Notizie del bello, dell'antico, e del curioso della città di Napoli/Della religione
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DELLA RELIGIONE
Circa poi la Religione, la nostra Napoli (come si disse) fu ella città Italo-greca, e come tale osservò tutti i riti, circa la religione, che si praticavano in Atene. Adorarono Giove Olimpio, il Sole sotto nome di Apollo, la Luna sotto forma di Diana, Nettuno, Cerere, Ercole, Serapide, Castore e Polluce, ed altri falsi Dei della cieca gentilità: ed a questi innalzarono tempii, de’ quali in veder la città se ne mostreranno le vestigia, ed anche v’introdussero tutti quei giuochi, feste, e sacrifizi, ohe a simili Dii erano in Alene consecrati; come i giuochi Ginnici, i Circensi, i Lampadii, e sino i sacri Eleusini; ne’ quali entrar non poteva, chi seco portava macchia indegna d’errore; per lo che Nerone, non volle entrarvi, ed a tale effetto fabbricarono famosi Teatri, Ginnasii Terme, strade dette Corsi Lampadii; e tutt altro che costituir la potevano perfetta, e religiosa città all’uso de’ Greci. I vincitori poi ne’ detti giuochi erano gloriosamente premiati, come attestato viene da molti marmi nella nostra città trovati. Confederata; e poscia governata da’ Romani, coniinuò negli stessi riti; benchè da questi quelli de’ Romani poco o nulla differissero: atteso che da’ Greci appresi li avevano; anzi i giuochi Ginnici l’ebbero da’ Napolitani; ed a similitudine del nostro fabbricarono il Ginnasio in Roma.
Nell’anno poi 43 della nostra Redenzione essendo capitato per mare in Napoli il Principe degli Apostoli S. Pietro per passare in Roma ed evangelizzare, osserrando Napoli città così bella ed amena; e sopratulto gli abitanti docili ed amici dell’ospitalità, volle principiare a piantarvi la nostra Sacrosanta Fede; e precedendo alcuni miracoli, come in osservare il santo bastone dell’Apostolo nella nostra Cattedrale se ne darà notizia, battezzò Santa Candida, e poi Santo Aspreno, che creò Vescovo della città, e molti e molti altri cittadini. Ed essendosi propagata la Fede, fu così costantemente osservata e mantenuta, che finora sempre pura, sempre intatta si e veduta; ancorchè la nostra città sia stata agitata da tante barbare nazioni; e particolarmente da alcune infette dell’Arriana eresia; e perciò ella tiene il glorioso titolo di Fedelissima.
Il nostro Santo Vescovo Aspreno, con la prima cristiana Candida edificarono un Oratorio, dedicato alla Vergine, che fino a questi nostri tempi vedesi in piedi, e quivi s’adunavano per le sacre funzioni i novelli Cristiani.
In questa città non si sono sentiti i rigori delle persecuzioni contro i seguaci di Gesù Cristo; perchè era questa città Greca confederata co’ Romani; e sotto il dominio degli Imperatori manteneva i privilegi della sua antica libertà. Oltre che essendo Camera Imperiale, era luogo immune. E da questo nasce che i territorii in que’ tempi da Napolitani posseduti, non si vedono bagnati dal sangue de’ martirizzati per Cristo. E quindi avvenne che il nostro Protettore S. Gennaro fu menato da Nola a Pozzuoli per essere martirizzato.
Ricevuta poi la quiete la Chiesa Cattolica dall’Imperator Costantino il Grande, lo stesso Costantino dopo d’aver fatto edificare le sacre Basiliche in Roma, ne fece edificare una in Napoli, e la dedicò alla Santissima Vergine ed alla Martire Restituta (come nella prima giornata si vedrà) e la dotò di ricche rendite. In questa chiesa è il già detto oratorio di S. Candida, dove si vede la prima immagine della Vergine esposta alla pubblica adorazione, non solo in Napoli, ma in tutta l’Italia. Questa chiesa e esente dall’Arcivescovo, e visitandola, la visita come Delegato Apostolico. Appresso poi molti altri tempii de’ falsi riti furono cambiati in Basiliche Cristiane, come a suo tempo si vedrà.
Fondata la chiesa già detta di S. Restituta, vi stabilì un capitolo di quattordici Canonici, sette Preti, e sette Diaconi; assegnando loro buone rendite, delle quali la maggior parte si posseggono oggi dalla mensa Arcivescovile.
Fu poscia detto Capitolo accresciuto al numero di quaranta Canonici; indi al tempo del Pontefice Sisto V fu ridotto a trenta; i quali vengono divisi in quattro ordini, cioè sette Preti prebendati, otto semplici, sette Diaconi, e otto suddiaconi, i quali vestono nelle funzioni all’uso de’ canonici di S. Pietro, con le loro cappe concistoriali; ed hanno l’uso della mitra, quando celebra l’Arcivescovo.
In quattro mesi dell’anno vacando canonicati semplici, per privilegio, ha il Capitolo la simultanea con l’Arcivescovo nell’elezione delli nuovi Canonici; come da tempo immemorabile ne sta in possesso.
In questo così antico Capitolo non vi sono dignità, ma tutti sunt in dignitate constituti: come sta dichiarato dalla S. Rota Romana.
Vi erano ancora quaranta Cappellani, degli quali ventidue dal S. Vescovo Attanasio ne furono dotati; e con bolla sono promossi al titolo di Eddomadarii, che sono appunto come i Beneficiati di S. Pietro, e così vestono, ed officiano in Coro con i Canonici; quali v'intervengono per quarta parte in ogni settimana, fuorchè nell’Avvento per terza parte, e nella Quaresima per metà.
I Beneficiati però intervengono in tutto l’anno per metà. Vi sono ancora diciotto sacerdoti che detti vengono i Quaranta, che sono il compimento de’ quaranta sacerdoti uniti alli ventidue Eddomadarii. Questi per alcune rendite loro lasciate sono anche promossi con bolla; e portano nelle pubbliche funzioni l’antica loro dalmuzia su la cotta, e questi assistono alli Canonici, ed agli Eddomadarii quando celebrano. Vi è il Seminario, il quale ne’ giorni festivi assiste nel coro con le cotte. Questo vien composto da ottanta chierici tra alunni e convittori; vestono sottana di color violaceo, con finimenti di cremisi. Sono questi eruditi, non solo nella via dello spirito, ma anche nelle buone lettere: avendo a ciò maestri, come a suo luogo si dirà.
Sono stati di questo nostro Capitolo tre Sommi Pontefici, e sono Petrino Tomacello, detto nel Pontificato Innocenzio IX, Baldassarre Coscia, detto Giovanni XXIII, e Giovan Pietro Carafa poi nel Pontificato Paolo IV. Vi sono moltissimi Cardinali, e tra Arcivescovi e Vescovi più di duemila e dugento. In modo che il Cardinal Montalto, poi Sisto V lo chiamò Seminario de’Vescovi. E nel suo tempo ve n’erano ventotto viventi.
Il Clero poi, nè più modesto, nè più composto, nè più esemplare, nè più dotto stimo che veder si possa. Arrivano i sacerdoti secolari napolitani al numero di settecento. Ed i chierici al numero di quattrocento. I preti poi forestieri arrivano quasi al numero di tremila.
Or quì è di bisogno dare un saggio del divoto affetto de’ nostri Napolitani verso la nostra vera ed incontrastabile Religione.
Vi sono in Napoli nella nostra città e borghi trecento e quattro Chiese tutte da potersi vedere per belle e per divote; e fra queste vi sono quindici formatissimi Conventi di Domenicani. De’ Francescani, inclusi i Riformati, Cappuccini, e Minori Conventuali, diciassette. D’Agostiniani, inclusi gli Scalzi, otto. De’ Carmelitani, inclusi gli Scalzi, nove. De’ Certosini, Camaldolesi, ed altri Benedettini, nove. De’ Canonici Regolari del Salvatore, o Lateranensi, quattro. De’ Minimi di S. Francesco di Paola, quattro. Dei Servi della Madonna, tre. D’ Eremitani di S. Geronimo, uno. De’ Basiliani, uno. De’ Buoni Fratelli, uno. De’ Frati Spagnuoli, cinque. De’ Gesuiti una Casa professa e cinque Collegi. De’ Padri Teatini sei Case. De’ Chierici Regolari Minori, tre. De’ Barnabiti, due. De’ Minimi degli Infermi, tre. De’ Padri dell’Oratorio, uno. De’ Pii Operarii, tre. Delle Scuole Pie, due. De’ Padri Lucchesi, due. De’ Monasteri claustrali di donne, sotto diverse Regole, trentatre. Dei Conservatorii di donne, inclusi i Tempii ed i Collegii, trentatre. Vi sono sei famosi Ospedali per gl’infermi, e due per i Pellegrini. Vi sono quattro Seminarii per gli orfanelli, ed uno per i poveri vecchi; come di tutti si darà notizia nella giornata che faremo. Ora la maggior parte di queste Chiese, Luoghi Pii, Monasterii e Conventi ricevono la loro fondazione dalla pietà de’ Napolitani, e particolarmente da donne nobili1.
Note
- ↑ La Religione professata dalia popolazione della nostra Città dai tempi della sua origine fino all’introduzione dell’Evangelo fu quella che antichissimamente dall’Attica in questi lidi i primi Greci vi trasportarono. Ma a ben comprenderla vuolsi innanzi tratto avvertire, che quando i popoli di varia stirpe ragunavansi in un paese per abitarvi, o ad una qualche città ricoveravano, allora il fondator della colonia o i capi della città che accoglievali, loro assegnava con i luoghi da abitarsi dalle famiglie anche i numi che dovevano adorare, come Cerere agli agricoltori, Nettuno a’ marinari, Mercurio alla gente di traffico, ec. Così troviamo aver prescritto Platone, e cosi fu praticato da Romolo. Ma alle genti peregrine che in nuova stanza si congregavano, non solo non vietavasi, ma era obbligo di gratitudine adorare i numi de’ loro padri, che dal suolo natio gli avevano nel viaggio con prosperità accompagnati. Ed ecco gli Dei patròi, cioè gli Dei avìti, gli Dei de’ padri, quelli che aveva portati alla nuova città la gente forestiera; laddove gli Dei delle Fratria venner chiamati, come abbiam cennato Dei fretores ovvero Dei fretrii. Queste due classi di numi furono adorate anche in Napoli. Osserviam, di grazia, i pochi avanzi che ad onta del tempo edace ci rimangono; rileggiamo le iscrizioni in qualche modo conservate; riscontriamo le monete tuttora esistenti; riflettiamo a’ luoghi, dove per tradizione costante si assicura esservi stati tempii, are, ed altri edifizî sacri ed uno stuolo di pagane deità, e troveremo che i Napolitani por lunghissimo tempo quel modo di vivere, que’ riti, quelle superstiziose usanze ebbero in pratica, che i Greci nelle loro rispettive patrie tenacemente avevano conservato. Vi si accoppiarono poscia quelle de’ Campani, e da ultimo le romane, cosicchè il numero degli Dei Napolitani crebbe tanto per ogni dove, per qualunque impiego, atto, o faccenda, che, Quartilla, come abbiamo in Petronio, solea dire esser più facile in quel tempo trovarsi ad ogni passo nella nostra regione un Nume, che un Uomo: «Utique nostra regio tam praesentibus plena est Numinibus, ut facilus possis Deum quam hominem inveire». (in Satyr vers. nostra regio)
antichi cemeteri, ci trasmettono intorno ai personaggi più illustri dei passati secoli, sulla genealogia delle grandi famiglie, sugli artisti notizie tali, che invano si cercherebbero altrove. Da ultimo le iscrizioni son preziose e da consultarsi da chiunque ami conoscere i costumi, gli usi, le credenze, le cerimonie, le abitudini, le tradizioni e le opinioni scientifiche di que’ secoli che ci han preceduto; in una parola influiscono al completamento degli studi fatti in tanti antichi manuscriitti sull’origine della lingua e della paleografia. Premesso ciò, veniamo al nostro proposito.
