Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Prefazione

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Orlando furioso (sec. la stampa 1532) Facsimile

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PREFAZIONE




Sul finire del giugno 1525 Ludovico Ariosto, in compagnia del figliolo Virginio, tornava da Castelnuovo di Garfagnana in Ferrara, ormai libero dalle brighe moleste del commissariato, che fin dal febbraio 1522 s’era indotto ad accettare per angustie economiche e che aveva esercitato con zelo e con giustizia. Tornava, dopo aver rifiutato l’ufficio d’oratore presso il papa Clemente VII, che Alfonso I voleva affidargli quasi a ricompensa dei servigi resi, e si proponeva nella quiete propizia della bella città dei duchi darsi di nuovo agli ozi delle muse. In vero il periodo dei tre anni, trascorsi fra il turbolento gregge garfagnino1, era stato per lui quanto mai penoso; e per le cure della politica aveva trascurato i diletti studi delle lettere, tanto che, scrivendo nel 1523 al cugino Sigismondo Malegucci, paragonava sé all’uccello che molti giorni resta senza cantare, quando muta gabbia, e affermava che soltanto allora, dopo un lungo tempo di sosta, riprendeva a comporre in versi:

          E questo in tanto tempo è il primo motto,
          Ch’io fo alle dee, che guardano la pianta,
          Delle cui fronde io fui già così ghiotto2.

Non portò a termine tuttavia che qualche satira o qualche lirica a sfogare con gli amici lontani l’animo oppresso; ma non ebbe [p. viii modifica]certamente tempo opportuno, né mente serena per attendere di nuovo alla revisione dell’Orlando Furioso, pubblicato già la seconda volta pochi mesi prima della sua partenza, nel 1521. Sicché, essendo egli assente, le edizioni del poema, che comparvero in Ferrara tra il 1522 e il 1526, devono ritenersi falsificate e impresse a scopo di lucro, all’insaputa e contro la volontà dell’autore. L’ufficio di commissario ebbe tuttavia un vantaggio per l’Ariosto, quello d’avergli dato agio d’accumulare tanto danaro, che al ritorno gli fu sufficiente per acquistare in via Mirasole, poco lungi dalla chiesa di San Benedetto, un terreno con orto, sul quale edificò una casa piccola, modesta, di bell’aspetto e adatta per lui, parva, non sordida, sed apta mihi, come fece incidere nel distico latino del frontone. Quivi, nelle stanze silenziose, dentro le quali gli alberi dell’attiguo giardino gettavano un’ombra grata, lieto della compagnia d’Alessandra Strozzi che amò d’immutabile affetto, si raccolse, ritirato da tutti i commerci, come scrive un suo biografo, e rievocò le gioconde visioni poetiche della sua prima gioventù 3. Aveva finalmente ritrovato quella dolce quiete dell’animo, senza la quale non gli sarebbe stato possibile verseggiare, anche se n’avesse avuto l’ispirazione:

          Né d’Ascra potrien né di Libetro
          Le amene fonti, senza il cuor sereno,
          Far da me uscir gioconda rima o metro 4.

E così occupò il tempo in quegli ultimi anni nel dirigere il teatro nel palazzo degli Este, secondo che il duca gli aveva commesso, e nella revisione del poema, alternando di tratto in tratto la fatica letteraria con la coltura de’ fiori e degli alberi da frutta del suo orto.

Ma la revisione e la correzione dell’Orlando fu il suo primo pensiero; poiché delle diciotto ristampe, che se n’erano fatte dalla prima [p. ix modifica]edizione del 1516, quella eccettuata del ’21, egli più volte amaramente aveva dovuto dolersi. E ormai, sebbene la salute fosse malferma, e, già precocemente invecchiato, appiattasse il capo calvo sotto il cuffiotto5, fu suo saldo proposito correggere accuratamente il testo del poema, migliorarlo nell’ordine degli episodi e con aggiunte opportune, e soprattutto riformarne la locuzione. Per tal modo l’Orlando fu ampliato di sei nuovi canti, e l’episodio d’Olimpia, il presagio d’Andronica ad Astolfo sulle terre scoperte da spagnoli e portoghesi, l’arrivo di Bradamante al castello di Tristano, la storia di Drusilla e Marganorre e la gara fra Ruggero e Leone furono i tratti di viva poesia con cui l’Ariosto condusse a termine la sua meravigliosa epopea.

L’attesa che il poema si compisse fu quanto mai ansiosa per parte di gentiluomini, di nobili dame, di poeti, d’artisti e d’eruditi, tanto che Ludovico nell’esordio dell’ultimo canto potè immaginare, conforme a verità, che tutti si congratulassero di vederlo tornare in porto dopo sí lunga fantastica navigazione:

          Par che tutti s’allegrino ch’io sia
          Venuto a fin di cosí lunga via.

E delle lodi, che gli si tributavano con affetto, diceva non poter mai sdebitarsi:

          . . . . . . . . . . .non facil parmi
          Ch’io possa mai di tanto obbligo trarmi6.

Ma se uomini insigni e amici sinceri non tacquero la loro ammirazione, al poeta non mancarono critiche anche acerbe, da mediocri cortigiani che, con invidiosa malizia, non intendendo la grandezza artistica delle stanze con che si descrive la città e il palazzo d’Alcina e il paradiso terrestre o si narra della flotta prodigiosa d’Astolfo, avevano apposto come colpa il vero storico al verisimile poetico; e alla [p. x modifica]loro parola anche il duca aveva forse assentito. E però l’Ariosto, accingendosi nel 1532 alla ristampa, volle di tratto in tratto non correggere i luoghi censurati, ma difendersi dai frivoli censori, che adombrò ne’ due simboli di cui fregiò le stampe dell’Orlando; l’uno dell’alveare, donde un villano col fuoco scaccia le api, e l’altro delle bisce che si mordono.

Giā fin da prima, poiché gli era stato contraddetto che al mondo si trovasse tant’oro da potersene costruire la muraglia della cittā della fata, e s’osservava che l’alchimia soltanto avrebbe prodotto un falso colore simile, egli fa cenno di queste accuse insidiose:

          Alcun dal mio parer qui si dilunga
          E dice ch’eli’ è alchimia, e forse ch’erra,
          Et anco forse meglio di me intende;

ma conclude sorridendo:

          A me par oro poi che sí risplende7.

Altrove, dopo aver avvertito che chi va lontano dalla patria vede cose strane, che narrandole poi non son credute, perché il volgo sciocco non dā fede se non a quel che vede e tocca, soggiunge con arguto sdegno:

          .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  non bisogna
          ch’io ponga mente al vulgo sciocco e ignaro;

e si volge ai piū colti e sagaci, cui non parrā menzogna la favola poetica, perché ne penetreranno l’alto significato8.

L’eco però di queste sterili discussioni meglio s’ascolta nella narrazione dell’ultima lotta fra i tre campioni cristiani e i tre pagani in Lipadusa. Federico Fulgoso, che era capitato nell’isola pelagica, l’aveva trovata sí fiera, montuosa e ineguale da non esservi un sol luogo pianeggiante; e però avanti al suo duce aveva ripreso l’Ariosto di(1) [p. xi modifica]cendo impossibile che sei cavalieri, il fior del mondo, v’avessero combattuto:

          Qui de la aistoria mia che non sia vera
          Federico Fulgoso è in dubbio alquanto.

Ma risponde che a quel tempo era nel mezzo dell’isola una piazza, che poi una rupe caduta per terremoto aveva del tutto ricoperta.

E conclude in tono di scherzo che il chiaro fulgor della, fulgosa stirpe ripari al suo fallo:

          Vi prego che non siate a dirgli tardo
          Ch’esser può che né in questo io sia bugiardo9.

Il suono tuttavia delle censure era ben lieve rispetto al plauso che del poema gli veniva d’ogni parte; e il poeta grande e modesto comprese qualche volta tutta l’eccellenza dell’opera sua, come quando, forse accennando a sé, afferma che l’etā d’Ippolito d’Este avrā un nuovo Virgilio:

          .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  vuol il ciel iusto
          Ch’abbia un Maron come un altro ebbe Augusto10.

Ma conferire all’opera la schietta italianitā della lingua e purificare le stanze dalle forme del suo dialetto lombardo era stato disegno costante fin dalle prime prove dell’artista squisito; e come riuscisse all’acquisto della lingua toscana si fa noto dalla comparazione diligente tra la prima e l’ultima edizione, ove il progresso è chiaramente visibile.

Fin dal 15 13 Ludovico, dopo aver conosciuto nella corte ferrarese Niccolò Vespucci, l’aveva seguito in Firenze, ove dimorando nella casa di lui aveva atteso con ogni cura allo studio della lingua, lavorando attorno ai versi fino a tarda notte e giovandosi all’uopo d’un suo servo toscano, Giovanni da Pescia, cui dettava i suoi scritti per mostrarli poi la mattina seguente al Vespucci11. Poco appresso [p. xii modifica]sembra che richiedesse anche il giudizio d’un suo amico toscano Giovanni Battista Busini, se si deve credere al Varchi, per mutare e racconciare assai cose, secondo l’uso fiorentino. Gli fu infine giovevole l’aiuto del senese Annibale Bichi, il quale per desiderio del poeta avrebbe riveduto tutto l’Orlando, specialmente per quanto riguarda cavalieri, armi e cose di guerra12. Ebbe però forse maggior efficacia a volgerlo alla schietta italianitā l’esempio di Pietro Bembo, suo amico, giā maestro rispettato di lingua e di grammatica, il veneto toscaneggiante contro le teorie del Castiglione, del Trissino e degli altri lombardi; e non senza intenzione il suo nome è ricordato nell’ultimo canto del poema, quasi a titolo di gratitudine:

          .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .   lā veggo Pietro
          Bembo, che il puro e dolce idioma nostro,
          Levato fuor del volgare uso tetro,
          Quale esser dee ci ha col suo esempio mostro13.

A render piū agevole a lui l’ammaestramento d’un tanto uomo s’aggiunse nella consuetudine familiare la conversazione con la colta Alessandra, cui, per testimonianza del poeta, fiorivano sul labbro le grazie del parlare di Firenze14.

Or qualunque valore si voglia dare ai consigli e ai consiglieri dell’Ariosto, e qualunque sia stato il mezzo che a lui fu piū valido allo scopo, o il soggiorno in Firenze o l’amore per l’Alessandra, o essendogli affinatore dell’ingegno una facoltā di percezione prontissima [p. xiii modifica]e squisitissima, come pensò il Carducci15, certo è che dopo il 1525, riprendendo in mano il poema, egli era sí addentro ne’ segreti della lingua di Dante che potè correggerne la dizione con sicura coscienza.

Ma poiché tanta era la fama popolare dell’Orlando che alcuni esordi se ne cantavano perfino dagli operai per le vie di Ferrara 16, e poiché era a cuore al poeta che il testo rimanesse immutato dopo l’ultima revisione, provvide ad impedire che altri, senza suo consenso, lo ristampasse, ottenendo il privilegio della pubblicazione dai governi de’ vari stati d’Italia. Pertanto fin dal 7 gennaio 1528 ne scriveva al doge di Venezia e osservava come avendo giā alcuni anni con longe vigilie et fatiche per spasso et recreatione de signori et persone de animo gentile composta una opera di cose piacevoli e dilettevoli di armi et amori17, bramava che altri non gli guastasse il frutto del lavoro, che ormai era presso al suo compimento. E l’anno innanzi chela stampa fosse intrapresa, il 19 giugno 1531, si rivolgeva al conte Nicolò Tassone d’Este per sollecitare la stessa grazia dal duca di Milano, con le parole: Io vorrei stampare di nuovo il mio Orlando furioso acciò che io gli emendassi molti errori, che olirā quelli che per poca diligentia vi ho fatti io, hanno fatto ancora li stampatori18.

Il timore, ben giustificato per quanto era avvenuto durante la sua dimora in Garfagnana, gli faceva aggiungere: Vorrei essere sicuro che li stampatori non l’havessino a stampare contro mia volontā prima ch’io lo stampisca19, e s’appagava d’aver ottenuto da quasi tu Ite [p. xiv modifica]le potentie d’Italia che, finché egli vivesse, nessuno potesse stampare l’Orlando senza sua licenza. Pochi mesi piū tardi, cioè nel gennaio 1532, si era in procinto di por mano finalmente alla stampa, e Ludovico il 15 chiedeva al marchese di Mantova che, bisognandogli far condurre da Salò quattrocento risme di carta per il suo Orlando, fosse il carico esente dal pagamento del dazio. Appena il favore gli fu concesso, il 17 febbraio ne tornava a scrivere al duca ringraziandolo, e per non parer ingrato a tanta benignitade l’avvertiva di aver nelle addizioni al poema parlato onoratamente di lui20. La stampa s’iniziò forse sul termine del febbraio, tanto che nel marzo era alquanto innanzi e il poeta il 18 di quel mese si scusava con Giovanni Giacomo Calandra di certa commissione non soddisfatta per essere cosí occupato per mettere il Furioso a stampa21 da non poter attendere ad altro. Ma il lavoro tipografico non fu compiuto che negli ultimi giorni di settembre o ne’ primi d’ottobre, e l’autore, che n’aveva vigilata amorosamente da presso nell’officina la composizione de’ caratteri e l’impressione, ne aveva fatto eseguire la maggior parte degli esemplari su carta comune e alcuni soltanto su pergamena per inviarli in dono ai grandi signori. Due tra i primi ne offrí tosto il 9 ottobre ad Isabella Gonzaga e a Margherita Paleologa Gonzaga, notando alla marchesa di Mantova, che con tanto piacere aveva letto l’Orlando nella prima edizione, che ora il testo era meglio corretto e ampliato di sei canti e di molte stanze sparse chi qua chi lā pel libro22. Sicché nelle parole di queste lettere il pensiero dominante dell’Ariosto era che l’opera riuscisse corretta come non era stata nel passato, sí per la dizione come per la diligenza tipografica; e a questo scopo ne affidò la stampa al tipografo maggiore che vivesse allora in Ferrara, a maestro Francesco Rosso.

Egli, che nelle varie stampe eseguite ha nome di Rubeus, De Rubeis, Roscius o solamente Vale?iza, apparteneva a famiglia francese, [p. xv modifica]emigrata appunto da Valenza di Francia in Ferrara per esercitarvi V arte tipografica, e fu figlio di Lorenzo di Antonio e di Lucrezia Petrosini. Suo padre fin dal 1485 era nella cittā dei duchi tipografo e cartolaio, e vi moriva nel 1499; ma Francesco, allora ancor giovane, non incominciò ad esercitare l’arte che nel 1521 e continuò a tener la sua officina nel piano terreno del palazzo ducale fino al 1573. Dopo quell’anno non abbiamo di lui alcuna notizia, e però non è improbabile che abbia cessato di vivere fuori di Ferrara23. Ad ogni modo, nel 1532, quando Ludovico gli affidava ad imprimere l’Orlando, egli era in grande stima presso il duca, e, quantunque ancor non troppo esperto, si giovava del credito e del buon nome lasciato nell’arte dal padre suo. Ma Ludovico non fu pago alla perizia del tipografo; perché con zelo assiduo rivide le prove di stampa e non permise s’imprimesse pagina senza ch’egli 1* avesse corretta. Ciò non impedí tuttavia che qualche errore non sfuggisse pur alla sua diligenza, onde anche di questa ristampa fu poco soddisfatto. (ili esemplari dell’edizione del 1532 che ci son pervenuti, tra i quali ricordiamo quelli delle librerie private del Grenville e lord Charlemont, della biblioteca Melzi ora del marchese Lupo di Soragna, delle biblioteche di Vicenza, di Ferrara, di Bologna e Barberini di Roma, furono divisi, come ho giā avvertito, in due gruppi, e quelli del primo gruppo, che fu chiamato tipo A, ci offrono notevoli varianti da quelli del secondo gruppo, che fu chiamato tipo B24. A chiarire tale diversitā di lezioni fu supposto dal Morali e dal Cappelli25 che, durante la stampa, a quando a quando l’autore facesse interrompere la tiratura dei fogli per introdurvi miglioramenti. Ma un attento esame de’ due testi ci fa ricercare altrove la causa principale delle varianti. [p. xvi modifica]Chi ponga a confronto i due esemplari s’avvede tosto che nell’esemplare A la stanza 18 del canto primo, la prima che s’incontri discorde dall’esemplare B, è pur la prima stanza della carta A 4, e l’ultima stanza discorde in A, cioè la 14 del canto secondo, è pur l’ultima stanza della carta A 7, sicché tutte queste varianti sono esattamente contenute in otto pagine intiere, ciascuna di due colonne di scrittura. Cosí l’ottava 17 del canto primo in A concorda con perfetta uguaglianza con l’ottava corrispondente in B, come pure l’ottava 15 del canto secondo in A concorda parimente con l’ottava corrispondente in B, e tale concordia continua quasi perfetta in tutto il resto del poema.

Inoltre le varianti del tipo B denotano quasi sempre un miglioramento di locuzione, di sintassi e di logica sulla lezione A, chiariscono o esprimono con piū efficacia il pensiero, son piū conformi alla pronunzia toscana evitando le forme dialettali emiliane. Valga qualche esempio. Di fronte a pruovi, avien, s’avolse, rivera, Feraū, scolorosse, nomosse, nove, líeva, avicina, allegerir, habia, abbatuto, avampato, dui, che si leggono nell’esemplare A, troviamo provi, avvten, s’avvolse, riviera, Ferraū, scolorossi, nomossi, nuove, leva, avvicina, alleggierir, habbi, abbattuto, avvampato, duo nell’esemplare B.

Osservando poi le varianti dell’esemplare A, si nota che molte riproducono la lezione della stampa 1516 e altre quella del 1521, mentre alcune differiscono dalle lezioni dell’una e dell’altra edizione del poema. Anche è da rilevare che l’ortografia e la punteggiatura in B è accurata e completa, con frequenza di due punti tra una proposizione e l’altra o tra membri dello stesso periodo, mentre in A la punteggiatura è trascurata per molte omissioni, come principalmente per quella del punto fermo in fin di periodo e di stanza.’ Ciò deve intendersi quasi soltanto per le ottave che hanno le varianti, perché nel resto dei canti i due esemplari mantengono l’identica punteggiatura.

Sicché le varianti in questo breve tratto del poema tra il primo e il secondo canto risultano di varia specie, ortografiche in maggior numero, e piū raramente morfologiche e di sintassi.

In conclusione, poiché i due esemplari e specialmente per la punteggiatura e l’ortografia concordano in tutto il resto, non si può con[p. xvii modifica]getturare che il B rappresenti un esemplare corretto dall’autore e posteriore all’A; perché se l’Ariosto avesse posto mano a correggere, la sua correzione non si sarebbe certamente ristretta soltanto a poche stanze consecutive ne’ canti primo e secondo; e anzi, perché nella maggior parte delle ottave i due testi concordano, è da ritenersi che le poche che variano in A, siano state guaste o alterate da altra mano in seguito.

Riferisco qui appresso (v. pagg. XXIII -XXXII) in apposita tabella tutte le varianti dei due tipi, tra il canto primo e il secondo, ponendo nel primo luogo quelle del tipo B, che credo poter provare sia il testo piū antico, e al secondo quelle del tipo A.

