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nitari, idealmente cristiani e socialisti, con i quali avete tentato di farvi una posizione eccezionale fra le dame benefattrici. Vi ascolto sempre con ammirazione quando vi slanciate con tutta la foga della vostra fantasia su questa magnifica strada, piena di poesia e di pittoresco, e anche di precipizi, con un sangue freddo veramente straordinario. Ma quanto a me, sapete già da un pezzo, la mia ammirazione in questo senso non può essere che platonica... Risparmiate dunque le belle frasi. Io sono libero e se mi potessi innamorare, come dite voi, e come io vorrei, della vostra maestrina, potrei anche sposarla...

— Oh! questo poi mai!...

— .... Meno male! così siete più sincera. Lasciate i discorsoni per le distribuzioni dei premi e le inaugurazioni di nuovi istituti.

— Pensate realmente di sposarvi? — domandò Edvige, sforzandosi a essere calma.

— No. Ma non permetto che mi si faccia una legge. Dovreste ricordarvene.

— Ricordo — disse — il tempo in cui l’amore di una donna era la vostra legge...

— E quella donna eravate voi! Oh! i lamenti delle signore appassionate, quanto seno monotoni nella loro crudeltà! I vostri, cara Edvige, mi rammentano ora quelli della povera marchesa Adelaide. Vi ricordate eh? Come siamo stati cattivi con lei? Giovinetta, allora, voi avevate già tutta l’audacia femminile che assicurò più tardi la vostra posizione nel mondo. La bella voce, il fascino naturale, la speranza di una carriera gloriosa, vi avevano fatta precoce. Foste superba di portar via l’amante alla vostra benefattrice.