Incertissima è l’origine de’ Sedili o de’ Portici de’ Nobili e del Popolo di Napoli; niun preciso rastro ne abbiamo nella storia delle
nostre cose onde fondar con certezza l’epoca dell’antichità degli stabilimenti, il sistema, il fine tenuto nel loro numero, per indi riscontrarne i rapporti colle famiglie che a ciascun di essi furono
ascritte. Sono tante e sì diverse su questa materia le opinioni degli
scrittori, che dobbiamo confessare con pena esser più che difficile
dilucidar questo oscuro punto della storia Napolitana. Pure a dirne
qualche cosa, ci atterremo al sistema tenuto ne’ più remoti tempi da’ Greci, seguendo le orme de’ più accreditati scrittori, e specialmente
del Summonte, del Tutino, del Giannone e del Frezza, non che del Carletti, del Mazzarella Farao, e di altri ancora.
Napoli, fin da che prese il nome di Falero, dovette governarsi a somiglianza de’ più amichi popoli, che venivan divisi per tribù composte della medesima gente, e per Fratrie risultanti dalle varie famiglie di una stessa tribù. E perciò Nestore consigliava Agamennone di ordinar le sue milizie dell’Eubea, dell’Acaia, e del Peloponneso non alla rinfusa, come soleva farsi, ma per file per
Fratrie; anzi negli stessi Omerici poemi troviam gli Abanti fondatori
prima di Cuma e poi di Napoli, ed i Rodiani, edificatori di Partenope, essersi divisi in Lindo, Ialiso e Camiro e con quella civile distribuzione governati.
Non in altro luogo in tutta l’antichità si è mai parlato di Fra-
politiche vicende degli ultimi anni del passato secolo; che gli Eletti e Deputati, dopo aver criminosamente oltrepassato di molto i confini delle loro incumbenze, imbarazzati dalle circostanze, avean dato le loro rinunzie alle Piazze; che queste, a malgrado dì tante obbliquità, avean mancato di procedere a novella elezione e proposta
di Eletti e Deputati probi e fedeli; che per tali sconci i savii e probi cavalieri poco o quasi affatto intervenivano nelle unioni de’ Sedili, perchè dandosi i voti per testa e non per famiglia, coloro, che la corruzione de’ tempi avea resi degenerati e fatti peggiori, formavano la gran maggioranza nelle risoluzioni, e le scelte sovente non cadevano che sopra indegni soggetti; divenendo così motivo di scandalo per i buoni, attesi gli intrighi che si ordivano, e che infelicemente trionfavano col procurar impieghi a chi ne faceva un esclusivo obbietto di profitto e di lucro; che l’aggregazione ugualmente a’ Sedili, punto così delicato per una illustre ed antica nobiltà, era divenuto il più delle volte un traffico vergognoso; e poichè non conveniva alla Corona di soffrire fra nobili istituzioni sì degradanti; ed essendo dovere del Principe di correggerne ed abolirne le viziose, voleva che nuova forma alla nobiltà napolitana si desse, riportandola in pari tempo al suo primitivo lustro e splendore.
Al quale effetto aboliva per sempre le Piazze, o siano i Sedili della città di Napoli, vietandone le unioni, sotto pena di fellonia
contro coloro che le procurassero o le formassero, rivocando ed annullando tutte le leggi, capitoli, e concessioni precedentemente
accordate ed osservate.
In conseguenza, abolito rimase il corpo degli Eletti, o sia il
Tribunale di S. Lorenzo, e tutte le altre deputazioni di città,
provvedendo, nel modo che si dirà, al governo degli affari dell’Uuiversità della città di Napoli rispetto alle cose dell’annona, ed
agli altri oggetti ch’eran diretti dai Tribunale medesimo e dalle
deputazioni accennate.
Creava all’uopo un Supremo tribunale conservatore della nobiltà del regno di Napoli, composto di un presidente e di sei consiglieri, presi fra i distinti e probi cavalieri, conosciuti pel loro
ann. 34.) Erant Diaconiae loca sacra ubi Diaconi Regionari, per singulas urbis regiones residentes, stipem ministrabant aegenis — (Istrum. dell’Arch. della Zecca).
22. Di Casanova. Era siluato presso il monastero di Monte Vergine, dov’è la porta del convento, vicino all’antico palagio de’ Conti
di Marigliano.
23. Di Fontanula. Era nel vico detto di Mezzocannone, non molto lungi dalla Porta Ventosa. Vogliono che così si chiamasse da una
famiglia di tal nome.
Tutti questi Seggi stavano nel perimetro della città; la quale
essendosi ampliata, come abbiamo descritto, s’accrebbero altre due contrade ch’erano i Borghi, come il quartiere di Porto che aveva tre Seggi, e quello di Portanova che ne conteneva altri tre, i quali riuniti a’ ventitrè già indicati, formavano il numero di ventinove, cioè:
24. Di Porto, perchè quivi era il porto della città, sotto la
chiesa di S. Giovanni Maggiore.
25. Di Aquario, cosi chiamato dall’abbondanza delle acque che scaturiscono in quel luogo, e che vi erano conservate per i bisogni della città, dove è la chiesa di S. Pietro a Fusarello.
26. De’ Griffi, che stava non molto lungi dal mare, e che era della famiglia Griffa, come risulta da uno istromento del 1417, che serbavasi nell’Archivio della Certosa di S. Martino di Napoli.
27. Di Porta Nova. Era detto anticamente di porta a mare, da quella che l’era vicino e che menava alla marina. Ma ampliatasi la città, trovossi detto Seggio rinchiuso nelle mura, per cui fu d’uopo aprire in quel sito una nuova porta che fu d’allora in poi chiamata Porta Nova.
28. Degli Acciapacci, da una nobile famiglia di Sorrento di questo nome, ascritta anche al Seggio di Capuana, e poscia estinta.
29. De’ Costanzi. L’ultimo finalmente; stava all’uscita del vicolo di questo nome, e fu diroccato per ordine del Vicerè D. Pietro
di Toledo per ampliare la pubblica strada.
Erano i Seggi fabbricati in vicinanza delle porle della città perchè, fra le altre pubbliche cure, avean pur quella di custodirle,
e con esse anche le torri ne’ tempi di guerre e di pestilenze, un tempo affidate al popolo. Osservavasi perciò che, presso di esse abitavano i ministri di quel Seggio, e nelle torri i portinai della rispettiva piazza, volgarmenie appellati Portieri. Anche quelli del
Seggio popolare abitavano presso i punti affidati alla loro custodia,
ed eccone una prova riportata dal Tutini: «Essendosi negli anni addietro scoverta la pestilenza in Sicilia, e tuttavia facendo dannosi progressi in quell’isola, temendo Napoli non li sopravvenisse qualche grande sciagura, fè le sue diligenze in custodire la città, la dove ogni Seggio ebbe pensiero di custodire la sua porta, assistendovi il giorno i Nobili di quella piazza insieme co’ popolani, ed avevano cura la sera di farla serrare. Imperciocchè li Nobili di Capuana ebbero cura della porta Capuana; li Nobili di Montagna custodirono le porte di S. Gennaro e quella di Forcella, per esser questo Seggio unito anticamente alla loro piazza, come diremo; li Nobili di Nido custodirono la porta di Costantinopoli e quella dello Spirito Santo; i Nobili di Porto custodirono la porta di Chiaia; e ’l Popolo solo ebbe cura di quella del Mercato e di tutto quelle della marina».
Sebbene incerta, come si è detto, sia l’epoca della fondazione de’ Sedili, pure possiamo con molta probabilità ritenere che il loro posteriore e riformato stabilimento rimonta al duodecimo secolo, cioè al tempo della Sveva dominazione, la quale ebbe in mira di
togliere tante unioni, e tener diviso il corpo della nobiltà dalla massa del popolo. Per la qual cosa furono istituite dieci Piazze, che secondo l’antica denominazione si disser Sedili, nove de’quali furono addetti alla Nobiltà, ed uno al Popolo; cioè i Sedili di Nilo — Capoana — Forcella — Montagna — Porto — Portanova — Mercato — Arco — Sommapiazza per l’Ordine Equestre, ed il Pecile, o sia li Sedile Dipinto addimandato in seguito la Curia Augustiniana, pel Popolo. Rilevasi tulto ciò da’ registri di Carlo II dell’anno 1300 e 1301, da’ capitoli dei regni di Roberto suo figliuolo, e suo successore dal 1332; e finalmente da’ registri di Giovanna II del 1423 tempo in cui nel Sedile di Sommapiazza, situato fra due pubbliche strade, per la mancanza delle famiglie
che vi erano ascritte, più non tenevansi le solite sessioni. E volendo la Regina togliere le disonestà che vi si commettevano, donò il locale al suo Tesoriere Antonello Centonze da Teano che avea la casa d’abitazione sopra del Sedile medesimo.
Dopo dette tante cose de’ Sedili della nobiltà, e pria di passar
a discorrere della loro riduzione, ci si permetta far breve cenno del seggio del Popolo di Napoli, dove, ad usanza degli antichi Greci, diviso da’ nobili, si radunava; a somiglianza del popolo di Roma il cui Foro, secondo Valerio Massimo, era distinto da quello de’ nobili: «Forum nobiliun erat distinctum a Foro Populari»
(lib. 9. c. 5.). Chiamavasi quel luogo la Corte Ostilia, dove i Tribuni insiem col popolo per gli affari del pubblico convenivano; da Svetonio detto Popolare: «Quia pars major intra Popularia deciderat».
Or in qual punto dell’antica città fosse situato il Seggio del Popolo Napolitano fino al tempo del Tutini ignoravasi; aveasi bensì certezza, che fosse nella piazza della Sellaria, la quale circa l’anno 976 fu compresa nel ricinto delle nuove mura della città. Laonde, se pur fosse stato in quel punto, dovè necessariamente dopo quell’anno essere fissato altrove. Nelle più recenti memorie di esso che all’epoca rimontano degli Aragonesi, e specialmente ne’ giornali di Giuliano Passaro, si legge che dello Seggio per ordine di Re Alfonso fu diroccato; e fra l’altro vi si dice: A li x di Dicembre 1456 se ci è abbattuto lo Seggio della Sellaria. Per tradizione a noi venuta, chiamavasi Pittato, per essere di varie pitture
abbellito. Il suo stemma era somigliantissimo a quello attualmente
usato dalla nostra città, colla sola differenza che, in mezzo del campo bipartito, in luogo della lettera C. eravi la iniziale di Popolo P. e del quale in seguito farem parola. Circa la sua demolizione varie sono le opinioni e discordi. Vorrebbero alcuni esser ciò avvenuto ad istanza di Lucrezia D’Alagni favorita di Re Alfonso, che avendo case al Seggio contigue, voleva tolto quell’ostacolo, per renderle più cospicue. Altri dissero, che lo fu per ampliarsi la strada; e da ultimo narrasi che, venuto il Seggio popolare in odio ad Alfonso, dopo averlo privato del governo economico, volle anche che restasse al suolo adequato.