Ma se non poche sono le differenze tra gli esemplari dei due tipi A e B, molto piū copiose e rilevanti sono le somiglianze. Pari nell’uno e nell’altro degli esemplari è il numero delle pagine, i canti recano al principio le stesse iniziali, la disposizione delle stanze su le due colonne di ciascuna pagina è pure la stessa. Mostrano poi uguaglianza perfetta non poche note o difetti tipografici che si osservano tanto nell’esemplare del tipo A che in quello del tipo B. Innanzi tutto, lo spostamento di alcune lettere fuori di linea, sopra o sotto, nel luogo stesso, come;’v di vopo, IV, 23, 5; la seconda e di Seleucia, XVII, 103, 2; la 7 di Torno, XY11, 94, 2; l’/ di I caual lieri, XXVI, 37, 1; la seconda l’di fparrar, XXX, 35, 8; l’i di fia, XLI, 64, 4; e la s di s’hauca ppofto, XXIV, 74, 8. Frequenti sono anche le congiunzioni di parole, come devo/tri, 1, 4, 4; horvn, IV, 8, 5; gliocchi, IV, 48, 8; pervn, V, 49, 8; focK io, VI, 11, 1; rarce, VI, 27, 2; guerrierforte, VI, 60, 6; Trevoltc, VIII, 8, 4; gliāpli, Vili, 71, 7; gin-tolto avuo. Vili, 85, 7; ncviene, XI, 40, 6; viuoru, XI, 53, 8; af traccio, XII, 50, 6; gridandovn, XVII, 133, 8; asti, XVIII, 64, 8; Epuoi, XXVIII, 67, 6; gliurli, XXX, 11,3; bnircra metile, XXXIX, 1,1; iprigion, XXXIX, 33, 2; e aforza, XLIV, 15, 8. Difetto opposto è quello delle sillabe o delle lettere impresse separatamente dalla parola a cui appartengono, quali Donzcll a nuda. XXV, 60, 7; R aferena, XXVIII, 39, 2; tempefto Jo mare, XXX, 60, 4; benigna v dienza, XXXVIII, 1, 1; e parca v gitale, XLVI, 1 1 1, 8. Cosi pure non di rado si notano ne’ due esemplari lettere guaste o male impresse, come la g [p. xviii modifica]di ugualmente, III, 76, 6; la l’di diro che fu ingiufto, IV, 65, 5; la u di feura, V, 26, 1; la prima?i d’Innaucdutamcnte, VI, 1, 8; la seconda /!> di fupplici pianti, XXI, 44, 4; la d di </«/a meftiffima, XXX, 43, 2; la prima a di Calcata ferpe, XXX, 56, 1; la N di Non la cura, XXXI, 4, 8; Yo di puffo il termine, XXXII, 16, 7-8; Vo di fo che non huuru, XL, 49, 3; la q di ql ferrigno, XLII, 1, 1; la «di contru Bíferta, XLIV, 19, 8 e Ve di appfentar, XLIV, 29, 8. Si ritrovano allo stesso luogo qua e lā segni lineari trasversali, derivanti dall’impressione dei margini d’una lettera o da tratti d’interlinee, come dopo a di a colpa, III, 5, 5; dopo fchiuarli, IV, 35, 5; dopo faffi, IV, 44, 7; dopo in mar, VI, 5, 6; dopo fuluure, VI, 12, 2; dopo Egli in Egli f urroftu, VI, 65, 8; dopo tanto in tanto pofe, VII, 52, 4; dopo preffo in preffo a Bordella, Vili, 72, 8; sull’O e sull’i? in O che, IX, 49, 2; dopo ««in vuol ch’’ un fuo, IX, 88, 1; dopo Doue in Douc intuita, X, 16, 8; dopo qfto in cA«qfto, XI, 14, 4; dopo e# in eh vide, XIII, 75, 5; dopo ferma, XVII, 94, 2; dopo?ion in hauria non folumenle, XXII, 35, 1; dopo gli in gli alloggiamenti, XXVII, 17, 2; e dopo oue in 0«£ <? bifogno, VI, 85, 8. Similmente sono mende di stampe comuni ad A e a B le lettere maiuscole in cambio delle minuscole, o queste in cambio di quelle, come Di Navigare a quello, IX, 15, 4; D’uccider gente, e di far Pruoue vago, XVI, 75, 2; Hermo, Onde fi tra l’Or fino, XVII, 78, 5; salito Aftolfo Su 7 deftrier, XXIII, 16, 1; Alla terru di spagna, XXIX, 57, 4; l’acqua di lethe, XXXI, 49, 8; / Vescoui e gran chierici, XXXVIII, 22,5; Co l’Azza, XXXVIII, 74, 8; Zanne fiere, XXXIX, 52, 6; e biferta, XL, 13, 1; mentre le stesse parole in altre stanze di consueto sono stampate con le iniziali convenienti. S’aggiungano pur qua e lā errori di lettere scambiate, spostate, raddoppiate, inserite e soppresse, quali in corucciu, VI, 27, 7; reggier, VII, 40, 2; S’inuechiasse, VII, 44, 8; terntesímottavo al titolo della pag. 288; fa che du trumbi, XL, 58, 4; ropppe prima-, XL, 65, 2; ciaschadvn còpagno, XLI, 29, 7; elletto, XLI, 44, 4; e dif taciuto giā, XLI, 98, 5. Finalmente devonsi avvertire i segni ortografici e di punteggiatura fuor di luogo, come il punto fermo o spostato o a mezzo della frase: al vero daffi, XXI, 69, 8; de’ Signor pagani, XXXIX, 3, 1; ne fegui si fiero, XXXIX, 35, 7-8, qualche apostrofo [p. xix modifica]caduto: S° un mede/imo, IV, 66, i; Vedi s’in me, V, 12, 5, e la curva di parentesi omessa innanzi a Gli disse, XXI, 27, 3, e innanzi a Gabrina e il nome, XXI, 50, 3.

