Nanà/Parte prima/IV
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IV.
Fin dal mattino, Zoè aveva messo l'appartamento in mano ad un maggiordomo venuto da Brébant con un drappello di camerieri e di aiutanti.
Eta Brébant ché forniva tutto, cena, porcellane, cristalli, biancheria, fiori, perfino seggiole e sgabelli.
Nana non avrebbe trovato una dozzina di tovaglioli i in fondo a’ suvi armadi, ed essendole mancato il tempo di rimontar la casa, nel suo recente slanciarsi, sdegnando’ di andar alla trattoria, faceva servire in casa sua, ciò le sembrava’ molto più chic.
Voleva festeggiare il suo gran successo d’attrice con una cenà di cui si parlerebbe un pezzo.
Siccome la sala da pranzo era troppo piccina, avevano preparata la tavola in sala, una tavola di venticinque coperti, un poco ristretti.
— È pronta ogni cosa? domandò Nana rientrando in casa la mezzanotte.
— Ah! non so affatto, rispose con insolenza Zoè che pareva fuor di sè. Grazie a Dio, non mi occupo di nulla, i0; c’è una di quelle baraonde in cucina e in tutta la casa...
E con tutto ciò m’è toccato disputare.... Son capitati qui due.
Affè! li ho cacciati fuori.
Parlava di due antichi signori di Nana, il mercante ed il valacco, che la bella s’era decisa a licenziare, certa dell’avvenire e volendo mutar pelle, come diceva lei.
— Che razza d’uncini! mormorò lei; se tornano minacciateli della questura.
Poi chiamò Daguenet e Giorgio, rimasti indietro nell’anticamera ad appiccar cappello e pastrano.
Entrambi s'erano incontrati nella galleria dei Panorama alla sua uscita dal teatro, ed essa li aveva condotti seco in carrozza, — Siccome non c’era alcuno finora, gridò loro che entrassero da lei nello spogliatoio, intanto che Zoè finirebbe d’abbigliarla.
In fretta, senza cambiarsi di vestito, si fe’ rialzar i capelli, puntò delle rose bianche, nell’acconciatura del capo e sul corpetto.
Il gabinetto era ingombro dei mobili della sala, che si aveva dovuto spingere colà; an mucchio di tavolini, di canapò, di seggioloni coi piedi in aria; ed essa era pronta, at lorchè la sua gonna s’appiccò ad una rotella e si lacerò.
Allora imprecò, furente; simili cose non capitavano che a lei.
Rabbiosamente si tolso la veste, una veste di seta bianca semplicissima, tanto fina e tanto morbida che l’avvolgeva come una camicia: ma, l’indossò tosto di nuovo, non tro — vandone altra di suo genio, stizzita quasi piangente, dicen dosi conciata come una cenciaiuola.
Daguenet e Giorgio dovettero nascondere lo strappo con degli spilli, mentre Zoè la ripettinava.
- Tutti e tre le si affaccendavano d’intorno, specialmente il giovincello, coi ginocchi in terra e le mani nelle gonne.
Essa finì col calmarsi, quando Daguenet l’assicurò che potevano essere al più le dodici e un quarto, tanto ella s’era spicciata nel terzo atto della Bionda Venere, mangiando le’ risposte e saltando delle strofe.
— È sempre troppo buono per quel mucchio d’idioti, dis8’ella. Avete veduto? c’erano certe faccie stasera!... Zoè ragazza mia! voi aspetterete qua; non vi coricate; avrò forse bisogno di voi. Cospetto! Era ora! Ecco gente!
E scappò. Giorgio rimaneva a terra, spassando il suolo.
colla coda della sua giubba nera. Arrossì vedendosi fissare da Daguenet, Però i due erano entrati in dimestichezza; rifecero il nodo della loro cravatta davanti allo specchio, @ siccome erano bianchi di cipria pel contatto di Sea, si ue dero a vicenda un colpo di spazzola.
ZoLAa — Nana. 6
CA — Si direbbe dello zuccaro, mormorò Giorgio col suo riso da bamboccio goloso.
Un lacchè, noleggiato per quella notte, introduceva gli invitati nel salottino, ove erano rimaste quattro sole poltrone per potervi accàlear la gente.
Dalla gran sala vicina giungeva un tintinnio di argenteria rimestata e di porcellana, mentre, sotto l’uscio, splendore una larga striscia di luce.
Nana, entrando, trovò già sprofondata nel suo sagioiona Clarissa Besnus, condottavi da Faloise.
— Come! sei tu la prima? disse Nana, che dopo i suoi trionfi la trattava con famigliarità.
— Eh! gli è lui, replicò Clarissa imbronciata, addittando La Faloise. Ha sempre paura di non arrivare in punto.,.. Se gli avessi dato retta, non avrei nemmeno avuto il tempo di levarmi la parucca ed il rossetto.
Il giovane, che vedeva Nana per la prima volta, le faceva inchini @ complimenti, parlando del cugino, celando il suo turbamento sotto un’esagerazione di cortesia.
Ma Nana, senza badargli, senza conoscerlo, gli strinse la mano e s’inoltrò con prontezza verso Rosa Mignon ai i lacchè annunziava.
D’un colpo si fece distintissima,
— Ah! cara signora, come siete gentile... Mi premeva tanto di avervi!
_ — Son io la più felice, vi assicuro, disse Rosa, egualmente piena di amabilità.
— Sedete, ve ne prego. Non vi occorre nulla?
’— Nulla, grazie, Ah! Ho scordato il ventaglio nella ja:
liccia. Steiner, cercate nella tasca destra i
Steiner e Mignon erano entrati dietro Rosa. Il banchiere uscì e tornò col ventaglio, mentire Mignon abbracciava fraternamente Nana e costringeva Rosa a far altrettauto. Non gi era forse tutti d’una stessa famiglia nell’arte? Poi ammiccò, come per incorraggiare Steiner..
- Ma costui, turbato dalla limpida occhiata di Rosa, si limitò a deporre un bacio sulla mano della faanciulla.
In quel momento il conte di Vandeuvres comparve con
Bianca di Sivry. Vi fu un grande scambio di riverenze. Nana tutta cerimoniosa, condusse Bianca ad un seggiolone. Frattanto Vandeuvres raccontava, ridendo, che Fauchery si bisticciava abbasso, perchè il portinajo s’era rifiutato di lasciar entrare la carrozza di Lucia Stewart. Nell’anticamera si udiva Lucia dar del muso sporco al portinajo. Ma quando il lacchè ebbe aperto la porta, s’inoltrò colla sua grazia sorridente, s annunciò lei stessa, prese tutte e due le mani di Nana, dicendole che le aveva voluto bene subito e che trovava in lei un fiero talento.
Nana, inorgoglita della sua nuova parte di padrona di casa, ringraziava veramente confusa. Però, dacchè era giunto Fauchery sembrava inquieta, ed appena potè avvicinarglisi gli domandò SOMmMESsOo:
"— Verrà?,
— No, non ha voluto, spiattelò senza perifrasi il giornalista, colto alla sprovvista, benchè avesse già preparato una storiella per spiegare il rifiuto del conte Muffat. Ebbe coscienza della sua grulleria, quando vide la giovane impalli «dire, e si provò a riafferrare la sua frase.
— Non ha potuto; questa sera conduce sua moglio al ballo dal ministro degli interni.
— Sta bene, mormorò Nana, che lo sospettò di cattiva voJontà. Me la pagherai, bimbo mio.
— On! da retta, replicò lui, punto dalla minaccia, queste commissioni non mi vanno a sangue. Rivolgiti a Labordefte.
Si voltarono le spalle, erano in collera.
In quella appunto Mignon spingeva Steiner contro Nana; î «quando questa fu sola le disse a bassa voce col cinismo bonario di un compare che pensa al bene di un amico.
- — Sapete che si struggeo... solamente ha paura di mia moglie. Lo difenderete, non è vero?
Nana non parve aver inteso. Sorrideva, guardando Rosa, suo marito, il banchiere, ed infine disse a quest’ultimo.
- — Signor Steiner, vi metterete accanto a me da SÈ
i In quel punto l’anticamera risuonò di risate, con un bisbigliare gaio, una folata di voci fresche e chiaccherine, come «se tutt’una banda di monachelle scappate dal chiostro sì fosse trovata là.
BIBLIOTI LI SV ELA mic y BABENBERCLNS.
E Laberdette apparve trascinandosi dietro cinque donne, il suo collegio, secondo il motto maligno di Lucia Stewart.
C’era Gaga, maestosa in ana veste di velluto azzurro che la serrava forte, Carolina Héquet, al solito in faglia nera © guarnita di sciantilli, Lea di Horn, infagottata come sempre, Tatan Néné, un pezzo di ragazzotta, bionda e bonaccia, dal seno di balia, di cui tutti si burlavano; finalmente Maria Blond, una bimba di quindici anni, magra e viziosa come un monelluccio, che il suo debutto alle Varietà slanciava in.
quel momento.
Labordette le aveva condotte tutte cinque in una sola carrozza e ridevano ancora per essere state tanto pigiate. Maria s’era seduta sulle ginocchia delle altre. Ma tutte quante strinsero le labbra scambiando strette di mano e saluti, tutte col fare più distinto. Gaga faceva la bimba per eccesso di bel contegno biascicava le parole. Soltanto Tatan Néné, cui avevano fatto creder venendo, che sei negri affatto ignudi servirebbero la cena, s’inquietava, chiedendo di vederli. Labordette la, trattò da oca, consigliandola di tacere.
— E Bordenave? chiese Steiner.
— Oh! figuratevi, sono dolentissima, esclamò Nana; egli non potrà essere dei nostri e
— Già, disse Rosa, s’è chiuso il piede in un trabocchetto ed ha una orribile storta... se lo sentiste come bestemmia, con la gamba fasciata e distesa su una seggiola!
Tutti, allora, sì diedero 2 rimpiangere Bordenave. Senza, Bordenave non vi poteva essere una buona cena, Basta, si cercherebbe di adattarsi a farne di meno; e si parlava già d’altro, quando una vociona tuonò:
— E come? E come! Così mi seppellite?- ta Fa un grido solo: tutti si rivolsero. Era Bordenave, corpulento e pavonazzo, con la gamba stecchita, ritto sulla soglia ove si teneva appoggiato alla.-spalla di Simona Cabiroche.
Pel momento faceva vita intima cen Simona. Quella bimba, che aveva ricevato una buona educazione, che suonava il pianoforte e parlava l’inglese, era una graziosa biondina, così delicata che si curvava sotto il rude peso di Bordenave, sorridente per altro e sottomessa. “e
-”
Rimase lì in posa per qualche minuto, comprendendo che formavano, così uniti, un gruppo pittoresco.
— Eh! bisogna volervi un gran bene! continuò; affè, ho
avuto paura d’annoiarmi troppo; mi son detto ci vado....
-..- Ma s’enterruppe per raggir una bestemmia.
— Sacr....01 “. Simona aveva fatto un passo troppo svelto, il piede malato aveva toccato il suolo; egli le diò uno spintone, mentre lei senza cessar di sorridere, chinando il bel visino come una bestia che ha paura di essere bastonata, lo reggeva con tutte le sue forze di biondina paffata.
D’altra parte, in mezzo alle esclamazioni, tutti s’affaccendavano. Nana e Rosa Mignon spingevano un seggiolone, nel quale Bordenave si lasciò cadere, mentre altre gli facevano scivolar una seconda poltrona sotto la gamba. E tutte le attrici che erano là, naturalmente, lo abbracciarono.
Lui grugniva, sospirava.
— Sacr....o0! Sacr....0! Basta, lo stomaco è buono, Vedi
Altri convitati erano giunti, non si poteva più muoversi nel salottino.
I rumori di argenteria e del vassellame erano cessati; maora, dal gran salone veniva quello d’una lite, ove tuonava la voce furibonda del maggiordomo.
Nana s’impazientava, non aspettando più alcuno, meravi— gliandosi che non mettessero in tavola.
Aveva mandato Giorgio a chiedere che cosa succedeva i quando fu stupita di molto nel vedere entrar gente uomini, donne. Quelli lì non li conosceva punto, non li aveva mai veduti.
Allora un po’ impacciata, interrogò Bordenave, Mignon, Labordette. Essi pure non li conoscevano. Quando sì rivolse al conte di Vandeuvres, questi si ricordò d’un tratto che «erano i giovanotti di cui aveva fatta raccolta in casa Muffat.
Nana lo ringraziò. Benissimo, benissimo. Solamente si starebbe pigiati per bene i fee
- - E pregò Labordette d’avvertire che si aggiungessero altri sette coperti..
Era appena uscito, che il servo introdusse di nuovo tre
4 persone. Oh! stavolta poi la cosa diventava ridicola, non ci si starebbe di certo.
Nana, che incominciava ad arrabbiare, diceva in aria dignitosa, che la diventava una sconvenienza. Ma, vedendone giungere due altri, si diè a ridere, trovava la cosa assai buffa.
— Tanto peggio! disse; ci si starà come si potrà.
Tutti erano in piedi; solo Rosa e Gaga sedevano, Bordenave accaparando due poltrone per sè solo.
Era un ronzìo di voci, si parlava piano, soffocando lievi sbadigli.
Di’ su, figliola mia, chiese Bordenave, se si andasse a tavola senz’altro. Ci siamo tutti, non è vero?
— Ah! sì, per questo ci siamo tutti, rispos’ella, ridendo.
Essa girava intorno gli occhi; ma si fe’ seria, come stupita di non trovar là qualcheduno. Mancava indubbiamente un convitato di cui essa non parlava: bisognava aspettare.
Alcuni minuti dopo gli invitati scorsero in mezzo a loro un signore alto, d’aspetto nobile, con una bella barba bianca.
Il più strano era che nessuno l’aveva veduto entrare; doveva essere scivolato nel salottino dall’uscio della camera da letto rimasto socchiuso.
Vi fu un silenzio rotto da bisbigli. Il conte di Vandeuvres sapeva certamente chi fosse quel vecchio, poichè avevano scambiato una tacita stretta di mano; ma rispose con un sorriso alle inchieste delle donne. Carolina Héquet, a mezza voce, scommetteva che era un lord inglese che l’indomani doveva tornare a Londra per prender moglie; lo conosceva bene, l’aveva avuto. Quella storia fe’ il giro delle signore.
Maria Blond, dal canto suo, pretendeva riconoscere un ambasciatore tedesco che veniva spesso a star con una sua amica.
Fra gli uomini, con rapide frasi, lo si giudicava una testa da uomo serio.
Era lui forse che pagava la cena. Probabilmente.
Basta, purchè la cena fosse buona!
Infine si rimase nel dubbio, già cominciavano a dimenticare il bel vecchio della barba bianca, quando il maggiordomo aprì l’uscio della gran sala.
- È in tavola.
Nana aveva accettato il braccio di Steiner, senza badare ad un movimento del vecchio, che si diè a caminar solo dietro di lei.
Non si poté, del resto, uscire con ordine.
Uomini e donne entrarono in sala, sbandati, celiando con bonarietà su quella mancanza di etichetta.
Una gran tavola s’alungava da un capo all’altro della vasta.
stanza sgombra di mobili; e questa tavola era ancora troppo ristretta, poichè i piatti si toccavano.
Quattro candelabri a dieci candele rischiaravano la tavola, un trionfo inargentato con mazzi di fiori a destra ed a sinistra..
Era un lusso da trattoria; porcellane a filetti dorati, senza
cifra, argenteria consumata e priva di lucentezza pel troppo:
uso, cristalli le cui dozzine scompagnate sì potevano stadi tare in tutti i bazar.
Qaesto rivelava una casa messa su troppo in fretta, in un:
repentino sorriso di fortuna, e quando nulla ancora sì trovara @ posto.
Mancava una lumiera: candela bi lo cui altissime candele ancora non ardevano bene, mettavano una luce pallida e giallastra al disopra delle alzate, delle compostiere, delle coppe, ove le frutta, i PESEOGI, le confetture si.altermavano.
simmetricamente.
— Sapete, disse Nana, ognuno si colloca come vuole.... È.
più divertente.
- Lei stava ritta a capo della tavola.
Il vecchio signore sconosciuto le si era messo alla destra,.
mentre ella tratteneva Steiner alla sua sinistra.
Parecchi convitati sedevano già, allorchè delle bestammie partirono dal salottino.
Era Bordenave, dimenticato, il quale sudava sangue per alzarsi dai suoi seggioloni, e sbraitava chiamando quella.
rozza di Simona, scappata con gli altri.
Le signore accorsero, piene di compassione, pietose, e finalmente apparve, sorretto, portato da Garolina, Clarissa,, Tatan Néné, Maria Blond.
Vi fu un tramenìo interminabile per collocarlo.
— Nel mezzo, rimpetto a Nana! gridavano tutti, Bordenave in mezzo! Ci farà da presidente! Allora quelle signore lo fecero sedere nel mezzo.
Ma ci volle una seconda seggiola per la sua gamba, che due donne sollevarono ed allungarono delicatam ente.
Importava poco, mangerebbe in isghembo.
— Sacr....o! grugniva, sacr...01 Ah! donnine mie, da babbo sì raccomanda a voi.
Aveva a destra Rosa Mignon, Lucia Stewart a FE Entrambe promisero d’avergli molta cura.
Tutti, ora si mettevano a posto. Il conte di Vandeuvres si collocò tra Lucia e Clarissa, Fauchery tra Rosa Mignon e Carolina Héquet.
Dall’altra parte Ettore de la Faloise s’era precipitato per mettersi vicino a Gaga, nonostante le chiamate di Clarissa che gli stava dicontro; mentre Mignon, il quale si staccava da Steiner, aveva da un lato Biunca, che sola lo divideva dal banchiere, e a sinistra Tatan Néné. Poi, veniva Labordette.
Finalmente alle due estremità si trovavano dei giovanotti, delle donne, Simona, Lea de Horn, Maria Blond, senz’ordine»
alla rinfusa.
Kra là che Giorgio e Daguenet se la intendevano sempre più, guardando Nana con dei sorrisi.
Però, siccome due persone restavano ancora in piedi, si scherzò di quella pigiatura. Gli uomini offrivano le loro ginocchia o
Clarissa, che non poteva muovere i gomiti, diceva a Vandeuvres che contava su di lui per farsi imboccare.
Anche quel Bordenave, però teneva un tal posto colle sue
scranne! Vi fu un ultimo sforzo, e tutti poterono sedere, ma,
a dirla schietta, gridò DOEn0E, si stava come le acciughe in un barile.
— Puré di asparagi, consomò alla Deslygnac, mormoravano i camerieri, recando in giro i piatti colmi dietro i convitati.
Bordenave suggeriva ad alta evoce il consommi ’ quando un grido si alzò, si protestava, si andava in collera, si era aperta la porta: tre tardivi, una donna e due uomini entraronò.
Ah! quelli poi erano di troppo!
Nana, senza alzarsi, rinserrava gli occhi, procurava di vedere se li conoscesse.
La donna era Luisa Violaine; ma gli uomini non li aveva veduti mai.
-— Mia cara, disse Van sa questo signore è un ufficiale di marina, mio amico, il signor di Fucarmont, che ho invitato.
Fucarmont salutò, disinvolto, aggiungendo:
— E mi son permesso di condurre uno de’ miei amici.
— Oh! perfettamente, perfettamente! disse Nana. Procurate di sedere.... Vediamo, Clarissa, tirati indietre un pochino:
state molto alla larga voi altri laggiù.... Là, con un e di buona volontà.
Si ristrinsero ancora.
Foucarmont e Luisa ottennero per loro due un cantuccino della tavola; ma l’amico dovè rimanersene lontano dal suo piatto; mangiava allungando le braccia fra le spalle dei vicini.
_ I camerieri toglievano i piatti del consommé recando delle
crépinettes di coniglio con tartuffi e dei Niokis al cacio parmigiano. 3
Bordenave ammutinò tutta la tavola, raccontando che per un momento aveva avuto l’idea di condur seca Prullière, Fontan ed il vecchio Bosc.
Nana s’era messa in sussiego; rispose asciutta che ave:
bero avuto una bell’accoglienza, invero. Se avesse voluto avere i suoi colleghi, si sarebbe presa la briga d’invitarli lei stessa. No, non si volevano istrioni. Il vecchio Bosc era sempre brillo, Prullière si impinzava troppo; quanto a Fontan diventava intollerabile in società con le sue sciocchezze 6 i suoi scoppi di voce. Eppoi, vedete, i comici erano sempre spostati quando si trovavano fra quei signori.
— Oh! sì, sì, è vero, affermò Mignon.
Intorno alla tavola quei signori in gibba e cravatta bianca erano inappuntabili, colle faccie pallide, d’una distinzione ancor più affinata dalla fatica. Il vecchio signore aveva movenze lente, un sorriso arguto, come se presiedesse un congresso di diplomatici.
Vandeuvres sembrava fosse dalla contessa Muffat, di una squisita cortesia per le sue vicine.
Quella stessa mattina Nana lo diceva a sua zia:
— In fatto d’uomini non si sarebbe potuto aver di moglio: 5 tutti patrizi o ricchi; insomma, degli uomini chic, E, in quanto alle donne, le si comportavano benissimo. Alcune,.
Bianca, Lea di Horn e Luisa erano venute socollate, soltanto Gaga mostrava forse troppo ben di Dio, tanto più che alla sua età avrebbe fatto bene a non mostrarne affatto.
Ora poi che tutti erano a posto, le risate e le celie cessavano: Giorgio pensava che da certi borghesi d’Orléans aveva assistito a desinari più allegri.
Si discorreva appena, gli uomini, che non si conoscevano, si guardavano: la donne se ne stavano quiete, quiete; ed era, lì sopratutto il gran stupore di Giorgio, le trovava «smorfiosette» e aveva creduto che si dovesse entrare addirittura nella fase degli amplessi.
S’imbandivano i piatti d’entrata, un carpione del Reno alla Chambord, e un filetto di capriolo all’inglese, quando Bianca disse forte:
— Lucia mia cara, ho incontrato il vostro Oliviero domenica.. come è cresciuto!
— Capperi Ha diciotto anni, rispose lei; ciò non mi ringiovanisce punto... È ripartito ieri per la sua scuola.
Suo figlio Oliviero, di cui parlava con orgoglio, era alunno della scuola di marina.
Allora ai parlò dei fanciulli. Tatte quelle signore s’intenerivano.
Nana disse delle sue grandi gioie; il suo bebé, il piccolo Gigino era adesso da sua zia, che glielo conduceva tutte le mattine, alle undici; e lei se lo pigliava in letto ove giuocava con Lulù il cagnino. C’era da scoppiar dalle risa, a vederli tutti e due, rotolarsi e cacciarsi, in fondo, sotto la coltre.
Non si aveva idea di quanto malizioso fosse 2900 già a quell’ora.
— Qh! ieri ho passato un giornata! narrò a sua volta.
Rosa Mignon. Ero andato a prender Carlo ed Enrico, al collegio e la sera s'è dovuto assolutamente condurli a teatro
Saltavano, battevano le manine, gridando: «Vedremo la mamma recitare!.... Vedremo la mamma recitare!... Facevano un chiasso! un chiasso!
Mignon sorrideva con compiacenza, gli occhi inumiditi di paterna tenerezza.
— In teatro, continuò lui, erano così buffi, seri come uomini, si mangiavano Rosa con gli occhi, chiedendomi perchè la mamma avesse le gambe nude.
Tutta la tavola si mise a ridere.
Mignon trionfava, lusingato nel suo orgoglio paterno; adorava i piccini; non aveva che una cura, accrescer il sno peculio, amministrando, con una rigidezza da intendente infedele, il danaro che Rosa guadagnava al teatro e altrove.
Quando l’aveva sposata, lui, direttore d’orchestra d’un caffè ove lei cantava, s’amavano appassionatamente. Ora, rimanevano buoni amici. Era cosa intesa fra di loro. Lei lavorava più che poteva, con tutto il suo talento e tuttala sua bellezza; lui, aveva abbandonato l’archetto per vegliare sui di lei trionfi di artista e di donna. Non si sarebbe trovato un “matrimonio più placido e più borghese.
— Che età ha il maggiore? domandò Vandeuvres.
— Enrico ha nove anni, rispose Mignon; ma è uno di quei tometti!
Poi, canzonò Steiner: che non amava i bambini: e gli diceva in tono di placida audacia che’ se fosse padre non sciuperebbe il suo così da grallo. E, parlando, spiava il banchiere al disopra ie spalle di Bianca, per veder se combinasse qualcosa con Nana, Ma, da un po’, Rosa e Fauchery; i quali ciarlavano e ridevano molto d’accosto, gli urtavano i nervi.
Rosa, è da sperarsi, non sciuperà il tempo in simili sciocchezze.
In tal caso, per esempio, lui vi metterebbe riparo. E finiva un filetto di capriolo, tenendolo fra le sue mani belle, dal mignolo ornato di un diamante:
Si parlava sempre dei fanciulli
La Faloise, turbato dalla vicinanza di Gaga, le domandava notizie di sua figlia che aveva avuto il piacere di scorgere con lei alle Varietà. Lili stava bene, ma era ancora tanto biricchina! Restò meravigliato udendo che entrava già nei suoi diciannove anni. Gaga divenne a’ suoi occhi più imponente. E siccome cercava di sapere perchè non avesse condotto Lili:
— Oh! no, no mai! diss’ella in tono di disapprovazione.
Non sono tre mesi che ha voluto a tutti i costi uscir di collegio... Io mi pensava di maritarla subito... Ma la mi vuol tanto bene che ho dovuto riprenderla meco, ah! ben mio malgrado.
Le sue palpebre livide, dalle ciglia arse, tremolavano, mentre parlava del matrimonio di sua figlia. Se alla sua età non aveva messo un soldo da parte, lavorando sempre, trovando ancora uomini, in ispecie di giovincelli, di cui avrebbe potuto esser nonna, era proprio segno che valeva meglio un buon matrimonio. Si chinò verso La Faloise, che arrossì sotto il peso delle enorme spalla nuda, intonacata di biacca che lo schiacciava.
— Oh! sapete, mormorò; se poi ci casca anche lei, non sarà colpa mia.... S’è tanto singolari, quando s’è giovani.
Un gran movimento succedeva intorno alla tavola; i camerieri s’affrettavano. Dopo i principi venivano le portate: pollastre alla marescialla, filetti di sogliole con salsa ravigote e scaloppe di fegato grasso. Il maggiordomo, che aveva fatto versare fino allora del Meursault, offriva del Chambertin a del Léovillo. Nel leggiero frastuono del cambiamento di servizio, Giorgio, sempre più meravigliato, domandò a Daguenet se tutte quelle signore fossero così provviste di figli, e questi, divertito dalla interrogazione, gli die’ alcuni ragguagli.
Lucia Stevvart era figlia d’un operajo inglese, che ungeva le ruote dei treni alla stazione del Nord; aveva trentanove anni, una testa da cavallo, ma adorabile, tisica, e non morendo mai, la più chic di quelle signore; tre principi ed un duca.
Carolina Héquet, nata a Bordeaux, da un impiegatuccio, morto di vergogna, aveva la buona ventura di possedere per madre una donna di testa, che dopo averla maledetta, in capo ad un anno di riflessione, era tornata con lei, volendo se non altro, metterle in serbo un patrimonio; la figlia, in età di venticinque anni, assai fredda, passava per una delle più belle donne che si potessero avere, ad un prezzo che non variava. La madre, piena d’ordine, teneva i libri, una contabilità severa delle entrato e delle uscite, dirigeva tutto la casa dall’angusto quarbierino che essa abitava due piani più in alto, e dove aveva installato un laboratorio di sarte per abiti e biancherie.
