Notizie del bello, dell'antico, e del curioso della città di Napoli/Notizie delle armi di Napoli
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NOTIZIE DELLE ARMI DI NAPOLI.
In tempo de’ Greci l’impresa, o armi della Città era un bue con una testa umana, con una Fama che lo corona; come in molte anliche monete si vede. E sotto di questo vi stava scritto in greco Partenopon, e dall’altra l’effigie di Partenope, ed un Ape appresso. Si vede anche per antica arma della nostra cillà un cavallo senza freno; e credo che l’alzassero o per Nettuno o per Castore e Polluce che adoravano: essendo che questi erano stati domatori di cavalli. E presso di me ne ho antiche medaglie o monete in rame; ed anche a tempi nostri il quadrino si chiama cavallo, per il cavallo che vi si vedeva impresso. Ora l’insegne della città altro non sono che un campo partito per mezzo, quello di sopra d’oro, quel di sotto rosso. E di questa si serve la Città, ed il Capitolo con questa differenza, che la prima vi fa sopra Una corona; il secondo una mitra, con un bacolo pastorale attraversato.
Alcuni de’ nostri scrittori ne portano l’antichità fin da’ tempi di Costantino il Grande, e prima: e scrivono che usavano questi colori, per dimostrare i numi che adoravano; e l’oro significava il Sole, il rosso la Luna. Essendo poi entrato in Napoli il detto Imperatore con la sua santa madre Elena, per ossequiarli come dovevano, uscirono tutti i Senatori e Consoli Napolitani a riceverli, e portarono due gran Gonfaloni, uno di broccato giallo, e l’altro rosso per onorar la madre ed il figliuolo. Lo che piacque tanto all’Imperadore, che volle che questi due colori fossero serviti per impresa della Città. Questo però gli scrittori l’hanno per tradizione.
E questo basti per una general notizia della nostra Città: vadasi ora osservando il particolare, e quanto in essa vi è di bello, di curioso e di antico; e la specialità di questo si potrà vedere così dentro della città, come ne borghi, in dieci giornate, come divisa l’abbiamo, supponendosi, ch’abbian sempre da principiare dalle posate o alloggiamenti de’ signori forastieri, che stanno ne’ vichi dirimpetto la Nuziatura Apostolica 1.
Note
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Poche cose aggiunger possiamo a quelle dette dal Celano su i colori dello stemma della nostra Metropoli, ma pur tali, da raggiunger
lo scopo di sua grandezza. Nella composizione delle insegne debbono metallo e colore, per blasoniche regole, insieme accordarsi perciocchè l’uno non potrebbe sostenersi senza dell’ alro, e sarebbe incompatibile il soprapporre metallo a metallo e colore a colore.
A sei riduconsi i colori, e questi sono il giallo, il bianco, il rosso, l’azzurro, il nero, ed il verde. De’ qualì i primi due son propriamente appellati metalli, cioè l’oro e l’argento; per l’oro intendiamo il giallo da’ Latini detto giluus, luteus, croceus, topazinus, dal color del topazio; e per l’argento il bianco, albus, candidus, cycneus, adamantinus, dal color del diamante. L’oro è senza dubbio il più degno, come il principe de’ metalli, riferibile al Sole principe del nostro planetario sistema, e che ne indica lo splendore e la gloria; e perciò di sua nobiltà ed eccellenza si vanta; come l’argento si pregia di sua purità e del candore di sua fedeltà adamantina. Degli altri quattro, che son propriamente colori, il rosso vermiglio da’ Latini addimandaio rufus, rubeus, coccineus, pyropinus somigliante al piropo o carbonchio, a parere de’ savii, ottiene il primato, perchè significa il fuoco, elemento superiore all’aria, simboleggiata dall’azzurro, e molto più superiore alla terra, a cui il nero ed il verde si riferiscono, con questa differenza, che il nero accenna l’ignudo ed incolto suolo, ed il verde la terra coltivata e vestita.
Or essendo l’oro il principe de’ metalli, come il rosso lo è dei colori, ne segue che l’insegne della nostra Metropoli ritener si debbano per le più sublimi ed illustri. Difatti, a prescindere dalla somma semplicità, tutta propria delle più eccelse armature, hanno, in partito campo, nella parte superiore il principe de’ metalli, e nell’inferiore il principe de’ colori. Con fior di senno non permiser gli antichi che l’oro e l’ostro da altri, fuorchè da’ Principi e dalle alte magistrature si usassero; e non pur dalle romane leggi, ma dall’esempio eziandio de’ Supremi Magistrati de’ passati secoli, e de’ Cardinali di S. Chiesa rileviamo, che tutti vestivano, come questi ultimi vestono, di vermiglio; il cui colore dinota giustizia, carità e vigorìa, come il giallo gloria, signoria, nobiltà ed eccellenza.
È forza dunque il conchiudere che, se il pregio dell’arme gentilizie ne’ simboli essenzialmente consiste, a noi pare che, quelle di Napoli esser non possano nè più significative nè più affacenti alla sua passata e presente grandezza. Per siffatta ragione nell’antico Seggio del Popolo alla Sellarìa, che, come abbiam notato, fu nel 1456 da Re Alfonso abbattuto, queste medesime arme si vedevan dipinte; e di esse pur si serve l’insigne nostro Capitolo, con la sola differenza dal nostro autore accennata.Narriam omai le celebrate pompe
Di quel ceruleo portentoso seno
Ove Napoli a noi siede regina.
Ammiri ognun come a lei fan corona
Nisita, Baja, Procida e Miseno,
Ischia, Cuma, Pozzuoli, ed il Vesevo,
Ercolano, Pompei, poi Stabia ed Equa,
Sorrento, Massa, e la sassosa Capri!...
Per famosi edifizï ognor superba,
Napoli, a tanto ben che in grembo serra,
Sembra parte del Ciel discesa in terra!
«Fons, mare, sylva, lacus, mons, horti, balnea, campi,
Flumina, sunt uno haec nomine Parthenope».
Leggiamo di fatti in un marmo:
Agli Dei Fretori de’ Cumani.
In un altro
Agli Dei Augustali, ed agli Dei Fretori, i Teodati.
Secondo il nostro Stazio poeta, tra gli Dei patrii dovevasi annoverare prima d’ogni altro Apollo, recato all’Ausonia dalle navi degli Abbati, di cui anche a’ tempi suoi la felice Eumelide, cioè Cuma, adorava la colomba che posavasi sull’omero. E questi Abanti sono i Calcidesi fondatori di Cuma, ch’ei chiamò Eumelis quasi dicesse la terra di Eumelo, perchè Apollo si adorava a Cuma col
nome di Eumelo. Nel toccar della Fratria degli Eumelidi accennammo
quel marmo indicante la statua dedicata ad Eumelo da Tito Flavio Pio con Tito Flavio suo figlio.
Stazio nomina Cerere, recata a Napoli dagli Ateniesi, ed anche i Dioscuri fra noi adorati meglio che nol furono sul Taigeto e a
Terapne; il che potrebbe farci arguire un’altra colonia Spartana quì venuta. Finalmente a dimostrare sempreppiù che questi erano i numi de’ primi stranieri, ei gli appella Penati e conchiude:
Hos cum plebe sua patrii servate Penates.
Oltre agli Dei da Stazio mentovati, Napoli adorò Bacco col nome di Ebone, al quale come a nume presentissimo Tito Giunio Aquila
iuniore consacrò un monumento. Che Partenope era come Diva onorata, lo imparammo già da Licofrone. Furono eziandio venerati appo noi Nettuno, Diana, Vesta, Orione, e parecchie
Frati Carmelitani calzi — nel Carmine Maggiore.
Carmelitani scalzi — a S. Maria Madre di Dio a’ Regi Studi.
» S. Teresa a Chiaia.
Servi di Maria — in S. Maria del Presepe alla Duchesca,
Frati Pisani — in S. Maria delle Grazie Maggiore.
Frati Mercedarii — in S. Orsola a Chiaia.
Frati della Carità — in S. Maria della Pace.
»S. Caterina ad Colles.
Frati Cappuccini — in S. Efrem Vecchio.
S. Efrem Nuovo.
Real Eremo in Capodimonte.
Camposanto Nuovo.
Frati Agostiniani Scalzi — in S. Maria della Verità.
Frati Trinitarii scalzi — Riformati del Riscatto nella SS. Trinità
degli Spagnoli.
I Monasteri di donne comprendono i seguenti Ordini Religiosi.
Benedettine in in S. Gregorio Armeno.
» S. Patrizia.
Domenicane — in S. Maria della Sapienza.
» S. Giovanni a Strada Costantinopoli.
Agostiniane — in S. Andrea delle Monache.
Francescane — in Donnaregina.
» S. Francesco delle Cappuccinelle a Pontecorvo.
» S. Maria del Gesù a Porta S. Gennaro.
» S. Maria di Gerusalemme dette le Trentatre.
Carmelitane — in S. Croce di Lucca.
Salesiane — in Donnalbina.
» Alla Salute.
Teresiane — in S. Giovanni e Teresa all’Arco Mirelli, salita del Vomero.
Perpetue Adoratrici — in S. Giuseppe de’ Ruffi.
Gesuite — de’ Sacri Cuori a S. Giovanni a Carbonara.
Teatine — della SS. Concezione dell’Eremite di Suor Orsola.
Dell’Addolorata — in S. Maria della Stella Matutina nel vico
lungo S. Antonio Abbate.
Sono queste le Clausure che appartengono all’Arcivescovo Napolitano.
Le chiese parrocchiali e coadiutrici di questa città, co’ loro rispettivi titoli, sotto la giurisdizione dell’Arcivescovo sono le seguenti:
Vicariato Curato della Metropolitana.
» Di S. Giovanni Maggiore,
Parrocchia di S. Giorgio Maggiore.
» Di S. Maria in Cosmodin.
» Di S. Maria Maggiore.
Rettoria di S. Agnello Maggiore.
» Di S. Tommaso a Capuana.
» Di S. Maria a Cancello.
» Di S. Angelo a Segno.
Parrocchia di S. Maria della Rotonda.
» Di S. Arcangelo agli Armieri.
» Di S. Giovanni in Porta.
» Di S. Giovanni in Corte.
» Di S. Maria a Piazza.
Rettoria di S. Gennaro all’Olmo.