Ora, essendo queste le diversitā e le varianti e le somiglianze tra i due tipi del testo dell’Orlando, sarā agevole dall’esame compiuto dedurre le conseguenze. Da prima in vero sembra che non possa dubitarsi, come pensò qualcuno, che in quell’anno 1532 la composizione tipografica o l’impressione del poema sia stata piū che una, come ne fa fede ne’ diversi esemplari l’identitā degli errori o delle omissioni di stampa; poiché non è da supporre che una lettera mutila o guasta e la caduta d’un apostrofo o d’una curva di parentesi, in due composizioni tipografiche successive, anche parziali, sia occorsa nello stesso luogo. Per quanto poi riguarda le varianti, queste possono distinguersi opportunamente in due serie: varianti cioè di lettere e di sillabe aggiunte o di qualche abbreviatura sciolta, che si rinvengono raramente qua e lā ne’ versi delle stanze; e varianti frequenti, di carattere particolare, che ho giā indicate, per un tratto continuato, tra il primo e il secondo canto. A queste se ne uniscono anche tre altre, che si giudicano della stessa specie, quali abbarbaglia B e abarbaglia, A, III, 68, 5; cornuti B e commuti A, V, 48, 3; lega B e liga A, XVII, 84, 6. Varianti della prima serie non si notano solamente tra i due tipi A e B, ma pure tra un esemplare e l’altro d’un tipo stesso, e sono oltre che di lettere o di parole, anche di ornati. Cosi, ad esempio, de’ due esemplari del testo A, che si conservano nella Comunale di Ferrara, uno reca in fine, nell’explicit, la figura d’una lupa allattante un lupicino, e l’altro ne manca affatto.

Per queste varianti della prima serie, che sono ben poche di numero, si può ragionevolmente pensare che il poeta stesso, il quale vigilava di persona perché il suo Furioso non fosse piū aeditorum et impressorum vitto mendosum, incontentabile com’era del lavoro dei tipografi, abbia di quando in quando fatto sospendere l’impressione degli esemplari per correggere una parola errata e dar maggior chiarezza al testo, sciogliendo un’abbreviatura. Per veritā tali lezioni diverse si riducono a mende di stampa; son parole errate in una copia e corrette nell’altra successiva, come ripari per ripar, II, 43, 5; [p. xx modifica]suave per soave, IV, 66, 3; chari per chiari, V, 5, 5; giuova per giova, V, 24, 4; sianomi per sfattami, VII, 47, 6; e b ald amar Qr baldanza, XLI, 8, 1; e si possono dunque ritenere rapidi ritocchi eseguiti durante la stampa. E poiché si tratta di correzioni materiali d’errori tipografici, sarebbe vano qui accennare a criterio artistico o a ragioni di stile e d’armonia, che molti scrittori, come il Cappelli e il Lisio, credettero causa di tutte le varianti ariostèe. Che ciò non sia, oltre alla qualitā delle stesse varianti, lo mostra il fatto che, se qualche esemplare degli ultimi impressi s’avvantaggia per correttezza sugli altri, sono anche approvati dall’autore gli esemplari men corretti, come le copie su pergamena, che a lui premeva riuscissero senza mende: tanto lieve è il valore di siffatte varianti!

Ma altrettanto non può dirsi per le varianti della seconda serie, cioè per quelle comprese in un gruppo di settantotto stanze, che formano otto pagine piene e che nel testo A differiscono, come s’osservò, da quelle del testo B per divergenze di vocaboli, di sintassi e d’ortografia. Ora, chi ben noti, rileva che le forme di A son peggiorate rispetto alla lingua su le forme di B e che l’ortografia e la punteggiatura soltanto per quelle stanze è deficiente e dissimile dal resto del poema, cioè dalle poche ottave che precedono e dalle molte che seguono. Sicché, mentre il testo B ci si offre come un testo continuo e uniforme, quello A ne differisce soltanto per quelle ottave, che son per gran parte diverse dal rimanente. Non si può certamente pensare che le stanze differenti in A siano effetto anche qui di correzioni apportate dall’Ariosto al testo durante la stampa, sí perché, come ho detto, contengono lezioni peggiorate nella lingua e nell’ortografia, sí anche perché, se una revisione siffatta fosse stata intrapresa, logicamente avrebbe dovuto incominciarsi dalla prima ottava e continuare nei nuovi esemplari per tutto il poema, e non sarebbe stata circoscritta a poche ottave tra i due primi canti, mentre di varianti di questa sorte, salvo forse le tre parole addotte sopra, fuor di quelle pagine e di quelle ottave non si trova traccia.

Convien dunque rifarsi ad un’altra ipotesi; e se si ricorda che il poema fu sovente stampato nel tempo innanzi in copie clandestine e senza consenso dell’autore per soddisfare alla richiesta de’ lettori [p. xxi modifica]e per lucro che altri voleva trarre dalla nobile fatica del poeta; e se si ricorda pure che Ludovico temette sempre che un simile mercimonio si facesse a suo danno, e appunto per ciò sollecitava i privilegi di stampa dal pontefice, dall’imperatore e dai vari sovrani d’Italia, e anche per ciò fu presente all’impressione del poema, non sarā inverosimile il supporre che le copie del tipo A rappresentino esemplari stampati di nascosto, all’insaputa e contro la volontā dell’ autore a fin di lucro, quando l’impressione delle copie ordinate da lui, quaderno per quaderno, era terminata. E poiché era impresa clandestina e forse compiuta quando l’Ariosto era assente dall’officina di maestro Rosso, prima che la composizione tipografica si disfacesse, può essere facilmente avvenuto che qualche volta per errore o per qualunque caso questa sia stata scomposta, o l’autore stesso, indugiandosi nell’officina, abbia voluto si scomponesse. E allora a riparare la lacuna nelle copie clandestine per la parte del testo che non era stata impressa, piū tardi gli avari imprenditori avrebbero supplito la parte mancante, riproducendo per quelle pagine e per quelle stanze il testo da un’edizione anteriore, cioè forse da un’edizione apocrifa intermedia tra il 1521 e il 1532. Ciò lascia meglio intendere come nelle varianti del testo A vi siano lezioni tanto della stampa del 15 16 quanto del 1521, ma non vi si riscontri il testo preciso né dell’una né dell’altra. E conferma altresí l’ipotesi il trovarsi le ottave discordi in otto pagine di stampa intiere, senza una stanza di piū innanzi o dopo, quando nessuna ragione stilistica avrebbe consigliato d’incominciar la correzione a metā d’un episodio; ciò che lascia pensare agevolmente ad un disordine tipografico occorso. Anzi è probabile che gli esemplari del testo A, a causa delle minacce e delle pene contenute ne’ privilegi, siano rimasti nascosti e fuor di commercio nel primo tempo, finché le copie autentiche, inviate soprattutto ai signori e alle corti non fossero state largamente diffuse, e che soltanto pochi mesi piū tardi, nel 1533, dopo la morte del poeta, siano state mescolate con le autentiche e vendute. E perché tali esemplari dovettero esser numerosi e passar tra le mani degli uomini colti e del popolo, accadde che il testo noto e comune dell’Orlando [p. xxii modifica]si conformasse in tutte le edizioni posteriori al testo A, e tale rimanesse anche nelle ristampe piū recenti, popolari e scolastiche.