Dovea dunque non molto lungi trovarsi dalla fontana contigua alla staurita di S. teelice. Nè su di ciò cade dubbio per le funzioni che in quella strada annualmente dal popolo si celebravano. In seguito ebbero luogo ne’ chiostri di S. Agostino le unioni della gente delle ventinove strade, o vicoli maggiori di Napoli, per trattarvi le loro faccende. Queste strade o vicoli dagli antichi Ottine si addimandavano, a differenza di quelle de’ nobili che Tocchi appellavansi, ognuna delle quali formava, come dicemmo, un Seggio, da otto o dieci famiglie composto, ed al Seggio maggiore subordinalo. Alle Ottine e vicoli minori presedeva un capitano; e nelle occorrenze de’ negozî universali della città tutti i popolani della rispettive Ottine si congregavano; e perchè assai numeroso era il concorso, cosi tra le migliori persone otto se ne sceglievano, che unite insieme, nominavano il capitano dell’Ottina; e da questa elezione di otto, la strada era addimandata Ottina; della quale denominazione si ha memoria fin da’ tempi di Re Manfredi, e precisamente di Re Roberto nell’anno 1315. Benchè si tenessero sempre in numero di ventinove, pure qualche Ottina
mutò di nome, perché andate in rovina le strade per le ampliazioni della città, dovè prendere il nome della migliore di esse.
Molte Ottine ritennero in seguito quello de’ Seggi de’ nobili; perciocchè abitando il popolo promiscuamente nelle strade dove i nobili
dimoravano, prendevano il nome di quel Seggio che vi era, colla differenza che questi lo chiamavano Seggio, ed il popolo Ottina.
Sotto l’Imperator Federico II venivano anche nominate Piazze, e fino al numero dì ventiquattro; ma nel secolo decimosettimo,
per ulteriore ingrandimento della città, e per mutazione di alcuni nomi, esse, nel numero sempre di 29, si trovano per ordine alfabetico segnate come segue.
1. Alvina — 2. S. Angelo a Segno 3. Armieri — 4. Capuana 5. Casenove — 6. S. Caterina — 7. Fistola e Bojano — 8. Forcella — 9. S. Gennarello all’Olmo — 10. S. Giuseppe — 11. S. Giovanni a Mare — 12. S. Giovanni Maggiore — 13. Loggia — 14. S. Maria Maggiore — 15. Mercato Vecchio — 16. Mercato
Grande — 17. Nido — 18. S. Pietro Martire — 19. Porto — 20. Porta del Caputo — 21. Porta di S. Gennaro — 22. Rua Catalana — 23. Rua Toscana — 24. Scaleria — 25. Sellaria — 26. Selice — 27. Speziaria Antica, dal cantone della fontana della Loggia per la strada della Zavattaria — 28. S. Spirito — 29. Vicaria Vecchia presso S. Giorgio Maggiore.
Ritornando ora a’ Sedili è d’uopo conoscere che a’ tempi di Roberto, figliuolo, come si è detto, del secondo Carlo Angioino, mancò la Piazza di Forcella. Venner meno eziandio verso il quattordicesimo
secolo quelle di Mercato e di Arco per essersi estinte le famiglie che le formavano, e che vi godevano prerogative ed onori; cosicchè possiamo asserire che da quest’epoca in avanti i Sedili de’ nobili napolitani furono ridotti a cinque, cioè: Nilo — Capoana — Montagna con Forcella — Porto — e Portanova — di che farem partitamente cenno a suo luogo.
Or incorporati ed uniti a questi tutti gli altri Sedili minori, fu
d’uopo ingrandire ed abbellire quelli dove i nobili riunir si dovevano,
Perciocchè nell’anno 1409 si diè principio alla fabbrica del nuovo Seggio o Sedile della Montagna. Fecero altrettanto nel 1453 quelli di Capuana mercè l’acquisto delle case di Petrillo Costa e di Marco Filomarino. Nè inferiori agli altri mostraronsi quelli di Nido che nel 1476 comprarono un pezzo di terra del Monastero di Donna Romita, e diedero principio a quella bella e magnifica fabbrica che fu compita nel 1507 e che oggi più non si osserva. Circa quell’epoca dovè pur essere ampliato ed abbellito il Seggio di Porto perchè in qualche sito delle muraglie osservavansi l’arme Aragonesi. Da ultimo fu anche ingrandito quello di Portanova, dove miravansi in bianca pietra scolpite le armi de’ Sovrani di detta stirpe.
Il nostro autore sì è abbastanza occupato di quant’altro riguardava questa nobile antichissima istituzione, perciò a noi non rimane che di aggiungere ben poche notizie, quella fra le altre riportata
dal Tutini (pag. 155) che dimostra quanto attaccati fossero i nobili a tutto ciò che ad essa si riferiva.
«Hanno, egli dice, i mentovati Seggi i termini sin dove si
estende fa loro giurisdizione, quale viene praticata da essi ogni anno nella processione che si fa del Santissimo Sagramento, là dove la nobiltà insieme col popolo convengono a portare il palio. I primi che prendono le mazze del palio dentro dell’Arcivescovado sono i nobili di Capuana, per essere detta chiesa edificata nel tenimento della loro giurisdizione; e cala giù detta
processione incontro la chiesa di S. Stefano verso Seggio Capuano; scende per lo vicolo delle Zite, e nell’uscir di esso, incontra la chiesa di S. Agrippino, lasciano le mazze, le quali vengono prese da’ nobili della Montagna, per esser quivi stato anticamente il Seggio di Forcella unito a questa Piazza, come dicemmo, e si porta per essi il palio fino al palagio della Zecca, dove nel muro si vede in marmo scolpita una croce, segno del termine di Forcella, e principio della giurisdizione di Portanova, e così da questi nobili vien preso il palio e portato sino alla chiesa di S. Agnello de’ Grassi, e quivi da’ nobili di Porto si prende, passando per lo Seggio degli Aquarii unito alla Piazza di Porto, e vien condotto da essi sino al muro del Monastero di S. Chiara dove in quello è fabbricata un’altra croce di marmo per segno del cominciamento della giurisdizione di Nido: sicchè i nobili di Nido prendono le mazze del palio, ed entrano nella chiesa di S. Chiara; dopo, passando per la loro
Piazza, tirano sù verso l’Arco, dove per lo passato era un Seggio unito a Nido, e giungendo al vicolo allato la chiesa dei morti, vien da’ nobili del Montagna preso il palio, passando per lo loro Seggio, per quello di Talamo, S. Paolo, di Mercato Vecchio, e de’ Mamoli, tutti e tre incorporati nel loro Seggio, e vien portato fino al vicolo de’ Panettieri, e quivi di nuovo vien ripigliato da’ nobili di Capuana, e ritorna con essi detta processione dentro il Domo».
Questa sacra funzione continua presentemente ad essere celebrata con quel pomposo ed imponente apparato che a sì grande Metropoli si conviene. La quale, se fu privata, come or ora diremo,
degli antichi Sedili, ha invece F Ercellentissimo Corpo di Città che interviene alla processione del Corpus Domini, e manda
all’Arcivescovado il ricco palio di sua pertinenza. Ha questo otto aste, delle quali la teraa a destra ch’è la più distinta, è interamente dorata, e rappresenta il Re, che, per lo più, delega a portarla un Cavaliere decorato della fascia di S. Gennaro. La seconda è la terza a sinistra, dorata per metà, e rappresenta l’antico
Baronaggio, avendo cura S. E. il Maggiordomo Maggiore di Casa Reale di destinare, secondo il solito, un Gentiluomo di Camera a portarla. Le altre sei aste, tutte bianche, sono portate da’ sei Eletti di Città, accompagnando il Sindaco, cogli altri sei Eletti la processione; la quale esce nel mattino dal Duomo, composta da sette Arciconfraternite di Artieri, dall’ospizio di S.Gennaro extramoenia, dalle Religioni, dai Parrochi, e da’ due Seminarii e Capitoli. S. M. il Re, dopo aver ricevuto da Sua Eminenza il Cardinale Arcivescovo la benedizione del Santissimo prima nella chiesa di S. Agostino alla Zecca, e quindi in quella di S. Chiara con tutto il suo seguito, accompagna da questa chiesa la processione fino al Duomo, accrescendone la pompa lo splendor della Corte, e le reali truppe della guarnigione schierate per tutte le strade dove il Sovrano deve passare.
Benchè in prosieguo si tenessero i Sedili nel pieno esercizio del loro diritto, pure, sia per indifferenza o per oscitanza de’ nobili
che vi appartenevano; sia per l’estinzione di alcune famiglie, o per cambiamenti di domicilio, o per la temporanea assenza dal regno
di alcune altre, videsi infievolita a poco a poco la loro istituzione, e più particolarmente nell’ultimo decennio del passato secolo, finchè sopravvenute le politiche emergenze dell’anno 1799, essi cessaron d’esistere nel modo che cenneremo.
Con sovrano Editto de’ 25 di aprile dell’anno 1800 Re Ferdinando IV mentre considerava che la nobiltà d’ogni ben regolata
monarchia è di essa il più saldo e migliore sostegno, come il più glorioso lustro sempre che abbia per base della sua condotta il valore e la fedeltà; invece, con somma pena del suo real animo aveva veduto essere i Sedili, o sian Piazze di Napoli, rimaste in una totale indifferenza sulla sorte dello Stato, con somma offesa e detrimento del supremo potere e tutto in periodo delle infauste
attaccamento alla corona, e per le loro massime e sentimenti di onoratezza, dandosi al detto tribunale il titolo di Eccellenza.
Ordinava formarsi un registro detto Libro d’Oro di tutte le famiglie, ch’erano ascritte ai Sedili di Napoli, con aggiungervi i più benemeriti soggetti e le di loro famiglie.
Prescriveva farsi un altro registro delle famiglie non ascritte ai Sedili, ma che possedessero feudi da 200 anni; delle famiglie che
professano l’abito di Malta di giustizia; e di tutti i nobili ascritti a’ Sedili chiusi delle città del regno che formano nobiltà.
Creava e stabiliva per lo governo degli affari municipali di Napoli un Regio Senato composto di un presidente ed otto senatori, per
esercitare nel corso d’un anno le stesse facoltà che aveva l’abolito
tribunale di S. Lorenzo, ed il Re li sceglieva tra i più probi, cioè il presidente e due senatori da’ nobili del Libro d’Oro, due senatori da’ nobili che non eran del Libro d’Oro, ma degli altri registri e domiciliati in Napoli; due senatori dal ceto de’ togati, due altri dal ceto de’ negozianti, e per dare anche maggior aurità a detto Senato, abolivasi la carica di Prefetto dell’annona, e l’appello alla Camera di S. Chiara per tutte le materie annonarie, che dovevano esser invece inappellabilmente dal Senato decise. Il Senato medesimo in corpo fu decorato del titolo d’Eccellenza, e di tutti gli altri onori e prerogative che godeva il tribunale di S. Lorenzo, anche nelle pubbliche funzioni e reali baciamani.
Queste ed altre disposizioni per il Regio Giustiziero — Eletto del Popolo — Tribunale della fortificazione, acqua e mattonata — Sopraintendenza di salute pubblica — Portolanìa — Opere Pie che leggonsi nell’Atto Sovrano, non possono esser tutte qui compendiate
per amor di brevità.
Con Real Decreto de’ 23 di marzo 1833 fu istituita una Real Commessione de’ Titoli di Nobiltà pe’ Reali Domini di qua e di là del
Faro, e messa alla dipendenza del Ministro di Stato di Grazia e
Giustizia, da rimaner sempre nel luogo della Residenza del Re.
