Capo VII

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CAPO VII.

La bella marchesa Castellaccio portava un’amazzone di panno verde cupo giusto alla vita, fermata al collo da un ferro da cavallo d’oro tempestato di smeraldi, i guanti di camoscio senza bottoni, lunghissimi, il cappello largo di felpa verde con un’enorme piuma; la marchesina Gisanti la zitellona era in marrone, un colletto bianco da uomo, alto, duro; sul seno piatto, una catenella d’oro con una piccola staffa per ciondolo, i guanti marrone, corti, allargantisi in un ampio polsino ad imbuto, che stava duro, alla chapeur. il cappello a cilindro con una veletta che svolazzava, i radi cappelli stretti in una treccia sulla nuca; una figura angolosa da brutta amazzone da circo.

La Torre aveva una toeletta nera fantastica, che smagriva ancora di più il suo corpiccino magro, coi gomiti che spuntavano dalle maniche strette, gli occhi scintillanti sotto la tesa del cilindro, i capelli cadenti sul collo; una figurina da giornale illustrato.

Elena Malaspina vestita d’azzurro cupo, bella, superba, giunonica, andava lentamente al passo, [p. 85 modifica]restando un po’ dietro agli altri, seguendo mollemente col corpo le movenze del cavallo.

Gastone accanto a lei da una parte, dall’altra il conte Raul.

Elena l’attirava dappertutto, il conte Raul, dolcemente, scherzandolo sul suo amore eterno, non lasciandolo schermirsi con quella grazia speciale che metteva in tutte le cose; e lui sorrideva, si lasciava condurre forte del suo amore per Costanza Santelmo, dedicando a lei molte sere, persuaso di non farle il menomo torto occupandosi d’altro, inconscio del grande pericolo che correva stando accanto ad Elena, lasciandosi lentamente assopire dal fascino infernale di lei, come da un profumo orientale sottilissimo e velenoso, che entra nel cervello inavvertito e lo corrompe.

Diana di Spa era avanti con la Torre, andava al mezzo trotto, tutta rosea in volto pel moto, strettissima nell’abito color nocciuola, di lana inglese che brillava al sole come se fosse coperta da un pulviscolo d’oro, coi guanti di camoscio al naturale che le salivano su fino quasi alla spalla.

Attilio San Pietro la seguiva collo sguardo, ma stando un po’ lontano da lei, abbagliato da quella bellezza soave, reso timido dall’amore immenso: E lei si voltava di tanto in tanto, piegandosi sul cavallo con grazia infinita, che rivelava a tratti la forma perfetta del suo corpo di fata, e gli lanciava uno sguardo, uno solo, interno.....

Elena rise a scatti, lungamente per un frizzo [p. 86 modifica]saporito che Gastone le aveva detto, poi abbassò il frustino con un colpo secco da cavallerizza e si slanciò. In un momento aveva oltrepassato la comitiva d’un buon tratto, il suo cavallo bianco alzava un nuvolo di polvere, lei metteva dei piccoli gridi per aizzarlo.

Stava ferma in arcione, col corpo eretto, la testa alta.

Gastone istintivamente spronò il cavallo per correrle dietro, ma un risolino strano della bellissima Castellaccio lo trattenne; la maldicente marchesa quando sorrideva così, accusava qualcheduno. Invece Diana si slanciò ad un tratto e corse lei in cerca dell’amica, allora tutti le vennero dietro.

La Gisanti forte, nervosa, era sempre avanti, sorridendo al vecchio e ridicolo conte Sangui, che rappresentava l’unico partito, e, dando di tanto in tanto delle occhiate lunghe a Raul che poteva ancora diventarlo.

Elena si lasciò raggiungere allo svolto d’una strada, dinanzi ad un cancello alto, ricchissimo sormontato da una grossa corona e dalle iniziali. Era casa Santelmo, Raul arrossì leggermente, Elena disse forte, tranquillamente, fingendo di non riconoscere il palazzo:

— La corsa mi ha disorientata, dove siamo quì?

— Presso il parco Santelmo, rispose subito la Castellaccio, guardando Raul e Gastone.

Queste informazioni potete averle meglio da qualchedun altro.

— Grazie, disse Elena ridendo, adesso mi [p. 87 modifica]ricordo benissimo; si piegò un poco sulla sella per carezzare la testa del suo cavallo, Gastone s’avvicinò:

— Lascia stare Raul, Elena, bada, lascialo stare.

— Eh? fece Elena motteggiandolo, poi forte:

— Conte di Spa, è caduto il frustino a vostra moglie.

Gastone impallidì:

— No, grazie l’ho preso per aria, disse Diana che non aveva compreso.

Elena di tanto in tanto quando Gastone la seccava, gli gettava in qualunque modo sua moglie dinanzi, era un metodo di scusa, accusando. Si staccò subito da lui senza neppur guardare la sua occhiata minacciosa, e venne accanto a Raul:

— Conte v’assicuro che non credevo all’eternità dell’amore, ora.....

— Ora?

— Mi ricredo.

— Perchè, marchesa?

— Ma non sapete, Raul, che siete un portento di fedeltà!

Il sorriso della marchesa era così pietoso che Raul arrossì, quasi vergognoso del suo amore immenso.

— Non ho nessun merito, marchesa, il mio amore ha un grande compenso.

— In che cosa, Raul?

— Nell’amore, marchesa.

— L’amore di Costanza? chiese Elena abbassando la voce. [p. 88 modifica]

Raul esitò un mezzo minuto a rispondere, gli occhi troppo grandi e troppo profondi di lei lo turbavano:

— Di Costanza, certo, marchesa.

— Fortunato voi che conoscete l’amore..... la voce della Malaspina ora fremeva.

Tacquero un momento; Elena aveva allentato le redini, e teneva le mani incrociate, la testa china, come stanca improvvisamente. Camminavano adagio sul ciglio della strada proprio sull’erba molle. Il muro di cinta di casa Santelmo si prolungava, loro lo rasentavano.

— Quanti fiori calpestiamo, Raul, disse lei ad un tratto.

— Ne nasceranno degli altri, marchesa, rispose Raul che adesso pensava a Costanza.

— Ma questi saranno morti! ribattè Elena con abbandono.

— Forse non ve n’erano neppure, marchesa, tranquillatevi.

— Siete scettico, Raul, peccato!

— Peccato, perchè?

— Perchè.


I cavalli di Diana e di Attilio si sfioravano, lei assorta, guardava lontano, giù in fondo all’orizzonte roseo, col petto che ansava lievemente; lui pallidissimo, cogli occhi larghi, intensi, l’inversiva d’un lungo, dolcissimo sguardo d’amore. Era uno scambio muto di pensieri, d’affetti, di deliri, fra quelle due creature, era l’intensa e secreta forza della loro passione soffocata, che si svolgeva lenta, potente. [p. 89 modifica]

— Diana, guardatemi.

— Vi vedo, Attilio, vi sento, rispose lei, piano, voltando appena la testa.

— Sapete, Diana dolcissima, io devo lasciarvi, devo partire:

— Voi? e perchè?

— Vado a Roma.

Lei diede un balzo, impallidendo improvvisamente colle mani tremanti, e gli occhi sbarrati per l’angoscia:

— A Roma anche voi! tutto dunque, tutto sarà amarezza nella mia vita?

Tacque un momento soffocando le lagrime, soffocando il singhiozzo, poi si volse a Attilio, gli porse la mano e disse pianissimo:

— Grazie.

Oh! no, no, non ringraziatemi, non posso, non voglio lasciarti Diana, vado a Roma, ma tu verrai in qualunque modo verrai.....

— Duca siete pazzo, tacete.....

— No, non sono pazzo, lo ero allora quando ti lasciai, ora è troppo tardi; perchè mi avete perdonato? dovevate scacciarmi.

— Io perdono, ma non dimentico. Attilio per me non potete, non dovete essere quello d’allora.....

— Menzogna, menzogna, tu mi hai perdonato ed hai scordato, mi ami troppo per lasciarmi.

— Non è vero, non è vero, mormorò Diana ansando sfinita, accasciata dalla lotta, impotente a mentire, sopraffatta dalla sua debolezza di donna innamorata, incapace di spezzare eroicamente il suo amore. [p. 90 modifica]

E vi era tanta passione nella sua voce spezzata dalle lagrime, tanto fuoco, tanto delirio d’amore nei grandi occhi, che Attilio sorrise ebbro, felice, dimenticando tutto.

— Che cosa ti chiedo Diana? vederti, sentire la tua voce soave, averti dappresso, amarti con tutta la potenza dell’anima mia, centuplicare ad ogni istante il mio amore per te. Ti chiedo di vivere, infine, senza il tuo amore io muoio, lo vedi bene.

— Io non sono morta, Attilio!

— Perchè il mio amore neppure era morto.

— Dio mio, Dio mio, gemeva Diana, torcendosi le mani, e Gastone?

— Gastone? oh! tuo marito si diverte, chiamalo alla marchesa Elena.

— Attilio diventate volgare.

— Avete ragione, scusatemi, sono pazzo.

S’erano scostati dal resto della comitiva da cui veniva a tratti il riso squillante d’Elena, e la voce forte di Raul.

— Davvero che partite, Attilio?

— Davvero, lo devo per affari urgenti, e voi, Diana?

— Io? nulla!

— Come nulla? badate sono capace a tutto, fate partire vostro marito.

— Non posso niente su di lui, disse Diana sommessamente, non ho mai potuto niente.

Attilio guardò un momento quella donna così buona, così nobile, in cui il sospetto ch’egli le aveva gettato era passato come un soffio, che non [p. 91 modifica]voleva credere, alle bassezze, alle malvagità della gente che l’attorniava, e sentì un vivo rimorso di ciò che aveva detto.

— Fallo per me, Diana, prova a farlo partire.

— No, no, è un’infamia.

— Allora addio.....

— Addio.....

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— Diana, e lo puoi? puoi cancellare ad un tratto tutto un passato d’amore? ti è così enorme il sacrificio d’avermi accanto come un amico, come uno schiavo, come vuoi?

La baronessa Torre li raggiunse:

— Duca, disse ridendo, la marchesa Elena chiedeva di voi.....

— Possibile? vengo.

Così si sparpagliarono. Diana si riunì al gruppo delle signore che ridevano forte, andando al passo, coi visetti rossi dal caldo, meno Elena che stava tra Raul e Attilio e discorreva con Gastone che le era dietro pallido d’ira.