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fu così costantemente osservata e mantenuta, che finora sempre pura, sempre intatta si e veduta; ancorchè la no-

    Atene avran regolato eziandio la città nostra, e fra essi voglionsi anche annoverare certarnente i demarchi. E tali magistrati dovettero durarvi finchè Napoli, dopo essersi renduta a Publilio Filone senza perdere l’autocrazia, per cui dar poteva ricovero anche ad un bandeggiato da’ Romani, si mantenne a questi stretta con vincolo di federazione. Ma divenuta municipio, molte magistrature e leggi di Roma adottò, le quali vi duravano quando Adriano assoggettolla al consolare della Campania, e crebbero allorchè, fatta colonia, ed avendo a poco a poco ogni greca legge perduta, cangiò del tutto, anche i nomi de’ magistrati. Non più si parlò di ginnasiarchi, di fretarchi, nè di agonoteti. Fu chiusa la palestra; furono abolite le Fratrie e gli atletici giuochi, ed invece de’ greci demarchi troviam rammentati gli arcontici ( i duumviralizi ) gli agoranomici (gli edilizi), i pentaeterici (i quinquennalizi), i timetici (i censorii o questorii), traduzioni tutte di latine in greche parole. Imperciocchè se romano era il governo in Napoli, non per questo la lingua dello Stato erasi cangiata del tutto; e negli atti pubblici, e nelle monete e ne’ marmi ancora durava. Anzi ove fosse occorso di mescolar greco e latino in una epigrafe stessa dì concessione, sempre quello a questo precedeva. Il greco annunziava ai cittadini il ricevuto benefizio; il latino era quello di che valevasi l’autorità pubblica, e serviva come ad autenticar l’atto. Per sino i decreti de’ napolitani decurioni scritti grecamente mostrano le formole de’ Senatus-consulti romani. Gli anni vi sono segnati co’ nomi de’ consoli, ed i mesi, in idi e calende partiti. Insomma, dalla greca lingua in fuori che già declinava, Napoli dichiarata colonia, divenne veramente Romana. Costantino da ultimo ne commise il governo allo stesso Consolare della Campania con dovere bensì dipendere dal vicariato di Roma. E di questi consolari, che la ressero fino a Valentiniano III, ci conservarono i marmi i nomi di un I Barbario Pompeiano, di un Taziano stato altresì del collegio dei pontefici e sacerdote di Ercole, di un Mavorzio Lolliano, di un Lupo, e per tacere degli altri che lor successero, di un Postumio Lampadio, la cui epigrafe messa un tempo innanzi alla chiesa dello Rotonda, diceva: