Molto strepito per nulla/Atto terzo
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Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
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ATTO TERZO
SCENA I.
Il giardino di Leonato
Entrano Ero, Margherita ed Orsola.
Ero. Buona Margherita, corri nella sala, dove troverai mia cugina Beatrice in compagnia del principe, e di Claudio. Dille all’orecchio che Orsola ed io siamo nel giardino, e che il nostro colloquio volge intorno a lei. Dille che ne hai intese passando; ed esortala a venirsi a celare fra quei cespugli che negano accesso al sole; ingrate piante che, come i favoriti dei principi, osano innalzare l’orgogliosa testa contro il potere medesimo che gli ha ingranditi. Ella non esiterà a celarvìsi per udire quel che diciamo; questa è la tua parte, adempila con sagacità e lasciaci sole.
Mar. Rispondo di lei; saprò mandarvela tosto. (esce)
Ero. Ora, Orsola, ascolta: allorchè Beatrice sarà giunta, noi passeggieremo per questo viale, e parleremo di Benedick. Dacchè io avrò proferito il suo nome toccherà a te il lodarlo più che alcun mortale nol meritasse mai, ed io ti narrerò in qual guisa ei sia malato d’amore per Beatrice. Così si crea quella freccia di Cupido che ferisce i cuori quando nulla di vero esiste. Ma ecco l’istante; segui coll’occhio Beatrice che come un coniglio striscia terra terra per intendere i nostri discorsi. (Beatrice si nasconde fra i cespugli)
Ors. (a parte) Il maggior piacere della pesca è di vedere il pesce squarciare colle sue ali d’oro l’onda d’argento, e inghiottire avidamente il perfido amo. Gettiamo del pari la rete a Beatrice che celata è già; e non temete per la parte ch’io compirò nel nostro dialogo.
Ero. Avviciniamoci di più a lei, onde il suo orecchio non perda nulla di quanto ci apprestiamo a dire, (si avanzano verso il pergolato) No, no, Orsola; in verità ell’è troppo sprezzante; è selvaggia e feroce come il falco della rupe.
Ors. Ma siete voi sicura che Benedick l’ami tanto?
Ero. Così dicono il principe e il mio fidanzato.
Ors. Vi avrebbero essi affidato, signora, di istrairne la vostra cugina?
Ero. Mi hanno scongiurato di farlo, ma io gli ho esortati, se amavano Benedick, di consigliarlo a resistere alla sua tenerezza senza lasciarla intravedere a Beatrice.
Ors. E quali motivi ne avevate? Qualunque siasi il fortunato in cui dormirà un dì Beatrice, forse che il nobile cavaliere non meriterà di esserne a parte?
Ero. Oh Dio d’amore! So bene ch’ei merita tutta la felicità che può essere concessa ad un uomo, ma la natura non formò mai cuore di tempra più orgogliosa di quello di Beatrice. L’alterigia e il disprezzo scintillano nei di lei occhi, che irridono a quanto vedono; e l’opinione che ella nutre del proprio merito è così alta che tutto il resto le sembra poca cosa. Ell’è incapace di amare, o di provare alcun affetto per altrui, tanto adora se stessa! Io sono interamente del vostro avviso; ma veggo com’è grande il pericolo di farle conoscere l’amore di Benedick. Il suo spirito schernitore ne trarrebbe un sollazzo crudele.
Ors. Avete ragione: non v’è uomo, per quanto nobile e savio, per quanto bello e virtuoso, di cui ella non volga in riso le doti. Ha un vago volto? Ella vi giura che meriterebbe di essere sua sorella. Ha il color bruno? È la natura che col suo pennello volendo fare un buffone fece una macchia nera. È grande? Pare una lancia su di cui stia una testa di scimmia. È piccolo? Somiglia a un’agata mal tagliata. Gli piace parlare? È una banderuola per ogni vento. Gli piace tacere? È uno stolto cui nulla commuove. Così ella vede ogni uomo dal lato cattivo, e non paga mai al merito e alla virtù quel tributo, che dovuto è loro dalla schiettezza e dalla semplicità.
