Opere volgari (Alberti)/Nota sul testo (volume III)/Istorietta amorosa
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IX
ISTORIETTA AMOROSA FRA LEONORA DE’ BARDI
E IPPOLITO BONDELMONTI
A) TESTIMONIANZE
manoscritti
Membr. sec. XV, copiato da Felice Feliciano (c. 1470). Per la descrizione e bibliografia vedi vol. II, p. 387, e l’edizione cit. qui sotto al numero 15. A cc. 1r-.12v: Opera amorosa nella quale Hippolyto e Lionora inamorati l’uno de l’altro pervenne a pericolo de la vita e dopo questa fortuna Amore li aparechio la gratia. Manca il nome dell’autore.
Membr. sec. XV, copiato da Felice Feliciano. A cc. 65v-88r, senza nome d’autore: Incominza l’amorosa historia de Hippolyto et Lionora come doppo uma adversa fortuna Amore li apparechio la gratia.
Cfr. Faye & Bond, Supplement to De Ricci & Wilson, Census of Medieval and Renaissance mss in the U. S. and Canada, cit., p. 265.
Cart. sec . XV, copiato da Felice Feliciano. Cfr. Mazzatinti, Inventari cit., XII, p. 162, e vedi sopra a p. 366, e vol. II, p. 385. A cc. 2-17, senza nome d’autore: Incominza l’amorosa opera de Hippolyto e Lionora come dopo un strano caso Amore li apparechio la gratia. A c. 1: Ut ut vidi ut credidi (sic).
Misc. cart. sec . XV; cc. 142 scritte a Napoli tutte dalla stessa mano, probabilmente quella di Angelo Manetti, nel 1467, e in parte dopo il 1471. Contiene, a cc. 100-109, la novella di Ippolito e Lionora, senza nome d’autore, copiata tra febb. e ott. 1467 (a giudicare dalle indicazioni cronologiche alle cc. 50r-v, 110r e 142v). A cc. 76-80 Fazio Fabula vel Facetia (cfr. ps e F20).
Mise. cart. sec. XV; cc. 61. Oltre al De origine belli inter Gallos et Britannos historia di B. Fazio, e il Tractato di Nobilità di Bonaccorso da Montemagno, contiene a cc. 51v-64r, adesp., la Novella di Ipolito di Messer Buondelmonte et di Lionora di Messere Amerigo de’ Bardi et di loro amore casi et fortune.
Cfr. Indici e cataloghi, IV, I mss Palatini della B. N. F., vol. III, fasc. 3, pp. 161-62. Questo cod. fu adoperato per l’ed. Cit. qui sotto al n. 13.
Misc. cart. sec. XV; cc. scritte 106. Contiene a cc. 1r-97r la Fiammetta del Boccaccio, e a cc. 98r-106v, adesp. e anepigr. la novella di Ippolito e Lionora.
Il cod. fu già posseduto da S. W. Singer, che l’adoperò per le sue edizioni citt. qui sotto ai numeri 9-10.
Cfr. anche V. PERNICONE, Nota, p. 234, alla sua ed. della Fiammetta, Bari (Scrittori d’Italia), 1939.
Misc. cart. sec . XV, trascritta tutta dalla stessa mano di Niccolò d’Antonio degli Aberti (sic, a c. 94v, con la data 21 nov. 1475). Se si ttratta effettivamente di un Alberti, come supponeva il Bonucci, questo Niccolò aveva 21 anni nel 1475 (cfr. L . Passerini, Gli Alberti di Firenze, Firenze, 1869, pp. 172 sgg.). La novella adesp. e anepigr. è alle cc. 54-59. Il cod. contiene anche La Sfera del Dati, il Trattato d’Amicizia del Davanzati, la versione volgare della novella di Fazio, fatta da Jacopo di Poggio Bracciolini (cfr. sopra F17 e F18), e diverse altre prose e poesie.
Misc. cart. XV -XVI secc. Descritto sopra a p. 367. Contiene Ecatonfilea e Deifira dell’Alberti, preceduti da: Di messer batista degli alberti poeta laureato Dello amore (incipit: «Nella magnifica et bellissima cipta di firenze ...»), cioè la novella di Ippolito e Lionora.
Cod. cart., sec. XV (fine), cc. 53, 8°. Contiene:
cc. 1-26: | canzoni e sonetti di Antonio degli Alberti; |
cc. 27-41: | Inchomincia la historietta fra Lionora di Bardi et Hypolito Bondelmonti di Firença scripta per m. Baptista di m. Lorenço degli Alberti ciptadino fiorentino. Explicit: Laus deo. Ut vidi ut credidi; |
cc. 42-53: | sonetti e ballate di Francesco d’Altobianco degli Alberti. Colophon: Qui scripsit scribat semper cum domino vivat, vivat et in celis semper cum domino felix. |
Descrizione nel Catalogue of Additions to the mss in the British Museum in the. Years 1906-191O, Londra, 1912, pp. 233-34.
Cart. sec. XVI. Descritto sopra a p. 367. Contiene, adesp. e anepigr., tre opere: Ecatonfilea, Deifira, e la novella di Ippolito e Lionora (cc. 62v-80r).
Già cod. 722 della biblioteca di Lord Leicester. Il vol. consta di due parti: prima l’edizione stampata a Venezia nel 1472 del Filocolo del Boccaccio, in cui fa seguito al colophon la Vita di miser lohanne boccatio composta per Hieronymo Squarzafico de Alexandria; poi un manoscritto in folio trascritto tutto dalla stessa mano della seconda metà del ’400, contenente le opere seguenti:
cc. 1r-34r: | Boccaccio, Filostrato; |
cc. 34r-56r: | Boccaccio, Ninfale fiesolano; |
cc. 56r-62v: | adesp. e anepigr., stanze in ottava rima (incipit: «Signori cari essendo zoveneto/un zorno fra me stesso maginando»); |
cc. 62r-67v: | adesp. e anepigr., la novella di Ippolito e Lionora (explicit: «che cosa sia melinchonia piazer animo paura e dolzeza. Finis de Ioanne Boccaccio Patria Certaldo»). |
A cc. 68, nota di un antico possessore, Cosimo Almeni, fiorentino. Il cod., come l’edizione, sarebbe di origine veneta.
Edizioni
I. Senza tit. né attrib., s.l.n.d . [L. Canozi, Padova, 1471]; Brit. Mus. G. 99861.
2.— — —, [Gerardus de Lisa], Triviso a di viii novem. 1471; Brit. Mus. G. 9911.
3.— — —, Giovanni d’Augusta, Venezia, 1472; Indice Generale degli Incunaboli, III, 1954, n. 5394.
4.— — —, Per Ugonem Rugerium et Doninum Bertochum, Bononiae, die sexto madii 1474; Brit. Mus. IA 28587.
5. Historia de Hipolito e Lionora, G. F. [Gerardus de Lisa de Flandria], Triviso, a di x April. 1475; Brit. Mus. G. 11005.
6. Senza tit. né attrib., s.l.n.d . [tip. del Dante, Napoli, c. 1475]; Ind. Gen. Incunab., n. 5395.
7.— — — — —, [Agostino Carnerio, Ferrara, 1474-76]; Ind. Gen. Incunab., n. 5396.
8.— — — —, Michael Volmar, Modena, [dopo il luglio 1479]; Ind. Gen. Incunab., n. 5397.
g. Lionora de’ Bardi ed Hippolyto Bondalmonte, novella leggiadra e rarissima, con prefazione firmata S.W.S .[inger], Londra, 1813.