Non voglio accusare Francesco Rosso d’aver per stimolo d’avarizia servito sí male messer Ludovico; tanta fu in Ferrara la fama del valente tipografo, l’amicizia tra lui e il poeta e la fiducia che questi gli ebbe, che non mi pare, senza prove, sia da accogliere pur il dubbio. Ad ogni modo, qualunque valore si voglia dare a questa probabile congettura che spiega il fatto singolarissimo, si può concludere con certezza che il testo B ci fa conoscere l’Orlando Furioso quale veramente uscí dalla fantasia e dalla penna di Ludovico nella seconda correzione del poema immortale, e questo anche conferma l’esemplare su pergamena della Barberiniana-Vaticana, offerto forse da lui al papa Clemente VII. Perciò il testo B deve ritenersi il primo testo (e sarebbe ornai da indicarlo con A), anzi l’unico approvato dall’Ariosto; mentre il testo A riproduce lo stesso testo approvato, ma con l’introduzione di settantotto ottave derivate da un’edizione precedente. Il testo A dunque, che fin qui è stato il testo volgare dell’Orlando e, pur con gli errori onde lo corruppe nel 1545 Girolamo Ruscelli, fu fin qui ripubblicato in ogni ristampa, deve essere giudicato erroneo e sostituito con la lezione del testo B.

Poco mi resta da avvertire circa la edizione presente. La stampa è stata accuratamente condotta sull’esemplare Barberino-Latino 3942 della Vaticana, che come copia destinata a persona d’alto grado, ha le iniziali dei canti miniate e il titolo e i primi quattro versi in caratteri aurei. Ma poiché l’esemplare manca del frontespizio originale, che è sostituito con altro in miniatura, di mano posteriore, il frontespizio qui è stato riprodotto da altra copia del 1532, e del tipo B. I privilegi di stampa, che sono a tergo del frontespizio e nell’ultima pagina dopo il testo, qui sono stati dati di seguito, al termine del volume. Nella stampa del poema si mantenne integralmente la lezione del testo, conservando perfino le mende tipografiche, affinché il lettore, senza alcuna alterazione di parola o di lettera, avesse sott’occhio l’Orlando quale veramente l’Ariosto lo licenziò nell’impressione definitiva. Dei facsimili aggiunti, due ritraggono due pagine del testo, la prima cioè e un’altra scelta tra quelle che contengono dieci ottave [p. xxiii modifica]compiute; il terzo facsimile rappresenta l’effigie del poeta, quale fu data, lui vivente, nel volume del Rosso. Per le stanze discordi del testo A, che ha ormai scarsa importanza se le mie conclusioni sono da accogliersi, è sembrato sufficiente indicarne in questa prefazione tutte le varianti.

L’utilitā di questa edizione sarā dunque d’aver sostituito, nel luogo d’un testo incompleto e in parte errato nel senso e nella grafia, il vero Orlando Furioso, a vantaggio degli studiosi dello stile, della lingua e dell’arte del maggior epico nostro.

Infine m’è grato ricordare qui il professore Ernesto Monaci, che piū volte nel preparar l’edizione m’ha confortato del suo autorevole consiglio; il P. Francesco Ehrle, prefetto della Vaticana, che permise e agevolò la riproduzione fotografica dell’esemplare del fondo Barberiniano; il professor Giuseppe Agnelli, bibliotecario della Comunale di Ferrara e giā benemerito degli studi ariostcschi, che m’è stato cortesemente generoso d’indicazioni e d’aiuto, ponendo anche a profitto de’ miei studi gli esemplari del Furioso della sua biblioteca; e il professor Mario Pelaez, che con cura paziente ha dato l’ultima revisione alle prove di stampa. A tutti questi cooperatori l’espressione della mia viva riconoscenza.

Filippo Ermini.


  1. Satire di L. Ariosto, Sat. V, 8.
  2. Satire di L. Ariosto, Sat. V, 13-15.
  3. G. Garofalo, Vita di m. Lodovico Ariosto e G. B. Pigna, Vita di m. Lodovico Ariosto, in Orlando Furioso delle annotazioni de' più celebri autori che sopra esso hanno scritto e di altre utili e vaghe giunte adornato, In Venezia, S. Orlandini, MDCCXXX; S. Fornari, La vita di Lodovico Ariosto, Ferrara, 1807.
  4. Satire di L. Ariosto, Sat. V, 133-135.
  5. Satire di L. Ariosto, Sat. II, 218-219.
  6. Orlando Furioso di L. Ariosto, XLVI,
  7. Orlando Furioso di L. Ariosto, VI, 59, 5-8.
  8. Orlando Furioso di L. Ariosto, VII, 2, 1-4.
  9. Orlando Furioso di L. Ariosto, XLII, 20-22.
  10. Orlando Furioso dí L. Ariosto, III, 56, 7-S.
  11. (3) S. Fornari, La vita di L. Ariosto, ed. citata. Di Giovanni o Gianni è cenno nella Sat. Ili, 14.
  12. G. Muzio, Battaglie per la difesa dell’italica lingua, cap. XV. Annibale Bichi, fuoruscito senese, si rifugiò in Ferrara dopo il 1526 e fu noto anche al Tasso. Cfr. G. Salvadori, Natura e arte nello stile italiano, Roma, Albrighi, Segati e C, 1909, pag. 222, nota.
  13. Orlando Furioso, XLVI, 15, 1-4.
  14. Poesie varie dí L. Ariosto, Firenze, Molini, 1824; Sonetti, XV, 9-10. Che l’Ariosto ne’ mutamenti introdotti nella lingua del Furioso per l’edizione del 1521 seguisse le regole proposte dal Bembo provò Cinthio Giraldi, De’ romanzi, delle commedie e delle tragedie, ragionamenti, Milano, Daelli, 1864. Discorso de’ li Pagg. 5, 154.
  15. G. Carducci, Su l’Orlando Furioso, saggio, pag. 311, in Opere, XV, Bologna, U. Zanichelli, 1905.
  16. Narra G. B. Pigna che il primo verso dell’esordio al canto XXV:

    mtrasto In ginrenil pensiero,

    fu imitato dai fanciulli, che lo cantavano per le vie, nell’altro:

    O gran contrasto in giovenil pensiero.

    Cfr. L’Orlando Furioso per cura di E. Camerini, Milano, Pagnoni, 1870, e. XXV, nota.

