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nell’ingranaggio 47


Italia a far l’avvocato — pareva che tutto fosse finito fra loro. Ella era diventata la moglie del Banchiere e si era giurata che l’antico amante non dovesse mai più rivederla. Credeva di aver messo una pietra sul suo passato. E lui pure, l’Anselmi, le aveva dato la sua parola di gentiluomo, che non sarebbe mai più ricomparso nella sua vita, ombra importuna del passato, a ottenebrarle la felicità del presente.

Ma era appena stabilita a Milano nel secondo anno del suo matrimonio, allorchè lo incontrò un giorno sotto ai portici della galleria Vittorio Emanuele.

Voleva sfuggirlo; ma i loro occhi si erano già incontrati; già s’era accorta che egli era pallido, smunto, vestito male, e la pietà improvvisa aveva soffiato rapidamente sulle ceneri dell’antico amore.

Non aveva fortuna quell’uomo, nè con lei, nè solo. E il suo fine giudizio di zingara le diceva chiaramente che era un debole — una vanità impotente e piagnolosa condannata alle mille piccole vigliaccherie che danno appena il pane — e il suo buon senso astuto di avventuriera le consigliava di voltargli le spalle; ma il cuore le batteva con violenza, il sangue era salito alle guancie, e un desiderio irresistibile, reso poetico dalla pietà e dai ricordi, la trascinava verso di lui.

Si parlarono, s’intesero. Fu come un amore nuovo, più acuto, più penetrante del primo.

Vi si abbandonarono tutti e due, con la foga e la spensieratezza, delle nature sensuali, sempre un po’ ingenue; sorvegliandosi nel medesimo