La medesima sì compone d’un Presidente, d’un Vice-presidente,
3. Di S. Stefano, dal nome di questo Santo, la cui chiesa le Stava accanto.
4. De’ Ss. Apostoli, non lungi da detta Chiesa, e presso la porta di S. Sofia.
5. Di S. Martino, vicino a detta chiesa, dietro l’ospedale della Pace.
6. De’ Manocci, così chiamato da un’antica famiglia menzionata in un istrumento a tempo del Re Guglielmo I.
Tre erano nella contrada di Forcella, cioè:
7. Di Forcella, Avanti l’atrio della chiesa oggi detta di S. Maria a Piazza. Nel rifarsi la chiesa vi fu il Seggio di essa incorporato.
Fu chiamato Forcella perchè quivi vogliono che fosse la scuola di Pitagora che per impresa avea la lettera Y, e che questa fosse la partilcolar insegna del Seggio, come vedesi scolpita in un antico marmo sulla porta di detta chiesa, e sotto della quale i nobili
di esso fecero incidere quel celebre motto: Ad bene agendum nati sumus; e che dopo la sua demolizione fu adattato sul fregio della porta minore di S. Agrippino. Era non molto lungi dalla porta Forcellense oggi della Nolana.
8. De’ Cimbri, dalla famiglia Cimbro, della quale leggonsi molte antiche scritture che rimontano all’epoca del 1228. Era situato non
lungi dalla porta di S. Giorgio Maggiore.
9. De’ Pistasi, dietro la chiesa di S. Nicola, di cui vedesi tuttora un arco, menzionato dal Pontano.
Nove erano nella contrada di Montagna, cioè:
10. Di Montagna, nella più elevata parte della città che riguarda i monti, ed a fianco della chiesa parrocchiale di S. Arcangelo a
Segno.
11. Di Talamo, Era vicino la chiesa di S. Paolo, come si legge nel libro de’ collettori delle collette di Napoli — Archivio della Zecca
.
12. De’ Mamoli, della famiglia Mamolo che stava a lato del portico del vico detto di Maio: altri lo vogliono del Mercato, non
lungi dalla chiesa di S. Lorenzo dove si dice Mercato vecchio.
13. Del Capo di Piazza, ossia di Somma piazza, presso il Pozzo bianco, ed il monastero di Donna Regina, dove era la porta Pavezia.
del Ministero Pubblico, e di sette Consiglieri. La nomina può indistintamente cadere sopra soggetti meritevoli dell’una o dell’altra parte del Regno, ma gli altri componenti debbono essere prescelti per metà tra sudditi Napolitani, e per l’altra metà tra sudditi Siciliani. Sono state indicate le autorità che debbono esercitare presso
la medesima le funzioni di Pubblico Ministero, e quelle che, in caso di mancanza o di assenza, le debbono supplire; l’ultimo Consigliere in ordine di nomina ha il carico di Segretario. Le attribuzioni della Commissione si estendono a lutto quello che in fatto di nobiltà e de’ titoli alle antiche autorità apparteneva, e che non è derogato dal legislativo sistema in vigore. È suo precipuo dovere quello di versarsi con ispecialità in tutti i casi ne’ quali si tratta del passaggio o trasmissione de’ titoli medesimi. Ove nell’esame questioni di stato o di prossimità di grado si presentassero, queste sarebbero preventivamente decise dal magistrato ordinario. Ha pur facoltà di chieder conto se alcuno fosse legalmente investito del titolo di che faceva uso. Le sue deliberazioni non possono essere eseguite se non munite della Sovrana approvazione; e per ultimo è statuito, che niuno potesse cominciare ad usare di alcun titolo, cui potesse aver diritto per successione o per altro motivo giusta la legge in vigore, se prima non fosse dalla Commessione
dichiarata la legittimità del suo diritto, e non gli fosse impartito il corrispondente Sovrano beneplacito. Non si poteva non far plauso a questa utilissima istituzione, come quella che ha posto il freno
a molti gravi inconvenienti.
Se l’Intendente dirige in ogni provincia l’amministrazione de’ comuni e de’ pubblici stabilimenti, di cui è il tutor principale, in
Napoli poi prende oggi singolar cura dell’azienda della Metropoli del reame, la quale, affidata ad un Corpo di Città, che ha il titolo di Senato, è sotto l’immediata dipendenza di lui. Compongono
l’Eccellentissimo Corpo di città il Sindaco e dodici Eletti, quante
sono le sezioni in cui è divìsa. Si riunisce d’ordinario una volta
la settimana; ma bisognando, può esser convocato anche più volte: ha la giurisdizione della polizia annonaria, e della vendita de’ commestibili, e fino al 1839 ebbesi anche quella di portolania, or conferita al Consiglio Edilizio; ha il carico di rassegnare al Re nelle principali fesiività dell’anno gli omaggi del coniuge, recandosi in pubblica e solenne forma nel Real palagio; a presentare a taluni de’ nostri Santi protettori le suppliche del popolo; nelle quali cerimonie il Sindaco e gli Eletti vestono abito senatorio, ed hanno per ispezial privilegio dell’Imperator Carlo V, riconfermato da
Carlo VI, preminenza ed onore di Grandi di Spagna di prima classe.
Ciascuno degli Eletti testè mentovati, con l’aiuto di due Aggiunti, ed anche di tre, ove ci sien borghi riuniti, regge il governo della Sezione commessagli, nella quale è Ufficiale dello Stato Civile; e di quanto concerne l’uffizio che tiene, ha corrispondenza col Sindaco, il quale in caso di assenza è supplito dal più anziano dì essi, siccome fa per l’Eletto l’Aggiunto più antico. Oltre di ciò un Decurionato numeroso dì trenta individui rappresenta, nel modo stesso che nelle altre città, il Comune di Napoli, ed è preseduto dal Sindaco. Per provveder poi con ispezialità a’ mezzi di crescere la sicurezza, la salubrità, il comodo e il decoro della
città, vi è dal 1839 un Consiglio Edilizio, il quale componesi di sei Edili, di cui tre sono architetti, ed un Edile segretario; ed ha presidente il capo della provincia, e vice-presidente il Sindaco si riunisce almeno una volta al mese; ha la giurisdizione di portolania e la cura della formazione della pianta geometrica della città, per potervi notare con precisione i miglioraraenti di cui è capace, sia rendendo più ampie e diritte le strade, sia costruendo nuove piazze e mercati, togliendo le grondaie esterne, accrescendo e distribuendo meglio le acque: diffinisce le quistioni che derivano dall’allineamento della esecuzione della pianta della città, e pronunzia l’applicazion delle multe e la condanna alla rifazione de’ danni ed interessi ne’ casi d’occupazione del suolo pubblico.
E da ultimo, per accorrere agli incendii che possano accadere,
il comune mantiene a sue spese una compagnia di Pompieri, che conta quindici squadre, ha militar veste e disciplina, un’ampia caserma con macchine e ordigni opportuni all’ufficio che presta, e più posti di guardia in varii sili della città.
POPOLAZIONE DELLA CITTA’ DI NAPOLI
Secondo l’ultimo censo, la popolazione della Capitale era di
416,409 individui
cioè maschi 204,010
femmine 212,489
ripartiti in 84,229 famiglie
Aggiungendo alla detta popolazione i forestieri e i provinciali di passaggio, la guarnigione, i detenuti giudicati e giudicabili, come anche i condannati a’ ferri, la cifra totale della popolazione somma a 456,499.
L’estensione della città è di miglia quadrate 7 e canne quadrate legali 395,189.
cioè canne quadrate legali 38,251,890.
Il territorio rurale è di miglia quadrate 5 e canne quadrate legali 392,439.
Quindi il fabbricato della città occupa 2 miglia quadrate, e canne legali 2749.
La popolazione relativa per ogni miglio quadrato è di circa 57,078 individui.
La città è divisa in 12 quartieri.
POPOLAZIONE DIVISA PER QUARTIERI
Per effetto di recente governativa disposizione la città di Napoli avrà tra non molto un esattissimo censo, e che a suo tempo riporteremo in appendice in uno de’ successivi volumi.
GIURISDIZIONE DELL’AGRO NAPOLITANO E DE’ COMUNI CHE VI SONO ANNESSI
Chiaia
Posilipo, Strada nuova dì Posilipo sino alla Caiola fuori Grotta.
Lago d’Agnano sino agli Astroni.
Campagne del Petraro, e di Mergellina, una colla tomba di Virgilio — Casino di Patrizio.
Montecalvarlo
Campagne del Petraro a mano sinistra della salita di S. Nicola da Tolentino, detta del Cristo Grande.
Campagne sotto S. Martino salendo a mano sinistra di S. Antonio de’ Monti.
Avvocata
Camaldoli,
Camaldolilli.
Vomero, all’infuori della salita, e del vico.
Due Porte.
Antignano.
Arenella.
Cappella de’ Cangiani.
Ponte S. Martino a’ Cangiani.
S. Giacomo di Capri.
Case Puntellate.
Case Nuove.
Arco ed Architello.
Campanile.
Porta Belvedere.
Vico Acitillo.
S. Stefano.
Parte di Nazaret, il resto appartiene a Marano.
Stella
Masseria della Stella sino alla sinistra della strada Cappella d’Imparato.
Campagne delle Fontanelle.
Campagne alla salita dello Scodillo.
Campagne della Conocchia.
S. Carlo all’Arena
Miano.
Mianella.
Marianella.
Ottocalli alla sinistra.
Campagne di Capodichino.
Di Miradois.
Di S. Efrem Vecchio.
Di S. Maria, degli Angioli alle Croci.
Dell’Albergo de’ Poveri.
Ponte di S. Rocco.
Villa di S. M, la Regina Madre.
Largo Scodillo.
Strada Cappella dell’Imparato fino alla casa rurale che è nella Masseria della Sapienza.
Masseria della Sapienza, che sta a sinistra.
Masseria Biancoletta a dritta. Queste due masserie fissano il confine del circondario per la parte dello Scodillo.
La parte superiore della Strada nuova di Capodimonte fino al ponte
di Miano.
La parte della Strada nuova di Capodimonte, a contarsi dal sito dove terminano le file degli alberi che si appella largo della Grotta.
La via Vecchia, salendo da Napoli, comincia dal luogo detto le due brecce, e continua per la salita Presepe, e strada S. Antonio a Capodimonte.
Strada Moiarello sino al podere degli eredi Cotugno.
L’intera strada nuova de’ Ponti Rossi, ed archi di questi ponti con tutte le masserie, casini e ville.
L’arena termina alla cappella detta del Cavone di Miano, e S,
Maria de’ Monti,
Vicaria
Strada Monteverginella alle Paludi.
Strada Arenaccia Casa nuova.
Tutte le paludi di Poggio Reale.
Strada Poggio Reale.
Via vecchia Poggio Reale.
Trivio al Campo Santo.
Strada Fontanelle al Campo Santo.
Strada del Trucco.
Strada Piazzotta.
Strada Madonna del Pianto.
Strada Ottocalli alla dritta.
Cupa Ss. Severino e Sossio.
Pascone grande.
Strada Molino Capece.
Fossi di S. Anna a Capuana.
Acqua della Bufola.
Madonna delle mosche, lungo la strada detta di Costantinopoli.
Mercato
Pasconcello.
Strada Costantinopoli.
Strada Lionera vecchia.
Fossi del Carmine.
Vi sono in questa Capitale quattordici Istituzioni pubbliche e private
di educazione ed istruzione per giovanetti.