» Di S. Maria della Scala.
Parrocchia di S. Eligio.
» Di S. Caterina al Mercato.
» Di S. Anna di Palazzo.
Rettoria di S. Sofia.
Parrocchia dell’Incoronatella.
» Di S. Maria Ogni Bene.
» Di S. Giacomo degli Italiani.
Rettoria de’ Ss. Giuseppe e Cristofaro.
Parrocchia di S. Liborio.
» De’ Ss. Francesco e Matteo.
» Di S. Marco di Palazzo.
» Di S. Maria della Neve.
» Della Santissima Ascensione.
» Di S. Maria della Catena.
» Di Tutti i Santi.
Rettoria di S. Angelo all’Arena.
» De’ Ss. Giovanni e Paolo.
Parrocchia Di S. Maria dell’Avvocata.
» Di S. Maria delle Grazie fuori Porta Medina.
» Di S. Maria de’ Vergini.
» Di S. Maria degli Angeli alle Croci.
» Dell’Annunciata a Fonseca.
» Di S. Maria dell’Amore a Mater Dei.
» Di S. Strato di Posilipo.
» Di S. Maria del Soccorso all’Arenella.
» Di S. Maria delle Grazie a Capodimonte.
» Di S. Croce ad Orsolone.
Sagrestia Curata dell’Annunciata.
Cappellania Curata di S. Giovanni de’ Fiorentini.
» Di S. Giorgio de’ Genovesi.
Parrocchia de’ Ss. Pietro e Paolo de’ Greci.
Le coadiutrici sono
S. Maria Apparente per S. Anna di Palazzo.
S. Erasmo al Ponte della Maddalena per S. Arcangelo all’Arena.
S. Maria del Carmine a Capodichino per i Ss. Giovanni e Paolo.
SS. Trinità alla Cesaria per S. Maria dell’Avvocata.
S. Maria di Piedigrotta per S. Giuseppe a Chiaia.
S. Maria di Monte Verginelle a Casanova per Tutti i Santi.
SS. immacolata de’ Cangiani e S. Gennaro al Vomero per S. Maria
del Soccorso all’Arenella.
SS. Concezione dello Scodillo per S. Maria delle Grazie a Capodimonte.
S. Maria della Consolazione di Villa Nuova e SS. Addolorala del
Duca di Frisio per S. Strato di Posilipo.
È da avvenire che i Padri Cappuccini di S. Efrem Vecchio e Nuovo, e i Padri Riformati della Salute si prestano anch’essi all’amministrazione de’ Sagramenti. I Parrochi delle quattro Parrocchie Maggiori, cioè S. Maria in Cosmodin a Portanova, S. Giorgio Maggiore, S. Giovanni Maggiore e S. Maria Maggiore escono colle loro Croci ad accompagnare i defunti delle rispettive ottine. Quando però nell’esequie interviene la Croce dell’Arcivescovado ch’è la chiesa massima, con li
Canonici o con gli Eddomadarii, all’apparir di questa, tosto la Croce parrocchiale deve abbassarsi.
Nelle processioni intervenendo i parrochi, questi sono preceduti dalle quattro Croci delle anzidette parrocchie maggiori collocate in linea.
L’Arcivescovo di Napoli risiede nell’Episcopio, ch’è situato accanto al Duomo, e del quale farem cenno a suo luogo. Quivi ha sede il suo segretario particolare, il gentiluomo, il crocifero, il caudatario ed altri suoi famigliari. Vi è collocata la Curia e la Segreteria del clero. La prima, preseduta dal Vicario generale della diocesi, è composta da un luogotenente, due fiscali, quattro giudici, un maestro d’atti ed un aiutante, un archivario ed un suo aiutante, un ricevitore generale, un avvocato de’ poveri, e cinque notari con altrettanti aiutanti. In essa trattansi, fra le altre cose ecclesiastiche, le cause canoniche che sono tra i limiti stabiliti dall’ultimo Concordato. Ivi è benanche l’uffizio della Santa Visita composto dal segretario, dall’avvocato fiscale, dal promotore fiscale, dal cancelliere e due aiutanti. Fa parte anche della Curia Arcivescovile il luogo dove s’istruiscono, si esaminano e compongonsi i processi de’ Servi di Dìo, i quali si rinviano a Roma per ottenere i decreti della Beatificazione, e Canonizzazione. Per la stipula di tutti gli alti, che concernono queste cause, sono addetti due notari, riconosciuti benanche dalla Curia Romana.
Real Cappella palatina. Il clero tutto che in diverse guise si addice al servizio spirituale del Re N. S. e della Real Casa, compone una Chiesa affatto divisa nella giurisdizione ordinaria da quella dell’Arcivescovo, e che è governata da un prelato che toglie il
titolo di Cappellano Maggiore. Egli ha giurisdizione sul Clero Regio, su le parrocchie e rettorie ne’ recinti delle fortezze e de castelli, degli ospedali e delle fabbriche militari di tutto quanto il Reame, ed anche su tutte le chiese che trovansi in luoghi pertinenti alla Casa del Re, ma affatto chiusi (benchè siavi qualche eccezione); su quelle aperte dentro il perimetro del Real Museo Borbonico, l’una deputata agli artisti e l’altra agli artefici; su quella del Collegio della Nunziatella, e da ultimo su la Regia Basilica di S. Francesco di Paola, la quale, comeche sorta in sito
sottoposto al dritto della nostra Chiesa Arcivescovile, n’è stata fatta indipendente con una Bolla di Papa Gregorio XYI emanata, nell’anno 1836.
Il Cappellano Maggiore ha una curia composia del segretario, del cancelliere, di quattro uffiziali, e d’un segretario del clero.
Il Regio clero Palatino di Napoli si compone di dodici cappellani di camera, tra quali il primo è il decano della Cappella; di due
cappellani straordinari con insegna maggiore; e diciotto straordinari con insegna minore. Fra questi ultimi uno ha l’uffizio di penitenziere, che si provvede per concorso, ed altri sono anche addetti al servigio degli Oratorii privati de’ Reali Principi e delle Principesse.
Le chiese parrocchiali di Napoli e de’ suoi contorni sottoposte alla giurisdizione del Cappellano Maggiore sono: S. Sebastiano nel Castel Nuovo; il SS. Rosario nel presidio di Pizzofalcone; S. Vincenzo Martire nella Darsena; S. Erasmo nel Castello di questo nome; SS. Salvatore nel Castello dell’Uovo; S. Maria del Carmine nel forte di questo nome; S. Gennaro nel Real Bosco di Capodimonte; S. Leucio; la Chiesa del Real sito di Carditello, e la Chiesa della Real Villa dì Portici.
Il Nunzio Apostolico presso la Real Corte di Napoli esercita giurisdizione ordinaria sopra, le seguenti chiese: S. Chiara, il Divino
Amore, l’Egiziaca a Forcella, Gesù e Maria, le Pratesi o le Fiorentine a Chiaia, e S. Giacomo degli Spagnuoli.
La Città è divisa, come abbiam notato, in quarantasette parrocchie; che unite alle Regie anzidette, sommano in tutto a cinquantaquattro.
Nel numero delle quarantasette vanno comprese le tre parrocchie per nazioni straniere, cioè de’ Fiorentini, de’ Genovesi, e de’ Greci.
Il numero delle Chiese è di circa quattrocento.
Il numero delle Cappelle serotine, così, dette da che vi si raccolgono di sera per le pratiche di pietà i vari operai, è di settantadue.
Il numero delle Arciconfraternite, Confraternite o Congregazioni è di duecento e tre.
Il numero delle Congregazioni di Spirito otto.
Il Clero secolare comprende:
L’Arcivescovo.
I Vescovi.
Capitolo de’ Canonici dell’Arcivescovado.
Collegio degli Eddomadarii.
Quarantisti della Metropolitana.
Cappellani della Real Cappella del Tesoro di S. Gennaro.
Capitolo de’ Canonici di S. Giovanni Maggiore.
Collegio degli Eddomadari di S. Giovanni Maggiore.
Collegio degli Eddomadarï di S. Giorgio Maggiore, cui presiede un Abate canonico diacono della Metropolitana.
Collegio degli Eddomadarî di S. Maria Maggiore, preseduta da un Abate decorato delle insigne di Protonotario Apostolico non partecipante.
Parrochi dipendenti dall’Arcivescovo di Napoli.
Parrochi dipendenti dal Cappellano Maggiore.
Clero Palatino, cappellani titolari, onorarii e straordinarii.
Quattro congregazioni di Sacerdoti sotto la dipendenza dell’Arcivescovo destinate alle S. Missioni, cioè S. Maria Regina Apostolorum, S. Maria Assunta, S. Maria della Purità e la SS. Concezione, e colla dipendenza da’ superiori di queste delle Cappelle
serotine.
Da ultimo i Sacerdoti semplici che sommano a circa tremila e trecento.
Il Clero regolare è formato dalle seguenti congregazioni ed Ordini Religiosi.
Padri dell Oratorio — a’ Gerolomini.
Dottrinarii — a S. Nicola de’ Caserti.
Signori della Missione — a’ Vergini,
Pii Operarii — a S. Nicola alla Carità.
» A S. Giorgio Maggiore.
» A S. Maria de’ Monti a’ Pontirossi.
Sacra Famiglia de’ Cinesi — a’ Cinesi.
Missionari del Preziosissimo Sangue — in S. Crispino e Crispiniano.
Padri del SS. Redentore — a S. Antonio a Tarsia.
Canonici Lateranensi del SS. Salvatore — in S. Maria di Piedigrotta.
Chierici Regolari delle Scuole Pie — in S. Carlo all’Arena.
» In S. Carlo alle Mortelle.
della Madre di Dio — in S. Maria in Portico.
» S. Brigida.
Ministri degli Infermi — in S. Maria Porta Coeli a’Mannesi.
S. Aspreno a Porta S. Gennaro.
Gesuiti — Casa e Convitto al Gesù Nuovo.
Barnabiti — in S. Maria di Caravaggio.
» S. Giuseppe a Pontecorvo.
Padri Cassinesi — in Ss. Severino e Sosio.
Certosini — in S. Martino.
Camaldolesi — nel SS. Salvadore a’ Camaldoli.
Frati Domenicani — in S. Domenico Maggiore.