Ero. Certo, certo, tale acrimonia non è lodevole! — No, no si può applaudire a quell’umore bizzarro di cui si vanta Beatrice; ma chi oserebbe dirgliene? Se tale libertà mi prendessi, ella mi perseguiterebbe coi suoi motti tanto da farmi perdere la testa, e mi opprimerebbe con una grandine di sarcasmi. Lasciam dunque Benedick simile a un fuoco coperto struggersi fra i suoi sospiri, e perir di languore in silenzio. Tal morte gli sarà meno acerba del soccombere per uno dei di lei strali: fato tanto crudele, quanto potrebbe esserlo il supplizio del solletico.
Ors. Nondimeno provatevi per vedere che cosa ella risponda.
Ero. No; piuttosto andrò da Benedick, per consigliarlo a combattere la sua passione, e imaginerò anche qualche onesta calunnia per denigrare un po’ con lui la mia cugina. Niuno sa quanto una parola maligna valga ad avvelenare una passiono nascente.
Ors. Ah! non fate a lei tale oltraggio. Collo spirito vivo e giusto che le è attribuito, ella non può essere tanto priva di senno, da rigettare un uomo come è Benedick.
Ero. È il solo uomo d’Italia, se ne eccettui il mio caro Claudio.
Ors. Vi prego di non isdegnarvi con me, signora, se vi dico quel che mi vien in mente. Per la persona, il tuono, il discorso e l’ardire, il signor Benedick è stimato il primo abitante della nostra penisola.
Ero. Ei gode infatti di un eccellente nome.
Ors. Le sue virtù gliel meritarono prima di ottenerlo. — Quando vi fate sposa, signora?
Ero. Nol so: forse dimani. Venite, rientriamo, vuo’ mostrarvi alcune gemme, e consultarvi sopra quelle che mi stan meglio.
Ors. (a parte) Ella è presa al laccio, ve ne assicuro.
Ero. (a parte) Se siamo riescite bisogna convenire che l’amore trae partito da casi assai imprevisti. (escono)
(Beatrice si avanza)
Beat. Qual fuoco mi sento io nelle orecchie? Può ciò esser vero? Son io dunque condannata pei miei dispregi e pel mio orgoglio? Dispregi addio, e addio orgoglio di fanciulla: alcuna gloria non si collega a voi. Tu, Benedick, persevera, ed io ti ricompenserò; io lascierò che il mio cuore venga domato dalla tua mano amorosa. Se mi ami, la mia tenerezza t’inspirerà il desiderio di stringere con santi nodi i nostri amori. Tutti dicono che tu meriti molto, ed io lo credo, e più che ad altri lo credo alla mia coscienza. (esce)
SCENA II.
Una sala nella casa di Leonato.
Entrano Don Pedro, Claudio, Benedick e Leonato.
D. Pedro. Mi fermerò finchè sia celebrato il vostro matrimonio; poi me ne andrò in Aragona.
Claud. Là vi seguirò, signore, se vorrete permettermelo.
D. Pedro. No, sarebbe imporre a sposi novelli legge più dura che se si mostrasse a un fanciullo un abito nuovo vietandogli di portarlo. Non vuo’ prendermi tale libertà che col signor Benedick, di cui accetto la compagnia. Dai piedi alla testa egli non è che gioia. Egli ha due o tre volte infranto l’arco di amore; e il piccolo mariuolo non ardisce più vibrargli un dardo. Il suo cuore è vuoto come una campana, di cui la sua lingua è lo battaglio, avvegnachè ciò che la sua mente pensa, la sua lingua lo dichiara.
Ben. Signori, io non son più quello che ero.
Leon. È ciò che dicevo; voi mi sembrate più mesto.
Claud. Spero sia innamorato.
D. Pedro. Oh no, non vi è una goccia di sangue nelle sue vene, che possa restar commossa dall’amore: se è mesto sarà per mancanza di denaro.
Ben. Ho male a un dente.
D. Pedro. Fatevelo levare.
Ben. E il diavolo se lo porti.
Claud. Lo porterà dopo che l’avrete cavato.
D. Pedro. Che? Sospirate per il mal di un dente?
Leon. Dove non è che un verme o un umore?
Ben. Ognuno si fa superiore al dolore, fuorchè quello che lo soffre.
Claud. Persisto a dire che è innamorato.
D. Pedro. Ei non suol mai fare il capriccioso, se per capriccio non vuolsi intendere quella mania che ha di affettare costumi stranieri, fingendosi ora Francese, ora Olandese; o di mostrarsi come appartenente in pari tempo a due nazioni; Tedesco dalla cintura in giù, Spagnuolo dalle anche al capo. A meno che vaghezza non abbia di tal follia, come sembra avere, ei non è mai bisbetico come vorreste far credere che fosse.