Tre Reali Istituti, de’ quali due per le nobili fanciulle, ed il terzoper le civili.
Trentadue sono i Conservatorii.
Ventotto i Ritiri.
Otto i Reali Stabilimenti di Beneficenza.
Undici gli Spedali, de’quali tre militari. Non mancheremo di opportunamente descriverli nel corso dell’opera.
Si contano eziandio ventiquattro scuole primarie, delle quali dodici per i maschi ed altrettante per le femmine.
Ammontano a quattrocento circa le scuole private, cioè dugento, cinquantaquattro pe’ maschi, e cento quarantasei per le femmine.
Cento incirca sono le Tipografie.
Dodici le Litografie.
14. De’ Ferrari, da una famiglia estinta di tal nome, presso la chiesa di S. Pietro de’ Ferrari, che l’ampliò, e vi fece moltissimi abbellimenti.
15. De’ Saliti, da una famiglia di tal nome estinta; e della quale si fa menzione in uno strumento del tempo di Federico II Imperadore — Archivio della Zecca.
16. De’ Cannuti, che era avanti l’atrio dell’antica chiesa di Santa Patrizia, dove oggi è quella degli Incurabili, cioè di S. M. del
Popolo; così detta da una estinta famiglia di tal nome.
17. De’ Calandi, da una famiglia del pari estinta; stava poco distante dalla diruta parrocchiale chiesa di S. Giovanni in Porta; e qualche vestigio vedesi sotto la casa della famiglia Palomba.
18. Di Porta S. Gennaro, perchè stava dirimpetto all’antica porta della città da dove si andava alla chiesa di questo Santo de foris.
Stava la porta dove oggi è la chiesa detta del Gesù delle Monache.
Chiamossi altra volta Seggio de’ Carmignani, perchè era situato sotto la casa di detta famiglia.
Cinque erano nella contrada di Nido, cioè:
19. Di Nido, però corrottamente, dovendo dirsi di Nilo per la statua di questo fiume situata incontro la chiesa di S. Maria dei
Pignatelli, dove era la casa della famiglia d’Afflitto presso al Collegio
de’ PP. della Compagnia di Gesù, non lungi dalla porta Cumana e Puteolana; e guardava il mare sull’antico porto di Napoli, come rilevasi da alcuni istromenti del monastero di S. Severino, e come afferma il Giordano (de Port. l. c.)
20. Di Arco; stava vicino all’antica torre de’ Vulcani, dove era il palazzo del Reggente Rovito presso la porla di Donnorso. Chiamavasi d’Arco, perchè, dicevano che, quivi abitava l’Arconte,
l’antico Magistrato del tempo de’ Greci Imperadori, signori di Napoli.
21. Di S. Gennarello, era allato della chiesa dì detto Santo, dove oggi è la cappella di S. Biagio de’ Librari, e dicevasi di S. Gennarello ad Diaconiam, nella quale convenivano i Diaconi regionari
della citià per dispensar le limosine alle vedove, ai pupilli, ed alle altre persone bisognose, come anche nota il Baronio: (tom. I.
i Greci d’altro non si avvalsero che del solo nome Pironio, Mannio, Sergio, ed in moltissimi casi univano al nome del figlio quello del padre, come Pironio di Scapla, Pietro di Sergio ec. ma i Romani tre insiememente ne adoperarono per distinguer la gente, la famiglia e la persona, come Lucio Cornelio Lentolo, in cui la voce Lucio significa la gente, Cornelio la famiglia Cornelia, Lentolo la persona.
Non v’ha dubbio che la nostra città dalla sua origine fino allo
stabilimento della monarchia ebbe molte famiglie assai distinte, che riconoscevansi nobili per antichità di legnaggio, chiarissime per valor delle armi, ed ammirabili per letterario sapere; ma il determinare quali elleno fossero ed in che numero durante il governo democratico, e fino al secolo undecimo, onde formare con positiva distinzione l’Ordine Equestre napolitano, è una impresa difficilissima, per non dire impossibile. Dobbiamo perciò contentarci, in tali distinzioni e separazioni, del poco di certo che incontriamo dall’undecimo secolo in avanti.
Dopo Sergio VI ultimo Duca, come dicemmo, e per effetto del monarchico governo, distinto l’Ordine Equestre dal rimanente del
popolo; e non essendo più regolare l’unirsi indistiniamente i cittadini
ne’ portici pubblici, dove prima per effetto del greco costume si radunavano, molte delle nobili famiglie, non perdendo di vista il prisco sistema, ed al novello adattandosi, eressero presso alle proprie case i portici privati, così per unirsi con quei della propria famiglia, che per trattare degli affari coi loro uguali. Ecco come questi portici, costruiti dall’undecimo secolo in poi, ebbero i nomi delle rispettive famiglie, o da qualche chiesa che stava da presso o dal comune luogo dove erano costruiti, e che furono dagli scrittori napolitani indicati, e di cui tuttavia in alcuni luoghi della città se ne conservano i nomi. Dessi in origine furono ventinove, sei de’ quali nella contrada di Capoana, cioè:
1. Seggio di Capuana, non lungi dalla parte che mena verso
Capua.
2. De’ Melazii, che alcuni vogliono situato nel quartiere di Forcella.
Fratrie, quanto in Atene ed in Napoli per la stessa origine del loro governo, e per l’uniformità delle loro civili e religiose istituzioni. E poichè l’origine degli aboliti Sedili, o de’Seggi Napolitani sembra che dalle Fratrie ripetasi, così ci è d’uopo dire di queste quel poco di ragionevole, se non di certo, che qui avventuriamo a notizia de’ cortesi nosiri lettori.
Furon le Fratrie riguardate come tante politiche unioni; sysmata fratrum conspirantium bono reipublicae. Di quel corpo faceasi
la scelta de’ Sacerdoti, ch’erano nello stesso tempo Magistrati, e pur col nome dì Fratria era il loro collegio distinto. Con tale denominazione non altro si dinotava secondo il nostro Mazzocchi, che
una parte della città, o una porzione di cittadini riuniti sotto la protezione d’un medesimo nume. Dal Martorelli all’incontro s’intese migliormente un corpo o particolar collegio di cittadini in ciascuna parte della città, della tribù o della curia, addetto alle sacre cerimonia a rendere onore ad una divinità partirolare. Il Grimaldi poi vorrebbe, che l’origine di queste Fratrie debba ripetersi dalla diversità delle nazioni che la nostra città componevano, le cui abitazioni erano in separati quartieri, e col nome si distinguevano di qualche nume o di personaggio che negli antichi tempi era stato il capo della colonia.
Platone nella sua Repubblica prescriveva doversi edificare una città in mezzo della regione; poscia dividerla in dodici parti uguali; assegnare a ciascuna di esse un numero tirato a sorte, e dar loro il nome di fratrie. E di fratrie soltanto gli amichi marmi di Napoli ci favellano; e quelle adunavansi in comuni conviti, ed esercitavano sacerdozi e magistrature ora in privato tra le persone della parentela, ora in pubblico quando i capi delle famiglie erano chiamati a deliberare intorno alle politiche faccende che a tutta la città risguardavano. Aveva dunque ciascuna la propria assemblea, i propri conviti, e i propri sacrifizi. Fretria chiamavasi generalmente
il collegio delle famiglie, Fretores gli individui che il componevano, Fretarco o Fratriarco il capo scelto a costoro, che insieme cogli altri capi a lui uguali deliberava degli affari della città, Allofretores gli individui di una fratria diversa, Diiceti, gli
Non si ha certamente notizia, che i nostri dal mestier di Marte avessero ambito fama di gloria; anzi sappiamo che umanissimi e sensibili, gli anfiteatri e le sanguinose arene abborrivano; non però da potersi in alcuna guisa di viltà accagionare; perchè nella occasioni ben seppero col senno e col valore repulsare le ingiurie. Presso di noi nè medaglie, nè monete, nè marmi, nè altro qualunque vestigio o monumento di tal inumano culto rinviensi; anzi tutto l’opposto, per quel ch’esser vi possa d’istorico, e di costante tradizione de’ nostri maggiori, fra quali Virgilio, Petronio Arbitro, Marziale, Ovidio, il prelodato nostro concittadino Stazio, Strabone, Dion Crisostomo ec. sappiam che per più secoli, nella
calma di fortunata pace, tranquilli si riposarono. Sapendo a tempo, e secondo la bisogna esser guerrieri, amaron lieti sentir da tutte le genti salutare la loro città col dolce nome di graeca, nobilis, otiosa et docta Neapolis, nella quale, come sì è detto, i più bellicosi e prodi Romani, dopo aver di tante nazioni riportato palme e trofei, sol per riposo si ritiravano.
Il Martorelli stimò probabile che questa Fratria dalla strada del Porto occupasse l’odierna piazza degli Orefici, ed a lui, accostandosi il Mazzarella, la situa lungo quel tratto dove sono gli orefici, i tintori, i mercanti di seta e di lana, ed altri simili artefici, e botteghieri a sinistra verso oriente sino al mare.
5. Degli Agarresi — Che sia stata in Napoli quest’altra Fratria con tal nome chiaramente distinta, ben si rileva dal prefato marmo degli Aristei, e fa meraviglia come tanti dotti che l’han letto ed osservato non ve l’abbian, saputa in conto alcun rinvenire, o sospettare. Che sia stata una delle non molto doviziose chiaro risulta dall’aver dovuto prender danaro ad usura dagli Aristei per la celebrazione de’suoi sacrifizï, e per le cene di rito. E trattandosi di cosa interdetta, fu d’uopo con pubblico e solenne decreto dispensarsi. Dall’etimologia di questo vocabolo, che in Omero trovasi in significato di acquoso prendiamo motivo di persuaderci, o almeno di lusingarci essere stata questa Fratria in luogo di vari gorghi d’acqua e correnti situata. Nè ci costa averne la città avuto più salubri e leggiere; bensì sappiamo che per belle conserve,
amministratori della fratria, Frontista il curatore (secondo l’iscrizione), Calcologo l’esattore, Fretrion il tempio, Teoi fretores o Fretrii i Nomi.
Erano obbligati i genitori di presentare a’ Fretori i figiuoli e le fanciulle per assicurarne la legittimità, la quale, riconosciuta per
voti, gli uni e le altre erano iscritti nel lessiarchico, ossia libro de’ nomi, talchè chi non vi si trovava annotato non avevasi per cittadino. Nel tempio degli Dei fretori offrivasi pei giovanetti puberi il sacrifizio curio, per le donzelle il gamélio. Le quali cose tutte migliormente appariscono dalla mutila iscrizione di Aristone e della moglie Valeria Musa, dove leggesi: «Non sia lecito nè al fretarco, nè a’ calcologi, nè al frontista, nè a’ diiceti, nè a a chiunque altro della fratria degli Aristei accrescere sacrifizio o cena oltre i giorni stabiliti. I mille e dugento denari, non si dieno a mutuo se non con malleveria di pagarne l’usura di dugento cinquanta denari in città. Non sia permesso al fretarco, o all’esattore, o all’amministratore, o all’economo, o a chiunque della fratria degli Aristei prendere a mallevadore qualcuno della fratria, o di obbligar la sua fede per lui. Se chi prende a mutuo dia in sicurtà un qualcuno della fratria degli Agarresi, lo sappia l’assemblea; e trovatosi a pieni voti idoneo, come si pratica anche per lo fretarco e per l’esattore, allora, a norma delle cose scritte di sopra, gli si consegni il danaro. Coloro che il ricevono in prestito rechino le somme dovute il settimo giorno della prima decade del mese panteone in piena assemblea; e la fratria deliberi a chi voglia darle a mutuo: e così facciasi nell’amministrazione degli altri anni. In quelli due giorni ne’ quali si sacrifica e si cena, Valeria Musa porti ciò che deve. Questa iscrizione affissa in pubblico, sia consegnata successivamente dal fretrarco, da’ calcologi, dal frontista e da diiceti in perpetuo a co
loro che saranno scelti dalla fratria al suo governo. Chi farà diversamente da quello che disopra è scritto, paghi in pena al tesoro degli Dei fratrii dugento cinquanta denari di argento».
Ognun sa che Cecrope, fu il primo a dividere Atene in dodici Fratrie, a guisa de’ dodici nomi o sian prefetture del suo paese,
costume usato eziandio in altri paesi dell’Oriente. Si può dunque con fondamento ritenere che le nostre Fratrie Napolitane avessero in tutto corrisposto alle Attiche ed a quelle de’ Pelasgo-etrusci; come si può assicurar di Diotimo ammiraglio Ateniese deduttore d’una colonia de’ suoi nazionali tra noi, e dell’introduzione qui delle Lampadoforie.
E volendo per poco fermarci al superstizioso degli antichi sulla division de’ tempi, troveremo che dodici furono le più cospicue
città della Gionia, dodici le città fondale dagli Eolj; dodici le antiche città capitali di tutta Italia; dodici finanche i raggi del diadema del Re Latino, del quale paria Virgilio nel 2° della Eneide:
. . . . . Cui tempora circum
Aurati bis sex radii fulgeniia cingunt
Solis avi specimen. . . etc.
Ma per ciò che spetta alle nostre Fratrie i nomi solo di alcune da’ marmi raccogliamo, le quali si addimandavano o da’ luoghi donde
erano qui venuti gli abitatori, o dagli Dei Fretori che loro si erano
assegnati. Altre sono state da’ nostri scrittori scoperte, alcune con poca autorità, altre di dubbio nome per le lettere cancellate nelle iscrizioni; cosicchè mettendo insieme e facendo tesoro di tutte le loro opinioni, le più concordi, può il numero delle Fratrie Attico-Napolitane essere fissato a dodici, cioè: degli Eumelidi — degli Artemisij — dei Cinei — degli Aristei — degli Agarresi — de Panclidi — degli Gionei — degli Eumidi — degli Antinoiti — degli Euenostidi — de’ Partenopei — de’ Mopsopiti — Noi farem di esse rapido cenno per tema di non infastidire i lettori.
1. Degli Eumelidi — Abitaron costoro forse allora il più bel sito della nostra città, cioè deve oggi è il Duomo, di cui si dirà a
suo luogo. Il primo monumento di sua esistenza è la famosa greca
iscrizione che attesta un procurator delle Fratrie, il tempio, il
nume, e che volta in latino, significa: Titus Flavius Pius Curator, vel Procurator, una cum T. Flavio Filio, Honorans
Eumelum Deum Patrium, Hujus Statuam Pro Suis Fratoribus Eumelidarum Dedicavit. Famosa è quest’altra indicata dal Martorelli, dal Mazzocchi, dall’Ignarra e dal Romanelli:
Eumelum Deum Patrium
Phratoribus Eumehdarum
T. Flavius Pius
Phrontistes cum T. Flavio Filio
Dedicavit.
Da un altro bel marmo trifacciato, ed in carattere uncinale rilevasi, che i fratelli Evante e Zosìmo, per avere riportato più vittorie ne’ pubblici giuochi, ed acquistatane lode e premii ancora, due statue eressero agli Dei Dioscuri, come que’ che pur furon famosi nel pugillato. In questa Fratria era eziandio il tempio del dio Ebone, portator degli Orientali, e dedicato poscia da’ Greci ad Apollo. Era questo celebre nume rappresentato batopogono, senisque hominis adspectu, sed taurino corpore; le monete ne sono ovvie. La Fratria, come che posta in ottima situazione, era di bei palagi fornita; e dopo il quarto secolo dell’era volgare prediletta e prescelta da que’ consoli e senatori che, o per riposarsi da pubblici negozï, per vecchiezza, amavan di menar vita divertita e tranquilla. Fu pur Ebone confuso ora con Acheloo, ora con Vulcano, e del quale cantò Stazio:
Tu ductor populi longe emigrantis Apollo
Cujus adhuc volucrem laeva cervice sedentem
Aspiciens blande felix Eumelis adorat.
Ebbe anche un tempio di Cerere, quello di Bacco, o di Mercurio, e l’altro di Priapo, dove, secondo Petronio, Quartilla faceva nella famosa grotta i suoi magici arcani, ed i nefandi suoi sacrifizi; ed altri numi patrii, locali, indigenti. Il gran tempio di Castore e Polluce era pur nella Fratria, e vi ebber pure fori, teatri, ginnasii, portici, zecca ec. Opina il Martorelli, che questo
Collegio dovesse trovarsi nella regione di Montagna, che comprende la contrada di Santa Patrizia, Donna-Regina e dell’Arcivescovado; perchè in questi luoghi furon rinvenute più lapidi col nome degli Eumelidi.
2. Degli Artemisj — Diana ossia la Luna sotto il nome d’Artemide era ilnume tutelare di costoro. Celebri furono in onor di
lei le feste Artemisie. Il tempio si vuole che corrisponda alla Pietrasanta
o sia S. Maria Maggiore, La vicina strada ritiene ancora, come abbiamo accennato, il nome di Luna nella quale facevansi i giuochi lampadici. Il nostro Pontano, che vi abitò, appropriatosi un tempietto che un tempo fu sacro al dio Pane, incrostò in quelle pareti molte belle iscrizioni, delle quali fa qui a proposito la seguente:
M. Aurelio Primo Neapolit, Demarcho Artemysion Fretarcho M. Aurelii Curi L. itemque a rationibus qui vixit Ann. p. m. LXIII
m. VI Cluvius Rufus, et Cluvia Severa regionis incolae.
Noi troviamo il nome d’Artemide in molte monete napolitane. Bella è l’iscrizione riportala dal Summonte, dal Capaccio, e dal Martorelli, che sì vedeva nella casa d’Ippolita Ruffo nella strada d’Arco, oggi Vico Atri, cioè
Lucium Creperaeum Procium
Consulem Proconsulem Iliensium
Benemeritum
Artemisii Phratores Retributionis
Ergo
Pregio di questa Fratria fu dunque il domicilio che vi ebbe il Consolo Romano L. Crepereo Proclo, e d’averlo sperimentato benefattore, dopo il suo ritorno dal Proconsolato degli Iliesi In Sardegna, celebri ne’ tempi d’Augusto, quando appunto egli viveva. Ma quanti altri illustri soggetti non dobbiam credere esservi stati, se da un tetrastico lo sappiam di Filippo, d’Alcibiade, d’Aurelia, Atalanta, d’Antonia Sebasta o sia Augusta, tanto divota di Pane, Sibaritico, e d’Ottaviano Augusto?
3. Dei Cinei — Costa l’esistenza di tal Fratria principalmente da un ceppo quadrifacciato, che sul davanti ha l’iscrizione, secondo il Martorelli ad il Maffei:
Marcus Cocceius Augusti Libertus
Callistus cum Filiis suis Tito Aquilino
Et Flavio Crescente Scyphum Librarum
Quinquaginta Numero Unciarum
Quatuor Numero
Diis Phratriis Cynaeorum.
(Dedicavit.)
Nella seconda faccia v’è Vulcano erto sull’incudine con martello; ec. Nella terza Bacco colle sue tigri, e 1’uva in mano, nella
quarta non si può decidere della qualità del nume, per aver molto patito quel sasso. Segue l'iscrizione
Apollonius Filius Dioscuridi Neapolitanus
Anubidi pro seipso et uxore et filiis
Sub Sacerdote Sosione Eumenis Cynaeo.
È marcabile il farsi de’ voti ad Anubi, che ognun sa, essere
stato figurato in Cane, o sia Cinocefalo; lo che ci porta a congetturare essere stata qualche colonia Alessandrina. È pur notabile
la datazione del sasso col nome de’ Sacerdoti all’uso Attico (V. Plutar, in Demetr. Corsin. fast. Attic. tom. I.) come i Romani da’ Consoli: ciocchè ci fa confermare nell’alta idea di costoro come sacerdoti non solo, ma come supremi giudici dello Stato, fin da dare l’epoca da’ loro nomi alle cose. Segue opportuna l’iscrizione
Isidi Apollinem Horum Harporratem (honorat) M. Opsius Navius Annianus Praetor curator frumenti dividundi decreto Senutus Romanorum Aedilis Questor Ponti Bithyniae Tribunus Legionis V. Macedonicae functus decemviri officio Romae.
Dal che si desume essersi adorati in tal Fratria, forse anche qnai numi particolari e proiettori, Iside ed Oro Apolline, che, come a tutti è noto, erano deità Egiziane.
In questa regione fu trovata, restaurata e su magnifico piedistallo rimessa l’antica starna del Nilo, della quale diremo a suo
luogo. Eravi il tempio dì Serapide, ossia del gran Giove degli Alessandrini. Vi fu l’altro d’Osiri e d’Iside con le loro statue; e quivi
ancora sappiamo che Adriano assunse il Demarcato: «D’onysia, ut
qui maximum apud eos Magistratum gereret veste Atheniense indutus
magnifice celebravit».
Pensava il Martorelli che i Cinei trovar si dovessero nella regione Nilense, perchè questa parola indica coloro che adoravano Anubi, cioè il dio latratore, e tali esser dovevano gli Alessandrini abitatori dell’indicato quartiere. Il Mazzarella Farao ritiene che tal Fratria distendevasi fino ’a Santa Chiara, ed al Gesù Nuovo; e v’è chi inclina a credere che giungesse fino al punto dove oggi vedesi il palazzo del Duca di Maddalonì, perchè vi fu trovata un’urna di pietra molto pregevole con varie figure a basso-rilievo; e che il tempio d’Anubi era di figura rotonda, edifizio bellissimo, col lasso del tempo demolito nel sito appunto dove fu edificato parte del palazzo del Duca di Casacalenda. Non molto distante era il tempio d’Arpocrate. Si può congetturare avervi abitato il famoso citaredo Alessandrino Terpno maestro dell’Imperador Nerone, il quale, come si è detto, volle venire in Napoli a riscuoter gli applausi sul teatro,
ed ognuno sa che cosa vi fece. Svetonio, parlando di lui, lo dice
encomiato modulationibus Alexandrinorum.
A malgrado di tanti sassi letterati che attestano il culto de’ numi Egiziani in questa Fratria, come dal riportato Cocceio, da Callisto
quello di Vulcano, Bacco, ed Osiride; dal marmo d’Apollonio
Anubi; da quello d’Anniano Iside, Oro Apollo, Arpocrate; da
altro d’Osiri; da altro di Serapide, di cui Sannazzaro:
. . . . . Et ipse
Aequorem Plalamon, sacrumque Serapidis antrum
Cum fonte et Nymphis adsultavere marinis;
pure il Mazzocchi, al quale fa eco il Romanelli, pretende che i Cumani e non i Cinei siano stati gli incoli di tal Fratria. Nella sua Napoli antica e moderna (tom. I. p. 33) il detto Romanelli così s’esprime: «Il Martorelli trovò l’iscrizione di questa Fratria nella base del battisterio nella chiesa di Santa Maria Rotonda, oggi distrutta. Egli racconta la lepida storia per vincere la ritrosia del parroco o per acquistarla, o per copiarla. Finalmente egli l’ebbe per ordine del Cardinale Spinelli, e vi lesse la Fratria de’ Cinei; ma più diligenti osservazioni fatte di poi hanno tacciato questo autore di abbaglio. Nella rottura del marmo la lettera M fu presa per N, la Fratria dunque, per la vera lezione del marmo essendo quella de’ Cumei non de’ Cinei, svanisce in un momento tutto l’erudito argomentare del nostro filologo».