» S. Pietro Martire.
» S. Maria la Libera al Vomero.
Frati Minori Conventuali — in S. Lorenzo Maggiore.
» S. Gennaro al Vomero.
Del Terzo Ordine di S. Francesco — in S. Caterina a Chiaia.
Frati Minori Osservanti — in S. Maria la Nuova.
» S. Severo Maggiore.
Monte Calvario — Ospizio di Terrasanta.
Riformati — in S. Pietro ad Aram.
» S. Maria della Salute.
» S. Chiara.
» Miano.
Riformati di S. Pietro d’Alcantara — S. Lucia al Monte.
» Di S. Maria della Sanità.
» Di S. Pasquale a Chiaia.
» Di S. Maria del Paradiso a Villanova.
Frati Agostiniani calzi — in S. Agostino alla Zecca.
Terzo Ordine di S. Agostino — in S. Maria Maddalena degli
Spagnuoli.
» S. Carlo alle Mortelle.
Frati Minimi — in S. Maria della Stella.
» S. Francesco di Paola.
Son poi alla dipendenza del Nunzio Apostolico le seguenti.
Le Clariste — in S. Chiara.
Le Concezioniste — nel Divino Amore.
Le Agostiniane — in S. Maria Egiziaca a Forcella.
Le Canonichesse Lateranensi — in Gesù e Maria.
Le Francescane — in S. Francesco degli Scarioni all’Arco di Mirelli.
I Conservatori ed i Ritiri sono i seguenti.
Addolorata a Miradois.
Addolorata in S. Antonio a’ Monti.
SS. Annunciata.
S. Antonio alla Vicaria.
S. Antonio fuori Porta S. Gennaro.
Bambino ed Addolorata all’Olivella.
Bambino e S. Filomena al vico Forno a S. Lucia.
Ss. Bernardo e Margherita a Fonseca.
S. Caterina da Siena.
SS. Concezione delle Teresiane dette della Torre del Greco.
SS. Concezione delle Teatine di Suor Orsola.
SS. Concezione alle Rampe di Brancaccio.
SS. Concezione a Capodimonte.
Ss. Crispino e Crispiniano dell’arte de’ calzolai.
SS. Crocifisso a S. Maria Antesecula.
SS. Cuore di Gesù alla Salute.
SS. Ecce Homo e Ss. Bernardo e Margherita a Porto.
S. Eligio al Mercato.
S. Fede al Pallonetto di S. Chiara.
S. Filippo e Giacomo dell’arte della seta.
S. Francesco Saverio al ponte di S. Maria degli Angioli alle Croci.
S. Gaetano al vico Saponari.
Ss. Gennaro e Clemente alla Duchesca.
S. Gennaro de’ Cavalcanti a Materdei.
Ss. Giuseppe e Teresa ai Miracoli.
Ss. Giuseppe e Teresa in S. Maria Antesecula.
Immacolata Concezione ed Arcangelo Gabriele in S. Giuseppe
de’ Vecchi.
a’ quali per siffatta ufficiatura furono associati con Bolla del Pontefice S. Pio V nel 1567 senza che nulla dalla mensa canonicale abbian mai percepito. Questo Collegio, anche dissociato da’ Canonici, ha il dritto della elevazione della propria croce. Ha il privilegio della direzione del coro e di tutte le uffiziature lette o cantate, della celebrazione della Messa cantata ne’ giorni di sua spettanza, etiam praesente archiepiscopo; delle processioni liturgiche e di voto, che fa con l’elevazione della propria croce, separatamente dal Capitolo. Fa la benedizione del fonte battesimale nel sabato di Pentecoste. I componenti del Collegio fanno eziandio da uffiziante nei
giorni festivi e feriali, e sono tutti ventidue prebendati. Si scelgono tra essi i due Cantori del coro. Fa uso da antichissimo tempo d’un suggello che ha da una parte il Salvadore, e dall’altra S. Attanasio con gli Ebdomadarï genuflessi davanti a lui. i medesimi nel loro possesso sono obbligati, in virtù delle loro costituzioni, alla profession di Fede prescritta dal Tridentino; in sostanza, tuttocchè inferiori ai Canonici, non sono nè mansionari, nè assisï.
Il Pontefice Paolo V chiamandoli beneficiati perpetui, li decorò con una cappa magna di pelli grigie o di seta violacea; e Benedetto XIII permise loro di farne uso anche fuori la Cattedrale.
Hanno essi finalmente in separato locale il loro archivio; e in Chiesa la loro sepoltura, la quale fu nel 1744 ridotta nella forma che si vede in tempo del Cardinale Spinelli, di che si dirà a suo luogo.
Compie il Capitolo Metropolitano il Collegio de’ Quarantisti, inferiore per dignità a quello degli Ebdomadarï. Diconsi Quarantisti perchè essi, che son diciotto, uniti a’ ventidue Ebdomadari compiono il numero di quaranta. Convengono al coro, e servono all’uffizio chericale, assistendo da diaconi e suddiaconi nelle Messe solenni. Anticamente erano semplici cherici, e come tali servivano
gli Ebdomadarî; poi dagli Arcivescovi Mario Carafa ed Ottavio
Acquaviva ebbero un determinato servizio periodico; e posteriormente
furon dall’Arcivescovo Ascanio Filomarino riuniti in un Collegio
distinto, come sono oggidì. I Quarantisti vestono l’Armuccio di pelli bianche e grigie, o di seta violacea avendola usata per la prima volta nell’anno 1612.
Immacolata Concezione a’ Convalescenti.
SS. Immacolata e S. Vincenzo Ferreri al Cavone di S. Gennaro de’ Poveri.
S. Maria della Carità e SS. Concezione di Montecalvario.
S. Maria del Presidio e S. Giorgio alla Pignasecca.
S. Maria del Consiglio.
S. Maria del Soccorso e dello Splendore.
S. Maria della Visitazione di Mondragone.
S. Maria della Purità de’ Notai all’Infrascata.
S. Maria della Purità degli Orefici.
S. Maria de’ Settedolori in S. Antonio a Porta Alba.
S. Maria di Visita poveri nella Maddalena Maggiore.
S. Maria del Rifugio alla Strada Tribunali.
S. Maria della Purificazione e S. Gioacchino a Pontenuovo.
S. Maria Addolorata di Buoncammino alla Piazzetta di Porto.
S. Maria de’ Guardamentari a S. Antonio alla Vicaria.
S. Maria della Purità in S. Anna a Porta Capuana.
S. Maria di Costantinopoli.
S. Maria del Buon Consiglio a Magnocavallo.
S. Maria del Buon Consiglio al largo Tavernola ai Miracoli.
S. Maria Regina del Paradiso al vico Lava.
S. Maria del Gran Trionfo in S. Maria dell’Avvocata a Foria.
S. Maria Regina del Paradiso e S. Antonio di Padova alla Sanità.
S. Maria Maddalena a’ Cristallini.
S. M. Maddalena de’ Pazzi al largo di Gasù e Maria.
S. Monaca a S. Efrem Nuovo.
S. Nicola a Nilo.
Ss. Pietro e Gennaro a S. Gennaro Extra-moenia in due distinti locali.
Ss. Pietro e Paolo a Pontecorvo.
Provvidenza alla Salute.
SS. Purificazione o Tempio della Scorziata a S. Paolo.
S. Raffaele a Materdei.
Regina Coeli a S. Gaudioso.
SS. Rosario a Porta Medina.
SS. Rosario al largo delle Pigne.
S. Rosa dell’arte della lana.
Sacra Famiglia alla Sanità.
Spirito Santo.
Fatta una più esatta rassegna de’ Conservatorii e de’ Ritiri, abbiam trovato che il loro numero ascende a 65 riportati di sopra.
Ci resta a dir qualche cosa sulle feste in generale di doppio precetto, e delle modifiche posteriori.
Con Breve Apostolico di Papa Pio VII del dì 10 aprile 1818, Comunicato con Ministeriale del dì 29 detto mese ed anno ad oggetto di conciliarsi gli spirituali vantaggi de’ popoli con i loro temporali bisogni, analogamente alle circostanze de’ tempi e de’ luoghi; nonchè per secondarsi le istanze ed i voti dell’illustre Re delle due Sicilie, Ferdinando, intesi ad ottener in grazia della calamità dei tempi e delle necessità de’ suoi sudditi dalla Apostolica Autorità un Indulto, col quale fossero essi interamente sciolti dal precetto di alcuni giorni festivi (soprammodo col volger degli anni insensibilmente accresciuti), affinchè potessero con più agio attendere a’ lavori ed alle opere servili, fu all’uopo in generale statuito:
Che oltre a tutte le Domeniche dell’anno si ritenesse l’osservanza
delle seguenti feste: cioè:
1° Il giorno della Circoncisione del Nostro Signore Gesù Cristo.
2° Della Epifania del Signore.
3° Della Purificazione della Beatissima Vergine Maria.
4° Dell’Annunziazione della stessa Beatissima Vergine.
5° Del Patriarca S. Giuseppe.
6° Dell’Ascensione del Signore al Cielo.
7° Della solennità del Corpo del Signore.
8° Di S. Giovan Battista.
9° De’ Ss. Apostoli Pietro e Paolo.
10° Dell’Assunzione della B. V. Maria in Cielo.
11° Della Natività della medesima Beata Vergine.
12° Di Tutti i Santi.
13° Della Concezione di Maria Santissima.
14° Della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo.
Con Breve Pontificio di Papa Gregorio XVI, spedito in Roma nel dì 30 dicembre 1835, esecutoriato in Regno il dì 8 gennaio 1836, e comunicato con Real rescritto circolare del dì 26 giugno 1836
affin di accogliersi e secondarsi pienamente le religiose istanze di S. M. il Re del Regno delle due Sicilie, perchè in considerazione della costante divozione della Real Famiglia e de’ sudditi verso la Santissima Vergine, specialmente onorata sotto il titolo della
Madonna delle Grazie, si elevasse a festa di doppio precetto quello di essa Santissima Vergine, che si celebra il dì 2 luglio di ciascun anno: fu all’uopo risoluto, ordinato e comandato; «che nel Regno delle due Sicilie il dì 2 luglio consacrato già alla Madre di Dio col titolo Delle Grazie, da tutti, e da ciascun fedele in particolare dell’uno e dell’altro sesso fosse perpetuamente ed ogni anno osservato e celebrato, come le altre festività; così che a’ fedeli del medesimo Regno nel giorno accennato corre l’obbligo di non solo ascoltar la messa, ma eziandio di astenersi affatto da qualunque opera servile».
