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IV.


Fin dal mattino, Zoè aveva messo l'appartamento in mano ad un maggiordomo venuto da Brébant con un drappello di camerieri e di aiutanti.

Eta Brébant ché forniva tutto, cena, porcellane, cristalli, biancheria, fiori, perfino seggiole e sgabelli.

Nana non avrebbe trovato una dozzina di tovaglioli i in fondo a’ suvi armadi, ed essendole mancato il tempo di rimontar la casa, nel suo recente slanciarsi, sdegnando’ di andar alla trattoria, faceva servire in casa sua, ciò le sembrava’ molto più chic.

Voleva festeggiare il suo gran successo d’attrice con una cenà di cui si parlerebbe un pezzo.

Siccome la sala da pranzo era troppo piccina, avevano preparata la tavola in sala, una tavola di venticinque coperti, un poco ristretti.

— È pronta ogni cosa? domandò Nana rientrando in casa la mezzanotte.

— Ah! non so affatto, rispose con insolenza Zoè che pareva fuor di sè. Grazie a Dio, non mi occupo di nulla, i0; c’è una di quelle baraonde in cucina e in tutta la casa...

E con tutto ciò m’è toccato disputare.... Son capitati qui due.

Affè! li ho cacciati fuori.

Parlava di due antichi signori di Nana, il mercante ed il valacco, che la bella s’era decisa a licenziare, certa dell’avvenire e volendo mutar pelle, come diceva lei.

— Che razza d’uncini! mormorò lei; se tornano minacciateli della questura.

Poi chiamò Daguenet e Giorgio, rimasti indietro nell’anticamera ad appiccar cappello e pastrano.