10. Novelle scelte rarissime stampate a spese di XL amatori, con prefazione firmata S.W.S .[inger], Londra, 18q.
11. Opere volgari di L. B. Alberti, annot. e illustr. da A. Bonucci, vol. III, Firenze, 1845, pp. 275-94.
12. Novella di Ippolito e Lionora [ricopiata dall'antica ed. del 1475 a Treviso], Firenze, 1861 (vedi sopra il n. 5).
13. Novella di Ippolito e Lionora di nuovo stampata conforme un cod. palatino del sec. XV (ed. curata da G. Papanti), Livorno, 1871.
14. Novelle del Quattrocento, a cura di G. Fatini, Torino, 1944, pp. 150-66 (riproduce il testo del Bonucci, n. 11 sopra).
15. Ippolito e Lionora. From a MS of Felice Feliciano in the Harvard College Library, Verona, 1970 (testo curato da Franco Riva, con un saggio sul Feliciano di Giovanni Mardersteig).
B) LA PRESENTE EDIZIONE
Abbiamo esitato a lungo prima di accogliere questa novella tra le opere dell’Alberti, e pure includendola ora, non nascondiamo qualche dubbio intorno all’attribuzione. Conviene perciò esporre brevemente la storia della questione e i motivi che ci hanno persuaso a ripubblicare la novella, pure con qualche riserva, in questa edizione.
Come si vede dalle Testimonianze. la novella, sia in prosa che in versi, ha avuto dal ’400 in poi una notevole fortuna presso la stampa, ma sempre come opera di anonimo, fino a quando il Bonucci la incluse nella sua edizione delle opere volgari dell’Alberti. Dietro l’entusiasmo alquanto eccessivo per la scoperta di ancora un’altra opera del suo autore (anzi due, perché gli dava anche la versione in versi della novella), il Bonucci allegava, in sostanza, soltanto due argomenti a favore della attribuzione all’Alberti2:
1) la stampa (padovana) del 1471, adespota ma uguale e coeva a quelle della Ecatonfilea e della Deifira dell’Alberti, anche esse operette amatorie3;
2) la presenza della novella (adespota) in qualche manoscritto accanto ad opere certe dell’Alberti (ad es. il Magl. VI. 200, e non già il Magl. XXV. 626, come asseriva il Bonucci).
A questi argomenti non aggiunge nessun peso (e potrebbe semmai essere argomento contrario) il fatto, notato ed esagerato dal Bonucci, che il Ricc. 2256 (F20), contenente tra molte altre cose non albertiane anche la novella, ma sempre adespota, fu copiato (forse) da un Alberti nel 1475. Dal Bonucci in poi, non essendo noto alcun codice della novella col nome dell’autore, gli studiosi sono rimasti divisi intorno al problema dell’attribuzione. Il Mancini era recisamente contrario all’attribuzione all’Alberti della novella in prosa, e a fortiori della versione in ottave4. Il Dì Francia, pur condividendo il giudizio del Mancini sul poema, era propenso invece ad attribuire la prosa all’Alberti 5. Il Michel mette le due versioni senz’altro tra «Ouvrages apocryphes» 6. Discutendo il problema nel 1942 in un apposito articolo, O. H . Moore rifiutava gli argomenti del Bonucci, e respingeva la sua affermazione di una somiglianza stilistica e tematica tra la novella e le due operette amatorie dell’Alberti stampate anche esse nel 14717. Ma ancora nel 1944 il Fatini stampava la novella sotto il nome dell’Alberti8.
Davanti alla situazione qui sopra brevemente esposta siamo rimasti anche noi in dubbio circa l’attribuzione, soprattutto non avendo dall’Alberti né dai suoi contemporanei alcuna conferma che egli avesse composto novelle di questo genere in volgare. Ma con la scoperta in questi ultimi anni di due codici quattrocenteschi della novella, indipendenti l’uno dall’altro, con attribuzione esplicita all’Alberti, la situazione certamente cambiava, e bisognava rivedere ex novo tutta la questione9.
I fatti in breve sono questi. Se togliamo il cod. M che è del ’500, vediamo che la prima fortuna della novella in prosa nei manoscritti e nelle prime stampe è concentrata nel giro di pochi anni, al massimo, pare, tra il 1465 e il 1475. Tra manoscritti e stampe (come vedremo più avanti con più agio) si distinguono quattro gruppi rappresentanti redazioni più o meno diverse:
I. | H1 H2 F13 F19; a cui si affianca l’edizione di Treviso del 1471; |
II. | A O; a cui è affine l’edizione di Padova del 1471 (e pure quella di Bologna del ’74); |
III. | L F17; |
IV. | F18 F20 M. |
I codici, in cui la novella figura sotto il nome dell’Alberti, sono A e L. Vediamo prima A, perché la sua affinità coll’edizione padovana e la data della trascrizione (1471 o più tardi) possono far pensare che esso penda appunto da quella stampa, e che l’attribuzione della novella all’Alberti sia nata da un ragionamento di copista analogo a quello fatto dal Bonucci. Tale sospetto è rafforzato dal fatto che la novella figura in A accanto a Ecatonfilea e Deifira, tutt’e due intitolate precisamente come sono nella edizione padovana; la novella invece, anepigrafa nell’edizione, porta in A un titolo che potrebbe sembrare quasi una ripetizione o rifacimento di quello dato nell’edizione a Ecatonfilea, cioè De amore. D’altra parte, come abbiamo già visto per Ecatonfilea (sopra, p. 373 sgg.), i testi di A e della stampa del 1471, pur essendo assai vicini, non sono identici; e la situazione è precisamente uguale nel caso della novella. Mentre si può escludere, in base a quanto si è detto, che la stampa del 1471 dipenda dal cod. A, le varianti tra i due testi, che si potrebbero spiegare come interventi o errori di copista, non escludono la possibilità che A derivi dalla stampa padovana. Anche con ciò rimane il problema dell’attribuzione esplicita nel cod. A, sorta non si sa se da un’ipotesi di copista del tipo su accennato oppure da altre fonti o testimonianze. Bisogna perciò concludere che l’attribuzione della novella all’Alberti nel cod. A è di valore incerto.
Il codice L invece (e il suo affine F17) ci dà una redazione della novella alquanto diversa da quella del gruppo II (e ancora più, come vedremo, da quella del gruppo I), e il titolo e l’attribuzione in L non sono uguali a quelli di A. Esso è certamente indipendente, dunque, sia dal cod. A, sia dalla stampa padovana. Inoltre L ci dà la novella con attribuzione esplicita e precisa all’Alberti tra poesie di altri membri della stessa famiglia, di Antonio e di Francesco d’Altobianco; il che fa pensare che il codice fosse stato messo insieme da qualche parente, o almeno da qualche ammiratore della famiglia Alberti. È impossibile datare il codice, che sarà degli ultimi decenni del ’400; ed è ugualmente impossibile perciò escludere del tutto una eventuale suggestione esercitata sull’attribuzione dalle tre stampe del 1471, anche se il testo di L non corrisponde a quello dell’edizione padovana. Nondimeno questa indipendenza di L (affiancato dall’affine cod. F17 del 1467) ci persuade più di qualsiasi altra considerazione a prendere sul serio la probabilità che la novella sia opera dell’Alberti.
Sorgono spontanee a questo punto alcune domande: sarebbe ragionevole ascrivere questa novella alla penna dell’Alberti? e quando mai l’avrebbe composta? Quanto alla prima, non ci sono altri contendenti. Feliciano sarà probabilmente responsabile della redazione più ampia rappresentata, come si vedrà, dal gruppo I, ma difficilmente poteva essere autore della versione fiorentina, mettiamo del cod. F17. Da non prendere troppo sul serio il nome del Boccaccio in fondo al cod. O10, il quale potrebbe comunque riferirsi al Filostrato e al Ninfale ivi copiati prima della novella (ma non sarebbe, per altro, caso unico di attribuzione di un’opera dell’Alberti al Boccaccio; v. sopra, p. 369). Ci pare che le obiezioni del Moore citate sopra non reggano: non diremmo che il tenore dell’Ecatonftlea sia misogino, ma anche se lo fosse, non escluderebbe la rappresentazione nella novella di un tipo di amore diverso e «romantico». Più grave il problema dello stile, che il Moore non affrontò, contentandosi di diffidare delle affermazioni del Bonucci. Entro certi limiti, sul piano cioè dei lamenti e dei discorsi degli amanti, è possibile fare confronti tra la novella e la Deifira e l’Ecatonfilea11, e riconoscere una certa somiglianza di temi e di espressioni, anche se bisogna confessare allo stesso tempo che la rappresentazione dell’amore nella novella appare relativamente semplicistica e molto meno sottile. I dubbi semmai nascono piuttosto dalla parte narrativa, per cui non abbiamo termini precisi di confronto tra le altre opere dell’Alberti. Si consideri per esempio l’uso frequente nella novella ad inizio di frase della ripresa narrativa e congiuntiva Di che, che non ci risulta essere adoperata dall’Alberti nelle altre opere volgari. D’altra parte la novella è scritta con una certa eleganza ed economia stilistica, degna di uno scrittore colto quale l’Alberti. In essa (cioè nella versione da noi seguita, di cui diremo sotto) non figurano elementi linguistici o stilistici tali da permettere senz’altro un giudizio negativo sulla questione dell’attribuzione all’Alberti. L’amico Cristoforo Landino lo qualificava «nuovo cameleonte» come scrittore; ed è giusto rilevare la gran varietà di stili usati dall’Alberti per non escludere in base a criteri troppo rigidi l’attribuzione a lui di questa novella.
Se la novella è effettivamente dell’Alberti, come, soprattutto dal cod. L, siamo portati a credere, sarebbe l’unico suo tentativo nel campo della prosa narrativa volgare, che si affianca alle altre sue opere amatorie in prosa e in versi. Giova notare però che l’Alberti era autore di una specie di novella amorosa in latino, intitolata Amores, venuta recentemente alla luce grazie ad una felice scoperta del Garin di intercenali inedite12. Anche se in essa la rappresentazione dell’amore e della donna è molto più vicino a quella della Deifira che non ai rapporti di Ippolito e Lionora, questa intercenale ci assicura che tale tipo di racconto non era affatto estraneo all'esperienza dell'Alberti scrittore, e con ciò ci offre un'altra modesta pezza di appoggio per l'attribuzione della no- vella volgare all'Alberti.
Come abbiamo già osservato, non c'è nelle opere dell'Alberti nessun accenno alla composizione di questa novella. Non figura nel « cata- logo» delle opere sue schizzato nella Vita anonima, il quale sarebbe più o meno completo fin verso il 143813. Dopo il suo ritorno a Roma nel 1443, e fino alla morte avvenuta nel 1472, l'Alberti scrisse poco in volgare (rara eccezione i Ludi matematici, di carattere tecnico, non let- terario). Nondimeno, anziché agli ultimi anni del soggiorno fiorentino (1438-43) saremmo tentati ad ascrivere la composizione della novella (sempre che sia sua) all'epoca di Ecatonfilea e Deifira, o a poco più tardi quando scrisse le lettere al Codagnello (vedi sopra a p. 397). Strano, ma non del tutto eccezionale, il fatto che la tradizione manoscritta della novella, quale la conosciamo, risalga soltanto all'ultimo decennio della sua vita. Diverse opere dell'Alberti poggiano su tradizioni manoscritte tarde; e nel caso della novella l'esame dei codici superstiti fa sospettare una tradizione più ricca e più antica di quella nota. È possibile, a giu- dicare da alcune rassomiglianze, che Masuccio Salernitano si sia servito di questa novella come modello14; e tale ipotesi è convalidata dalla pre- senza della novella in ambienti napoletani, attestata nella nostra tra- dizione manoscritta dal cod. F17 , datato 1467. Ma a parte il nucleo ori- ginale del Novellino, assegnabile agli anni 1450-57, è difficile datare la composizione delle singole novelle entro il giro di vent'anni dalla loro stesura e perfezionamento15.
Questa non è però la sede adatta per discutere le fonti storiche o leggendarie, o la fortuna e il significato letterario della novella. Ci basti accennare ad alcuni elementi che forse possano rafforzare l'attribuzione all'Alberti. Non esistono documenti che confermino la storicità del racconto; ma la presenza della frase « Ut vidi, ut credidi» all'inizio e alla fine della novella in due codici (L e F13) ha fatto sospettare che essa sia fondata su qualche simile avventura avvenuta nella realtà16. Dei Bardi e Buondelmonti non si è riusciti a trovare né i nomi né il caso17. Ma tra Alberti e Albizzi vi è una specie di precedente. Sarebbe troppo azzardato avanzare l’ipotesi che l’idea-base della novella (che sarebbe forse la prima scritta in italiano in cui ricorra come tema fondamentale la inimicizia tra due famiglie risolta dall’amore di due giovani di parti opposte) sia venuta all’autore dal caso di Altobianco degli Alberti e Maddalena Gianfigliazzi?18. I particolari del loro amore e quelli degli amanti nella novella non sono precisamente uguali, ma si rassomigliano abbastanza per rendere plausibile l’ipotesi. Se così fosse, acquisterebbe significato ulteriore la giustapposizione nel cod. L di questa novella accanto alle rime di Antonio e di Francesco di Altobianco Alberti.
Prima di passare a dar ragione del nostro testo, concludiamo questa parte introduttiva con qualche osservazione sulla novella in versi. Di questa si conoscono due soli codici, sempre senza nome d’autore: il Magl. VII . 917, già adoperata dal Bonucci per la sua edizione, e il cod. 1612 (fondo Luigi Bailo) della Bibl. Com. di Treviso, recentemente illustrato da Enzo Quaglio19. Tutt’e due sono della seconda metà del ’400. È notevole il fatto che, mentre la versione in prosa fu stampata fin dal 1471, quella in versi venne pubblicata per la prima volta a Firenze nel 1478, ed ebbe poi nel ’4-500 fortuna editoriale non molto inferiore a quella della redazione in prosa20. Sorge il sospetto, dunque, che chi preparò il poema in ottave lavorasse infatti su qualche edizione a stampa della novella in prosa. Il confronto del testo del poema edito dal Bonucci con le prime edizioni a stampa rivela che esso non riflette i molti passi ‘aggiunti’ che distinguono le edizioni di Treviso del 1471 e 1475 insieme coi codici del gruppo I; è affine invece alle edizioni di Padova e di Bologna del 1471 e 1474. Affine, ma anche diverso, perché il verseggiatore (tipo cantastorie, come osservavano già il Mancini e il Di Francia) ha aggiunto del suo qualche richiamo a figure amorose classiche e qualche rimprovero contro «l’amore traditore», che sarebbe alieno dal tenore del racconto in prosa. Tale carattere dei versi, aggiunto alla mancanza di attribuzioni nei codici e nelle edizioni, e alle circostanze descritte sopra, che inducono a supporre che il poema fosse ispirato dal successo del racconto stampato in prosa, ci sembrano escludere assolutamente la possibilità che la redazione in versi sia opera dell’Alberti.
I codici del gruppo I (e l’ed. di Treviso del 1471) si distinguono anzitutto per i seguenti passi che non ricorrono negli altri manoscritti (trascrivo il testo di H1 e indico tra parentesi le varianti degli altri codd.):
p. 279, 21 | (Ippolito continua, dopo brevissima): Vui mi haveti sforzato a dirvi quello che (F11 a) niuno prudente haveria mai dito e di troppo verecundia nu vergogno (F19 mi vergogna la fronte). Meglio fora (Fu seria) morire honesto che vivere in fama obscttra e nigra (F13 H 2 in infamia obscura e turbida, Fu da infamia obscttra e turbida). Veramente compresi queste tale mie cose non essere honeste né licite apalesarle (F13 palesarle), ma homo sforzato e vinto bisogna che cadi in (F19 H2 a) terra. Molte fiate non può l’amo haver quella ferma constantia che li bisogna et alchune volte li convien volere quel che altri (H1 altrui) vole. Unde io come vinto e ligato è stato (F13 stata) necessaria casone (F13 F19 H2 cosa) che io entri nella regula degli infelici et miserabili amanti, la qual colpa viene solo dal mio distino. A le quali parole la madre quantunque il caso ... |
p. 279, 33 | (dopo alla salute d’Ippolito): al quale ella portava grandissima compassione, havendolo alchune fiate veduto nella iesia dil suo monasterio al tempo de le sue feste (F19 de la festa) venirvi gientile e ornatissimo in pompa (F18 om. in pompa) accompagnato con altri giovani (F13 F19 H2 figlioli) di gientil sangue et lui vedutolo per li fori del parlatorio posto (F19 disposto) in uno canto (F13 F19 H2 cantone) de la iesia, le cui bellece hebero forza che’l giovane avanzante gli altri di ornate bellece (F19 H2 fatecce) ad aquistare la dilectione di la badessa la quale havia molta consolatione di vederlo. Unde per questo mossasi da tenereza deliberò con uno honestissimo modo fare che lui venisse in loco dove veder potesse Lionora (F13 F19 H2 che lui vedesse Lionora) a suo dilecto. E dite alchune parole di molta speranza confortò la madre, a la quale continuando nel parlare gli disse (F19 H2 om. gli): Gientil donna, diceti ad (p. 8, 3) |
p. 280, 22 | L’abatessa già fisso guardando nel fronte del giovene (F13 F19 H2 ad Ippolito) e vedutolo come rosa colorito (F13 colorita) desiderava in tutto di contentarlo extimando che non meno li giovasse el piacere del giovane se lei medesma cotale (H2 con tale) gaudio sentisse e tal piacere. Unde (H2 si stesse. Unde) disposta al servicio del giovane: Figliol, diss’ella, se alla ... |
p. 280, 25 | (dopo al tuo fine): Ma Dio non voglia che io prometesse (F19 Ma cessilo Idio ch’io permettesse) tanta crudelitate, e se io mi fusse più cruda e dura che sasso come io non sono, ançi pietà et amore me intenerisse il cuore, non porrei negarti cosa che tu cierchasti, perché il tuo gratioso parlare merita esser exaudito, et cossì io vinta dalla ... |
p. 280, 36 | (dopo e serratola): dentro, se ne andò via tassando Hippolyto e la fanciulla dentro serati. Unde è da existimare che ella atrovasse qualche secreto loco o figura o altro buso de la camera per veder il fine de la cosa per suo piacere e contento, maxime come li dicti giovani l’uno scoprisse a l’altro el suo amore, e quale fussero le parole che egli havessero ad usare insieme. Di che per poco intervallo di tempo Liunora, vedendosi sola in camera secondo ... |
Ad eccezione del primo, tutti questi passi riguardano la personalità della badessa, la quale appare per conseguenza, in questa versione ’settentrionale’, sotto una luce alquanto equivoca. Delle due possibili ipotesi, che essi siano passi aggiunti al racconto originale, o che siano parti integrali dell’originale tolte poi per scrupoli morali o religiosi nelle versioni ’toscane ’, la prima pare di gran lunga più probabile. E che il responsabile di tali aggiunte sia stato proprio Felice Feliciano sembra potersi inferire dal fatto che tre dei quattro codici che le contengono furono copiati da lui. A conforto di questa supposizione stanno alcune varianti dei testi da lui copiati; per esempio la seguente elaborazione della fine della novella, che figura soltanto nel cod. H2:
p. 287, 19 sgg. | tutti parevano d’un sangue nati. Et cossi feceno inseme perpetua la lor pace. Hipolyto, liberato per vertù di amore da la morte, lieto cum la sua Lionora se ne andono cum gran festa a casa, i quali poi vixero insieme longamente in grandissimo piacere, alegreza e consolatione de se medesmi e de tutti li soi parenti e di bona amicicia de roba e stato e belissimi figlioli. Hor che diremo adunque di amore e de la sua divina forza, il quale fu casone di tanto ben? Certo colui il quale non ha mai approvato che sia tanto bene et cosa sia amore né da lui già mai è punto non può veramente gustare né sapere che cosa sia malanconia, piacere, ardire, paura, dolore e dolzeza. (In corsivo le parole che non ricorrono in altri codici). |
lieto cum la sua Lionora se ne andono cum gran festa a casa, i quali poi vixero insieme longamente in grandissimo piacere, alegreza e consolatione de se medesmi e de tutti li soi parenti e di bona amicicia de roba e stato e belissimi figlioli. Hor che diremo adunque di amore e de la sua divina forza, il quale fu casone di tanto ben? Certo colui il quale non ha mai approvato che sia tanto bene et cosa sia amore né da lui già mai è punto non può veramente gustare né sapere che cosa sia malanconia, piacere, ardire, paura, dolore e dolzeza. (In corsivo le parole che non ricorrono in altri codici). |
Oppure si veda il passo seguente:
p. 275, 14 sgg. H1 F13 | andare con manco di trecento persone bene armate quando caso gli occorresse de dilungarsi da la citade, e quando di dentro per le piace anchora con copia di famigli bene armati se ne andavano. Et cossi ... |
Cfr. H2 | andare con manco di diese famigli bene armati e dentro e fuori de la citade. Et cossi ... (dello stesso gruppo, ma non di mano del Feliciano, F19: andare soli ma cum copia di molti famigli bene armati, e così ...) . |
Insomma, tra i codici trascritti dal Feliciano, le non poche varianti rafforzano l’ipotesi che copiando cambiasse ed elaborasse egli stesso il testo, e che perciò i codici del gruppo I riflettano una versione aumentata e ampliata dai suoi interventi21.
