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Giornali e giornalisti

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Gl'inconsolabili Sangue italiano

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Giornali e giornalisti




I giornali politici si dividono per il solito in tre grandi categorie: Indipendenti, ministeriali e neutri.

— Quali sono i «Neutri?»

— Si chiamano così tutti quei fogli che, nella stampa periodica, non hanno un sesso determinato.

Ermafroditi della politica, nascono all’improvviso in qualche modesta stamperia; sbadigliano un programma senza colori e senza sapori, e dopo aver campato sei mesi o un anno cibandosi di abbonamenti anticipati e d’inserzioni a pagamento, muojono un bel giorno, di morte repentina, lasciando in mezzo alla strada un gerente orfano e uno stampatore inconsolabile, per conti non soddisfatti.


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— Che cosa è un «Giornale serio?»

— Nell’opinione di molti, giornale serio è quasi sempre sinonimo di giornale nojoso. [p. 62 modifica]Viceversa poi, giornale nojoso è sempre sinonimo di giornale serio.

— Che cosa sono i «Giornali umoristici?»

— Si regalano da se stessi il soprannome di «umoristici» quei giornali che fanno ridere, o che suppongono di far ridere. Se per caso, leggendoli, nessuno ride, la colpa si capisce bene che è tutta dei lettori. Un lettore che compra un giornale umoristico, e poi non ride, è un imbecille che non sa spendere i suoi quattrini giustificati. Merita il curatore.

— A che servono i «Giornali pornografici?»

— Servono a dire in pubblico tutte quelle cose che, per decenza, non è permesso dirle in privato.


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— Che cosa si deve intendere, nel dialetto giornalistico, per «un bell’articolo?»

— Nel dialetto giornalistico, un bell’articolo è quello che piace a molti e che dispiace a moltissimi. In politica un articolo che abbia la disgrazia di piacere a tutti, non può essere mai un bell’articolo.

— Definitemi «l’articolo di fondo».

— L’articolo di fondo in molti casi si potrebbe definire come la linea in geometria; vale a dire, una lunghezza, senza larghezza e senza profondità. —


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Si nasce poeti, ma non c’è bisogno di nascere giornalisti. Vero è che una volta giornalisti, si muore giornalisti. Semel abbas, semper abbas.

Il giornalismo è la camicia di Nesso: una volta infilata e messa addosso, non c’è verso di levarsela più.

Un novizio che voglia dedicarsi all’arte del giornalista, bisogna prima di tutto che interroghi se stesso, per conoscere se debba arruolarsi tra i fantaccini ministeriali, o piuttosto nei cavalleggeri dell’Opposizione.


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Assioma: per essere giornalista ministeriale non importa fare il panegirico del ministero regnante: basta dir male degli uomini, che probabilmente gli dovrebbero succedere.

I ministri sono bravissime persone; ma, in generale, hanno le medesime debolezze delle prime donne di teatro. Una prima donna di teatro si rassegna facilmente a non essere lodata dall’amico giornalista, a patto, che il giornalista amico qualifichi per cagne tutte le prime donne che dovranno cantare dopo di lei.

Caso poi il neofito volesse entrare nell’Opposizione, allora è un altro paio di maniche.

Tanto per dare un saggio del suo virulento linguaggio, può rifarsi subito dallo scrivere un [p. 64 modifica]articolo contro il Municipio. Che il Municipio se lo meriti o no, poco importa. Oramai si sa che i Municipi sono come i cani del professore Schiff: furono creati apposta perchè i giornalisti novellini potessero farvi delle esperienze di stile aggressivo in anima vili.

Fatalità delle umane sorti! Il Municipio è l’unica istituzione di questo mondo, della quale, tutti ne possono dir male impunemente: tanto è vero, che ne dicono male perfino gli stessi consiglieri municipali.


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L’arrivo della posta. — Il momento più solenne nella vita quotidiana del giornalista, è l’arrivo della posta.

In quel momento la sua tavola si allaga di lettere e di giornali, da doversi spogliare.

La frase «spogliare i giornali» deriva da quell’altra frase più antica che dice «spogliare i passeggieri» e significa saccheggiare un foglio politico, per portargli via le notizie più fresche e gli articoli più appetitosi. Quando si ripubblicano queste notizie e questi articoli, usa qualche volta di citare il nome del giornale svaligiato: e qualche volta no.