Quanto a Bianca di Sivry, il cui vero nome era Giacomina Baudu, veniva da un paesello presso Amiens; una stupenda creatura, grulla e bugiarda, dicendosi nipote di un generale e non confessando i suoi trentadue anni; molto apprezzata dai Russi, perché molto carnosa. Poi, Daguenet aggiunse rapidamente poche parole sulle altre: Clarissa Besnus, da S. Aubin sur Mer, condotta a Parigi in qualità di bambinaia da una signora il cui marito l’aveva avviata alla presente condizione; Simona Cabiroche, figlia d’un mercante di mobili del Sobborgo Sant’Antonio, educata in un collegio in grande, per diventar istitutrice. Maria Blond, Luisa Violaine, Lea di Horn, tutte cresciute sul lastrico parigino, senza contare Tatan Néné, che fino ai venti anni aveva pascolato le mucche nella miserabile Champagne.
Giorgio ascoltava guardando quelle signore, stordito ed eccitato da quella triviale esposizione, fatta brutalmente al suo orecchio; mentre i camerieri, dietro di lui, ripetevano con voce rispettosa;;
— Pollastre alla marescialla, filetto di sogliole alla ravigote.
— Caro mio, diceva Daguenet che gli imponeva la sua esperienza, non pigliate del pesce, a quest’ora fa male...contentatevi del Léovilla, è meno traditore.
Un calore saliva dai doppieri, dai gran piatti, portati in giro dall’intera tavola in cui trentotto persone soffocavano, e i cameri, obliandosi, correvano sul tappeto della sala che si lordava d’unto. Però la cena non si faceva punto gaia; le signore spiluzzicavano, lasciando sul piatto metà dei cibi, toltane Tatan Néné che divorava di tutto. A quell’ora inoltrata della notte, non c’erano che appetiti nervosi, capricci di stomaci guasti. Il vecchio signore accanto a Nana, non toccava cibo; aveva, preso solamente una cucchiaiata di brodo; e silenzioso davanti al piatto vuoto, guardavasi d’attorno. Si sbadigliava sommessamente. A quando a quando delle palpebre si schiudevano, molte faccie si facevano terree. Era roba da crepare, come diceva Vandeuvres.
Simili cene, per riescir divertenti, non dovevano esser così ammodo: se si voleva arieggiare la virtù, la civiltà, tanto valeva allora cenar in buona società, dove l’aggia non era maggiore. Senza Bordenave, che sbraitava sempre, si arrischiava di addormentarsi; quell’animale di Bordenave, colla gamba ben distesa, si lasciava servire con delle arie da sultani, dalle sue vicine Lucia e Rosa. Esse non badavan che a lui, vezzeggiandolo, provvedendo quanto gli occorreva, vegliando sul suo bicchiere, sul suo piatto; ciò che non impediva ch’ei si lamentasse.
— Chi taglierà la mia carne?.... Non posso fare da me, la tavola è lontana an miglio.
Ogni tanto Simona s’alzava, andava dietro di lui per tagliarli la carne ed il pane: tutte del resto si occupavano di lui, richiamavano i camerieri, lo impinzavano in modo da farlo scoppiare.
Simona: avendogli forbita la bocca, mentre Rosa e Lucia gli mutavano le posate, trovò l’atto cortese, e degnando mostrarsi contento: È
— Ecco! tu sei nel vero, figliuola mia... La donna non è stata fatta che per questo.
Vi fu un po’ di risveglio, la conversazione si fe’ generale.
Si stava sorbendo gelati di mandarini; l’arrosto caldo era filetto con tartufi, l’arrosto freddo una galantina di gallinaccia. Nana, stizzita pel poco brio de’ suoi ospiti, 8’ era messa a parlar a voce alta:
— Sapete che ii principe di Scozia ha già fatto ritenere un palco di proscenio per assister alla Bionda Venere, non appena giunga per vedere l’Esposizione.
— Spero bene che tutti i principi faranno altrettanto, dichiarò Bordenave, a bocca piena.
— Domenica si aspetta lo Scià di Persia, disse Lucia Stewart.
Allora Rosa Mignon parlò dei diamanti dello Scià. Egli portava una tanica interamente coperta di pietre Preziose una meraviglia, un astro fiammeggiante che valeva milioni.
E quelle donne, pallide, gli occhi ardenti di desiderio allungavano la testa, citando gli altri re, gli altri imperatori che erano aspettati.
Tutti sognavano qualche capriccio regale, un patrimonio in paga d’una sola nottata.
— Dite su, caro mio, chiese Carolina Héquet a Vandeuvres, - che età ha l’imperatore di Russia?
— Oh! nessuna età, rispose il conte ridendo. Non c’è nulla da fare, ve ne prevengo.
Nana affettò di mostrarsi offesa. La parola sonava troppo dura, si protestò con un mortmorìo. Ma Bianca dava ragguagli sul re d’Italia, che aveva veduto una volta a Milano; non era punto bello, ma questo non impediva di avere tatte le donne e fu noiata quando Fauchery l’assicurò che Vittorio Emanuele non potrebbe venire.
Luisa e Léa parteggiavano per l’imperatore d’Austria. D’un — *ratto s’udì la piccola Maria Blond dire:
— Eccone uno vecchio e impresciuttito qual’è il re di Prussia! A Baden, dov’io era l’anno scorso, lo si incontrava sempre col conte di Bismark.
— To’! Bismark, interruppe Simona, l’ho conosciuto, io...
Un uomo amabilissimo.
— È quello-che dicevo ieri, sclamò Vandouvres; non volevano credermi.
E si occuparono a lungo di Bismark come della contessa Sabina. Vandeuvres ripeteva le stesse frasi. Per un momento si fu di nuovo nel salotto dei Muffat; solo le donne erano mutate. Appunto, si passò alla musica, Poi, Foucarmont, avendo accennato alla cerimonie della vestizione di cui tutta Parigi parlava, Nana, incuriosita, volle assolutamente dei ragguagli sulla signorina di Fougeray.
— O! povera fanciulletta! chiudersi viva in un sepolcro Basta, se era una vocazione!
Intorno alla tavola, le donne erano moltò intenerite, Giorgio, tediato di udir tutte quelle storie per la seconda volta, interrogava Daguenette sulle abitudini intime di Nana, quando la conversazione ricadde fatalmente sul conte di Bismark Bismark. Tatan Néné si chinò all’orecchio di Labordette per domandargli chi fosse codesto Bismark che non conosceva: allora Labordette, freddamente prese a sciorinarle enormi panzane: questo Bismark mangiava carne cruda: quando incontrava qualche donna vicino alla sua tana se la portava via sulle spalle: in tal modo, a quarant’anni, aveva avuto già trentadue figli.
— Trentadne figli a quarant’anni! sclamò Tatan Néné, stupefatta e convinta. Dev’essere ben sciupato per la sua età.
Si scoppiò dal ridere, ed essa comprese che la burlavano.
— Siete pur sciocco! sclamò. Posso sapere io se scherzate?
— Gaga parlava ancora dell’ Esposizione: come tutte le altre, si rallegrava, si preparava. Una buona stagione: la provincia e gli stranieri irrompendo in Parigi. Infine, chi sa, dopo l’Esposizione, se gli affari fossero andati bene, potrebbe forse ritirarsi a Juvisy in una villetta a cui facevano l’occhietto da un pezzo.
— Che volete, diceva a la Faloise. Non si riesce a nulla. Se almeno si fosse amate!
Gaga si faceva tenera, perchè aveva sentito il ginocchio del giovane posarsi contro il suo; egli era rosso rosso. Lei, pur parlando da bimba, lo pesava a colpo d’occhio. Un signorino che contava poco; ma non era più di difficile contentatura. E la Faloise ottenne il suo recapito.
— Guardate mo’, mormorò Vandeuvres a Clarissa, mi par che Gaga vi metta in sacco il vostro Ettore.
— Me ne importa assai! rispose l’attrice. È un idiota quel ragazzo. L’ho già messo alla porta tre volte... Io, sapete, quando i monelli danno nelle vecchie, questo mi ributta.
S’interrappe per indicare con un piccolo cenno Bianca, che fin dal principio della cena sta curva in posizione incomoda, impettita, volendo mostrar le sue spalle al vecchio ammodo che era tre posti lontano da lei.
— Vi si pianta anche voi, caro, mio, riprese lei.
Vandeuvres sorrise con finezza, con un gesto di noncuranza.
Non era lui, certamente, che avrebbe impedito a quella povera Bianca di avere un successe. Lo spettacolo che dava Steiner a tutta la tavola, lo interessava maggiormente, Il banchiere era noto per accessi amorosi.
Quel terribile ebreo tedesco, quello speculatore nelle cui mani dileguavano i milioni, diventava babbeo, quando era cotto d’una femmina: e le voleva tutte, non ne poteva comparire una sulla scena, senza che la comperasse, per cara che fosse. Si citavano grosse somme. A due riprese la sua smania frenetica delle cortigiane l’aveva mandato in rovina: le cortigiane, al dir di Vandeuvres, vendicavano la morale, ripulendo la sua cassa.
Una grande operazione sulle saline delle Lande, avendogli restituito.tutto il suo credito alla Borsa, i Mignon, da sei settimane, mordevano sodo nelle saline; ma già si facevano scommésse; non sarebbero già i Mignon che terminerebbero il boccone. Nana mostrava i suoi candidi dentini.
Ancora una volta, Steiner era cotto, e così violentemente che rimaneva come tramortito accanto a Nana, mangiando senza fame, il labbro pendente, la faccia chiazzata di macchie.
Ella non aveva che da dire una cifra. Però lei non aveva punto fretta, celiando con lui, soffiandogli delle risate nell’orecchio velloso, divertendosi dei brividi che passavano sulla sua faccia tozza. Ci sarebbe sempre tempo di stringere il contratto, se, decisamente quel minchione del conte Muffat facesse il casto Giuseppe.