Con Rescritto Pontificio del dì 25 aprile 1841, esecutoriato in Regno nel dì 29 detto mese ed anno, non che comunicato con Real Rescritto circolare del dì 1 maggio 1841 in considerazione della costante divozione della Real Famiglia, e del popolo del Regno delle due Sicilie verso l’Arcangelo S. Michele, e della viva gratitudine di entrambi alle tante grazie per intercessione dell’Arcangelo suddetto ottenute, fu statuito: «che in tutta la estensione del Regno delle due Sicilie si dovesse per l’avvenire istituir festa di doppio precetto quella del giorno dell’Apparizione di S. Michele Arcangelo, che cade agli 8 di maggio.
Col mentovato Breve in quanto alle feste particolari di doppio precetto fu stabilito: «che per la città di Napoli eran solamente conservate le feste di S. Gennaro e di S. Antonio di Padova.
Con Apostolica determinazione del Sommo Pontefice Gregorio XVI, comunicata per organo dell’Eminentissimo Prefetto della Congregazione de’ Riti, e pubblicata in Regno con Real Rescritto del dì 9 luglio 1838 ad oggetto di accogliersi e pienamente secondarsi le istanze ed i voti de’ Reverendissimi Parrochi della città di Napoli,
avvalorate dagli uffizi in nome di S. M. (D. G.) al S. Padre diretti,
perchè, in memoria e ringraziamento delle tante grazie dalla Città
di Napoli dal Sommo Iddio ottenute, mercè l’intercessione della
gloriosa S. Anna, il giorno destinato per la sua festività elevato
fosse a doppio precetto per la sola città suddetta; fu dichiarato: «che il giorno 26 di luglio dedicato alla gloriosa S. Anna nella sola Città di Napoli si celebrasse in avvenire come festa di doppio precetto».
Con Breve Apostolico del dì 30 novembre 1849 e con Sovrano atto pubblicato in considerazione della costante divozione della Real Famiglia, e del popolo del Regno delle due Sicilie verso la Beatissima Vergine, e della viva gratitudine di entrambi alle tante grazie per di Lei intercessione ottenute, fu stabilito «che in tutta l’estensione del Regno delle due Sicilie; si dovesse per l’avvenire istituire festa di doppio precetto quella del giorno della Presentazione di Maria Vergine al Tempio che cade il giorno 21novembre».
Resta a far parola de’ titoli onorifici da usarsi da’ pubblici funzionari nella corrispondenza uffiiziale cogli Arcivescovi e coi Vescovi; circa gli onori militari da rendersi ai medesimi, ed a quelli che sono dovuti ai Cardinali Arcivescovi de’ Reali dominii nel perimetro delle proprie diocesi.
Con regolamento generale del dì 24 marzo 1817 sanzionato per uso de’ Ministeri e Reali Segreterie di Stato con legge dello stesso giorno, mese ed anno relativamente a’ titoli onorifici da usarsi da pubblici funzionari nella corrispondenza ufiziale cogli Arcivescovi e con i Vescovi, fu statuito «che agli Arcivescovi ed a’ Vescovi si darà il trattamento d’Illustrissimo e Reverendissimo Signore, quando non siano decorati di altra distinzione, per cui abbia da usarsi il titolario di Eccellenza Reverendissima».
Con Sovrana determinazione del dì 29 maggio 1827, e partecipata con Reale rescritto del dì 20 giugno detto anno relativamente agli onori militari da rendersi agli Arcivescovi ed a’ Vescovi fu disposto che agli Arcivescovi si rendano gli onori di Maresciallo ed a’ Vescovi quelli di Brigadiere».
Con Sovrana determinazione emanata nel Consiglio Ordinario di Stato con la stessa data relativa agli onori militari da rendersi ai Cardinali Arcivescovi fu fermato a che agli Arcivescovi Cardinali si «rendano gli onori di Tenete Generale».
Col Concordato dell’anno 1818 in quanto al modo come
proceder si dovesse alla nomina di degni ed idonei ecclesiastici per vacanti Vescovati ed Arcivescovati del Regno delle due Sicilie fu statuito. «In considerazione delle utilità che dal presente Concordato ridonda alla Religione ed alla Chiesa; e per dare un attestato di particolare affezione alla persona di S. M. il Re Ferdinando, Sua Santità accorda in perpetuo a lui ed a’ suoi discendenti cattolici successori al Trono, l’indulto di nominare degni ed idonei ecclesiastici, forniti delle qualità richieste dai Sacri Canoni, a tutti quei Vescovati ed Arcivescovati del Regno delle due Sicilie, pe’ quali Sua Maestà finora non godeva del dritto della nomina; ed a tale effetto tosto che sieno seguite le ratifiche del presente Concordato, Sua Santità farà spedire la Bolla d’Indulto.
Feste popolari. In una gran Capitale come Napoli, tanto attaccata
alla nostra Santa Religione, non sono da trascurarsi certe feste popolari che, comunque considerate, non lasciano di condurre l’osservatore alla conoscenza del vero carattere de’ Napolitani, e della varietà de’ loro divertimenti. Noi ci atterremo agli applauditi concetti del chiaro Canonico de Jorio espressi nella sua indicazione del più rimarcabile in Napoli e contorni. Nelle feste popolari, egli dice, il filosofo e l’imparziale godono nello studiare il modo di sorprendere la natura sul fatto, e conoscere i costumi delle
classi nell’istante che trovansi in allegria; e l’archeologo non tarda a ritrovarvi di che occupare i suoi talenti, e l’erudite sue pagine. Quanti usi della plebe Greca e Romana non si conservan tuttora nel nostro popolo? Nè qualche cosa vi manca che rimonta all’antichità più remota. Si grida tanto p. e. da taluni contro il frequentissimo uso degli spari che i Napolitani fanno nelle divote funzioni; e vi è chi si adira nel vederli così inchinevoli al chiasso de’ colpi da fuoco; ma chi non sa quale religiosa idea attaccavasi un tempo all’acqua, al fuoco ed ai fiori? Queste ed altre archeologiche idee, già da qualche autore accennate; e quelle eziandio
riguardanti gli usi politici e morali d’un popolo ne’ suoi esterni atti di religione, potrebbero essere un ricco argomento di profonde
ricerche.
Dalle tante feste e riunioni popolari del nostro paese, ve ne sono alcune che meritano d’esser ricordate, fra le quali:
La Natività del Signore — La Pasqua di Resurrezione — L’Ascensione
— La Pentecoste — Il Corpus Domini — L’ottava di esso, ossia la processione de’ quattro altari — S. Antonio Abate — La rinomata
festa di Piedigrotta — La processione del Sangue di S. Gennaro nel giorno di sabato che precede la prima domenica di maggio — Destano esse moltissima ammirazione per la pompa e la ricchezza, talvolta sorprendenti delle chiesastiche funzioni, specialmente nella notte del Santo Natale, così nella Cattedrale che nella Real Cappella Palatina; pei bellissimi presepi che si fanno nelle chiese e nelle case de’ particolari; per gli abbondantissimi e graziosi parati dì comestibili d’ogni genere nelle strade e nelle altre piazze dell’interno della capitale, nel concerto de’ quali la fantasia de’ Napolitani suole farsi ammirare per mille bellissimi scherzi.
Meritano eziandio esser vedute ed ammirate le funzioni della Settimana Maggiore, le diverse rappresentazioni del Santo Sepolcro, e tutte le Quarantore della Metropoli nel calendario indicate.
La festa della Pentecoste e del seguente giorno ci porge lo gradito spettacolo di vedere dal Ponte della Maddalena in avanti l’immensa folla che ritorna da Montevergine e dalla Madonna dell’Arco. Questa, più di qualunque altra festa pe’ nostri contorni, porta
l’impronta di alcune antiche usanze, anche Greche. E ciò basti, senza far cenno di altre circostanze di popolari affollamenti, nell’esame de’ quali l’archeologo pur troverebbe di che seriamente occuparsi.
Nella Chiesa Arcivescovile è la Real Cappella del Tesoro di S. Gennaro, la quale dipendendo per la parte spirituale dall’Arcivescovo, viene amministrata per la temporale da una deputazione di nove persone elette fra’ patrizi della città, con un presidente, ch’è sempre il Sindaco di Napoli. Questa deputazione dipende direttamente dal Ministero degli affari stranieri. Il clero addetto
al servizio della Cappella componesi di dodici Cappellani, dieci de’ quali debbono appartenere a famiglie scritte nel libro d’oro, e due a famiglie popolane; perocchè i dieci primi venivano scelti due per ognuno de’ cinque sedili nobili della città, e due dal sedile del popolo. Il quale statuto della Cappella è stato sempre religiosamente osservato; se non che, si vide per volere di Gioacchino Murat, ma da non passare in esempio, una sola volta violato. Uno de’ menzionati dodici Cappellani ha l’uffizio di tesoriere, che dura per tutta la vita; e dassi in giro ad un cappellano di ciaschedun Seggio, tenendosi presenti le antiche ascrizioni delle rispettive famiglie a’ Sedili della nobiltà e del popolo. Il clero minore, addetto anche al servizio della Cappella, si compone di quattro Sacerdoti col titolo di cherici ordinari, e di otto cherici straordinari, de’ quali tutti è capo il sagrestano maggiore. L’Arcivescovo ha diritto di condursi una sola volta l’anno nella Cappella del Tesoro in forma pubblica, per tener Cappella, cioè assistere con tutto il Capitolo Metropolitano alla celebrazione della Messa, o di altre sacre funzioni, dopo l’invito che deve all’uopo ricevere dalla deputazione. Ma all’infuori di questo giorno, sempre che egli deve entrarvi per accompagnare la Maestà del Re, non può condur seco più di quattro canonici; nè a’ Canonici salvo questi casi, è permesso l’entrarvi vestiti delle loro insegne; come all’opposto a’ cappellani del Tesoro non è permesso muover nel Duomo vestiti della lor mantelletta nera. Del di più a suo luogo.
