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xii prefazione

sembra che richiedesse anche il giudizio d’un suo amico toscano Giovanni Battista Busini, se si deve credere al Varchi, per mutare e racconciare assai cose, secondo l’uso fiorentino. Gli fu infine giovevole l’aiuto del senese Annibale Bichi, il quale per desiderio del poeta avrebbe riveduto tutto l’Orlando, specialmente per quanto riguarda cavalieri, armi e cose di guerra1. Ebbe però forse maggior efficacia a volgerlo alla schietta italianitā l’esempio di Pietro Bembo, suo amico, giā maestro rispettato di lingua e di grammatica, il veneto toscaneggiante contro le teorie del Castiglione, del Trissino e degli altri lombardi; e non senza intenzione il suo nome è ricordato nell’ultimo canto del poema, quasi a titolo di gratitudine:

          .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .   lā veggo Pietro
          Bembo, che il puro e dolce idioma nostro,
          Levato fuor del volgare uso tetro,
          Quale esser dee ci ha col suo esempio mostro2.

A render piū agevole a lui l’ammaestramento d’un tanto uomo s’aggiunse nella consuetudine familiare la conversazione con la colta Alessandra, cui, per testimonianza del poeta, fiorivano sul labbro le grazie del parlare di Firenze3.

Or qualunque valore si voglia dare ai consigli e ai consiglieri dell’Ariosto, e qualunque sia stato il mezzo che a lui fu piū valido allo scopo, o il soggiorno in Firenze o l’amore per l’Alessandra, o essendogli affinatore dell’ingegno una facoltā di percezione prontissima

  1. G. Muzio, Battaglie per la difesa dell’italica lingua, cap. XV. Annibale Bichi, fuoruscito senese, si rifugiò in Ferrara dopo il 1526 e fu noto anche al Tasso. Cfr. G. Salvadori, Natura e arte nello stile italiano, Roma, Albrighi, Segati e C, 1909, pag. 222, nota.
  2. Orlando Furioso, XLVI, 15, 1-4.
  3. Poesie varie dí L. Ariosto, Firenze, Molini, 1824; Sonetti, XV, 9-10. Che l’Ariosto ne’ mutamenti introdotti nella lingua del Furioso per l’edizione del 1521 seguisse le regole proposte dal Bembo provò Cinthio Giraldi, De’ romanzi, delle commedie e delle tragedie, ragionamenti, Milano, Daelli, 1864. Discorso de’ li Pagg. 5, 154.