— Leoville o Chambertin? mormorò un cameriere, allungando la testa fra Steiner e Nana, mentre questi DIERa piano alla giovine.
— Eh! che cosa? balbettò il dacia astratto. Quel che volete, fa lo stesso.
Vandeuvres si divertiva molto; dava lievi spinte nel gomito a Lucia Stewart, una mala lingua, d’uno spirito feroce quand’era eccitata,
Mignon quella sera la inaspriva.
— Sapete che colui terrebbe il lume, diceva essa al conte.
Spera rifar il colpo del piccolo Joncquier... vi ricordate eh!
Jonquier che era con Rosa e che aveva un grillo per la gran Laura.... Mignon ha procurato Laura a Jonquier, poi l’ha ricondotto sotto il braccio a Rosa come un marito a cui fu permessa un scappatella.... Ma stavolta la ciambella non riuscirà col buco. Nana non deve rendere gli uomini che le si prestano.
— Perchè mo’ Mignon guarda così severamente la moglie? chiese Vandeuvres.
Si chinò, vide Rosa che si faceva tenera tenera per Fauchery. Questo gli fe’ capire la collera della vicina. Riprese ridendo:
— Diavolo, siete forse gelosa?
— Gelosa? disse Lucia, farente. Oh! davvero! se Rosa ha voglia d’aver Leone, glielo dò volentieri. Per quel che vale!..
Un mazzo di fiori per settimana, e ancora!.. Vedete, caro — mio, queste donne di teatro sono tutte le stesse. Rosa ha pianto di rabbia nel leggere l’articolo di Leone su Nana, io lo so. Allora capite, vuol anche lei un articolo e se lo guadagna.... Quanto a me, metterò Leone alla porta, la vedrete!
S’interruppe per dire al cameriere, ritto dietro di lei con le due bottiglie:
— Del Leoville.
Poi, soggiunse a voce più bassa;
-. Non voglio stfillare; non è il mio genere... Ma colei è una famosa donnaccia... Nei piedi di suo marito le farei balJar io una certa danza... Oh! questo non le porterà fortuna.
La non conosce il mio Fauchery, lei, un uomo disonesto che corre dietro alle donne, per farsi uno stato... Brava gente, affè!
Vandeuvres si studiò di acchetarla.
In quel punto, Bordenave, abbandonato da Rosa e da Lucia, arrabbiava, gridando che si lasciava morir papà di fame e di sete: quella fu una felice diversione, la cena languiva, nessuno mangiava: sì sciupava nei piatti dei crostin d’Ananas Pompadour e dei cedri.
Ma lo Sciampagna, che si beveva dalle portate in poi, animava a poco a poco i convitati di una ebbrezza nervosa. Si finiva a lasciarsi andare a minor riservatezza. Le do nne puntavano i gomiti sulla tavola messa a soqquadro: gli uomini per respirare tiravano indietro le seggiole.
Il caldo era intenso, la luce delle candele ingialliva maggiormente, fatta densa al disopra della tavola; a quando a quando, allorchè una nuca dorata chinaya sotto la pioggia dei ricciolini, il lampo di una fibbia in diamanti, illuminava un’alta acconciatura. Degli scoppi di gaiezza gettavano un baleno, occhi ridenti, denti bianchi travisti, il riflesso dei candelabri nelle tazze di Sciampagna. Frammezzo a domande lasciate senza risposta, e chiamate lanciate da un capo all’altro della tavola, si rideva forte, si gesticolava; i camerieri facevano il maggior chiasso, credendosi nei corridoi della loro trattoria, spingendosi, servendo le frutta ed i sorbetti con delle esclamazioni gutturali.
— Ragazzi miei! gridò Bordenave, sapete che domani si recita... State in guardia! Non troppo Sciampàgna!
— Quanto a me, diceva Foucarmont, ho bevuto nelle cinque parti del mondo tutti i vini immaginabili... Oh! dei li+ «quidi straordinari, degli alcool capaci di ammazzarvi un uomo sul colpo.... Ebbene! ciò non mi ha mai fatto male, non mi posso ubbriacare io. Ho tentato! ma è impossibile, impossibile!
Era pallidissimo, freddo, arrovesciato sulla spalliera della sseggiola, e beveva e ribeveva.
— Non importa, mormorò Luisa Violain; smetti, ne hai quanto basta... La sarebbe bella che avessi a curarti il resto della notte e
Un’ebbrezza metteva sulle guancie di Lucia Stewart le” vampe purporee che hanno i tisici, mentre Rosa si faceva tenera, gli occhi umidi, semispenti. Tatan N6éné, obesa, sorrideva vagamente nella sua stolidaggine di cretina. Le altre Bianca, Carolina, Simona, Maria cinguettavano tutte insieme, raccontando i loro affari, una disputa col loro cocchiere, un progetto di gita in campagna, imbrogli complicati di amanti rubati e restituiti. Ma un giovinotto accanto a Giorgio, avendo voluto abbracciar Lea, si ebbe una ceffata con un:
— Dite un po’, voi! volete finirla! piena di nobile sdegno.
Giorgio, interamente brillo, molto esaltato dalla vista di Nana, esitava davanti ed un’idea che maturava seriamente; quella cioè di mettersi carponi sotto la tavola, di andar ad «accoccolarsi ai piedi di lei come un cagnolino: nessuno potrebbe vederlo lì sotto, e vi starebbe cheto cheto. Ma quando Daghuenette, pregatone da Lea, ebbe detto all’importuno giovinotto di starsene tranquillo, Giorgio sentiì all'improvviso un gran dispiacere, come se avessero garrito lui; era cosa stupida, triste, non c’era più niente di buono.
Dagbuenette, tuttavia, scherzava, lo costringeva ad ingoiare un bicchier d’acqua, chiedendogli che cosa farebbe se si trovasse a quattrocchi con una donna, dacchè tre bicchieri di Sciampagna lo buttavano a terra.
— Ecco, ripigliava Foucarmont; all’Avana fanno dell’A0r quavite con bacche selvatiche; par d’inghiottire del fuoco....Ebbene! una sera ne ho bevato più d’un litro, non m’ha fatto nulla... Un altro giorno, sulle coste del Coromandel, dei selvaggi ci diedero non so qual mistura di pepe e di vetriolo; non mi fece nulla,... Mi è impossibile ubbriacarmi.
Da qualche istante la fisonomia di la Faloise, che aveva di contro, gli spiaceva. Sogghignava, lanciava parole scortesi, stizzose.
La Faloise, a cui girava già il capo, era molto irrequieto, stringendosi contro Gaga. Ma una nuova inquietudine finì di, renderlo agitato: gli avevano portato via il fazzoletto, reclamava il suo fazzoletto con l’ostinazione dell’ubbriachezza interrogando i vicini, chinandosi per guardare sotto le seggiolo, sotto i piedi della gente.
E siccome Gaga procurava di calmarlo:
— La è una seccatura, mormorava, c’è nell’angolo le mie iniziali e la mia corona.... La cosa può compromettermi,
— Ohe, signor Falamoise, Lamafoise, Mafaloise, gridò Foucarmont, cui pareva molto arguto lo storpiare in tal modo, all’infinito il nome del giovane.
(i Ma lafFaloise andò in collera, parlò tartagliando dei suoi antenati, minacciò Foucarmont di buttargli in viso una bottiglia.
Il conte di Vandenvres dovette intervenire per assicurarlo che Foucarmont era un testa balzana.
Tutti ridevano, infatti.
Quelle risa scossero il giovane intontito, il quale acconsentì a rimettersi a sedere, e si diò a mangiare con una docilità da bimbo, quando il cugino glielo imponeva con voce imperiora. Gaga se l’era di muovo stretto vicino. Solo di tempo in tempo lanciava sui convitati sguardi ansiosi e da susornione, cercando sempre il suo fazzoletto.
Foucarmont, allora in vena di far lo spiritoso, aggredì Labordette da un capo all’ altro della tavola.
Luisa Violaine si studiava di farlo tacere, perchè, diceva lei, quando gli veniva l’estro d’aizzar la gente, l’andava poi riale per lei. Egli aveva inmaginato una nuova celia; quella cioè di chiamar Labordette «signora.» Facezia che gli do veva piacer molto, poichè non finiva più di ripeterla, mentre Labordette, striugendosi placidamente nelle spalle, rispondeva ogni volta:
— Tacete dunque, caro mio. La è così sciocca!
Ma siccome Foucarmont non smetteva e passava agli insulti, senza che si sapesse il perchè, Labordette cessò di rispondere e rivolgendosi al conte di Vandeuvres.
— Signore, fate che îl vostro amico stia zitto... Non mi voglio scaldare il sangue.
Si era battuto due volte, lo si sapeva: era salutato ed accolto in ogni dove; fu quindi una sollevazione generale contro Foucarmont. Sì, aveva del brio, metteva tutti in allegria, ma non era una buona ragione per guastare la serata.
Vandeuvres, il cui viso delicato si veniva abbronzando, impose a Foucarmont di restituire il suo sesso a Labordette.
Anche gli altri uomini, Mignon, Steiner, Bordenave, tutti animatissimi, intervennero; gridando, coprendo la voce di Vandeuvres. Soltanto il vecchio signore, dimenticato al fianco di Nana, conservava il suo nobile contegno, il suo sorriso stanco e silenzioso, seguendo con occhi pallidi quella rotta finale del dessert,
— Eh! Bambina mia, se si pigliasse il caffè qui? disse Bordenave. Ci si sta così bene.