Se questa ipotesi risponde al vero, Feliciano sarà partito da un testo più vicino per certi rispetti ai codd. del gruppo IV anziché a quelli dei gruppi II-III . Spia ne è il fatto che solo nei codd. dei gruppi I e IV la badessa è designata sirocchia della madre di Lionora (e non sorella, come nei codd. II -III); e questo viene confermato da altre varianti peculiari solo a quei due gruppi, sebbene nei codd. del gruppo IV non figurino i passi citati sopra come caratterizzanti della versione Feticiano. Nel gruppo IV F18 e F20 si dimostrano per certe varianti più vicini tra di loro, per esempio:
p. 275, 24 | ill oro amore essere primamente il quale non conoscendo ... |
p. 276, 26 | fiero e duro amore |
p. 276, 29 | città d'una altra non mi hai messo |
p. 277, 33 | che io ho patiti per allevarti |
p. 282, 8 | la morte mia, te’ e con questa coltella |
p. 282, 33 | quanto pericolo noi portiamo |
p. 283, 6 | e quivi starai due or tre giorni |
p. 283, 27 | gli cadde di capo, di che il cavaliere |
p. 284, 2-3 | om. per omeoteleuto vedendo la sua umanitate, bellezza e infinita gentilezza; ma pure (vedendo) |
p. 286, 30-31 | om. per omeoteleuto (giustizia) ciascuno debb'essere coadiutore, così a propulsione dell'ingiustizia |
Gli esempi si potrebbero moltiplicare, come pure si potrebbe dimostrare quanto F18 si diparta per lezioni uniche (dovute probabilmente ad intervento di copista) da F20. Conviene ora restringere la nostra trattazione ai due gruppi che sembrano rappresentare più fedelmente la versione ’toscana’, cioè II (codd. A, O, e l’ed. padovana P) e III (codd. L, F17).
Ecco una scelta delle varianti che distinguono A O (e P) da tutti gli altri codici:
A O P | ||
p. 275, 19 | hebbe a risguardare | III, IV: gli venne risguardata(o) I: li venne a saltar l’occhio a |
p. 275, 24 | equalmente essere equale | III (e M): essere parimente equale I: essere parimenti rispandenti IV (salvo M): primamente el quale |
p. 276, 16 | almeno potesse vedere | altri codd: almeno si pascesse del vedere |
p. 277, 5 | non ardiva di passare per la inimicizia grande | I, IV: non ardiva di passare per timore de la inimicitia grande III: non osava (di) passare da casa di costei (lei) pel gran timore dell’ardua nimicitia |
p. 278, 14 | ti portava | I, IV: te sollevò III: ti sollevorono |
p. 278, 24 | di morte | III: del morire IV: di morire I: H1 del tuo vivere, H2 F13 F19 del mio vivere |
p. 278, 33 | al parer mio' | III, IV: a pari del mio I:om. |
p, 279, II | ti curi | altri codd.: ti cale |
p. 279. 12 | t’à nutrito | I: om. e il latte che ti nutricò; altri: ti nutricò |
p. 279, 17 | ne l’eta mia né | I, IV: né in vita mia né III: F17 né in vita né L et in vita et |
p. 281, 1 | ho trovato | altri codd: troverò |
p. 280, 3 | fo guarito | altri codd.: tutto si riebbe |
p. 280, 9 | assai più fforzano (O forono) | III, IV: assai di forza hanno I (il passo è rifatto e ampliato): assai con forza possede Amore il suo regal dominio. Io non potei che io non amassi. Gli colpi del qual non si pono schivare quando lui vale, et sono più cocente sue ferite che non stima o conosce quelle persone che non l’àno provate (cfr. r. 16) |
p. 282, 6 | è qui fatalmente condutto | altri codd. è qui per la tal via condotto |
p. 282, 8 | tutti i tuoi piaceri | altri codd. ogni tuo piacere |
p. 282, 13 | O P la mia mano ossasse turbare il tuo sangue, A le mie mano lassassono turbare il tuo sangue | III: le mie mani facessero di te sangue IV: le mie mani sofferissono di te sangue I: le mie mani ardischano tocare il tuo sangue |
p. 282, 16 | è tenuta di fare | altri codd. è obligata fare |
p. 282, 23 | A non haresti O non avresti P non ci haverasti |
altri codd. non ci avverrebbe |
p. 282, 25-27 | l’amore delli nostri padri per la loro crudeltà ne crederrebbono (P credirebono) e così il nostro amore sarebbe disaventurato (O P disventurato) | altri codd. (con piccole varianti) l’amore, perché li nostri padri per la loro inimicizia e crudeltà ci occiderebbono, e così ’l nostro amore arebbe sventurato fine. |
p. 283, 7 | condimento | altri codd. compimento |
p. 283, 14 | rispondere se non con (P rispondere cha cum) | altri codd. rispondere altro che con |
p. 283, 22 | stava attenta alla finestra | altri codd. l’attendeva dalla finestra (o, dalla f. l’att.) |
p. 284, 20 | il sangue di dolore più freddo che neve | I, III: dal dolore più ghiaccio che neve M: nel sangue del dolore più ghiaccio che neve F18 F20 di dolore (tutto) agghiacciato. |
p. 285, 16 | Leonora che stava cum pensiero levata a buona hora in camera essendo quando la campana sonò li parse | Lionora che avea il pensiero levato et essendo in camera quando la campana sonò (= M, con var. minime) III: che aveva il pensiero levato quando la campana sonò, essendo in camera IV (salvo M): L. che era in camera in gran pensiero quando udì sonare la campana. |
p. 285, 23 | inimicitia antiquamente facta fra li Bardi e noi | I: la quale antichamente è stata fra III: la quale è continuamente stata ed è fra IV (salvo M): la quale è anticamente fra M: la quale è antiquamente fatta et è fra |
Alcune delle lezioni sopracitate, che caratterizzano il gruppo II, sono dovute evidentemente ad errori di copista; altre più sostanziali varianti con gli altri codici dimostrano che si tratta di una redazione diversa del testo con ogni probabilità anteriore alle altre che veniamo delineando. Rimane ora da illustrare quella rappresentata dal gruppo III (codd. L F17), di cui abbiamo già visto sopra alcune lezioni caratterizzanti.