Ma il Mazzarella conchiude col dirci: il gran sasso letterato esiste, e può ognuno andarlo a vedere nel nostro Museo. Il sensato lettore a suo talento ne giudichi.
4. Degli Aristei — Così appellavasi la quarta Fratria, come si legge da una lunghissima greca iscrizione riferita dal Grutero, dal Capaccio, e corretta dal Martorelli, da noi trascritta di sopra. Prese questo nome da qualche eroe o nume particolare, che forse Aristo avrà potuto appellarsi, non già da Marte, come provò il Martorelli contro del Mazzocchi, e come pure riflette il Farao. Difatti furono i Napolitani in ogni etade totalmente dediti ed applicati alle belle arti ed alle scienze, figlie tutte di dolce e sempre amica pace, ad essi naturalissima e cara. Ed era questa pace troppo necessaria ai loro studi ameni e severi; cosicchè ogni apparenza, ancorchè lieve di guerra, abborrivano, e financo di piati forensi vi fu tra loro divieto, e tutto pacificamente, e con ispecial modo da’ Fratori si componeva. Laonde Stazio cantò (lib. 3 Silv. 5.)
Pax secura locis, et desidis olia vitae
Et nunquam turbata quies, somnique peracti:
Nulla foro rabies, aut strictae jurgia legis,
Morum jura viris, solum et sim fascibus aequum.
formali, fontane, ed acquedotti romoreggianti sen corrono al mare.
Il Collegio di essa vuolsi essere stato dove oggi è la chiesa di
S. Maria in Cosmodin, che pria fu de’ nobili del Sedile di Porto.
6. Dei Panclidi — Da un inscrizione rinvenuta nell’anno 1744 nello scavra le fondamenta del palazzo de’ signori Amendola, presso del tempio di S. Pietro in Vinculis, sappiamo esservi stata questa Fratria. L’iscrizione incisa in rozza pietra da mal’esperto scalpello è la seguente:
C. Calpurnius Felix
Unguenta Et Exteriorem Partem
Et Tectum Agoreuterii De Suo
Refecit Phratoribus Panclidarum.
Credesi essere stati questi Fratori i più degni e colti soggetti
de’ tempi loro, e molto più se si abbia riguardo al dono degli unguenti
che da Caio Calpurnio Felice lor si faceva, e de’ quali dovevano al certo avvalersi ne’ bagni secondo l’antico costume asiatico, greco, e finalmente latino.
Il Martorelli la situa da S. Rietro in Vincolis a S. Giuseppe, dove, nel cavarci alcune fondamenta, furono trovati grandi architravi di bianco marmo, vasi, colonne e capitelli. Il Mazzarellainvece nel perimetro di S. Pietro, S. Maria la Nova, e S. Giorgio de’ Genovesi, spazio fino al presente di magnifici e sontuosi edifizi tutto disseminato.
7. Degli Gionei — Da un marmo riportato dal Capaccio nell’appendice della sua storia, sebbene alquanto malconcio, si ha cognizione di tal Fratria in questi sensi:
Fratria Ioneaorum Lucium Herennium
Pythonis Filium Optimum
Virtutis Ergo, Et Munificentiae,
Qui Fuit Demarchus, Classis Praefectus
Et Gymnasiarcha, Praefuitque
Quinquennalibus, Diis. . .
Volturno. Qui opportunamente osserva il nostro Tutini che, quantunque sia più generico il nome di Piazza che di Seggio, pure il Seggio alla Piazza si considera come specie ai genere; onde si può dire: è Seggio, dunque è Piazza, perchè è parte di essa, dove convengono i Nobili che vi dimorano. Ma non vale il dire: è Piazza, dunque è Seggio, perchè nella Piazza possono essere compresi tanto i Nobili che sono fuori del Seggio, quanto i cittadini che abitano in quella piazza.
Si dissero eziandio Portici, da’ nostri Pontano e Giordano descritti, e che in ogni quadrivio della città si trovavano, dove i nobili complateari si univano per passeggiare, ed anche per trattar pubbliche cose. (Pont. de magnif. c. II — Iordan de portic. hist. neap. M. S.)
Furon da ultimo chiamati Seggi, cioè luogo dove sedevano i nobili, a guisa de’ Seggi che in Roma eran fabbricati nella Corte del Pretore, e che esclusivamente a’ nobili erano riserbati: In quibus sedebant nobiles tantum. Ritornando al nostro proposito, e mettendo da banda gli altri vocaboli, ci aiierremo a quello di Seggio, come antichissimo non solo, ma convalidato da infiniti documenti incontrastabili e preziosi.
Abolita la democrazia da Ruggiero, e da lui stabilita la monarchia, dovettero necessariamente mutarsi gli antichi sistemi ed al
nuovo governo accomodarsi. Vediamo perciò circa quest’epoca (1130) stabilirsi il positivo Ordine de Nobili distinto dal popolo; ed osserviamo nella separazione delle due parti quelle altre graduazioni e distinzioni che da popolari al monarchico regime sottoposti sogliono immaginarsi. A tale effetto troviamo in accurati scrittori che dal decimo secolo in avanti furono introdotti in Napoli i cognomi delle famiglie nobili per distinguersi dall’ordine equestre, per diversificar le prosapie ad imitazione del quale ne’ tempi medesimi, e posteriormente ancora, que’ del popolo si uniformarono.
Non v’è chi non sappia le due diverse maniere da’ Greci e dai Romani tenute nel nominarsi i cittadini. Perciocchè come rilevasi
dalle iscrizioni, e come abbiamo dai ch. Muratori e Mabillonio,
Non si potrebbe fissare con certezza il sito di tal Fratria, che al certo non poteva esser quello dove questo marmo fu ritrovato, cioè nello scavo delle fondamenta del palazzo di Marcello Muscettola, che dicesi all’Arco, occupato dalla Fratria degli Eumelidi. Dovea piuttosto trovarsi nel più ameno sito presso al mare; perciocchè essendo stati i Gionj primi fra’ Greci che a questi lidi approdarono, e ne occuparono le maremme, altro luogo scegliere non potevano che quello dove trovavasi il Sedile di Porto, ed oggidì il Molo piccolo, o almeno in quelle vicinanze, popolate di marinaresca gente, e di numeroso stuolo di mercatanti, botteghieri, ed artefici d’attrezzi attenenti a mestieri marittimi.
8. Degli Eumidi — Che siavi stata questa Fratria l’argomentò il Martorelli da una lapida in forma di base ch’oggi si vede di prospetto alla chiesa di S. Filippo e Giacomo nella strada de ’librari. In essa son però visibili appena queste parole.
Faustinae
Sanctissimae Piissimae Augustae
Phratores. . . .
Eumidae. . . . . . . .
Vorrebbe quell’illustre archeologo che l’Augusta, di cui qui si parla, fosse Faustina moglie di Marco Aurelio Antonino da restituirsi nel primo verso, che si vede raso. Egli si appoggia a Sesto
Aurelio Vittore, il quale nella vita del detto Imperadore parlò della lunga dimora fatta da questa Principessa nella Campania. Essendo stata col rapportato marmo onorata della sacra consorteria degli Eumidi, si può credere ch’abbia potuto trattenersi in Napoli nella Fratria che, per la bellezza del sito dovea trovarsi nel colle di S. Agnello e di S. Gaudioso, in cui si gode della più nobile e pittoresca veduta, e dove, secondo il nostro Celano, furono rinvenuti diversi ruderi d’antichità, fra quali colonne di bellissimo marmo, e lapide dì superbo lavoro, come a suo luogo si dirà.
9. Degli Antinoiti — la Fratria degli Antinoiti, come l’altra degli Eunostidi, ci viene rammentata da una preziosa iscrizione
riferita dal Fabretti: (Inscript. c. VI p. 456.)
P. Sufenati P.aF. PdL Myroni
Equiti Romano Decu-
Riali Scribarum Aedili-
Um Curulium Luperco
Laurenti Lavinati
Fretriaco Neapoli Anti-
Noiton Et Eunostidon De-
Curioni IIII Viro Alba-
Ni Longani Bovillen-
Ses Decuriones Ob Me-
Rita Ejus L. D. D. D.
Non è da mettersi in dubbio aver questi Fratori preso un tal
nome da Antinoo il famoso favorito d’Adriano, come troppo apertamente ne dice Sparziano (pag. 137) Graeci quidem, volente Hadriano, eum consecrarunt ec. E sì grande verso di lui fu l’affetto di questo Principe, che dopo morto, volle col suo nome edificargli una città nell’Egitto alle foci del Nilo. È da supporsi che molti tratti di beneficenza abbia dovuto campartire ai Napolitani, perchè indotti si fossero a compiacerlo nel far l’apoteosi del suo Antinoo, a cui tempio, statue, e simulacri furono eretti; attestando lo stesso Sparziano che: Campaniae oppida omnia beneficiis, et largitionibus sublevasse; cioè che tutta Terra di Lavoro ne fu con ogni sorta di doni e di benefizi rimeritata. Era dunque fama che quell’imperatore avesse fatto edificar in Napoli a quel giovane un magnifico tempio, di cui anche al presente qualche meschino avanzo si scorge, sul quale fu ne’ passati secoli innalzata la basilica al Santo fra tutti i Santi il maggiore, come attestano il Pontano, ed il ch. Fabio Giordano nostro storiografo patrio.
Pare dunque che la Fratria dovea essere situata dove oggi dicesi S. Giovanni Maggiore. Fu tal basilica, come nota il Mazzarella, detta il Panteon, a simiglianza dell’altro fatto costruire in Alene; Comune Diis omnibus templum e del Romano dalle stesse
Adriano pur ristaurato, per farvi annoverare e situare il suo favorito Inter Deos Consentes, figurato nelle monete sotto le spezie di Bacco, Mercurio, Apollo e Pane. E siccome il Panteon di Roma, opera di Agrippa, per concessione dell’Imperator Foca a Papa Bonifacio IV, fu sacro a tutti i Santi ed alla gran Madre di Dio; così il nostro Napolitano fu rinnaugurato a S. Giovanni detto il Maggiore, utpote qui inter natos mulierum non surrexit major. (Matlh. II.) Questa Fratria, come di tutte la più recente, non può appartenere alle antiche Attico-Napoletane, bensì dev’essere considerata soprannumeraria o surrogata per volere dell’Imperadore, che tanto l’onorò e la protesse!
10. Degli Eunostidi — Dallo stesso marmo riportato dal Fabretti abbiam veduto che, questa Fratria adorava Eunosto, dio della modestia e della temperanza. Ma la conferma di ciò sta nell’iscrizione che leggesi nell’altra faccia del medesimo sasso, cioè:
P. Sufenati P. F.
Pal. Severo Semproniano
Decuriali Scribarum Aedilium Curialium
Fratriarcho Neapoli Eunostidon
Decurioni Et Sacerdoti Apollinis Albani
Longani Bovillenses
Ob Merita Sufenatis Hermetis
Patris Ejus L. D. D. D.