Nana non rispose subito. Fin dal principio della cena, ella non sembrava più in casa sua. Tutta quella gente l’aveva affogata; stordita, chiamando, i camerieri, parlando a voce alta facendo il proprio comodo come fosse all’albergo.
Lei stessa si scordava della sua parte di padroma di casa, non s’occupava che del grosso Steiner, il quale scoppiava per pletora, accanto a lei. Lo ascoltava, dicendo però ancora di no col capo, ridendo del suo riso provocante di bionda paffuta. Lo Schiampagna bevuto l’aveva fatta diventar tutta rosea in volto con le labbra umide, gli occhi lucenti; ed il banchiere, ad ogni movenza leggiadra delle sue spalle, ad ogni leggero e voluttuoso ringonfiamento del suo collo, allorchè rivolgeva la testa, offriva una somma maggiore.
Egli vedeva là, vicino all’orecchio della ragazza, un posticino tenero, vellutato, che lo rendeva pazzo assolutamente.
Di tratto in tratto Nana, disturbata, si ricordava dei spot convitati, procurando d’esser amabile per mostrare che sapeva ricevere.
Verso la fine della cena era molto brilla; lo Sciampagna
le dava subito alla testa, il che la desolava.
Allora un’idea la esacerbò.
Era una porcheria che quelle signore volevano farle conducendosi così male da lei, apposta per farle uno sfregio.
Oh! ci vedeva chiaro lei!
Lucia aveva ammiccato per spingere Foucarmont contro Labordette, mentre Rosa, Carolina e le altre-aizzavano quei signori. Ormai il chiasso era tale che non si poteva più intendersi, affar di dire che si poteva permettersi ogni cosa, quando si cenava da Nana.
Ebbene! stavano per vedere! L’aveva un bell’esser brilla, lei, era ancora la più ammodo, la più chic.
— Bambina mia, riprese Bordenave, ordina dunque di ser — Sapete, se yolete del caffè, ce n’è di là.
Tutti lasciarono la tavola, si spinsero verso la sala da pranzo senza aver notato la collera di Nana, ed in sala non rimase più che Bordenave, il quale aggrappandosi alle pareti, inoltrandosi con precauzione, mandava bestemmie a quelle maledette femmine che s’infischiavano del babbo, ora che si erano ben rimpinzate.
Dietro di lui, i camerieri sparecchiavano sotto gli ordini del maggiordomo, lanciati a viva voce.
Essi si precipitavano, si spingevano, facendo sparir la tavola, come ina decorazione da scena al fischio del macchinista.
Gli ospiti dovevano tornar in sala dopo il caffà,
— Capperi! Fa meno caldo qui, disse Gaga con un leggiero brivido entrando nella sala da pranzo.
— La finestra di quella sala era rimasta aperta: due lampade rischiaravano la tavola, su cui stavano i vassoi col caffè in piedi, mentre accanto cresceva il chiasso dei camerieri.
Nana era.scomparsa: ma nessuno si dava pensiero della.
sua assenza. Si faceva benissimo senza di lei, ognuno servendosi, frugando nei cassetti della credenza, per trovare i cucchiaini che mancavano. S’erano formati parecchi crocchi:
le persone divise durante la cena si ravvicinavano, scambiando sguardi, risate espressive, parole che riassumevano le situazioni.
— Non è vero, Augusto, diceva Rosa Mingon, che il signor Fauchery dovrebbe venire a colazione da noi, uno di questi giorni?
Mignon che si baloccava colla catena dell’orologio, scrutò un momento il giornalista coi suoi occhi severi, con un sorriso di cattivo u more. Rosa era pazza. Da buon amministratore ci metterebbe ordine a un tale sciapio. Per un articolo, vada; ma poi, servitori! Però, conoscendo che testolina avesse la moglie ed avendo per norma di permetterle con paterna indulgenza una corbelleria, quand’era neccessaria rispose; facendo il cortese:
— Certo.. sarò felicissimo.... Venito, venite, domani, signor Fauchery.
Lucia Stewart, che stava ciarlando con Steiner e Bianoa,
udì quell’invito, ed alzando la voce, disse al banchiere:
— È una smania che hanno tutte. Ce n’è una che m’ha perfino rubato il cane!... Vediamo, caro mio, è forse mia la colpa se voi la piantate? o.
Rosa voltò la testa. Sorsaggiava lentamente il suo " caffà guardava Steiner fisso, fisso, pallidissima; e tutta la collera concentrata del suo abbandono le divampò nello sguardo; essa aveva ben più accorgimento di Mignon: era una stoltezza l’aver voluto ricominciar la storia di Jonquier; questi pasticci non riescono mai due volte. Tanto peggio! La si piglierebbe Fauchery; già dal cominciare la cena se n’era scaldata la testa, e se Mignon non era contento, la sarebbe una lezione per lui.
— Non state già per battervi, eh? disse Vandeuvres a Lucia.
— No, non abbiate paura. Solamente, che ella se ne stia ben chiotta, o le spiatello quanto le va, e fuor dei denti.
E chiamando Fauchery con cenno imperioso:
— Ragazzo mio, ho le tue pantofole a casa mia, te le farò tenere domani dal tuo portinaio.
Egli tentò di celiare. Ella s’allontanò con far da regina.
Clarissa, che si era appoggiata al muro, per sorbire placidamente un bicchierino di Kirsch, si strinse nelle spalle.
Quante storie, figuratevi, per un uomo! come se la fosse una novità! Dal momento che due donne si trovavano insieme coi loro amanti, non era forse loro primo pensiero il farsela l’una all’altra? Era di regola ciò. E lei dunque? se avesse voluto risentirsi o non avrebbe dovato cavar gli occhi a Gaga m causa di Ettore? Chè! Baie! se ne rideva, lei.
Foi, come la Faloise le passava vicino, si accontentò di dirgli:
— Dà retta! a te piacciono stagionate, eh! non basta mature, gli è vizze che tu le vuoi!
La Faloise parve assai indispettito; rimaneva lì inquieto.
Vedendo che Clarisssa burlavasi di lui, ebbe un sospetto.
— — Non tante baje! disse. Tu m’’bai preso il fazzoletto dammelo!
— Ci ha egli abbastanza rotto le cuffia, col suo fazzoletto!
gridò lei. Perchè mo’ te l’avrei preso, cretino?. *
— 0h bella! mormorò lui con diffidenza, per mandarlo alla mia famiglia, per compromettermi!
Foucarmont intanto dava l’assalto ai liquori; continuava a sogghignare guardando Labordette che prendeva il caffè, in mezzo alle signore, lanciava brani di frase: «figlio d’un mercante di cavalli, altri lo dicevano il bastardo di una tessa; nessun reddito, e sempre venticinque luigi in tasca, il domestico delle cortigiane, un tale che non toccava mai donne. >
— Mai, mai! ripeteva, arrabbiando. No, vedete, bisogna ch’io lo pigli a schiaffi.
Tracannò un bicchierino di chartreuse. La chartreuse non lo disturbava menomamente; non tanto così, diceva egli; e faceva schioccar l’ unghia del pollice sui denti. Ma all’improvviso, mentre muoveva verso Labordette, si fece livido e stramazzò, come una mole, davanti alla CISdonza Era ubbriaco fradicio.
Luisa Violaine si desolò. Lo diceva Dan lei che la finirebbe male; ora ne avrebbe per tutto il resto della notte a curarlo. Gaga la rassicurò, esaminando l’ufficiale con occhio sperimentato, dichiarando che non sarebbe nulla, che se la caverebbe con una buona dormita di dodici o quattordici orse.
- Si portò via Foucarmont.
— Tò! dove si è cacciata Nana? chiose ad un tratto Vandeuvres.
Sì, infatti, essa era sparita, levandosi da tavola. Si ricordavano ora di lei, tutti la reclamavano; Steiner, inquieto: da qualche momento, interrogò Vandeuvres sul vecchio signore sconosciuto, scomparso egualmente. Ma il conte lo rassicurò, aveva appunto allora ricondotto il vecchio; un personaggio straniero di cui era inutile dir il nome, un uomo straricco che si contentava di pagare la cena. Poi, siccome tornavano a dimenticarsi di Nana, Vandeuvres scorse Daghuenet, colla testa ad un uscio, che gli faceva cenno. E, nella camera da letto, trovò la padrona di casa seduta, irrigidita, le labbra bianche, mentre Giorgio e Daghuenet, ritti davanti di lei, la guardavano costernati.
— Che avete mai? interrogò stupito.
Essa non rispose, non voltò nemmeno la testa.
Egli ripetò la domanda.
— Ho, gridò lei infine, che non voglio che se ne infischino di me!
Allora buttò fuori tutto quello che le venne alle labbra.
No, no, non era stupida, ci vedeva chiaro. L’avevano berteggiata
berteggiata durante la cena, avevano detto a bella posta delle sconcezze per mostrare che la si disprezzava; loro un mucchio di lercie che non le arrivavano tampoco alla cavicchia. Non sarebbe sì matta un’altra volta, di darsi tanto affanno, per farsi poi scalzare per giunta. Non sapeva che cosa la tratteneva dal cacciar tutta quella gentaglia alla porta. E, strozzata dalla rabbia, ruppe in singulti.