L F17 | Altri codd. | |
p. 276, 9 | O iniqua e crudelissima fortuna | om. iniqua |
p. 276, 28 | mi sottomisi al tuo giogo | mi misi sotto il tuo giuoco |
p. 277, 5 | passare da casa di costei pel gran timore dell’ardua inimicizia | om. da casa di costei; ...inimicizia grande (cfr. anche sopra a p. 415). |
p. 277, 13 | pallido, doloroso e saturnino più che altro | II: om. doloroso e saturnino IV: om. e saturnino I: pallido et adolorato più che altro |
p. 277, 35 | e per allevarti in più delicatezze | per nutrirti (IV nutricarti) in più delicanze (F10 dilicateze) |
p. 278, 15 | pianti, lamenti e sospiri | om. lamenti |
p. 278, 17 | in questa infelice e misera vita senza te delibero non stare (L non delibero stare) | om. infelice e misera non voglio stare |
p. 278, 18 | della tua e mia vita perdizione | I: de la tua e mia morte II: de la morte tua e della mia IV: della morte tua e mia |
p. 279, 10 | adimandare | chiamare |
p. 279, 19 | |alcuno riparo | |
p. 279, 21 | arduo e difficile | strano e difficile |
p. 279, 30 | di natura umile, benigna e grandemente pietosa (L om. grandemente) | om. umile, benigna e grandemente |
p. 280, 20 | avere la vita racquistata del suo figliuolo | om. racquistata |
p. 281, 5 | ingrata e sconoscentissima Leonora | om. sconoscentissima |
p. 281, 10 | sono universalmente con meco | sono tutti meco |
p. 281, 16 | cara e amantissima Leonora | om. e amantissima (I: om. cara e amantissima) |
p. 281, 18-20 | Ippolito mio, quante volte t’abbraccerei e bacerei io, quanto avida e devota ti narrerei i miei presenti e passati sospiri. Et dette queste parole ... | Ippolito mio, certo tutto ti bascerei. E ditte queste parole |
282, 12 | assai mi piace la tua vita più che la morte, e non | . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . più che la mia, e non |
p. 282, 20 | e deliberarono non maculare la fede data alla badessa | e insieme deliberarono non maculare in quel luogo la fede ... (con qualche variante nell’ordine) |
p. 283, 6 | celatamente | occultamente H1 F13 securamente |
p. 283, 32 | maraviglioso del fatto | II, IV (salvo M) maravigliandosi; I e M maravigliossi |
p. 283, 86 | l’appetito bestiale | om. bestiale |
p. 284, 3 | |II e M om. infinita IV (salvo M) om. le rr. 2-3 I e gentil maniera | |
p. 284, 28 | la povera fanciulla | om. povera |
p. 285, 12 | nulla rispondea | niente rispondea |
p. 285, 18 | cadde in terra trangosciata | om. trangosciata |
p. 286, 7 | molti canapi intorti alla gola fra d’ue manigoldi | molti canapi intorno alla gola in mezzo fra due manigoldi (F19 F20 con una corda alla gola in mezzo di due manigoldi) |
p. 287, 15 | del popolo mandaro per molte donne e convitate (L comitive, e in marg. comitate) et fatta una bellissima festa fermarono el parentado. | del popolo fermarono (II rifermarono) il parentado. |
Questa scelta di varianti ci insegna tre cose: che L F17 offrono un testo leggermente rifatto e ampliato da una mano molto diversa da quella di Feliciano; che in alcuni punti i due codici ci danno lezioni diverse tra di loro; e che talvolta mancano in questi codici parole o frasi che figurano in tutti gli altri codici. Quanto al primo punto, rischierei l’affermazione che il tipo di correzione e aggiunta presente in L F17 non si disdica all’Alberti; alcune, come a p. 278, 18, portano una caratteristica impronta latineggiante. Gli altri due punti riguardano da vicino il metodo che abbiamo seguito nella nostra edizione. Perciò mettiamo prima in chiaro quali e quante siano le differenze tra L e F17.
Pur essendo assai simili, L e F17 ci danno qua e là delle lezioni diverse; talvolta o l’uno o l’altro ha una parola di più; altre volte o l’uno o l’altro si distingue per una lezione diversa non solo dal compagno ma da tutti i codici. Lezioni uniche di L, per esempio, sono le seguenti:
p. 277, 4 | l’amata doncella | F17 la ninfa amata; altri codd. la sua ninfa |
p. 278, 8 | per molto maggiore mio dolore | F17 per maggiore mio dolore. A P mio magior dolore (altri omettono la frase) |
p. 278, 22 | tu vedrai qui ora alla | F17 e altri qui vedrai alla (H1 qui me vedrai alla) |
p. 279, 18 | quello che ora vi dirò | F17 quello che io vi dirò II questo che io vi dirò, IV quello vi dirò, I quello che al tutto seti disposta di sapere |
p. 279, 24 | monasterio di donne detto di Monticelli dove era abadessa la sorella | altri codd. monasterio dove stavano monache chiamato Monticelli, F17 al cui governo era una abadessa sorella, Gr. I e IV dove al governo del monasterio era una abadessa sirocchia, Gr. II dove el governo d’un munistero era una abacessa, sorella |
p. 280, 31 | riprometta | altri codd. prometta |
p. 282, 28 | abbi per certo che, come | F17 tieni per certo che, come, Gr. I e IV tieni certo come Gr. II om. la frase |
p. 282, 30 | molto ti sarebbe a dolore | altri codd. molto ti dorrebbe (o dolerebbe) |
p. 283, 4 | apiccherollo | altri codd. attacherollo |
p. 283, 16 | di buona voglia la salutò, dicendole ch’era venuta per lei essendo omai ora di levarsi e Lionora di presente scesa di letto uscirono insieme di camera, e indi fu dalla badessa rimandata Lionora a casa. Alla sera, poi anche Ipolito dopo molte proferte da lui fatte alla badessa e molte grazie pur resele similmente si parti, aspettando con grande desiderio il convenuto venerdì; e ritrovata | F17 di buona volgia la salutò, Di che usciti di camera ne mandò Lionora a casa; e la sera Ippotito dopo molte grazie e profferte fatte all’abadessa se n’andò a casa, e quivi con grandissimo desiderio aspettava el venerdì. E ritrovata ... Gr. II di buona voglia; di che uscita di camera, Gr. IV di buona voglia: uscita di camera (proseguono poi come F17). Nel Gr. I tutto il passo è stato rifatto, e finisce così: di buona voglia e più fiate basatala e fuora che l'ebbe condotta la rimandò a casa sua. Prosegue poi come F11 con poche varianti: molte e infinite grazie ... se ne tornò a casa. |
p. 283, 33 | e anche della confessione | altri codd. om. anche |
p. 283, 35 | imbolare | altri codd. rubare |
p. 284, 7 | sul soppidiano | altri codd. sulla panca (o banca) |
p. 284, 12 | alla sua donna | altri codd. alla moglie . |
p. 285, 8 | non ti era a te bisogno de la roba d'altrui | altri codd. non ti faceva bisogno (la) roba d'altri. |
Ecco un simile elenco delle lezioni uniche di F17:
p. 275, 13 | osavano | altri codd. ardivano |
p. 276, IO | che tante pene m me alberghi e riposi? Perché non umili ... | Gr. I. (salvo H 1), II, IV tante pene? Perché non umili ... (H1 che io porti tante pene? Perché ...), L om. e riposi. Perché non umili tu li cuori degli nostri padri. Perché |
p. 276, 16 | quanto il mio almeno | altri codd. om. almeno |
p. 279, 27 | fu dall'abadessa ... ricevuta | altri codd. om . dall'abadessa |
p. 279, 30 | natura umile benigna e grandemente pietosa | L om. grandemente, altri codd. om. umile, benigna e grandemente |
p. 284, 6 | che già il giorno | altri codd. om. già |
p. 284, 23 | giudicato a vergognosa morte. | H1 H2 F18 F19 F120 MA vergognosa opera, L vergognosamente corr. in vergognosa opera, O a morte e vergognosa opera, F13 vergognato e iudicato a vituperosa morte. |
p. 284, 35 | confessato e confessa e raffermato | altri codd. om. e confessa |
p. 286, 11 | tolse ... licenza | altri codd. prese |
A parte queste poche differenze uniche tra L o F17 e il resto della tradizione manoscritta, i due codici insieme ci offrono il testo migliore della versione ‘toscana.’ Per la nostra edizione ci siamo fondati su F17, che è leggermente più corretto, e abbiamo adottato i seguenti criteri per la risoluzione di lezioni problematiche. In mancanza di indicazione contraria nell’apparato, il testo è quello di F17 e L. Avendo dato sopra una larga scelta di varianti con gli altri gruppi di codici, non registriamo tutte le differenze delle altre versioni. Nei casi in cui F17 o L, ma non tutt’e due, contengano qualche parola o frase convalidata dal resto dei codd., l’abbiamo accolta nel testo e segnalata nell’apparato (per esempio: pp. 277, 9; 279, 8; 283, 7; 287, 25). In altri pochi casi, dove manchi in F17 e L qualche parola o frase che ricorre nel resto dei manoscritti, non l’abbiamo accolta nel testo se non quando ci paresse lecito supporre che fosse caduta per semplice errore di copista, e naturalmente abbiamo segnalato questi casi nell’apparato (vedi pp. 275, 3; 276, 2; 279, 9; 281, 12, 25; 284, 11, e cfr. p. 282, 20).