Nel secondo caso, i giornali che si trovano svaligiati, senza nemmeno la magra consolazione di veder citato il loro nome, mandano acutissime grida di dolore: ma i loro lamenti nella gran famiglia giornalistica destano quello stesso senso [p. 65 modifica]d’ilarità o di compassione, che farebbero i lamenti di un povero diavolo di collegiale, che incocciasse sul serio, incontrando la ballerina rivestita e foraggiata da lui, a braccetto per la strada con un altro!


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Dopo lo spoglio dei giornali, tocca quello delle lettere.

Fra le tante lettere, ve ne hanno alcune che racchiudono un vaglia, e queste sono le migliori. Il giornalista non si picca di avere un gusto letterario squisitissimo, e confessa candidamente che le lettere con vaglia postale le preferisce alle lettere di Cicerone e di Annibal Caro.

Vengono poi le lettere anonime, sempre spregevoli, e che il vero giornalista non legge mai, perché sa, su per giù, quello che dicono.

Peraltro si trovano delle lettere anche più spregevoli delle anonime, e sono le lettere «non affrancate». Queste il giornalista le respinge senza pietà. L’uomo onesto si firma; l’uomo onestissimo si firma e mette il francobollo.

Fra le lettere anonime, figurano tutte quelle firmate con qualche Pseudonimo. Nel carteggio epistolare, il Pseudonimo rappresenta il coraggio della paura: è il pudore della libidine, è il ti vedo e il non ti vedo della vergognosa dipinta nel Camposanto di Pisa. I Pseudonimi possono chiamarsi gli eroi della prudenza: avrebbero da dire molte verità acerbe, dure, pungenti, ma vorrebbero che qualche giornalista compiacente [p. 66 modifica]mostrasse il viso per loro, e se ne facesse responsabile. I Pseudonimi finiscono sempre le loro lettere protestando che, se si nascondono, hanno però il coraggio della propria opinione, e sarà vero: peccato, che non abbiano nessuna opinione del proprio coraggio.

Vengono da ultimo le lettere dei corrispondenti ordinarj e straordinarj: poi quelle degli amici, che dicono al giornalista «coraggio e avanti!», poi quelle degli invidiosi, che gridano «faresti meglio a smettere», poi quelle dei soliti lettori assidui, che hanno sempre da lamentarsi del Municipio, che dorme il sonno di Parisina (com’è noto, Parisina dormiva e chiacchierava), del Governo che non governa, dei Tranvai perché corrono troppo, dei portalettere perché corrono poco, dei borsajuoli perché fanno il loro dovere, e delle guardie di questura perché non lo fanno.

Il giornalista, com’è naturale, non può accogliere nel suo foglio tutta quella valanga di epistole inedite, che gli casca addosso ogni mattina. Allora che fa? sceglie il fior fiore, e il resto lo condanna all’oblio, cacciandolo in quella paniera senza fondo, dove gli agenti delle tasse mettono a purgare i ricorsi contro la Ricchezza Mobile e la Tassa sui Fabbricati.


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Interno della Redazione di un giornale ministeriale. — Due uomini che, lisciandosi i baffi, stanno scrivendo un articolo politico, il quale [p. 67 modifica]per il solito comincia con queste parole: Siamo lieti....

Interno della Redazione di un giornale di opposizione. — Due uomini che, mangiandosi i baffi, stanno scrivendo un articolo politico, il quale per il solito comincia con queste parole: Siamo dolenti....

Interno della Redazione di un giornale umoristico. — Un uomo di spirito, fra i dodici e i cinquant’anni, che rilegge alcuni foglietti manoscritti; e dopo aver borbottato fra’ denti: — «Quante scioccherie! quante scioccherie!» consegna i foglietti al ragazzo di stamperia, dicendogli: — «Ecco l’articolo di fondo!».

— Qual’è la ricetta per fare un «Uomo di spirito?»

— Per fare un uomo di spirito ci vogliono almeno due persone: cioè, una persona che sappia dire una freddura, e un’altra che gli faccia il piacere di ridere.

Interno della Redazione di un giornale senza redattori. — Un uomo che fuma affacciato alla finestra, e sulla tavola un lapis rosso e un pajo di forbici che lavorano.


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Varietà della specie. — Oltre l’articolista politico, entrano a far parte della redazione d’un giornale, i seguenti:

il romanziere,

l’appendicista,

[p. 68 modifica]il fatti-diversaio, ossia il compilatore dei fatti diversi e della cronaca della città,

il corrispondente a piè fermo,

e quello «che fa la Camera» ossia il redattore incaricato di fare il rendiconto delle sedute parlamentari.


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Romanzi da giornale. — I migliori romanzi da giornale sono quelli che si promettono, e poi non si dànno. Questi romanzi sfuggono alla critica e lasciano nel lettore il dubbio che potessero riuscire interessanti. Questo dubbio è sempre migliore d’ogni certezza!

Vengono dopo i romanzi, che incominciano e non finiscono. Anche questi non mancano di una certa tal quale attrattiva; e in molti casi si possono rassomigliare a quelle gonnelle civettuole, che alzandosi un po’ più del bisogno ti lasciano intravedere soltanto lo stivaletto: ma uno stivaletto che ti fa pensare alla giarrettiera.

Appendicista musicale. — Regola generale: per parlare autorevolmente di musica occorrono due cose principalissime: non saper nulla di musica, e figurarsi d’essere un grand’intelligente.

La musica e la politica sono due materie di dominio pubblico: tutti ne possono discorrere a diritto e a rovescio: anche i sordi e gli analfabeti. Prova ne sia, che le quistioni musicali e politiche, quando finiscono, finiscono quasi sempre così: che nessuno ha torto e nessuno ha ragione.


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La rassegna drammatica. — Si piglia una commedia nuova, si disossa, se ne fa un cibreo, e presentandolo al lettore in quattro colonnine d’appendice, si dice mentalmente: — «Se ci capisci qualcosa sei più bravo di me!».

Intanto, delle due, una:

O il lettore ha veduto da sè la commedia, e allora la rassegna drammatica, per quanto s’ingegni d’imbrogliarlo, non sarà capace di fargli perdere il filo;

O il lettore non è stato alla commedia, e in questo caso, dopo letta la rassegna gli entrerà subito una gran voglia di andarla a sentire. Non c’è una cosa che stuzzichi tanto la curiosità umana, quanto una commedia nuova, raccontata in modo da non capirla.

Rispetto poi al giudizio da doverne dare, bisogna ricordarsi che c’è un frasario accomodato a tutti i casi e a tutti i bisogni.

Per esempio:

Se la commedia è di un amico, e se il pubblico ha sbadigliato durante tutta la recita indecentemente, si adopra per il solito la formula:

— «Non vi furono applausi entusiastici, ma può chiamarsi un vero successo di stima».

Voi mi direte che questa è una pietosa bugia: lo so; ma d’altra parte, un autore drammatico «sbadigliato» si contenta di così poco! [p. 70 modifica]

Se poi la commedia è stata fischiata con tutte le regole, cioè con fischi umani, metallici, chiavi di casa e altri strumenti a fiato, allora per consolare l’amico si tira fuori dalla cassetta questa vecchia frase rinfrescante e sedativa: — «Si consoli l’autore! Il pubblico che l’ha fischiato, non era il solito pubblico delle altre sere, quel pubblico intelligente, educato e giudice imparziale dei veri ingegni drammatici: ma era un pubblico di giovani di banco, di pizzicagnoli, di mercatini, di ciccajoli, di garzoni di stalla e di guardie di pubblica sicurezza travestite».

Questa frase rinfrescante e sedativa applicata a tempo sugli autori fischiati, fa lo stesso effetto dell’arnica sopra i tagli e le stincature.

Quanto alla filastrocca degli epiteti ingiuriosi regalati al pubblico del teatro, il giornalista sa benissimo che può sbizzarrirsi a piacere; tanto più che, da che mondo è mondo, non c’è esempio di un pubblico teatrale, che abbia mandato i suoi padrini a casa d’un giornalista.

Nel caso che la commedia nuova non sia d’un amico, allora il critico è padrone di dirne bene o male, a seconda di quello che gli detta la coscienza, o gli stivali che ha in piedi.

È impossibile immaginarsi la grande influenza che possono avere sopra la maggiore o minore benignità d’una rassegna drammatica un paio di stivali comodi o troppo stretti! Se i calzolai lo sapessero!... [p. 71 modifica]

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Il Fatti-diversaio, o Compilatore della cronaca di città. — Il raccoglitore delle notizie della città è come i cavalli da corsa: bisogna subito guardarlo nelle gambe!

Deve correre di qua, e di là, dalla questura al municipio, dal municipio alla strada ferrata, e traversando la città per ogni verso, è condannato a camminare sempre col naso in aria e cogli occhi dappertutto, al selciato, alle fogne, alle vetture pubbliche, ai lampioni a gaz, alla mostra delle botteghe, agli spropositi degli avvisi e ai cartelli dei teatri.

Il suo ufficio, sebbene modestissimo, può pigliare da un momento all’altro una grande importanza: tutto sta che conosca a fondo il mestiere.

Per esempio: un cronista svelto, fra le altre notizie, ne mette di tanto in tanto qualcuna di questo genere qui:

«Da qualche giorno era corsa la voce che il nostro Municipio fosse venuto nell’idea di rimuovere il Duomo dalla piazza dov’è, per trasportarlo fuori della cinta daziaria. Noi combattemmo questo progetto, sembrandoci di pericolosa esecuzione. Oggi siamo lieti di annunziare che il prelodato Municipio, arrendendosi alle nostre osservazioni, ha definitivamente risolto di lasciare il Duomo nel medesimo luogo dov’è stato finora».

Il cronista della città, pigliando tutti i giorni questa intonazione di tutore amoroso e di [p. 72 modifica]direttore temporale e spirituale dei Municipio, finisce prima o poi col mettere in soggezione lo stesso Sindaco, e può darsi benissimo che un bel giorno si trovi nominato Colonnello onorario del corpo dei Pompieri.


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— Che cos’è il «Corrispondente a piè fermo?»

— È l’uomo-valigia.

Rivolgetevi a lui, e in meno di un quarto d’ora vi consegna le «corrispondenze dirette» provenienti dalle principali capitali d’Europa.

Queste corrispondenze, quando passano alla stamperia, pigliano il nome di «lettere particolari».

Perchè «particolari?» Vattel’a pesca! Forse per far capire che non hanno nulla di comune con tutte le altre lettere, che viaggiano con la posta.

Nella compra e vendita dei vini, quando un vino nostrale vogliamo venderlo per forestiero, si costuma di aggraziarlo con un leggerissimo odore di catrame. Altrettanto fa il corrispondente, pratico e svelto colle sue «lettere particolari» scritte nell’uffizio del giornale, e datate da Parigi o da Londra o da un’altra gran città: l’aggrazia con un po’ di catrame forestiero.

Esempio:

Il direttore ha bisogno per il suo giornale d’una «Corrispondenza», che faccia le viste di venir direttamente da Parigi. [p. 73 modifica]

Perchè la corrispondenza sappia un po’ di catrame, il corrispondente a piè fermo la comincia così:


Parigi, (dì tanti!)

«....Stamani, traversando la piazza della Borsa, ho incontrato il vostro ambasciatore, il quale aveva il pizzo e i baffi più neri del solito, indizio sicuro che le relazioni fra la Francia e il Governo italiano non sono presentemente così amichevoli, come alcuni giornali vorrebbero far credere. L’egregio Generale mi è venuto incontro, e, stringendomi la mano, mi ha domandato colla sua solita affabilità....»

A questo punto la «Corrispondenza» piglia l’aìre e se ne va sino in fondo leggera leggera, sebbene sia gravida di rivelazioni officiali, di segreti di gabinetto, di notizie di gran peso e di altre cose pesanti.

Supposto, invece, che la «Corrispondenza» debba portare la data di Pietroburgo, il corrispondente (a piè fermo) la finisce suppergiù con queste notizie locali, che nessun organo officioso ha mai potuto smentire.


Pietroburgo, 15 gennajo.

«....Qui abbiamo un freddo del diavolo.

La Neva è gelata.

Il mio padrone di casa, un vecchio moscovita che ha lasciato una gamba sulla Beresina, [p. 74 modifica]un braccio a Smolensko,... e il cuore a Varsavia mi assicurava ieri sera che, dopo il famoso inverno del 1812, non aveva mai sentito un freddo uguale.

Questo venerando patriotta, che mi onora della sua confidenza, è grandemente stimato nei circoli politici della giovine Russia, e gode tutta la fiducia del primo cameriere dell’Imperatore. Credo di avervi detto abbastanza per farvi capire a quali fonti ho potuto attingere le importantissime notizie, che oggi vi mando».


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— Definitemi ora il giornalista incaricato di «far la Camera».

— L’arte di «far la Camera» ossia di tirare a volo sui discorsi che escono di bocca ai Deputati, è una cosa delicatissima! Non s’insegna, e non s’impara: bisogna sentirla!

— Perchè nel dialetto giornalistico, si dice «far la Camera?»

— Nessuno l’ha saputo mai. Sarebbe lo stesso che domandare ai parrucchieri e ai barbieri, perchè dicono «far la barba» quando, invece, è provato che la disfanno. —

Il giornalista che «fa la Camera» occorre, prima di tutto, che sappia prendere l’intonazione precisa del giornale, per il quale scrive i resoconti parlamentari.