Nella dipendenza dell’Arcivescovo va pur compresa la insigne Collegiata di S. Giovanni Maggiore, la quale componesi di tredici canonici, tra cui è un primicerio. L’ufficio di Vicario Curato della chiesa si esercita da ciascuno de’ canonici per la durata d’un semestre. Fan parte di questa collegiata dodici ebdomadari ordinari,
e quattro straordinari.
Quando l’Arcivescovo celebra le sacre funzioni, i Canonici portano la mitra, e non siedono più ne’ loro stalli del coro, ma
prendon posto in uno spazio semicircolare chiuso da balaustrato, che sta rimpetto all’altar maggiore, a cui il solo Arcivescovo debb’esser più vicino, come prima dignità della Chiesa. I canonici ufficiano nel Duomo, ma la loro Chiesa è quella di S. Restituta, la quale da tempo remotissimo è indipendente dall’Arcivescovo, che può soltanto visitarla, assumendo il carattere di Delegato Apostolico, come ci ha detto il nostro Celano. In questa Chiesa si trovano i sepolcri de’ Canonici, e nella Sagrestia è l’archivio capitolare.
Il nostro autore ha notato essere stati esaltati al Sommo Pontificato tre Canonici del Napolitano Capitolo, cioè Baldassarre Coscia che assunse il nome di Giovanni XXIII nell’anno 1410, Pietro
Carafa detto Paolo IV nel 1555, che fu uno de’ fondatori de’ PP. Teatini; e Petrino Tomacello, detto Innocenzo IX nel 1591. Or da chiari scrittori patrï abbiamo che non fu Innocenzo IX bensì Bonifazio IX assunto al papato nel 1389, e prima di costui nel 1378 l’Arcivescovo di Bari di casa Prignano che assunse il nome di Urbano VI, e ciò comprova la celebrità de’ soggetti che vi hanno appartenuto, e che lo hanno in ogni tempo illustrato.
Segue al Capitolo il Collegio degli Ebdomadarii qualificato per insigne dal Pontefice Benedetto XIII. Fu questo Collegio instituito
dal Vescovo S. Attanasio nel nono secolo, e precisamente, come si crede, nell’anno 850. Giovanni Diacono, che in quel tempo compilò la cronaca de’ Vescovi della Chiesa napolitana, ed anche Pietro Suddiacono, che nello stesso secolo scrisse la vita del medesimo Santo, dicono che lo scopo dell’istituzione degli Ebdomadarï fu quello della celebrazione della Messa pubblica quotidiana, secondo il costume della Santa Romana Chiesa, per lo che volle loro assegnare i fondi pel necessario alla vita. Fra’ quali ne posseggono tuttavia uno di 73 moggia sopra Capodichino, che dopo
tanti secoli, è ancor chiamato Masseria di S. Attanasio, perchè, da una iscrizione quivi esistente, rilevasi d’aver il Santo donato quel fondo a’ suoi Ebdomadarï.
Essi sono in numero di ventidue. Vanno al coro co’ Canonici,
divinità del credulo Egitto, massime a cagion degli Alessandrini che qui commerciavano. Epperò lapide sursero ad Anubi, Oro, Arpocrate, Serapide, Iside ed a Mitra. Ebbero pur tempio ed altare Mercurio, Castore e Polluce, Ercole, Venere Doritide, la Fortuna Napolitana, Antinoo, Priapo, la Dea Libera, e non mancò di adoratori il nume Lampasco per quanto si ha da Petronio; e forse anche i riti funebri di Adone nella nostra città celebrati da Tettia Casta, della quale si è fatto cenno nella descrizione delle sacre consorterie di essa.
Adoravasi ancora un Giove Piazzo, oscurissimo nome, anche dopo le indagini del ch. nostro Mazzocchi, che interpetrollo per Giove Tonante, e che forse crederebbesi errore dell’artefice, se una volta soltanto fosse nel monumento che ce ne dà notizia; ma si ripeteva in due facce della stessa base. Nella prima, che ora è nel Museo Reale, si ha:
Flavius. Antipater
Una. Cum. Flavia. Artemisia. Uxore
Et. Alcide. Lib.
Asclepium. Et, Hygiam
Iovi. Fiazzo. Votum
Nell’altra, che fu segnata, ed è perduta, leggevasi:
Flavius. Antipater
Una. Cum. Flavia. Artemisia. Uxore
Iovi. Fiazzo. Votum. Solvit.
Ebbe voti, secondo il Martorelli, la nostra Montagna di Somma trasformata in
Giove Sommano:
Iovi O. M.
Summano
Exuperantissimo
Chiesa Cattedrale, benchè vi fosser altre parrocchie, e davasi per l’ordinario agli adulti, essendoci memoria che nella morte del Vescovo Giovanni I (432), un gran numero di neòfiti seguiva il feretro di lui. I fonti maggiori furono costrutti nell’atrio della Cattedrale dal Vescovo Sotero, dopo la prima metà del quinto secolo, e servirono a battezzarvi i soli maschi, allorchè il Vescovo Vincenzo nel secolo appresso eresse il fonte minore per le femmine; di cui rimanci ancora la struttura nella cappella di S. Giovanni a Fonte in S. Restituta, Dopo il Battesimo conferivasi immediatamente agli abluti il Sacramento della Cresima il quale si dava nel luogo detto Consegnatorio: in cui i neòfiti entravano per la porta a destra, e fermatisi davanti al Vescovo, venivan segnati nella fronte col sacro
Crisma, e ricevuta la benedizione, uscivan dalla parte sinistra.
Tra’ più ragguardevoli uffici ecclesiastici era quello de’ diaconi, il quale instituito a tempo degli Apostoli, rifermato al numero settenario dal Concilio di Neocesarea (314), grande o piccola che fosse la città, fu quì con certe norme stabilito nel secolo quarto. Questo nobilissimo uffizio di carità cristiana esercitavasi in un sacro edifizio appellato Diaconia, dove il diacono amministrava e dispensava le volontarie limosine che raccoglievano i suddiaconi dai fedeli, a’ pellegrini, a’ pupilli, alle vedove ed a’ poverelli d’ogni sorta. Alle diaconie era congiunto un ospedale dove curavansi i poveri infermi. Delle nostre diaconie quattro sole rimangono ancor ricordate, e sono quelle di S. Paolo, di S. Andrea a Seggio di Nilo, di S. Giovanni e Paolo, e di S. Gennaro all’Olmo; nella quale ultima ministrò degnamente quel nostro celebre Giovanni Diacono, autor della cronaca de’ Vescovi napolitani, e di altre preziose opere. I Diaconi sceglievansi tra chierici più notevoli per virtù e per dottrina, e tra essi, il più di sovente, il clero ed il popolo proponevano
i loro Vescovi.
Entrato il sesto secolo, la nostra Chiesa cominciò ad avere qualche mutamenti. Venner fuori numerose norme ecclesiastiche intorno
a’ dommi e alla disciplina, molti canoni furon formati ne’ Sinodi e ne’ Concili, ne’ quali fu provveduto soprattutto ad ovviare il dissipamento
de’ beni di che le chiese cominciavano a farsi ricche.
Oltre le diaconie eransi fondate in Napoli molte chiesette
Ed indubitatamente il Vesuvio, come dal seguente marmo Capuano:
Iovi
Vesuvio
Sac.
D. D.
Non mancò un’edicola allo stesso Sebeto:
Maevius Eutychius
Aediculam, Restituit Sebetho
Nè vuolsi tacere di quelle Canidie che vivono ancora ne’ canti
d’Orazio: (lib. 5. od. 2.)
Et otiosa credidit Neapolis
Et omne vicinum vulgus.
nè sarà passato in silenzio il criobolìo, nè il taurobolìo, sacrifizi in cui aspergere si faceva il supplicante del sangue della vittima. Dell’immondo rito resta tra noi memoria nel marmo di quel Petronio
Apollodoro, che con la moglie Rufa Volusiana e nel taurobolìo insieme e nel criobolìo s’insanguinarono. E questo Petronio, qual pontefice maggiore ci si annunzia e padre de ’sacri riti, ed uno de’ quindicemviri addetti a’ sacrifizi:
Pontifex, Major
XV. Vir. Sac.
Fac. Pater. Sacrorum
Di alcuni degli accennati tempii parleremo a disteso quando sarem sopra luogo; da ultimo, per non dar noia al lettore, noteremo che, anche in Napoli, con la colluvie delle teurgiche e magiche cerimonie, penetrarono que’ simbolici oggetti che si vedevano nelle case de’ più poveri, come nelle stanze delle matrone,
negli oscuri ipogei, e nelle reggie de’ Cesari al finir del romano imperio. Non di rado vengon fuori dalle nostre scavazioni parecchie opere di arte, dove i belli concepimenti della mitologia esiodea ed omerica veggonsi trasformali ne’ più laidi mostri d’Egitto, ed in certe figure valevoli solo a metter in mostra l’ambage in
che già s’invischiava la gente folle, prim che fosse immolato l’Agnello di Dio!
Vicende Ecclesiastiche. Poichè l’umana salvezza erasi fermata in su le vette del Golgota, Napoli fu tra le prime città a ricogliere il frutto santissimo della Religione di Gesù Cristo, avendolo ella ottenuto fin dalla prima missione degli Apostoli deputati
a propagarla; perchè quel raggio di vera luce divina dapprima ci venne dalla bocca di quel beatissimo Pietro che partitosi d’Antiochia quì mise il piede, quando volle trasferirsi in Roma, dove era chiamato a primo Vicario di Cristo. Quì prima ei si abbatteva in Candida ed in Aspreno nostri concittadini, i quali vivificava con le sante idee della vera credenza, e rigeneratili nelle acque del Battesimo, constituiva quello a capo della Chiesa Napolitana, consecrandolo ed investendolo di episcopali potestà. Siffattamente fummo noi annodati alla Fede del Salvatore nell’anno che volgeva quadragesimo quarto della nostra salute. E tal memoria ci fu tramandata da una tradizione fatta veneranda per costanza di parole e per lontananza di secoli, onde sarebbe assai temeraria cosa volerla recare in dubbio o contraddirla. Il Canonico Celano vorrebbe esser ciò avvenuto nell’anno quadragesimo terzo, ma senza indicarne la sorgente; epperò ci atterremo alla tradizione accennata.