C) APPARATO CRITICO
[Indico con I, II, III, IV i gruppi di codd. discussi sopra a pp. 407, 412 sgg. Sono:H1 H2 F13 F19 (I); A O (II); L F17 (III); F18 F20M(IV).In mancanza di indicazioni contrarie «altri codd.» significa tutti i codici dei gruppi I, II e IV].
p. 275 | 3. III, IV om. insieme 13. L e tutti gli altri codd. ardivano 18. L trovandosi 19. L era ancora lui d’anni xviii pure in, altri codd. om. ancora lui 23. L feritisi, II insieme ferendosi, I più volte col suo risguardarsi onesto (se) dimostrarono 25. L (e I) om. però; I né lei lui molto li si accendeva el desiderio di stare insieme e conoscersi. Di che 26. altri codd. seguiva 27. altri codd. om . un poco di lontano 29. I e IV guardato, II guardò. |
p. 276 | 2. III om. sua 17. II om. dolorose, I, IV (a)dolorate 23. L om. tutti: I, II, IV om. e compagni 28. L (e I) doncelle, II damicelle; altri codd. om. bellissime 30. altri codd. om. e crudele. |
p. 277 | 4. F18 giovava, H1 H2 giovava di vedere: altri codd. om. non potere: F18 la sua diletta ninfa, altri codd. la sua ninfa 9. L om. sempre 11-12. L allegro il più festivo il più lieto e più giocondo giovane di Firenze el più bello, più fresco e il più universale, I e IV alegro giovane di Fiorenza, più bello, più compagnonesco, più fresco e più universale, II allegro giovane di Fiorenza, più bello, più presto, più compagnonesco e più universale 13. I magro e languido e solitario: I e adolorato più che, II om. doloroso e saturnino, altri codd. om. e saturnino 16. I, II, e M E saputo da’ medici 18. I malanconia essere nel delicato giovane 19-20. I che gli gravasse l’animo, né donde la malanconia procedesse, stettero molto sopra di sé suspesi, Ippolito 24. I Unde gran dolore ne sentiron (li) soi parenti 25. I, IV almeno el suo padre 29. II om. di tanta malinconia 31-33. I, IV nel tacere disse (dicendo) ella: (Ippolito) io non so 31. II in camera col figliuolo 32. II cominciò a dire 34-35. I vigilie, angustie, pene e dolori patiti e sostenuti per tuo amore; altri codd. nutrirti in più delicanze (salvo F20 dilicateze) 36. L molto maggiore. |
p. 278 | 2. altri codd. om. impii 3. altri codd. om. veramente 10. I, IV om. E al figliuolo ... e assai 14. altri codd. peso più volte ti; I, IV sollevò, II portava 14-15. altri codd. om. dunque e lamenti 17. altri codd. om. infelice e misera: L non delibero, altri codd. non voglio 18-19. altri codd. (con lievi varianti) della morte tua e della mia 22. L vedrai qui ora, H1 qui me vedrai 23. I scopiarmi 28. II om. e sospiri 32. II costante cuore e animo. |
p. 279 | 1. I, IV membra morte 4. I crescer dolore 7. L durezza e pertinacia del figliuolo, altri codd. om. e pertinacia 8. F11 om. a tentare, L a tentare agg. in interlinea 9. III om. suo 10. altri codd. chiamare 11. II ti curi 12. I, II soffersi: II t’à nutrito, I om. e il latte che ti nutricò 18. L che ora vi 29. altri codd. alcun riparo 21. I (lunga agg.; v. sopra a p. 412): altri codd. strano e difficile 24. v. sopra a p. 420 30. L om. grandemente, altri codd. om. umile benigna e grandemente 32. I (lunga agg.; v. sopra a p. 412). |
p. 280 | 1. II io ho trovato, I om. che io gli troverò 3. II fu guarito 4. II donne e fanciulle 9. v. sopra a p. 416 11-12. I (salvo F13), IV che ogni cosa allo ’namorato pare ugualmente licita (F13 rifà tutto il passo: ... provato. Io quanto che ogni cosa mi pari grave a soferire posso essere vero testimonio, in tanto che egli è licito assai cose a lo inamorato senza...) 15. altri codd. om. nipote 17. L om. già 19. altri codd. om. infinita 20. altri codd. om. racquistata 22. I (lunga agg.; v. sopra a p. 413) 24. L riducessi 25. I nimica e crudele, II, IV nimica e cruda: I (lunga agg.; v. sopra a p. 413) 31. L riprometta: altri codd. om. onore e 32. altri codd. om. all’abadessa 36. I (lunga agg.; v. sopra a p. 413). |
p. 281 | 2. II a volgere 5. altri codd. om. e sconoscentissima 10. altri codd. sono tutti meco 12. III om. paterna 16. II, IV om. e amantissima, I om. cara e amantissima 18-19. altri codd. Ippolito mio, certo tutto ti bascerei. E dette 21. II era cum molte lacrime ascoso, IV era ascoso, I era nascosto: II, IV stendendo 25. L anzi in un, F17 anzi un grandissimo (altri con) 27. I diceva con formate parole. |
p. 282 | I. F17 om. te, II om. te certo 2. II sanza il vederti, altri codd. om. cioè il vederti 5. altri codd. ascolta e ri(s)guarda 6. L a questa camera 8. II tutti i tuoi piaceri 10. altri codd. om. veramente 12. altri codd. che la mia e non 13. II osasse turbare il tuo sangue, I ardiscano toccare il tuo sangue, IV sofferissono di te sangue 16. è tenuta di fare 20. altri codd. e insieme deliberarono in quel luogo non maculare 25. altri codd. om. inimicizia e 26. II sarebbe disaventurato 28. I, IV tieni certo come, II om. tieni per certo che 30. L molto ti sarebbe a dolore. |
p. 283 | 5-6. v. sopra a p. 415, 419 7. F17 om. spesso 9. H1 F13 l’uno e l’altro promettiamo; altri codd. l’uno all’altro promettiamo 11-12. L non possa entrare nel mio altro che ’l dolce! Ipolito, nel tuo altro che l’amante Lionora, II intrare ad me altro che Ippolito e nel tuo 16 sgg. v . sopra a p. 420 22. II stava attenta alla finestra 27. I, IV Di che fuggendo lui 32. II (e F20) rubare, H1 F18 furare: II (e F18, F10) maravigliandosi, altri codd., maravigliossi 33. L e anche della confessione, I confession spontanea 35. L maravigliossi, altri codd. maravigliandosi 36. altri codd. om . bestiale. |