[p. 75 modifica]Nel giornalismo politico avviene lo stesso che nella musica: si riduce tutto a questione d’orecchio.

Leggete, per esempio, il resoconto di una seduta in qualche giornale ministeriale; e poi andate a rileggerlo nelle colonne d’un foglio dell’opposizione. Sentirete che il tema è lo stesso: ma quanti cambiamenti di tono, quanti smorzi, quante variazioni, quante puntature e quanta diversità di cadenze!

Figuratevi d’essere alla Camera. Ha la parola un avversario del Ministero.

Durante il «discorso antiministeriale» qualche deputato alza la mano per mandar via un’importunissima mosca, incaponita a volergli misurare a passi geometrici la lunghezza del naso. Quell’alzata di mano un po’ vivace e concitata, è presa subito a volo da qualche rendicontista d’un giornale ministeriale, il quale apre subito una parentesi, e scrive: — «mani per aria e vivissimi segni d’impazienza sopra molti banchi della Camera».

Intanto il «discorso contro il Ministero» continua, e va per le lunghe: anche troppo per le lunghe.

Allora si sente una voce dalla tribuna pubblica che grida: — Bene! Bravo! — (è la voce del domestico dell’oratore, il quale vuol far capire al suo padrone che l’ora comincia a farsi tarda, e che il risotto patisce).

Il presidente dà un’occhiataccia in su, ma i rendicontisti dell’opposizione, cogliendo a frullo [p. 76 modifica]quel Bene! e quel Bravo! piovuti dalla piccionaia, aprono anch’essi una parentesi, scrivendo in lettere sottolineate — «sensazione profonda nella Camera e nelle tribune».


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Tutti i giornali politici hanno un gerente responsabile.

— Che cos’è il gerente responsabile?

— Ce ne sono di due specie: veri e falsi. —

Un gerente che sappia leggere e scrivere, non è più un gerente: è una comparsa teatrale, è un moro colla faccia tinta di cioccolata.

Il gerente vero, genuino, quello tutta lana, come le flanelle inglesi, è il mammifero bipede, nello stato vergine d’analfabeta. Esso ha imparato a fare la propria firma per Uso del Procuratore del Re, con lo stesso metodo, col quale imparò a fare le gabbie per gli uccelli, cioè a furia di stecchi e di pazienza. La legge non riconosce nello Stato altri giornalisti fuori di lui.

Il gerente è sempre gerente; diventa giornalista soltanto dinanzi alla Corte d’Assise. È là ch’egli deve rispondere di un articolo che non ha scritto, che non ha letto e non leggerà mai.

Mille ottocent’anni addietro, il proconsolo Pilato, per salvare l’Uomo di Nazaret, offerse al popolo l’imputato Barabba; ma gli ebrei ricusarono.

Oggi la legge, per salvare lo scrittore, ha proposto di mettere in carcere l’analfabeta; e i [p. 77 modifica]cristiani, da buoni cristiani, hanno risposto: — Sta bene! —

C’è chi dice che il gerente responsabile sia una finzione trovata apposta per tutelare maggiormente la libertà di stampa. E sarà così! Ma, finzione per finzione, non capisco perchè i tribunali non debbano condannare piuttosto il calamaio o la penna. Nei reati di stampa, fra il gerente e il calamaio, il più colpevole senza dubbio il calamaio.


*


Gli amici del giornale! Ogni giornale ha i suoi amici, come ogni cane ha le sue pulci.

Si chiamano amici del giornale quelli che vengono tutti i giorni a passare una mezz’ora o un’ora nelle stanze della Redazione. Non scrivono mai; ma consigliano, suggeriscono, censurano; e se c’è qualche articolo che non vada loro a genio, si arrabbiano e se la pigliano coi redattori, come potrebbe fare un Padre scolopio co’ suoi scolari.

Batti oggi, batti domani, finiscono col credere in buona fede d’esser loro quelli che fanno il giornale: tant’è vero che, quando ne parlano cogli altri, usano dire:

— Il nostro articolo di stamani ha fatto chiasso. —

Oppure:

— Ierisera, finalmente, ci siamo decisi a sostenere il Ministero. — [p. 78 modifica]

O anche:

— Il giornale va piuttosto bene, ma abbiamo una amministrazione che costa un occhio. —

Fra gli «amici del giornale» spiccano alcuni tipi curiosi, che valgono la spesa d’un po’ di ritratto.

Eccovi, in capofila, «l’amico di tutti» — s’intende bene, di tutti i giornali, sieno ministeriali, radicali, rossi, neri, compresi quelli di tutti i colori, come le ciarpe da collo dei contadini nei giorni di gala.

L’amico di tutti, mette il naso in tutte le Redazioni della stampa periodica. Non soffre di scrupoli nè di antipatie di partito, e se questa tolleranza veramente evangelica facesse caso a qualcuno, l’amico risponde subito che, in politica, egli non cerca altro che l’uomo onesto. E per lui tutti gli uomini politici sono onesti, fino a tanto che non sia dimostrato che abbiano alleggerito il prossimo dell’orologio o del portafogli.

Non ha opinioni nè convinzioni; o se le ha, non se n’è mai accorto. È repubblicano per principio, monarchico per opportunità, governativo per amor dell’ordine, dell’opposizione per antipatia alle tasse.


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Vi presento un altro tipo: «l’amico a carico».

Càpita nella Redazione, quando per l’appunto tutti i redattori hanno moltissimo da fare.

Entra dentro alla stanza improvvisamente e screanzatamente, come una ventata; dà [p. 79 modifica]un’occhiata a tutti i giornali, fuori che a quello de’ suoi amici (che non legge mai), e finisce col mettersi in tasca il Pasquino e l’Unità Cattolica, i soli giornali — dice lui — dove ci sia un po’ di serietà e un po’ di sugo.

Dopo questo complimento fa l’atto di andarsene; ma, giunto sulla porta, ritorna indietro per chiedere un foglio di carta da lettere, un mazzetto di buste, un cannello di ceralacca, una candela accesa, un francobollo da venti, un sigaro di quelli colla paglia, e che vada bene, una scatola di fiammiferi di cera, un bicchier d’acqua possibilmente collo zucchero; e dopo aver bevuto, ringrazia col dire che non sa davvero intendere come mai un giornale «che si rispetta» non tenga del Vermouth di Torino o del Cognac vecchio per dissetare gli amici.

Un bel giorno comincia a diradare le sue visite e qualche volta non si fa più vedere. Se poi qualcuno gli domanda perchè abbia abbandonato gli amici del giornale, risponde a faccia fresca:

— Era impossibile andare d’accordo. Buonissimi figliuoli, ma troppo gretti d’idee! Figuratevi che in sette mesi di grandissima intimità, non m’hanno nemmeno offerto il rosbiffe dell’amicizia! —


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Vien terzo «l’Amico bene-informato».

È un animale curioso, passato d’occhio a Buffon e a tutti gli altri naturalisti. Si ciba di « [p. 80 modifica]notizie particolari e riservatissime» e, quando ha sete, beve soltanto alle «sorgenti officiali» e alle fonti buone». Cammina col passo tragico e cadenzato dei tiranni dell’Alfieri: porta il cappello tirato in giù, e il bavero del soprabito tirato in su: saluta cogli occhi: parla pochissimo: non ride mai, un po’ perchè ha l’anima esulcerata dai disinganni, e un po’ perchè soffre di fegato e di cambiali in scadenza.


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Il venditore di giornali o giornalaio.

Arriva ultimo e fa da coda; ma è la coda del leone!

Sopprimete il venditore, e il giornalismo militante non esiste più.

I giornali che non hanno venditori, somigliano tutti alla Gazzetta officiale, la quale nasce in silenzio, si pubblica in silenzio e muore in silenzio.

Abbonarsi alla Gazzetta officiale è lo stesso che fare amicizia con una persona che sia fioca da un anno all’altro. Siamo in due a patire.

Il venditore di giornali ha tutta la coscenza della propria dignità e della propria voce. Non urla per urlare; ma urla per convincere. La sua voce è piena d’intelligenza; è la voce stonata dell’apostolo, che grida alle turbe: «Zucconi! spendete cinque centesimi e illuminatevi!».

Invitatelo, ed esso presta volentieri i suoi «mezzi vocali» ai giornali d’ogni colore: per [p. 81 modifica]altro tutte le sue simpatie sono riserbate per i fogli della democrazia radicale. Che il governo non si faccia illusioni! Fra tutti i venditori di giornali, non può contare sopra un solo amico!


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La morale dei giornalismo:

All’onorevole Giorgini gli parve un giorno di aver detto una singolarissima cosa, quando disse alla Camera che «il potere in Italia non aveva arricchito nessuno».

O il giornalismo chi ha mai arricchito?...

O il giuoco del lotto?...