Aspreno e Candida, pieni l’animo di quel novello sentimento religioso, non furon tardi a communicarlo agli amici ed a’ più inchinevoli a risentirlo al pari di loro; ed in essi il Cristianesimo ebbe i suoi primi proseliti. Ed era de’ primi Cristiani come di coloro, che, occupato il pensiero in gravissimo arcano, mutati nel sembiante e negli atti, si andavan confortando a vicenda e stringendo in più stretta fratellanza, come in uno istesso instituto consociati. Ma l’unione di loro era da tener nascosta alla civil comunanza, che tuttavia era immersa negli errori degli etnici, il perchè i Cristiani stavansi celati e convenivano a comune preghiera
negli angoli più reconditi delle case del Vescovo, divenute perciò tanti oratorï, o nelle oscure e profonde critte e catacombe, dove nelle ore più solitarie della notte risuonavano gli inni puri e soavi di que’ primi credenti. E se le orecchie di costoro eran turbate molto di frequente da spaventosi racconti di atroci martirii d’ogni
maniera, dati in lontane e in vicine contrade a que’ forti che sorgevano
a confirmar col proprio sangue la verità della Religione, gli occhi loro non furon mai tocchi dalle strazianti scene di tali crudeltà; ed è a notare qual mirabil cosa il non essersi in quello ed in altri secoli avvenire mai quì veduto un sol fatto di martirio, quandochè ne’ dintorni della città tanti e sì crudeli se ne sentirono. Ciò non pertanto i Cristiani eran chiamati mancatori alla fede dominante, e creduti veri nemici e perturbatori dell’ordine civile, e come tali tenuti in odio ed in disprezzo, e le loro unioni proscritte e minacciate de’ più tremendi supplizî. Onde i fedeli traevano guardinghi e paurosi il più sovente nelle catacombe, ov’erano ignoti a’ lor nemici a cagione del luogo allor diviso dalla città per vallate inaccessibili e deserte. Quivi essi eran incuorati dal prodigio
della predicazione e de’ miracoli del Santo pastore, la cui mercè il lor numero, se di moltissima gente non potè vedersi aumentato, per le difficili condizioni de’ tempi, certo che a quando a quando di novelle professioni veniva accresciuto. Ad Aspreno succede S. Epitimito, il quale, ricalcando santamente la vita lasciata aperta dal suo predecessore, giunse a meglio confirrmare l’unione de’ credenti in Gesù, finchè da lui a S. Agrippino, che fu il sesto Vescovo, il numero di costoro videsi di moltissima gente copioso. A quest’ultimo Vescovo successero S. Eustasio o Eustachio, e poi S. Eufebio, che chiuse il periodo de’ tre primi secoli del Cristianesimo. Vien pure riportato S. Marciano, come Vescovo di Napoli ma questi si vuole fiorito nel decimo secolo della Chiesa, sol perchè non trovasi compreso nel catologo di Giovanni Diacono. Non pertanto nella serie ordinata de’ Vescovi ed Arcivescovi
che veggonsi effigiati nella Sagrestia del Duomo, S. Marciano occupa il n. 9.
In questi tempi il Vescovo fu capo della nostra Chiesa; egli arbitro e giudice degli affari di Religione; a lui, che in sè unir
dovea la somma delle virtù, eran fatte palesi le discordie nate nel suo gregge, le quali ei componeva da pastore pieno di carità e di zelo; a lui spettava la parola dell’ammonizione e del rimprovero contro i cedevoli al mal costume ed alle seduzioni dell’eresie; ei comminava agli ostinati amorosi castighi, i quali giungevano fino all’espellerli dalla Chiesa quando mostravansi indegni di appartenervi. Anche ne’ privati negozï era dapprima interrogato il
Vescovo, i cui giudizi, benchè non fossero in tali faccende coattivi, pur tutta volta producevano quasi sempre i desiderati effetti della pace, senza bisogno di ricorso a’ giudici pagani, di che sarebbe tornato a’ Cristiani grandissimo scorno. La sola norma e la legge sola onde era governata la Chiesa consisteva nella tradizione, e nella Scrittura, essendo più tardi seguiti i concilii ed i sinodi, ne’ quali furon dettati parziali regolamenti ecclesiastici, oltre quelli ch’erano stati tramandati dagli Apostoli.
Nella vedovanza della Chiesa riunivansì due o più Vescovi dei paesi circostanti per eleggere il novello Pastore tra le persone che
il popolo proponeva ed acclamava: la consacrazione di esso, con
l’approvazione del Pontefice, seguiva all’elezione, e facevasi dagli
stessi elettori. Un giusto numero di preti e di diaconi componeva il clero addetto a ministrare i divini uffizi, il quale formava pure il senato del Vescovo, quando egli doveva deliberare in affari pertinenti al reggimento della Chiesa; ed il Vescovo ed il clero traevan decente mantenimento dalle volontarie profferte delle primizie de’ fedeli, le quali venivano conservate ed amministrate da’ diaconi, dai cui partivasi il dippìù a’ poverelli ed agli infermi.
Greca fu la liturgia, e greco il rito ne’ primi otto secoli della
Chiesa; nel nono cominciò il latino a fiorire, finchè nel decimoquarto
al greco interamente prevalse; appena nel decimosesto qualche residuo di grecismo si ravvisava.
Giuseppe Luigi Assemani lo attesta, sull’autorità del nostro chiarissimo Alessio Simmaco Mazzocchi, in questi sensi: «Neapolitanae Ecclesiae Ritus per octo priora secula ad Graecanicam Ecclesiam generatim et universe accomodatus erat. IX vero seculo Latinus eminere, ac praestare coepit. Seculo XIV Latinus universe vicit. Postremo seculo XVI Graecismus et si omnino extinctus fuit,
nonnulla tamen ejus vestigia adhuc apparent. Hos sensus in omnium animos Mazochius inducit».
Ne’ primi tre secoli non erasi ancor constituita l’attuale polizia Ecclesiastica, perchè la Chiesa essendo risguardata qual sella perniciosa e proscritta da tutte le leggi, non aveva culto stabilito ed
ordinato. Ma la fede era pura e più vivamente impressa nel cuore de’ credenti, i costumi più severi, l’intenzione più santa. Non così ne’ secoli posteriori, quando cessata la persecuzione, tutti divennero
Cristiani, ma molti non lo furono che d’apparenza; la santità de’ministri
più di rado appalesata dal Cielo, e le lor menti, che doveano esser colme di virtù, furon talvolta tocche dalla peste dell’ambizione e dell’esaltata vanità.
Nell’incominciamento del quarto secolo, che fu faustissimo al Cattolicismo, ebbe la Chiesa napolitana due santi Vescovi Fortunato
e Massimo, la cui predicazione e santità di vita tornò di grandissimo fruito a’ fedeli. Ma la verità ella Religione in questo tempo era già confirmata ad evidenza con lo spargimento del sangue di lunghissimo numero di martiri; e la Chiesa travagliata abbastanza dalla rabbiosa persecuzione degli ultimi Cesari, poneva fine alle sue grandi sciagure. Costantino il grande, segnando la famosa pace alla Chiesa, portò altresì un solenne cangiamento nell’ordinamento delle cose tutte; i fedeli allora vidersi immuni da ogni persecuzione, liberi nell’esercizio del culto religioso ed autorizzati ad alzar chiese pubblicamente e convenirvi per celebrare i divini uffizi. Allor le primitive chiesette cavate nelle più remote valli, gli oratorï segreti, le critte, le catacombe rimasero come santuari ad attestar la salda fede de’ passati tempi di calamità. Gli errori del gentilesimo non furono perciò divelti dal cuore di tutti i Napolitani, ne’ quali avevano ancor profonde radici, perchè i Napolitani sono stati sempre diffìcili a cangiar fede, e vi volle tutta
l’opera della grazia Divina, e la cooperazione della santità de’ Vescovi
per giungere gradatamente a sradicarli.
Nell’anno 311 essendo Vescovo Zosimo, o come meglio altri scrissero nel 334 fu innalzata in Napoli pubblicamente e per comando del primo Imperador cristiano, la prima Chiesa che fu quella detta di S. Restituta. A Zosimo successero Calepodio, S. Fortunato e
S. Massimo, ed a costui S. Severo, nobilissimo e veramente Santo Pastore; il quale eresse tre piccole Chiese avanti alle tre bocche delle catacombe, dove egli faceva per la sua parola udir quella
soave ed amorosa del Salvatore con grandissimo frullo di vitùi. Le tre chiesette intitolò in S. Salvatore, in S. Fortunato ed in S. Gennaro, che da que’ giorni cominciò ad esser quivi invocato da’ Napolitani a protettore della Città. Nel dechinare di questo stesso secolo Napoli
era tutta cristiana, e molte chiese eransi erette, e videsi pure introdotta la prima instituzione monastica orientale che fu la Basiliana. Allora può dirsi che fosse quì cominciata in più ampie forme la polizia ecclesiastica, e distinta la potenza spirituale dalla politica, il Vescovo, sottoposto all’obbedienza del Romano Pontefice, fu da lui eletto tra le persone che il clero ed il popolo proponevano e raccomandavan per virtù; da lui consecrato ed investito di potestà Episopale, da lui protetto e consigliato negli affari di gravissimo momento. Gli errori di Ario e di Pelagio che furono di grave danno e di grandi travagli alla Chiesa non potettero penetrare in questa nostra regione mercè la vigilanza de’ Vescovi e la fermezza de’ Pontefici.
Dappoichè il numero delle chiese andava crescendo, aumentavasi pur quello de’ sacri ministri, i quali nel cominciare del quinto secolo componevano già un ordine venerando, distinto per gerarchia in preti, diaconi, suddiaconi, acoliti, esercisti, lettori ed ostiari.
Quelli tra’ preti che il Vescovo addiceva ai servizio della Chiesa
Cattedrale aveano maggior dignità degli altri e preferenza negli uffici: sol essi avevano l’esercizio de’ dritti parrocchiali sino al tempo del Vescovo S. Severo, il quale fu primo a fondare una parrocchia separata nella chiesa di S. Giorgio Maggiore. S. Sotero nel quinto secolo ne istituì un’altra, che non troviamo espressamente indicata; ed i Vescovi S. Pomponio e Vincenzo nel secolo sesto ne fondarono altre due, il primo in S. Maria Maggiore in S. Giovanni Maggiore l’altro. Furon queste le prime quattro parrocchie maggiori della città, le quali, benchè aumentate di poi or a sei or a dieci, furon da ultimo ridotte novellamente alle quattro già mentovate.