p. 284 | 1. I, F18 F20 principali, I ricchi uomini: I vorria, II, IV vorrebbe 2-3 . I vedendo la sua bellezza e gentil maniera quanto ch’egli era lizadro (H1 gentile) e iocondo assai se ne ebbe a miravigliar, ma poi pensando a la sua propria confessione 3. altri codd. om. infinita 6. L e altri codd. om. già 7. L soppidiano II, III om. desinando 12. L alla sua donna 14. L imbolare 20. v. sopra a p. 417 22. I maledetta e infelice Leonora, II, M maladetta Lionora 23. L vergognosamente corr. in verg. opera, altri codd. verg. opera 28. I adolorate, altri codd. om. dolorose 30. I Ippolito el quale condutto streto e ligato al banco de la rasone perseverò 31-32. I el fece retificare al banco e assignatoli il termine di tre giorni ad ogni sua difesa fu rimesso nella forte presone (F13 carcere) dentro ai ceppi. Di che 35. L e altri codd. om. e confessa. |
p. 285 | 7. altri codd. per tuo amore tal: L doveva io sentire al mio cuore quale si è quello ch'io sento 8-9. L non ti era a te bisogno de la roba d'altrui (v. sopra, p. 421) 12. altri codd. niente 16. v. sopra a p. 417 18. altri codd. om. trangosciata 20. altri codd. in gran tormento 23. v. sopra a p. 417 35. F18 F20 se n'andò in villa (!). |
p. 286 | 7. v . sopra a p. 419 11. I, IV prese licentia ultima, II prese licentia ultimamente 15. I, IV alla riscontra, II alla riscontra (a)giunto 16. L, II presa: II Mentre che 18. II lasciò il cavalier e 19. II amoroso 23. II davanti alle signorie loro, I a le loro signorie 25. II om. scapigliata, I scapigliata seguendoli (dietro) gran copia di populo dinanci a la signoria e al popolo astante disse Lionora queste parole, piena di dolore e di lacrime 29. altri codd. om. strana 32. II essere sempre defensore. |
p. 287 | I. L le maledette inimicizie, altri codd. dei nostri padri 4. H1 M om. per salvare il mio onore 6. I udito: M finisce con mio marito 9. II om. altrimenti 15-16. v. sopra a p. 419 22. L dunque mai de lo amore, I, IV (meno M) om. male, II adunque: dovemo noi dire male de lo amore 24. F17 dolore o dolceza. |
Note
- ↑ Per l’ed. padovana del 1471 vedi sopra a p. 369. Il nostro elenco di edizioni non pretende di essere completo; ma comprende quelle di cui abbiamo potuto rintracciare esemplari. Non trovo quella cit. da Hain, 9265, stampata a Torino da Fr. de Silva. Aggiungo in nota brevi indicazioni delle dieci edizioni, che ho potuto rintracciare, della redazione in versi della novella:
- 1. Firenze, Nicc. Laurentii, c. 1478 (GW 572).
- 2. Firenze, Bart. de’ Libri, 1482? (GW 573).
- 3. Venezia, Manfredus de Bonellis, 1493? (GW 574).
- 4. [Firenze, Laur. de Morgianis, 1495?] (GW 575; Brit. Mus. IA 27935; forse la stessa ed., assegnata però a Bart. de’ Libri, cit. al n. 154 dell’Indice Generale degli Incunaboli, vol. I?).
- 5. Firenze, presso al vescovado, 1560 (Brit. Mus. 11426. c . 10).
- 6. Firenze, [B. Sermartelli], 1570? (Brit. Mus. 11426. d. 13).
- 7. Firenze, [1600?] (Brit. Mus. 11427 . f . 1 [7]).
- 8. Lucca, 1818 (Brit. Mus. 1071 . c . 5 [6]).
- 9. Firenze, 1845, nel vol. III, pp. 301 -37 delle Op. volg. di L. B. Alberti (Bonucci) cit.
- 10. Firenze, 1915 (Brit. Mus. 11436, i. 29 -[4]).
- ↑ Opere volg., cit., III, pp. 269-73.
- ↑ Vedi sopra a pp. 369, 385.
- ↑ Vita di L. B. A. cit., pp. 79-80, in nota.
- ↑ La Novellistica, I, Milano, 1924, pp. 326-30.
- ↑ Un idéal humain au XVe siècle: L. B. Alberti cit., p. 39.
- ↑ Did L. B. Alberti write the «Istoria Amorosa fra L. de’ Bardi e pp. Buondelmonte»?, in «Italica», giugno, 1942, pp. 49-51 («the whole tone of the Ecatonfilea and the Deifira is misogynic, while that of the Istorietta is decidedly romantic») .
- ↑ Ed. cit. sopra al n. 14.
- ↑ I due codici sono il londinese, B. M. 38090, scoperto dalla Sig.ra Rawson (già Hammond), e il fiorentino, Arch. di Stato, Cerchi 16, venuto alla luce tramite l’Iter Italicum' del Kristeller.
- ↑ Il Singer (prefazione alla ed. cit. sopra, n. 9) pensò al Boccaccio perché nel suo cod. (ora Laur. Ashb. 1257), la novella figurava accanto a Fiammetta.
- ↑ Cfr. p . es. sopra a pp. 211 sgg., 276, 281, Deifira, passim.
- ↑ ’L. B. A., intercenali inedite, a cura di E. Garin, Quad. di «Rinascimento», 1964, pp. 127-42 .
- ↑ Op. volg. (Bonucci) cit., I, pp. XCV sgg.
- ↑ O. H. Moore, The Legend of Romeo and Juliet, Columbus, 1950, pp. 35-42, ove si parla delle fonti della nov. XXXIII di Masuccio.
- ↑ G. Petrocchi, Masuccio Guardati e la narrativa napoletana del '400, Firenze, 1953, pp. 51-65; Id., La prima redazione del «Novellino», nel G.S.L.I., cxxix, 1952, pp. 266 sgg. (da notare ivi, p. 292, nella nov. XXXI, qualche somiglianza con la nostra novella nella descrizione della fuga degli amanti, la scala tirata su alla finestra, ecc.).
- ↑ Vedi Bonucci, ed. cit., m, pp. 343 -46 . La frase latina sembra modellata sul virgiliano «ut vidi, ut perii»(Ecl. VIII . 42), col significato: «quando vidi, quanto credetti!»
- ↑ Sappiamo che le due famiglie in causa furono nemiche nel ’300 per motivi economici (vedi R. Davidsohn, Firenze ai tempi di Dante, Firenze, 1929, pp. u6 sgg.). I contrasti tra i Buondelmonti e altre famiglie (Acciaiuoli, Uberti) ispirarono novelle del Pecorone (VIII, I) e del Bandello (I, 1).
- ↑ Di questa suggestiva ipotesi sono debitore alla Sig.ra Rawson, la quale non solo scoprì il cod. londinese, ma mise a mia disposizione molto materiale da lei già raccolto intorno ai codd. e alle stampe di questa novella. Le esprimo qui pubblicamente la mia gratitudine. Sul caso Alberti-Gianfigliazzi vedi L. Passerini, Gli Alberti di Firenze cit., I, pp. 89-90, e cfr. F . C . Pellegrini, Introduzione a I primi tre libri della Famiglia, Firenze, 1913, pp. LXVIII-LXIX, ove si cita un passo delle Stor. fior. di P. Minerbetti intorno al matrimonio di Altobianco e Maddalena (sarà puro caso, ma vi ricorre spesso ad inizio di frase Di che).
- ↑ Studi su Lionardo Giustinian, in • Giorn. stor. d . lett . ital. &, CXLVIII, 1971, fase. 462 63, in ispecie a pp. rgr-gz. A giudicare dalla filigrana della carta, il cod. Magl. sarebbe veneziano e posteriore al 1473.
- ↑ Vedi l’elenco delle edizioni a p. 405, in nota.
- ↑ Il Bonucci invece supponeva il contrario, cioè che l’Alberti abbia steso prima la versione più lunga e poi l’abbia migliorata togliendo i passi in questione (ed. cit., p. 284, n. 2),