— Andiamo, ragazza mia, tu sei brilla, disse Vandeuvres, dandole del tu. Bisogna esser ragionevole.
No, lei ricusava già prima, lei rimarrebbe là.
— Son brilla, è possibile, ma voglio essere rispettata.
Giorgio e Daghuenet, da un quarto d’ora, la scongiuravano invano di tornar in sala da pranzo, lei s’incocciava; i suoi ospiti potevano hen far ciò che volevano; essa li sprezzava troppo per ritornare fra loro. No, mai, mai. L’’avessero fatta anche a pezzi, sarebbe rimasta nella sua camera.
— Avrei dovuto diffidare, riprese. È quella bertuccia di Rosa che ha fatto il complotto. Così, quella brava signora che io aspettava quì questa sera, sono sicura che è stata Rosa a sconsigliarla di venire.
Parlava della signora Robert.
Vandeuvres le diè la sua parola d’onore al la signora Robert aveva rifiutato da sè. Egli ascoltava e discuteva senza ridere, avezzo a simili scene, sapendo come bisognava prender le donne quando si trovavano in quello stato. Ma appena tentava di pigliarle le mani per farla alzare dalla seggiola e trascinarla seco, lei si dibatteva con nuovo rinfocolamento d’ira.
Nessuno, per esempio, le farebbe mai credere che Fauchery non avesse dissuaso il conte Muffat dall’accettare il suo ine vito. Un vero serpente quel Fauchery; un invidioso, un uomo capace di perseguitar una donna e distruggere la sua felicità. Poichè in fine, lei lo sapeva, il conte avea preso una bella cotta per lei; avrebbe potuto averlo,
— Lui, cara mia, giammai! Esclamò Vandeuvres scordando la sua parte e ridendo.
— Perchè mo? chiese ella seria, mentre la sbornia le cominciava a dar giù un pochino. — Perchè è tutta roba dei preti, e se gli accadesse toccarvi con la punta delle dita, andrebbe l’indomani a confessarsene... Ascoltate un buon consiglio. Non vi lasciate scappar di mano l’altro. Essa restò silenziosa un momento, riflettendo, poi si alzò, andò a bagnarsi gli occhi. Tuttavia quando vollero condurla in sala, tornò a gridare di no, furiosamente. Vandeuvres lasciò la camera, sorridendo, senza insistere oltre.
E come se ne fu andato, ella ebbe una crisi di tenerezza, gettandosi fra le braccia di Daghuenet, ripetendo:
— Ah! il mio Mimì, non ci sei che te... Ti amo, sai! ti amo tanto... Oh! sarebbe pur la bella cosa se si potesse sempre viver insieme, Mio Dio! Come le donne sono infelici!...
Poi, scorgendo Giorgio, che al vederli abbracciarsi si DO tutto rosso, lo abbracciò anche lui.
Mimì non poteva esser geloso d’un bambino; voleva anzi che Paolo e Giorgio fossero sempre d’accordo, perchè sarebbe una così bella cosa di star così tutti e tre ARDo80o) di volersi tanto bene.
Ma uno strano rumore li disturbò: qualcuno russava nella.
camera. Guardarono e scorsero Bordenave, che, preso il caffè, doveva essersi installato là comodamente. Egli dormiva su due seggiole, la gamba ben distesa, la testa poggiata all’orlo del letto.
Nana lo trovò così grottesco, lì, disteso a bocca aperta, il naso messo in moto ad ogni russata, che fu presa da un accesso di riso convulso. Uscì rapidamente dalla camera seguita da Giorgio e Daghuenet, traversò la sala da pranzo ed entrò in sala tenendosi le costole.
— AA! cara mia, disse, buttandosi quasi nelle braccia di Rosa, non potete immaginarvi.. venite a vedere qualche cosa.
Tutte le donne dovettero accompagnarla:-le pigliava per mano, accarezzandole, conducendole seco per forza, in tino slancio di allegria così schietta, che tutte ridevano a fidanza.
La brigata sparve, poi tornò, dopo esser rimasta un momento, a respiro Sospeso, intorno a Bordenave, magistralmente sdraiato; e le risa scoppiarono.
Quando qualcuna di loro imponeva il silenzio, 8 udiva in lontananza il russar di Bordenave. Erano quasi le quattro: nella sala da pranzo si era disposta una tavola da giuoco intorno a cui sedettero Vandeuvres, Steiner, Mignon e Labordette; Carolina e Lucia in piedi dietro di loro, scommettevano, mentre Bianca sonnecchiosa, scontenta della sua nottata, ogni tanto domandava « Vandeuvres se non fosse ora di andarsene.
In sala si tentava di ballare.
Daghuenet s’era messo al Do al «cassettone»
come diceva Nana.
Ella non voleva strimpellatori: Mimi suonava delle polke e dei valzer quante se ne voleva.
Il ballo però languiva; quelle signore, mezzo assopite, in fondo ai seggioloni, ciarlavano fra di loro.
All’improvviso vi fu una gran chiassata. Undici giovinotti, che arrivavano in massa, ridevano forte nell’anticamera, facevano ressa alla porta della sala; uscivano dal ballo del ministero dell’interno, in giubba e cravatta bianca, con spranghette di ordini sconosciuti all’occhiello.
Nana, indispettita da quella rumorosa invasione, chiamò i camerieri rimasti in cucina, ordinando loro di cacciar fuori quei signori e giurava che non li conosceva, che non li aveva nemmeno mai veduti. 1
Fauchery, Labordette, Daghuenet, tutti gli altri uomini s’erano fatti avanti per far rispettare la padrona di casa.
Si vociavano ingiurie, già alcune braccia s’allungavano; per un momento si potè temere uno scambio generale di busse, Ma un biondino, dall’aspetto malaticcio, ripeteva con molta insistenza:
— Vediamo, Nana, l’altra sera, da Peters, nel gran salone rossò.... Rammentatevene dunque I.. voi ci avete invitati. ©
Da Peters? L’altra sera? No. Essa non se lo ricordava affatto. Quale sera, prima di tutto?
E quando il biondino le ebbe detto il giorno, un mercoledì, essa rammento bensì d’aver cenato da Peters, il mercoledì; ma non aveva invitato alcuno; ne era presso a poco sicura.
— Però, figlinola mia, se tu li hai invitati, mormorò Labordette, che cominciava ad avere de dubbi. Eri forse... un po’ allegra? Allora, Nana si mise a ridere, era possibile, ella non sapeva più altro. Ad ogni modo, poichè quei signori erano lì, potevano entrare, Le cose si accomodarono, parecchi dei nuovi venuti trovarono amici nel salotto, ed il tafferuglio si sciolse in istrette di mano. Il biondino d’aspetto malaticcio portava uno dei più gran nomi di Francia. D’altronde, essi annunciarono che altri li seguirebbero ed infatti, ad ogni istante l’uscio s’apriva, degli uomini si presentavano, in guanti bianchi ed in tenuta ufficiale. Venivano tutti dal ballo del ministero.
Fauchery domandò celiando se il ministro non stava per giungere. Ma Nana, indispettita, rispose che il ministro andava da gente che valeva per certo meno di lei. Quello che non disse però, si era una speranza serbata in cuore: la speranza cioè di veder comparire, fra quella coda di gente, il conte Muffat, che poteva aver mutato pensiero. Benchè intenta a discorrere con Rosa, non ristava dal tener d’occhio l’uscio d’entrata.
Suonarono le cinque: non si ballava più. Sole i giuocatori duravano a star saldi. Labordette aveva ceduto il suo posto; le donne erano tornate in sala.
Una sonnolenza di veglia prolungata vi si aggravava sotto la luce torbida delle lampade, di cui lo stoppino carbonizzato faceva rosseggiar i globi.
Quelle signore si trovavano a quell’ora di vaga malinconia che provocava in loro il bisogno di raccontare la loro vita.
Bianca narrava dell’avo, un generale, mentre Clarissa inventava un romanzo, la storia d’un duca, che l’aveva sedotta, in «casa di suo zio, ove veniva per la caccia del cinghiale; e tutte e due, dietro la schiena, facevano spalluccie, chiedendosi se era mai, Dio, possibile il contare simili fole. In quanto a Lucia Stewart, essa confessava placidamente la propria origine; parlava volentieri della sua gioventù, del tempo in cui suo padre, il meccanico della ferrovia del Nord, alla domenica le faceva far baldoria con un pasticcino di mele cotte.
— Oh! sentite un po’ una storia, disse a un tratto Maria Blond: C’è rimpetto a casa mia, un signore, un Russo, in somma un riccone. Figuratevi che ieri ricevo, un canestro di frutti, ma che frutti! pesche enormi, uva di questa grossezza, qualche cosa infine di straordinario per la stagione... ed in mezzo sei biglietti da mille... Era il Russo.... Naturalmente gli ho rimandato tutto quanto. Ma confesso che m’è dispiaciuto un pochino per le frutta!
Le donne si guardavano mordendosi le labbra. Aveva una bella faccia tosta per la sua età quella Mariuccia! Con questo poi, che storie simili, capitavano a delle sguaiate della sua specie! Eran, fra loro, profondi disprezzi. Sopratutto, invidiavano Lucia, furibonde dei suoi tre principi.
Dacchè Lucia, ogni mattina, montava a cavallo, e faceva una passeggiata al Boseo, il che l’aveva messa in voga, tutte, ormai, montavano a cavallo; una smania le aveva invase.
L’alba stava per spuntare;; Nana distolse gli occhi dalla porta, perdendo ogni speranza. L’uggia traboccava.