  17. A. Cappelli, Lettere dí L. Ariosto, terza ed., Milano, U. Hoepli, 1887, 1. 174.
  18. A. Cappelli, Lettere di L. Ariosto, ediz. cit., 1. 176.
  19. A. Cappelli, Lettere di L. Ariosto, ivi.
  20. A. Cappelli, Lettere di L. Ariosto, ediz. cit., 1. 177, 1S0.
  21. A. Cappelli, Lettere di L. Ariosto, ediz. cit., 1. 1S2.
  22. A. Cappelli, Lettere di L. Ariosto, ediz. cit., 1. 191, 192.
  23. L. N. Cittadella, La stampa in Ferrara, Torino, Bocca, 1873, pag. 25.
  24. Melzi, Bibliografia dei romanzi e poemi cavallereschi, seconda edizione, Milano, A. Tosi, 1838, pag. 100 e segg.; G. Lisio, Noie ariostesche. La prima e l’ultima ispirazione dell’Orlando Furioso, paga:- 24-28; estr. dagli Alti del Congresso internazionale di Scienze storiche, voi. IV, Roma, 1903.
  25. Orlando Furioso di L. Ariosto per cura di C. Morali, Milano, Pirotta, 1818; A. Cappelli, Lettere di L. Ariosto, cap. CXV, prefazione.

