ κρᾶτα τριγλύφοις τόδε
Λέοντος ὃν πάρειμι θηράσασ᾽ ἐγώ.Et ubi est meus filius Pentheus? surgat corripiens
Ex ædibus compactarum scalarum gradus,
Ut clavis affgat triglyphis caput hoc
Leonis, quem in venatione captum huc ego fero.Qui Euripide probabilmente chiama triglifi le teste dei travi (insulsamente spiegati per sculpta laquearia dal traduttor latino), che corrispondono al fregio; e in quella casa di Agave, fatta forse di legno, secondo l’uso antico dei Greci, di cui fu dato cenno qui avanti pag. 43. not. a., e meglio ne parlerà il P. Paoli nella sua lettera qui appresso, al §. 41., avranno sostenuto il tetto, a cui si giugneva con una scala a mano; e perchè avranno sporto in fuori faranno stati a proposito per inchiodarvi, e tenere in mostra le cose; e per la loro altezza non potevano facilmente essere spogliati dai ladri, o da altri. Quando fu introdotta in appresso l’Architettura formale, e regolata, fabbricandosi anche di pietre, si sono chiusi gli spazj, che prima stavano aperti, almeno nei tempj, secondo lo stesso Euripide illustrato avanti pag. 48., e nuovamente qui nominato da Winkelmann, fra i travi, o le pietre, che li rappresentavano; e alle metope, che li chiudevano, per interrompere con qualche ornato la loro lunghezza maggiore dell’altezza, si faranno appesi quegli stessi trofei, o insegne, che si attaccavano prima alle teste dei travi, alle quali poi, essendo state rilegate quasi al paro degli altri lavori, furono fatti per ornamento i canali, e le gocce sotto, fingendo imitassero lo scolo delle acque, che vi scorressero dalla cornice, come dissi alla pag. 47. not. a. Si rifletta qui, che Euripide è stato pittore prima che poeta, come dice Suida, e Moscopolo nella di lui vita premessa alle tragedie.
- ↑ Paus. lib. 10. c. 19. pag. 843. princ.
- ↑ Paus. l. 5. c. 10. pag. 399. princ. [Vedi Tom. iI. pag. 288. not. b.
- ↑ Herodot. lib. 5. cap. 95. pag. 425.
- ↑ Vitruv. lib. 4. cap. 3.
- ↑ Vitruvio lib. 1. cap. 2., lib. 3. cap. 1., lib. 10. cap. 6., come ivi nota bene anche Galiani pag. 18. n. 2., p. 100. n. 1., p. 308. n. 1. lo prende per tutto il cornicione; ma nel lib. 6. cap. 5. lo prende per l’architrave, come si usa generalmente secondo che nota lo stesso Galiani ai luoghi citati. Non so chi l’adopri in senso di fregio; nè può provarsi, che sia Pausania, nei luoghi addotti da Winkelmann.
- ↑ Paus. loc. cit.
- ↑ lib. 2. cap. 17. pag. 148. princ.
- ↑ Athen. lib. 5. cap. 9. pag. 205. C.
- ↑ Domenichi Le vite di Plutarco, ec, in Pericle, par. 1. pag. 238. G. Plutarco in questo luogo, dell’edizione greco-latina, pag. 159. in fine, per epistilio deve intendere sicuramente architrave, soggiungendo che sopra di esso Xipezio vi pose il διάζωμα o come legge il Costantini nel suo lessico, διάζωσμα, cioè il fregio, che così forse era chiamato solamente quello dell’ordine ionico, e corintio, il quale non avendo triglifi, né metope, rassomigliava; ad una fascia,detta dai Greci ζώνη, e διάζωμα: e perciò sarà probabilmente stata di uno di questi ordini la fabbrica nominata da Plutarco. Il fregio dell’ordine dorico era nominato in greco τριγλύφος triglifo. Almeno così lo chiamano Euripide in Oreste, vers. 1372. dando al fregio di quell’ordine l’epiteto di dorico, triglifi dorici; e Aristotele Ethic. ad Nicom. lib. 10. cap 3. op. Tom. iiI. p. 174., ove nomina il basamento, e il triglifo, come due parti diverse del tempio: ἡ δὲ τῆς κρηπῖδος καὶ τοῦ τριγλύφου ἀτελής. Si sarà continuato a chiamare triglifo anche dopo esservi state aggiunte le metope, se vogliamo credere, che quegli scrittori abbiano usato il termine dell'arte, perchè quello sarà stato il nome datogli da principio quando v’ erano i soli travi.
- ↑ Liv. lib. 40. cap. 28. n. 51.
- ↑ id. lib. 35 cap. 10. n. 10.
- ↑ Pococke Tom. iI. par. 2. pl. 67. p. 162.
- ↑ id. ibid. pl. 9. pag. 169.
- ↑ lib 4. cap. 1. dice, che si facciano sotto la soffitta del gocciolatojo, in quei vani, fra le vie, e le goccie.
- ↑ Pococke loc. cit. pl. 55. pag. 61. [ Si veda la figura del bassorilievo che si è data nel Tom. iI. pag. 162., ove al fregio si vede una corsa di cocchi.
- ↑ Vi è questo ornamento, e anche un teschio di bove.
- ↑ Desgodetz pag. 48. 49. 60.
- ↑ Non posso decidere cosa alcuna sull’antichità di questo edifizio. La conservazione sì perfetta d’un’opera del tempo dei Romani mi pare alquanto problematica; perrocchè niente si è conservato intiero degli antichi edifizj nella Toscana. Il battistero di Firenze, che i Fiorentini pretendono essere stato un tempio di Marte, non può sembrare un monumento antico se non a quelli, che lo hanno osservato soltanto di passaggio. Tutti gli altri battisteri sono, come questo, ottangolari. Tali sono, per esempio, quel di Roma, e quel di Nocera de’ Pagani fra Napoli e Salerno. Non ho potuto avere altri documenti intorno all’edifizio vicino a Siena, se non che già esisteva quando fu fatta una visita delle chiese nel 1510. [Intorno al battistero di Firenze il Gori ne aveva meditata, e abbozzata fa storia insieme ad una storia generale dei battisteri antichi, che poi non ha compita. Il ch. Zaccaria ce ne dà il titolo nell’elogio, che ha fatto a quel detto antiquario, negli Annali letterarj d’Italia, vol. 2. lib. 3. cap. 4. n. 8. pag. 479. in questi termini: De forma, cultu, ornatuque veterum Baptisteriorum apud Christianos, qua occasione Baptisterium Florentinum illustratur, adjecta ejus historiæ synopsi; e ne aveva dato un cenno in una nota posta sotto la lettera XIV. del P. Lupi fra le di lui Dissertazioni, e lettere filologiche antiquarie, stampate in Arezzo nel 1755., ove alla pag. 75. dice: „ Il signor Gori ha un grosso volume con molte sue schede poste insieme con fatica grandissima per comporre la Storia del Battistero Fiorentino; ed essendo di opinione, che sin dalla sua origine fosse così costrutto per servire di Battistero, e perciò di figura ottangolare; avendo comunicato tal suo pensiero al P. Lupi Tuo amicissimo, e pregatolo a investigare l’origine de’ Battisteri sacri antichi, egli si accinse, e molte dotte osservazioni messe insieme „. Questo lavoro del P. Lupi è stampato nel Tomo I. delle sue opere.
- ↑ Ne dà la figura il Cavaceppi Racc. di statue, Tom. iiI. Tav. 46. Pare piuttosto, che il Genio regga Sileno.
- ↑ class. 2. sect. 15. n. 1437. seq. pag. 229. [ ma con fondamento poco sicuro.
- ↑ Di questi fregi è stato parlato nel Tom. I. pag. 22.; e ne è un pezzo la figura data alla pag. 107., che pure è dipinta, come dissi alla pag. 94. n. a. Al principio della prefazione di questo Tomo se n’è dato un altro pezzo di lavoro volsco trovato ultimamente in Velletri, e conservato ivi nel museo Borgiano, di cui meglio si parlerà nell’indice dei rami dello stesso Tomo, n. 1.
- ↑ Si è conservata anche nelle rovine di Palmira, presso Wood Ruin. de Palm. pl. 5. e 18.; e in parte al tempio detto della Fortuna Virile, ora s. Maria Egiziaca vicino al tevere, di cui vedesi la figura presso Desgoderz loc. cit. pag. 42.; al frontone del tempio di Cora, descritto avanti pag. 50., ove serve di ornamento, anzichè per uso; e intiera si vede la cornice con simili teste al portico della chiesa di s. Lorenzo fuor delle mura di Roma.
- ↑ Scaliger Conject. in Varron. De ling. lat lib. 6. pag. 109. 110.
- ↑ Suet. in Aug. cap. 91.
- ↑ Detto volgarmente i bagni di Paolo Emilio. Ne dà la figura Piranesi Le antich. rom. Tom. I. Tav. 29. fig. 1.
- ↑ Wood Ruin. de Palm pl. 4. 6. 9.
- ↑ Paus. lib. 9. cap. 4. pag. 718 lin. 18. [ Pausania parla di quadri di Polignoto, e di Onata; e non dice nè di quelli, nè di altri, come pretende Seigneux de Correvon Lettres sur la decouv. de l’anc. ville d’Hercul. ec. Tom. I. lettre 13. pag. 334. che fossero dipinti sul muro; siccome non lo erano quelli dello stesso Polignoto nominati nel Tom. iI. pag. 419. not. b., e quelli degli altri pittori nominati alla pag. 226. segg. L’uso degli antichi celebri pittori greci era di dipingere sulla tavola, come fu detto loc. cit pag. 80. not. a.; e molto tardi s’introdusse l’uso generale di dipingere le mura delle case, e dei tempj. Vedi Plinio lib. 35. cap. 10. sect. 37.
- ↑ id. lib. 1. cap. 28. pag. 69. lin. 13.