Credevasi Eunosto nato in Tanagra della Beozia, dove gli fu eretto un tempio, nel quale, secondo Plutarco, non era permesso alle donne di mettere il piede. Corrispose presso a poco all’Ercole Tirio adorato in Gades come protettore della pudicizia, e perciò fu detto il Casto. La poetessa Mirti, l’emula famosa del gran Pindaro volle decantarlo; la Grecia per ogni dove ammirollo, e l’ebbe per uno specchio di virtù. E noi ci compiacciamo anzi ammirar dobbiamo il saviissimo pensare de’ nostri maggiori che un culto sì degno vollero ammettere a propagare.
Dovendo questi Fratori tenersi lontani dal muliebre consorzio;
certamente che in un sobborgo della città dovevano aver la loro residenza. E poichè sappiamo che fuori l’odierna porta di S. Gennaro lungo un antico pomerio, dove poco discosto fu ’l vetustissimo poliandro o sepolcreto de’ Napolitani, molti ruderi dì nobile e singolar lavoro d’antichi tempii e d’altri non men sontuosi edifizii tuttora si veggono, quivi credè il Martorelli, e dopo di lui il Romanelli ed il Mazzarella Farao potersi il tempio di Eunosto e la sacra consorteria di lui senza alcun dubbio fissarsi. Che se questa non vi fu realmente, perchè fuori di città, vi esisteva al cerio il suo sepolcro.
Risappiamo dal canonico Ignarra che appunto in un sepolcreto che fu scoperto nel quartiere de’ Vergini si rinvennero molte greche iscrizioni e bellissimi epigrammi sulle pareti dipinti. In uno di questi epigrammi in caratteri greci antichissimi si parlava degli Eunostidi, e che, vôlto in lalino, diceva:
Leucia Euphronis
Euphron Heraclidis
Haec Eunostideon Urna Exlinctum
Euphrona Condit
Pectore Qui Vivens Mitem Animum
Occuluit
11. De’ Partenopei — Questa Fratria è figlia più d’una tradizione che d’altro, mancando l’appoggio di qualche monumento per ragionevolmente e con sicurezza parlarne. Chiunque però ha fior di senno, riflette il Mazzarella, non potrà non credere, che i nostri savii maggiori, per quel filosofico e comune sistema del loro tempo, di velar i sacri e più arcani misteri col manto della mitologia e dell’allegorie e de’ simboli, dopo d’aver personificato il nome della nostra città di belle e vetuste favole, vestendolo di graziosi contorni; e dopo d’aver formato una Sirena da una semplice orientale e forse non intesa voce, e quindi di essa un nume con tempio magnifico, are, sacerdoti, oracolo, sacre orgie, giuochi, corse, e con isplendidissimo cenotafio innalzato, sì fossero dimenticali di
stabilire col di lei nome anche una Fratria. Alcuni han creduto il tempio di Partenope alla Vittoria, ed il di lei oracolo per sacri edifizii esteso fin dentro la Grotta dello spago per essersi in vicinanza di essa trovata la statua dì tal sognato nume, che fu mandata in Ispagna dal Vicerè di quel tempo. Dovea perciò spaziarsi
tal’illustre consorteria per tutta la lunghezza dell’amenissima Chiaia,
contrada ben popolata, e nel cui perimetro, che cominciava dal
Castel dell’Ovo, ebbe il suo magnifico palagio lo splendidissimo
Lucullo, intendiamo il gran Trimalchione, troppo a disteso e con
eleganza trattatone e dello da Petronio.
12. De’ Mopsopiti — Le congetture de’ nostri, scrittori intorno all’esistenza di questa Fratria non sono abbastanza fondate. Tutto poggia finora sopra deboli giudizi d’induzione. Se fuvvi una Fratria degli Eumelidi da Eumelo conduttor d’una colonia fra noi;
un’altra de’ Gionei per esprimere, ancorchè senza determinazione, il Duce della Colonia Calcidese, o d’Eubea; un’altra degli Aristei, altra de’ Panclidi, altra degli Eumidi ec. chi oserà dubitare che, al pari degli altri, al grande e segnalato eroe, e conduttore dell’Attica colonia, Mopso, non siansi resi consimili onori? Troppo male si penserebbe degli avi nostri, se si opinasse altrimenti; che il cattivo ed indegno carattere d’ingratitudine fu sempre bandito dalla bella nostra contrada in quegli eroici e beati tempi che, con dispetto ed invidia, richiamiamo a memoria.
Il sito poi di nostra città, che potè probabilmente occupar questa Fratria, è quello dell’attuale Molo, montando in su pel largo
del Castello, S. Anna di Palazzo, S. Caterina da Siena e tutto il colle di Pizzofalcone, chiuso dalla parte bassa dal mare, fino alle vicinanze di S. Maria della Vittoria, donde poi anche probabilmente dovea cominciare la Fratria de’ Partenopei.
Tutte queste sacre consorterie finora descritte non comprendevano che uomini addetti al culto de’ loro numi particolari. Nè creder si poteva, ch’anche le donne avessero le loro società e le loro
radunanze separate e distinte. Pur non mancavano nella nostra città; anzi lungi dall’essere addette a qualche dea, che loro permettesse le feste, il giuoco, l’ilarità ed il divertimento, eran desse
consacrate alla mestizia, al lutto, alla desolazione ed al lamento. Il luogo della loro radunanza avea finanche il nome di Cella lugubre, ossia Cosa del pianto. Si ebbe notizia di questa veramente strana e curiosa società da una greca iscrizione in un gran tegolo di creta cotta, (non già marmo, come fu da nostri scrittori definito) che si scavò nel 1612, diroccandosi alcune case appartenenti al monastero dell’Egiziaca a Portanolana, nel cui muro di prospetto ancor oggi si vede. Il Romanelli ce ne ha dato i primi cinque versi come furon letti e riportati dall’Ignarra colla sua traduzione, giacchè i rimanenti nulla hanno d’interessante:
Tettiae Castae Sacerdoti Sodalitalis Matro-
narum Cellae Lugubris Designatae.
Caesare Augusti Filio Domitiano Iterum,
Valerio Festa Consulibus XIV (mensis)
Lenaeonis. Scribendo Adfuerunt Lucius Frugi,
Cornelius Cerealis, Ianius. . .
Non è chiaro, perchè queste matrone si radunassero nella loro Casa del pianto, di cui Tezia Casta è chiamata Sacerdotessa: ma,
se si dà luogo alla congettura, si può credere, che convenissero a quella mesta ragunanza per piangere la morte di Adone, come si usava del pari in tutta la Grecia col nome d’Inferie Adonie, o giorni consecrati a questa lugubre funzione. Pausania, e più chiaramente Luciano, ne parlano.
Nel resto di questa iscrizione, assai poco leggibile, si riporta al senatoconsulto, col quale si ordinò, di darsi all’estinta sacerdotessa il luogo del sepolcro, e di alzarsi una statua a cagion dei suoi meriti. La data di questo pubblico atto risale all’anno 75 di nostra redenzione.
Eran questi gli elementi che il governo cittadinesco costituivano di Partenope e Napoli, e che insieme riuniti, un senato formavano, dal quale eran le pubbliche faccende proposte alla deliberazione del popolo, presso cui era la suprema autorità, come nella guerra di Palepoli avvenne. Laonde gli stessi magistrati di Rodi, Cuma ed
Atene avran regolato eziandio la città nostra, e fra essi voglionsi anche annoverare certarnente i demarchi. E tali magistrati dovettero durarvi finchè Napoli, dopo essersi renduta a Publilio Filone senza perdere l’autocrazia, per cui dar poteva ricovero anche ad un bandeggiato da’ Romani, si mantenne a questi stretta con vincolo di federazione. Ma divenuta municipio, molte magistrature e leggi di Roma adottò, le quali vi duravano quando Adriano assoggettolla al consolare della Campania, e crebbero allorchè, fatta colonia, ed avendo a poco a poco ogni greca legge perduta, cangiò del tutto, anche i nomi de’ magistrati. Non più si parlò di ginnasiarchi, di fretarchi, nè di agonoteti. Fu chiusa la palestra; furono abolite le Fratrie e gli atletici giuochi, ed invece de’ greci demarchi troviam rammentati gli arcontici ( i duumviralizi ) gli agoranomici (gli edilizi), i pentaeterici (i quinquennalizi), i timetici (i censorii o questorii), traduzioni tutte di latine in greche parole. Imperciocchè se romano era il governo in Napoli, non per questo la lingua dello Stato erasi cangiata del tutto; e negli atti pubblici, e nelle monete e ne’ marmi ancora durava. Anzi ove fosse occorso di mescolar greco e latino in una epigrafe stessa dì concessione, sempre quello a questo precedeva. Il greco annunziava ai cittadini il ricevuto benefizio; il latino era quello di che valevasi l’autorità pubblica, e serviva come ad autenticar l’atto. Per sino i decreti de’ napolitani decurioni scritti grecamente mostrano le formole de’ Senatus-consulti romani. Gli anni vi sono segnati co’ nomi de’ consoli, ed i mesi, in idi e calende partiti. Insomma, dalla greca lingua in fuori che già declinava, Napoli dichiarata colonia, divenne veramente Romana. Costantino da ultimo ne commise il governo allo stesso Consolare della Campania con dovere bensì dipendere dal vicariato di Roma. E di questi consolari, che la ressero fino a Valentiniano III, ci conservarono i marmi i nomi di un I Barbario Pompeiano, di un Taziano stato altresì del collegio dei pontefici e sacerdote di Ercole, di un Mavorzio Lolliano, di un Lupo, e per tacere degli altri che lor successero, di un Postumio Lampadio, la cui epigrafe messa un tempo innanzi alla chiesa dello Rotonda, diceva:
Posthumius
Lampadius
V. C. Cons Camp.
Curavit
Per maggior intelligenza delle cose finora esposte, crediamo di far cosa grata a’ lettori col riportare in apposito foglio la situazione
topografica de’ principali monumenti della città di Napoli Italo-Greca, secondo il sentimento degli storici, e de’ migliori archeologi
del paese.
Abbiamo accennato in sul principio di questa annotazione quanto incerto e difficile fosse il rimontare all’origine de’ Sedili; pur è
nostro debito, dopo aver detto delle Fratrie quel tanto che si poteva, riunire in breve aggregato le migliori notizie de’ nostri patrii scrittori sull’antichissima loro fondazione, e sulle vicende alle quali furon soggetti.
Dopo che i Campani ottennero la cittadinanza di Napoli per tutto quel tempo che la città governossi sotto i diversi aspetti di libera e
di soggetta; fino a tanto che sotto Ruggiero perdè le prische franchigie, altro non ravvisiam dalla storia se non d’aver ella mantenuto
costantemente gli antichi suoi riti e le patrie sue costumanze sino a Sergio VI ultimo Duca. E cominciando dalla diversa denominazione de’ Seggi, da molti atti pubblici si raccoglie, che furono detti Tocchi, Teatri, Piazze, Portici e Seggi. Difatti nelle Consuetudini di Napoli (cap. ult.) i Seggi son detti Tocchi, e così pure in molti istromenti del tempo dell’Imperator Costantino, e de’ Re Normanni Ruggiero e Guglielmo; de’ Svevi Federico II e Corrado suo figlio; e degli Angioini sotto Carlo II e di altri. Appellavansi teatri ai tempi di Giovanna I e così leggesi ne’ Commentarii di Papa Pio II, come nella descrizione che fece il Panormita dell’ingresso in Napoli di Re Alfonso I.
Ebbero il nome di Piazze, come si ravvisa in molte antiche scritture ed istromenti registrati nella Cronica di S. Vincenzo a