Il Sacramento del Battesimo si conferì per molti secoli nella sola
appellate Staurite che traggono origine dalle Fratrie, le quali si ragunavano ne’ portici cui era congiunto un tempietto dedicato al dio o all’eroe che dava loro il nome. Divenuta Napoli città cristiana, i portici si dissero Tocchi, Teatri, come abbiam accennato, ed in fine Seggi o Sedili, ne’ quali l’ordine de’ nobili non cessò mai di convenire, mentre il popolo, sempre tenace e sostenitore de’ suoi diritti, ritenne anch’esso il suo Seggio. Il tempietto costrutto nei
Seggi fu intitolato alla Croce di Cristo e tolse perciò dalla Croce stessa il nome di Staurita.
Il costume introdotto da’ parrochi di trarre in processione per
la città nel dì delle Palme, e sostar ne’ quatrivi inalberando su altari
portatili la Croce, a’ cui piedi i fedeli ponevan donativi d’ogni maniera mentrechè il clero recitava le preghiere, fè sì che le Staurite
crescesser di numero e divenissero ricche di beni temporali. Perchè fattasi vanitosa munificenza quella pia profferta che dovea esser modesta virtù cristiana, nella pubblica gara de’ nobili e popolani, gli altari alzati ne’ quatrivi per un sol giorno, divennero cappelle Staurite, e queste si vider dotale di molti poderi anche talvolta a discapito de’ propri figliuoli.
Le Staurite altre erano di patrimonio de’ nobili, altre di patronato misto de’ nobili e popolani, ed altre di solo patronato popolare. Tra le prime erano S. Paolo de’ Capece, e S. Stefano de’ Mannesi, di appartenenza al Sedil Capuano; la SS. Trinità di quel di
Nilo; S. Croce di quel di Montagna; S. Simone, già del Sedile de’ Mammoli, incorporato allo stesso di Montagna; S. Nicola, già del Sedile di Somma piazza, unita con S. Margherita e S. Felice a quello minore di Porta S. Gennaro; S. Agrippino, già del Sedile di Forcella, unita alla Piazza del popolo; S. Nicola del Sedile minore de’ Pistasi, S. Giorgio Maggiore di quel de’ Cimbri; S. Brigida e S. Maria in Cosmodin in quel di Porto; S. Pietro a Fusariello del Sedile Aquario, Le Staurite di patronato promiscuo eran quelle de’ Ss. Pietro e Paolo del Sedile di Montagna e complateari; S. Croce al Mercato vecchio, del Sedile stesso de’ popolani della piazza e strada del Mercato; S. Pietro Apostolo del Sedile di Nilo e della piazza d’Arco; S. Agrippino di quello di Montagna e de’ complateari, e S. Martino. Le Staurite di solo
La diocesi di Napoli si estende ad occidente sino a quel punto della grotta di Pozzuoli, dove si scorge incavata nel tufo una cappella che n’è limite; a settentrione, sino a Melito confine della Chiesa Aversana, e ad oriente, sino alla metà di Torre Annunziata, ch’è nelle giurisdizioni di Napoli e Nola. L’isola di Procida, già commenda Benedettina, e ben trentacinque tra paesi e villaggi son sottoposti al Prelato napolitano. Il quale vi esercita la sua potestà per mezzo di dieci Vicari foranei, che risiedono in S. Giovanni a Teduccio, Resina, Torre del Greco, Torre Annunziata, Afragola, Trocchia, Casoria, Polvica, Marano e Procida. In tutta la Diocesi vi sono tre arcipreture, una in Torre del Greco pe’ luoghi marittimi, l’altra in Capodimonte pe’ luoghi montuosi e la terza in Afragola pe’ luoghi piani. I tre arcipreti han dritto di precedere con la loro croce in tutte le pubbliche funzioni sacre che si fanno ne’ paesi della Diocesi.
La nostra Chiesa metropolitana ha un Capitolo di trenta Canonici, che fin dal tempo di S. Attanasio I dicevansi Cardinali quasi cardini della Chiesa. Il medesimo si compone, come ci ha detto il nostro autore, di quattro ordini diversi, ma tutti eguali non avendo dignità, la quale è presso del Capitolo, lì primo è de’ Canonici presbiteri prebendati, che sono sette: tra essi vengono esercitati gli uffizi di primicerio, penitenziere , teologo, e cimeliarca; il primo era di nomina della famiglia De Gennaro, appartenuta al Sedile di Porto, la quale, estinta nel marchese Auletta, ne ha tramutato il dritto di patronato ne’ Caravita per linea femminile; degli altri tre, due si provvedono per concorso, ed il terzo, il cimeliarca, è di assoluta nomina dell’Arcivescovo. Il secondo ordine si compone di otto Canonici presbiteri semplici; il terzo di sette Canonici diaconi, ed il quarto di otto Canonici suddiaconi. I canonici han privilegio di onori e d’insegne pontificali, a simiglianza degli abati Benedettini, cioè usano gli abiti prelatizï, godendo del privilegio di Protonotarï Apostolici, cioè mantelletta e cappa concistoriale. E da ultimo per concessione del Sommo Pontefice Pio IX felicemente regnante nell’anno 1850 furono insigniti della cappa magna Cardinalizia, che usarono la prima volta nel
dì 7 luglio del medesimo anno, ricorrendo l’anniversario della dedicazione della Chiesa Metropolitana.
patronato del popolo eran quelle di S. Maria della Pietà, di S. Marta, di S. Gennaro fuori le mura, di S. Nicola a Don Pietro, di S. Bartolommeo, di S. Giacomo a’ Panettieri. di S. Nicola de’ Pistasi , di S. Maria Maddalena, di S. Giorgio Maggiore e di S. Severo. In queste ed in tante altre Staurite, di cui è perduta la memoria, si praticavan molte opere di pietà dagli stauritani a bene de’ pupilli, delle vedove, degli infermi e de’ prigioni. La quale pia instituzione cessò interamente prima che fosse decorso il secolo XVIII.
Nella regione Nilense si fondò il primo monastero dell’Ordine che di fresco era surto sulla cima del Cassino, e fu quello de’ Ss. Severino e Sosio, e molti altri di quest’ordine stesso per uomini e
per donne se ne videro in pochi anni fondati.
Gli ecclesiastici in questo tempo reputati quali membri della civil comunanza eran soggetti alle leggi civili, e giudicati da’ magistrati
comuni. Ma negli affari di Religione il Vescovo gli giudicava per forma di polizia, li puniva di censura trovandoli corrotti nei costumi, e componeva da arbitro le loro differenze.
I beni della Chiesa crescevano grandemente per le donazioni
dei fedeli, e soprattutto arricchivansi i monasteri dell’Ordine novello.
Il ritratto di questi beni partivasi ugualmente tra il Vescovo, la Chiesa, i chierici ed i poveri.
II Vescovo era ancor nominato dal clero e dal popolo come nei secoli decorsi, e consecrato dal Papa; e quando il governo cominciò a voler la sua parte nella elezion del prelato provennero gravi inconvenienti alla Chiesa. I quali si fece a combattere con mirabile
zelo e fortezza quel dottissimo e Santo Pontefice Gregorio Magno, che nell’anno 590, saputa la pessima condotta del Vescovo Demetrio, lo depose severamente, imponendo al clero ed alla repubblica di nominare il successore. E perchè negli ordini della città i nobili, quì stati sempre divisi dal popolo, cercavano aver su di esso preminenza, sorsero dispiaceri e discordie; onde Gregorio dovè chiamare a sè alcuni del clero ed altri che rappresentassero la nobiltà ed il popolo per far eleggere in sua presenza il successor di Demetrio, che fu Fortunato II. Questa specie d’elezione dicevasi fatta per compromissum. Morto Fortunato, bisognò
anche l’autorità pontificia per dare alla Chiera il novello Vescovo
che fu Pascasio, consacrato dal Papa nel 601, escludendone i Diaconi Pietro e Giovanni proposti dal clero e dal popolo, perchè indegni della episcopale dignità.
Il clero della nostra Chiesa maggiore, che non ancora aveva
ufficiatura pubblica e stabilita, l’ebbe per opera di S. Attanagio I
Vescovo di Napoli che fiorì nell’anno 850, com sì dirà.
La Chiesa Napolitana, al pari delle altre della penisola ebbe a
sperimentare molti e gravi disordini nel secolo ottavo. Perciocchè,
affievolitasi la disciplina ecclesiastica, cresciuta l’ignoranza ed il mal coslume in quelle persone che pel loro stato venerando eran deputate a modelli e moderatori della pubblica morale, non pure che a conservatori dell’antica sapienza, la potestà civile invase non solo, ma tutti quanti usurpò i limiti del potere religioso. Ed vvenne, che siccome gl’Imperatori d’Oriente cominciarono a disporre liberamente della potestà ecclesiastica sino a promulgare editti per la riforma de’ dommi, così pure i Consoli e i Duchi, messi sotto lo scudo imperiale, abusavano ancor essi in mille guise del potere lor conceduto a bene della repubblica. I mali si fecero ancor maggiori allorchè sul trono d’Oriente si vide Leone Isaurico, ostinato e crudel fautore dell’eresia degli iconoclasti, il quale pose mano sopra ogni giurisdizione ed ogni ecclesiastico diritto. Ed anche il Patriarca di Costantinopoli prese a ravvivare le sue pretensioni su le Chiese d’Occidente, trovandosi registrata la cattedra napolitana tra le sedi soggette al patriarcato; e tennesi Paolo II, confinato per ben due anni in S. Gennaro fuori le mura, perchè non unto dal Patriarca Bizantino. Dopo di lui Stefano fu
Duca, Console e Vescovo nel tempo stesso; ed alla costui morte la figlia Euprassia valse a far consacrare il laico Paolo a dispetto del clero, cui questa iraconda moglie di Teofilatto rimproverava: non avete voi giubilato della morte del padre mio? ma credete a me, nessuno tra voi sarà Vescovo mai. Cotali deformità vedevansi nel secolo ottavo, le quali andaronsi grandemente minorando all’approssimarsi del nono in cui si presero molti e valevoli provvedimenti per restituire l’antica disciplina. I novelli regolamenti già formati nel Concilio di Nicea sull’osservanza della disciplina e la più regolare elezione de’ Vescovi, la riforma del clero, la
composizione ed il viver comune tanto del secolare che regolare, la maggior vigilanza de’ prelati, ed in fine le zelantissime cure dei monaci venuti all’ammaestramento del clero nella morale e nelle lettere, migliorarono grandemente le condizioni della nostra Chiesa. Videsi allora riscaldato il cuor de’ fedeli di quell’amor religioso di che ardeva nel quarto secolo; ed ecco multiplicarsi le chiese ed i monasteri degli ordini de’ due grandi Patriarchi de’ monaci, e rinnovellarsi le tante pietose institnzioni de’ cittadini.
Ma tanti favorevoli mutamenti ebbero assai corta durata, perchè scorsi appena sedici anni della seconda metà del secolo nono, Fozio, intruso Patriarca di Costantinopoli, volendo sostenersi nell’usurpata sede, pose il germe di quella divisione tra la Chiesa latina e
la greca, che per mala ventura di quest’ultima, ebbe il suo intero
compimento nel secolo undecimo, e trasse i Greci non solo in aperto scisma, ma eziandio in errori contra la Fede. La difformità de’dommi e di alcuni punti della disciplina, e la diversità del rito che la Chiesa greca andava insegnando in aperta opposizione della latina, l’ambizione patriarcale protetta dagli Imperatori e diretta ad insorgere contro il primato del Sommo Pontefice, furono tristissime cagioni di molti e gravi dissapori alla Chiesa Cattolica Romana, alla quale Napoli mantenne salda l’obbedienza, benchè avesse avuto in questi giorni chi parteggiasse co’ Saracini contra la causa del Papa! Per le grandi relazioni che la città aveva co’ Greci, eranvi, oltre il clero sei parrocchie anche greche, che duraron sino al decimoterzo secolo, ed intitolavansi S. Giorgio ad forum, S. Gennaro ad diaconiam, Ss. Giovanni e Paolo, S. Andrea ad Nidum, S. Maria Rotonda e S. Maria in Cosmodin; tutte presedute e governate da sei primiceri.
Secondo alcuni scrittori fu Papa Giovanni XII che innalzò la Chiesa dì Napoli a sede Arcivescovile e Metropolitana, mentre la governava Niceta nell’anno 962 e l’ebbe fino al 1000. Le Chiese di Cuma e di Miseno erano suffraganee di Napoli sino al 1207, quando
abolite per la distruzione di que’ paesi, furono aggregate alla nostra. Ed anche la sede di Aversa le fu per alcun tempo soggetta; ma seppe sottrarsene dopo clamorose controversie agitate nel governo
dell’Arcivescovo Anselmo, e precisamente nell’anno 1198.
La disciplina del clero che già era in grande rinasciamento ricominciò a mettersi in qualche vigore sotto l’Arcivescovo Sergio III, il quale, fra le altre belle opere che fece, dettò una constituzione per sollevare i chierici dallo stato di miseria in che aveali trovato, e fu egli il primo, che, a preghiere dell’Abate Benincasa
del monastero della Cava, emanasse una Bolla concedendo a’ monaci
alcune esenzioni dall’autorità del Vescovo. Ma questi rialzamenti
dell’ecclesiaslica disciplina non poteano aver durata, perchè le cose religiose seguivano le civili condizioni della città in quei tempi di riprovevoli abusi e di barbarie. Di maniera che nel collegio metropolitano, rottisi i Umili prescritti da S. Attanasio, si ammettevano
indefinitamente suddiaconi, e davansi presbiserali e diaconali prebende anche a coloro che non erano insigniti di ordini sacri, con l’autorità di poterle cedere ad altri. Dopo lunghi anni di stato infelice la nostra Chiesa cominciò a risorgere e rialzarsi mercè lo zelo del Pontefice Gregorio IX e dell’Arcivescovo Pietro da Sorrento, il quale, spinto dal Papa, richiamò in tutto il suo vigore la disciplina del clero, riformò la vita monastica, fè risorgere gli Atti de’ Santi della Chiesa napolitana, e molte altre utilissime cose andò rimettendo nel primitivo splendore. Ma in quella che volgeva per la mente la riforma della Ecclesiastica polizia della sua Chiesa, dovè dar opera con tutto il poter suo a far argine a’ perniciosi errori, che, suscitatisi in Lombardia, cominciavano a serpeggiare in queste nostre contrade. Papa Gregorio mandò in aiuto di Pietro i frati Predicatori, i quali furon quì accolti nel monastero di S. Michele a Morfisa (1231), dove poi fondarono il primo convento del lor novello istituto. E lo stesso Pietro ebbe a ricevere nel suo piscopio il gran Pontefice Innocenzo IV, che qui cessò di vivere a’ 7 di dicembre del 1254, dopo d’aver conceduto, molti privilegi al capitolo metropolitano, tra i quali quello dell’uso della mitra, e dopo aver insignito il Sacro Collegio dei Cardinali del cappello rosso.
Il Cappellano Maggiore, quì stabilitosi dacchè Carlo I d’Angiò fece Napoli principal sede del regno, cominciò ad ingrandire la
sua giurisdizione per favore di Carlo II, e più la distese ne’
secoli avvenire, soprattutto nel reggimento degli Austriaci, quando divenne presidente de’ regi studi; ma Benedetto XIV circoscrisse i confini del potere di lui con la Bolla Convenit.
Nel principio del secolo decimoquarto fu assunto Arcivescovo Pietro di Montorio, cui la nostra Chiesa deve le utili constituzioninsu la riforma di alcuni riti nella celebrazione de’ divini uffizi, e su la ecclesiastica disciplina. Egli inaugurò il Duomo riedificato
da’ Re Angioini. Giovanni Orsini nel 1328 fu autore delle famose constituzioni che servirono di bella norma alla Chiesa per il lungo periodo di 235 anni. Esse risguardano i fedeli, il clero regolare e secolare, e la curia, la cui origine risale a’ tempi di Sergio III Arcivescovo. Emanò pure una constituzione funeraria da servir di norma al capitolo, e settanta constituzioni rituali.
Avvenuto lo scisma nella Chiesa per esservi stati eletti due Pontefici, Urbano VI in Roma, e Clemente VII in Fondi, la disciplina
del nostro clero andò peggiorando, perchè deposto da Urbano
l’Arcivescovo Bernardo De Rulhen, e creato Ludovico Bozzuto, molte deformità ebbero a vedersi per le fazioni formatesi nella città in difesa de’ due Arcivescovi, i quali furono scacciati a vicenda or dalla Regina Giovanna I, fautrice di Clemente, or dal popolo parteggiarne sempre pel legittimo Pontefice.
Le cose della Chiesa in generale presero regolare ed uniforme andamento mercè il Concilio di Trento terminato nel 1563, le
cui sante e provvide constituzioni furon quì primamente promulgate
dall’Arcivescovo Alfonso Carafa, che allor governava la nostra Chiesa. Costui tenne un sinodo Diocesano per indirizzare il suo clero all’adempimento di que’ solenni precetti. Gli Arcivescovi suoi successori non mancaron di zelo nè di prevedenza per mantenerne la più esalta osservanza, e celebrarono all’uopo sinodi provinciali e diocesani, ed emanarono editti e regolamenti; in guisa che la polizia ecclesiastica, e la disciplina del clero regolare e secolare giunse di tratto in tratto al più alto grado di splendore. Si vider multiplicate le chiese e i monasteri, introdotti i novelli ordini di chierici regolari, fondate moltissime confraternite laicali, che tenner luogo delle Siaurite, ed erette molte utilissime pie opere a vantaggio della Religione e dell’umanità.
Solo or ci rimane a mentovare un famigerato editto di Giuseppe Bonaparte, con cui nel 1805 egli soppresse gli Ordini religiosi delle regole di S. Benedetto e S. Bernardo, e le loro diverse affiliazioni conosciute sotto il nome di Cassinesi, Olivetani, Celestini, Verginiani, Certosini, Camaldolesi, Cisterciensi e Bernardoni, che trovavansi allor fondati ne’ Dominî di qua del Faro, e de’ loro beni ne fece pingue il demanio della corona. De’quali monasteri i più cospicui furon novellamente ripristinati dall’augusta Casa regnante, e soprattutto dalla pietà di Re Ferdinando II che Dio mantenga e feliciti!
Tali son le vicende principalissime cui è andata soggetta, dalla sua gloriosa origine sino a’ nostri giorni, la Chiesa Napolitana. La quale è governata da un Arcivescovo che suol essere, come attualmente è, insignito della sacra porpora, e che, per solenne capitolazione fermata tra Re Carlo III Borbone e l’Eccellentissimo Corpo della Città, è scelto dal Re nell’ordine de’ Patrizi Napolitani. Il Vicario generale della Diocesi, il Vicario per le monache, ed il Segretario del clero son suoi principali ministri nelle singole attribuzioni.
Giusta la serie ordinata de’ Vescovi ed Arcivescovi che effettivamente han governato questa Chiesa, i ritratti de’ quali veggonsi
nella Sagrestia del Duomo, abbiamo che i Vescovi da S. Aspreno ad Attanasio III sono stati cinquanta; e gli Arcivescovi, da Niceta a Sisto Riario Sforza, che ora felicemente siede con plauso universale di tutti gli ordini, sessantasei. De’quali Arcivescovi, due furon Sommi Pontefici, cioè Giovan Pietro Carafa, che prese il nome di Paolo IV, ed Antonio, o come altri dissero, Antonino Pignatelli che tolse quello d’Innocenzo XII.
Dipendono dall’Arcivescovo il clero secolare detto napolitano; quello della Diocesi, ed anche il clero regolare per la giurisdizione ordinaria, secondo i canoni, non meno che tutte le ecclesiastiche instituzioni, i seminari, i monasteri di donne, le confraternite laicali, e tutte le Chiese della Diocesi, ad eccezione di
alcune poste sotto la giurisdizione del Cappellano Maggiore e del
Nunzio Apostolico, I Vescovati di Nola, Acerra, Pozzuoli ed Ischia
son suffraganei al nostro metropolitano.