Rosa Mignon aveva rifiutato di cantar la Pantofola, raggomitolata in un angolo del canapò, ove discorreva sottovoce con Fauchery, aspettando Mignon, il quale aveva’ già guadagnato una cinquantina di luigi a Vandeuvres.
Un uomo grassotto, d’aspetto grave, decorato, aveva bensì declamato in dialetto alsaziano il Sacrifizîo d’Abramo; (quando Dio bestemmia dice: «Sacr...o nome di me!)» ed Isacco risponde sempre: «Sì babbo!» Solamente, nessuno avendo capito, il brano era sembrato stupido.
Non si sapeva che cosa ideare, per star allegri, per finir pazzamente la nottata.
Per un momento, Labordette immagino di denunciare le donne all’orecchio di la Faloise, il quale andava ronzardo intorno a ciascheduna, guardando se mon avesse il suo fazzoletto dietro nel collo.
Poi, siccome erano rimaste delle’ bottiglie di sciampagna sulla credenza, i giovinotti -s’eraho rimessi a bere; si chiamavano, si eccitavano; ma una ubbriachezza, tetra, d’una stolidaggine da lagrime invadeva la sala invincibilmente.
Allora il biondino (quello che portava uno -dei gran nomi di Francia), in fine di espedienti, disperato di non trovare nulla «di allegro, ebbe una idea: afferrò la sua bottiglia di sciampagna e la vuotò nel pianoforte. Tutti gli altri si smascellarono dalle risa.
— To’! chiese stupita Tatan Néné che l’aveva scorto, perchè mai mette dello sciampagna nel pianoforte?
— Come, figliuola, non sai? rispose seriamente Labordette.
Non v’ha nulla di meglio pei pianoforti. Rinforza il suono.
— Ah, mormorò Tatan Néné convinta.
E siccome si rideva, ella andò in collera.
Che ne sapeva lei! le davano sempre frottole da bere.
Le cose volgevano assolutamente alla peggio, la notte minacciava di finir sconciamente.
In un angolo Maria Blond era alle prese con Lea di Horn, che ella accusava di darsi a della gente di poco conto; e ne venivano alle parolaccie, pigliandosela a proposito della loro
faccia.
Lucia, che era brutta, le fe’ star zitte. Il viso sui significava nulla; bisognava esser ben fatte della persona.
Più in 1à, su un canapè, un segretario d’ambasciata aveva cinta con un braccio la vita di Simona, a cui cercava di dare un bacio sul collo.
Ma Simona, stanca, imbronciata, lo respingeva ogni volta con un:
— «Mi secchi!» e gran colpi di ventaglio sul viso.
Nessuna, del resto voleva esser toccata; o che le pigliavano per sgualdrine?
Gaga, però, avendo riafferrato la Faloise, se lo teneva quasi in grembo: mentre Clarissa, scompariva, fra due signori, scossa da un riso convulso di donna solleticata.
Attorno al pianoforte, il giochetto continuava, in un-accesso di stupida pazzia; tutti si spingevano, ognuno voleva votar il suo fondo di bottiglia, era semplice e grazioso.
-— To! vecchio mio, bévine un sorso... Diamine! ha sete, codesto Pianoforte... Attenti! Eccone ancor una: non bisogna sciupar nulla.
Nana, volgendo loro le spalle, non li vedéva ella si: ac conciava decisamente col grosso Steiner che le sedeva vicino.
Tanto peggio! la colpa era di quel Muffat che non aveva voluto.
Seduta lì, nella sua veste di seta bianca, leggera, e sciupata come una camicia, col rimasuglio di ubbriachezza che la impallidiva, gli occhi stanchi, ella si offriva colla sua aria placida di ragazza bonaria. Le rose delle trecce e del suo busto s’erano sfogliate; non rimanevano che i gambi;
Ma Steiner, d’un tratto, ritirò rapidamente la mano dalle gonne di Nana ove aveva incontrato gli spilli, appuntati da Giorgio e da Daguenette; comparvero alcune goccie di sangue; l’una cadde sul vestito della giovine e lo macchiò.
— Ora, il patto è firmato, disse lei seriamente.
La luce del giorno cresceva: un chiarore losco, orribilmente triste, penetrava dalle finestre. Allora la partenza incominciò, con uno scompiglio pieno di malumore e di svogliatezza. Carolina Héquet, stizzita d’aver perduta la notte, disse che era tempo di andarsene, se non si voleva vederne delle belle;
Rosa faceva un muso da donna nauseata e compromessa. Succedeva sempre così con quelle creature: non sapevano comportarsi, erano schifose fin da bel principio. E Mignon avendo ripulito interamente Vandeuvres, la coppia se ne andò, senza curarsi di Steiner, dopo aver ricordato a Fauchery l’invito fattogli pel domani. Lucia allora rifiutò di farsi accompagnare dal giornalista, che rinviò, parlandogli a voce alta, dalla sua commediante da strapazzo.
In sul punto, Rosa s’era voltata, rispose con un: «Sgualdrina!»
Per fortuna, Mignon pieno di paterna indulgenza per le baruffe femminili, sperimentato e superiore ad ogni debolezza, spinse fuori Rosa, pregandola di finirla. Dietro di loro, Lucia, tutta sola, scese le scale con regale alterezza. Poi toccò a Gaga di condursi via la Faloise, malato, singhiozzante come un bimbo, chiamando Clarissa, scappata da un pezzo coi suoi due signori. Anche Simona era scomparsa. Non rimanevano più che Tatan Néné, Lea di Horn e Maria Blond, che Labordette, compiacente, s’incaricò di scortare.
— Gli è che non ho proprio voglia di dormire - riporta Nana. Converrebbe far qualcosa,
Guardava il cielo attraverso ai vetri, un cielo livido ove correvano delle nubi, nere come fuliggine. Erano le sei. Dirimpetto, SO lato del boulevard Hausmann, i tetti umidi delle case ancor addormentate, si disegnavano al barlume dell’alba, mentre giù, sul lastrico deserto, uno stormo di spazzaturai passava con un sordo rumore di zoccoli. E davanti a quello squallido ridestarsi di Parigi, si sentì vinta da un intenerimento da giovinetta, da un anelito alla campagna, all’idillio, dal desiderio di qualche cosa di dolce e di candido.
— Oh! non sapete? disse, tornando verso Steiner, mi con durrete al Bosco di Boulogne e berremo del latte.
- Una gioia infantile le faceva battere palma a palma. Senza aspettare la risposta del banchiere, il quale naturalmente acconsentiva, benchè seccato e sognando tutt’altro, corse a gettarsi una pellicia sulle spalle.
In sala non c’era più, oltre a Steiner, che la brigata dei giovinotti: vuotato nel pianoforte fin l’ultima goccia dei lor bicchieri e non trovando più nulla, parlavano di andarsene, quando l’un di essi accorse trionfalmente, recando dalla credenza l’ultima bottiglia, — Aspettate! Aspettate! gridò, una bottiglia di Chartreuse.... Là; aveva bisogno di Chartreuse, questa la vuol rimettere. Ed ora, ragazzi, alzate il tacco. Siamo cretini.
Nello spogliatoio Nana dovette destar Zoè che s’era addormentata sopra una seggiola. Il gas ardeva: Zoè, con un brivido, aiutò la signora a mettersi il cappello e la pellicia.
— Infine, la cosa è fatta, ho seguito il tuo parere, disse Nana, che le diede del tu, in uno slancio espansivo, sollevata d’aver presa una decisione. Dicevi bene, il banchietfe od un altro fa lo stesso.
Zoè era imbronciata ed aggranchita. Borbottò che la signora avrebbe dovuto decidersi il primo giorno.
Poi, mentre la seguiva nella camera da letto, le chiese che cosa dovesse fare dei due che erano lì. Bordenave russava sempre, e Giorgio, il quale, venuto di soppiatto a tuffar la testa nei morbidi guanciali, aveva finito con l’addormentar ’visi, col suo lieve soffio da cherubino.
Nana rispose che li lasciasse dormire. Ma s’intenerì nuomente vedendo entrare Daghuenet, che la spiava dalla cucina ed aveva l’aria molto triste.
— Andiamo, Mimì, sii ragionevole, disse abbracciandolo e baciandolo con ogni maniera di vezzi. Nulla è cambiato, sai, gli è sempre il mio Mimì che adoro... Ma era necessario... non è vero? Ti giuro, sarà ancora più delizioso. Vieni domani, c’intenderemo per le ore... presto, abbracciami come mi ami... Oh! più forte, più forte ancora!
E scappò; raggiunse Steiner, felice, ripresa dalla sua idea, il grillo d’andar a bere del latte.
Nell’appartamento vuoto, il conte di Vandeuvres rimaneva solo, coll’uomo decorato che aveva declamato il Sacrificio d’Abramo; entrambi inchiodati alla tavola da giuoco, scordando dov’erano, non vedendo la piena luce del giorno; mentre Bianca s’era decisa a coricarsi sur un canapè procurando di dormire.
— Ah, Bianca verrà con noi! gridò Nana. Andiamo a ber del latte, cara mia.... Venite dunque, ritroverete qui Vandeuvres al ritorno.
Bianca si alzò con pigrizia.
Stavolta la faccia apoplettica del banchiere illividì per dispetto, all’idea di condur seco quella ragazzona che lo disturberebbe.
Ma le due giovani se lo tenevano già in loro potere ripetendo:
— Sapete, vogliamo che lo mungano in nostra presenza.