TABELLA DI TUTTE LE VARIANTI DEI TIPI A E B NELL’EDIZIONE 1531

B A
I, st. 18, V. 2. I duo I dui
4 dotto: dotto
6 motto: motto
8 narde,loco. n arde loco
19, 2 offeso: offeso
3 auuien auien
4 Sol fol
7 Donna donna
8 via. via
20, 4 vada: vada
6 proui pruoui
[p. xxiv modifica]
B A
I, st. 20, v. 7 altrimèti altrimete
8. danno. danno
21, I no non
2 tenzone: tenzone
4 obliuione: obliuione
5 Che il Pagao eh il Pagano
7 co con
8 galoppa. galoppa
22, 1. bota bontā
2 riuali, riuali:
6 hauerfi: hauerfi
8 Oue Doue
23, 1 non
2 dòzella donzella
6 quefta: a quella: quefta quella
7 Pel bofco s auuolfe: Pel bofco, s auolfe
8 fi tolfe. fi tolfe
24, 1 liniera riuera
2 ne londe nel onde
3 dona nò donna non
6 spOde: sponde
8 P habbia: 1 habbia
25, 1 rimòdo rimondo
2 Di e lunga: Di che lunga
4 nò punga: non punga
5 modo, mondo,
8 fiero, fiero
26, 2 mano: mano
3 elmo che cercato elmo, che cercato
4 in vano: in vano
5 Ferrau Ferau
6 E diffe, E diffe
8 doueui? doueui
27, 3 all al
4 Gittar fra pochi di Fra pochi di gittar
5 Fortuna: Fortuna
7 NO ti turbare, Non ti turbar,
8 fei. fei
28, 3 paladino, paladino
4 migliore; migliore
[p. xxv modifica]
B A
I, st. 28, v.; Almóte, e, Mabrino: Almonte, e Mabrino
6 quei duo quei dui
8 Iafciarmi co effetto. lafciarmelo in effetto
29, 2 De lacqua lobra, arriccioffi De lacq lombra, arriccioffe
3 scoloroffi vifo, fcolorofie vifo
4 fermoffi: fermofie
6 nomoffi nomoffe
30, 3 chiufa: chiufa
6 no copri fio: Non copri ffe
8 Almote. Almote
31. 1 giuramento giuramelo
2 no prima, non prima
4 lima: lima
6 Di qua, Di qua
8 ftrade. ftrade
32, 2 Saltare Saltar
4 nuoce: nuoce
5 no non
6 veloce: veloce
7 e diftrugge, diftrugge
8 fugge. fugge
33, 1 fpauentofe fpauétofe
2 ermi e feluaggi: hermi, e feluaggi
4 faggi: faggi
6 di qua: di la viaggi: di qua e di la viaggi
8 (palle. fpalle
34. 1 capitatola capriola
4 aprirle e aprirle
5. triema fofpetto: trema fofpetto
7 fterpo fterpo,
8. bocca. bocca
35- 3 al fine al fin
4 muoue moue
5 Duo Dui
6. nuoue noue
7 còcento concento
8. correr lento. correr lento
36, 2 miglia: miglia
3. arfura arfura,
4 configlia, configlia
[p. xxvi modifica]
B A
I, st. 36, v. 5 briglia: briglia
37,2 Di prun rofe: Di spin rofe
4 lalte lalte
5 cocede concede
6 1 ombre lombre
8 vifta. vifta
38,1 tenere herbette tener herbette
2 sapprefenta: s apprefenta
3 dona donna
4 fi corca s addormenta: fi feorca s addormenta
5 no non
6 le par venir fenta: le par venir fenta
7 leua riuiera lieua riuera
39,4 percuote: percuote
6 le gote: le gote
7 E in fuo gran gran Et in vn gran
S pietra. pietra
40,2 dolente: dolente
3 co con
4 foauemente: foauemente
5 faffo: faffo
7 Sofpirando, Sufpirado
8 Mogibello. Mongibello
41,1 eh 1 chi
2 lima, lima
4 prima, prima
6 opima: opima
8 p lei mi vuo per lei mi vo
42,4 auicina: auicina
6 s inchina: s inchina
8 ornate. ornate
43,1 no non
2 verde verde,
4 Fauor perde, Fauor perde
8 amanti. amanti
44,3 crudel crudel,
4 inopia: inopia
8 lei. lei
45,3 Circaffia: Circaffia
4 Sacripante: Sacripante
[p. xxvii modifica]
B A
I, st. 45, v. É amante, amante
7 pur pur
8 lei. lei
46, 2 Oriente: Oriente
4 fequito ponente: feguito ponente
6 gente, gente
7 Per darla allun de d jo eh cotra il Moro E promeffa in mercede a chi di loro
8 d oro. doro
47, 1 capo e itefo hauea di quella campo, hauea veduta
2 Rotta crudel Quella rotta
4 ritrouarlo: ritrouarlo
8 Sole. Sole
48, 4 racconte: racconte
6 conte: conte
8 raggiato. raggiunto
49, 3 aflfonna: affonna
4 intende, intende
6 fcède: feende
8 degno. degno
5°, 2 guida: guida
3 fin fin
4 Ben Ben
8 ql amate. quel amate
Si. 2 alleggierir chi lama, allegerir chi lama
3 ristorar ristorar
4 Co ql brama: Con ql brama
5 fintione fittione
6. trama: trama
7 a ql al fuo
8 proterua. proterua
52, 2 moftra, moftra
4 nioftra: moftra
6. noftra: noftra
8. opinione. opinione
53. 4 Poi eh fquadre: Poi che fquadre
5 quato quanto
6. Stupor: Stupor,
8. inante. innante
54, 4 forfè: forfè
[p. xxviii modifica]
B A
I, st. 54, v. 5 ricetto ricetto,
6 torfe, torfe
7 sauuiua s auiua
8 ftanza. ftanza
55, 4 Nabatei, Nabatei
6 rei: rei
7 che 1 chel
8 aluo. aluo
56, 2 fignore: fignore
4 errore: errore
6 Amore: Amore
8 vuole. vuole
57, 4 dono: dono
6 sono: sono
8 fteffo. fteffo
58, 2 potria: potria
4 fia: fia
6 talhor ftia: tal hor ftia
8 Scarni incarni
59, 4 abbandona: abbandona
5 1 elmo (e hauea P elmo, e hauea
6 perfona:) perfona
8 piglia piglia
6o, 3 veftire: veftire
4 cimiero: cimiero
8 rea. rea
6i, i preffo. appreffo
2 arcione: arcione
4 paragone, paragone
5 minaccie taglia: minaccie, taglia
6 lancia í lacia in
8 tefta. tefta
62, 3 Si come i duo Come li dui
4 gli feudi: li feudi
5 allalto a l alto
7 e 8 osberghi fi, petti. usberghi fi petti
63, 2 montoni, montoni
4 buoni: buoni
5 Queir achor Quel anchor
[p. xxix modifica]
B A
I, st. 63, V. ( gli fproni: li fproni
7 faracin Saracin
8 pefo. pefo
64, 4 guerra: guerra
6 differra: differra
8 meno: lontano, meno lontano
65, 2 leua lieua
3 Di la: Di la
4 Appreffo ai Preffo alli
6 foleua: foleua
7 rimafo, rimafo
8 cafo. cafo
66, 2 fhabbi P habia
4 roffo, roffo
5 oltre al oltra il
S fauella. fauella
67, 1 difs diffe
2 voftra: voftra
3 cauallo, cauallo
4 cóuenia gioftra: conuenia gioftra
6 dimoftra: dimoftra
8 lasciare il capo primo. lasciar il capo il primo
68, 2 co la con la
4 ftaco: ftaco
6 con un con lo
7 pennoncello pènoncello
8. pattar paflar
69, 2. abbattuto abbatuto
8. donzella. donzella
70, 1. molto, mollo
2. f afcondo t afcodo
3 quella: quella,
4 honoi honor
5 detto: detto
7 no non
8. auuapato faccia. auampato faccia
7i, 3 abbattuto abbatuto
4 fente: fente
8. tranquilla. tranquilla
72, 2. intorno: intorno
[p. xxx modifica]
B A
I, st. 72, v. 3 Co rumore con rumor
4 triemi ognintorno: tremi ognintorno
6 adorno: adorno
8 pano. paffo
73, 2 Dona no còtende donna nò contède
3 deftrier: deftrier
4 co fende: con fende
5 riconofco, riconofco
7 mal atto malatto
8 viene ratto. vien ratto
74, 2 freno: freno
4 a girar baleno: al girar baleno
5 no non
6 pieno: pieno
7 ne i ne
8 mote metallo. monte metallo
75, 1 Donzella donzella
2 mimano: humano
4 duo lòtano: dui lontano
8 allhor ígrato. allhora ingrato
76, 1 CO con
2 1 petto: il petto
6 ftretto: ftretto
7 Dozella donzella
8 fella. fella
77, 1 occhi, occhi
2 pedone: pedone
3 s auuampa s auampa
6 Gru gru
8 forte. forte
78, 2 liquore, liquore
3 no lontane: non lontane
4 core: core
7 Amor amor
8 fugge. fugge
79, 3 dona donna
4 s ofcura, s ofcura
5 co con
6 fcògiura fcongiura
7 atteda: atteda
[p. xxxi modifica]
B A
I, st. 79, v. S ce prenda. con prenda
8o, 2 CO con
3 non
4 coftui? coftui,
8i, i No no non non
3 lutano lontano
4 effo, eflb
7 duo dui
8 riferbi. riferbi
II, St. I, V. 2 defili: difiri?
3 auuien auien
4 duo dui
5 Gir Ir
6 tiri, tiri
8 vuoi ami. voi ami
2. 3 e 4 odiare, odiare
5 indarno: e fi flagella: indarno fi flagella
8 morte. morte
3. i Saracin Saracin
2 cauallo, cauallo
3 DO non
4 coftallo: coftallo
6. fallo: fallo
7 dona donna
8. no cOuegna. non conuegna
4, 2 no altiero) non altiero,)
4 (Quato io nodo per fama) vero, (Quato... fama, piū co vero)
6. donna, e deftriero: donna deftriero
8. degna. degna
5, i. duo dui
3 Auicinarií: Auicinarfi
4 raffi: raffi
5 rabbia rabia
6. ribuffati rabuflati
7e e 8. e Chiaramòte. Chiaramòte
6, 6. fare signore far Signor
8. muouer paffo. mouer paffo
7, i. s arrefta: s arrefta
[p. xxxii modifica]
B A
II, st. 7, V. 2 trotta: trotta
3 tefta: tefta
4 fchiene, fchiene:
6 allhotta allotta
7 fu 1 e fui
8 sbalza. sbalza
8, 4 gagliardo: gagliardo
7 fpelunca affumicata: fpelonca affumicata
8 Gioue. Gioue
9, 2 giuoco: giuoco
3 altieri, altieri:
4 poco: poco
5 ritrarfi: ritrarfi
6 e 7 intorno itorno
8 piede. piede
IO, 2 s abbandona: s abandona
4 tèprata temprata
6 e risuona: rifuona
7 Tacciar eh ghiaccio lacciar che giaccio
8 lafcia braccio. laffa braccio
il, i Quando Come
4 s auuicina sauicina
8 amaua. amaua
12, I cauallo, e cavallo,
2 calle: calle
4 fpalle: fpalle
5 non no
6 vn vn
8 afpetto. afpetto
13, i e 2 veniua, veniua
4 fchiua fchiua
7 quStunqj e quatuque
8 commoffe. commoffe
14, 2 mare: mare
4 nominare: nominare
8 piglio. piglio.