Claud. Se non è invaghito di qualche bella, non si può più credere agli antichi segni: egli forbisce ogni mattina il suo cappello; e che significa ciò?
D. Pedro. Lo ha taluno veduto andare forse anche dal barbiere?
Claud. No: ma il valletto del barbiere è stato veduto da lui; e l’ornamento delle sue guancie empie forse ora qualche palla da giuoco.
Leon. Sembra più giovine dopo la perdita della sua barba.
D. Pedro. Perchè si acconcia con cura, potreste voi divinare i suoi sentimenti?
Claud. Ciò val quanto dire che il vago giovine è innamorato.
D. Pedro. Il maggior indizio di tale cosa è la sua malinconia.
Claud. E quando soleva egli lavarsi il volto?
D. Pedro. O darsi il liscio? Comincio a credere quel che dite.
Claud. E il suo spirito schernitore è egli divenuto ora l’accordo di un liuto che non risuona più che sotto le dita?
D. Pedro. Tutto ciò fa pronosticar male di lui: concludiamo, concludiamo ch’egli è innamorato.
Claud. Certo, e di più io conosco quella che ama.
D. Pedro. Io pure vorrei conoscerla; dev’essere una donna a cui non è noto il suo carattere.
Claud. Nè i suoi difetti; e questo è il motivo per cui muore di amore per lui.
D. Pedro. Sarà sepolta col volto all’insù.
Ben. Che che ne sia, questi non son rimedi al mal dei denti. — Voi, mio vecchio amico, (a Leon.) venite a passeggiare in qualche angolo remoto con me: ho otto o dieci savie parole da dirvi, che questi scapestrati non devono intendere. (esce con Leon.)
D. Pedro. Sulla mia vita, ei va a parlarle di Beatrice.
Claud. Sì certo: ed Ero e Margherita devono avere frattanto compita la loro parte con lei, cosicchè i nostri due orsi non si morderanno più l’un con l’altro quando s’incontrano. (entra Don Giovanni)
D. Gio. Signore e fratello. Iddio vi salvi.
D. Pedro. Siate il benvenuto, fratello.
D. Gio. Se ne aveste agio vorrei parlare con voi.
D. Pedro. Privatamente?
D. Gio. Così vi piaccia; ma il conte Claudio può udire, perchè quello che debbo dire lo concerne.
D. Pedro. Di che si tratta?
D. Gio. Intende Vossignoria (a Claud.) di sposarsi dimani?
D. Pedro. Ben sapete che tale è la sua intenzione.
D. Gio. Non credo che sia tale, allorchè saprà quello ch’io so.
Claud. Se vi è qualche impedimento, vi prego di manifestarmelo.
D. Gio. Voi potete credere che io non vi ami, ma questo lo vedrete in seguito. Frattanto apprendete a pensar meglio di me, dalle cose che sto per dichiararvi. Mio fratello, che senza dubbio vi tien caro, per l’amore che vi porta, vi ha secondato nella conclusione del vostro matrimonio: ma certo le sue cure son male spese, e le tue fatiche mal impiegate!
D. Pedro. A che para il discorso?
D. Gio. Venni qui per dirvelo; e senza preamboli, poichè ne usammo anche troppi, vi avverto che la vostra amante è una disleale.
Claud. Chi? Ero?
D. Gio. Sì, Ero di Leonato, la vostra Ero, l’Ero di tutti.
Claud. Disleale?
D. Gio. Tal parola è anche troppo mite per esprimere la sua malvagità; potrei dirne di più: imaginatevi un nome anche più odioso, e potrò applicargliene. Non istupite fino al momento dell’evidenza; venite con me stanotte, e vedrete qualcuno entrare per la sua finestra, anche in questa vigilia delle sue nozze. Se voi quindi l’amate, sposatela dimani, ma sarebbe più consentaneo al vostro onore il mutar proposito.
Claud. Può ciò essere?
D. Pedro. Nol posso credere.
D. Gio. Se voi non osate credere quel che vedrete, non parlate neppur mai di ciò che sapete. Se volete seguirmi vi fornirò prove bastanti; e quando avrete tutto veduto ed udito, vi comporterete a norma del vostro senno.
Claud. Se veggo qualche cosa stanotte che mi vieti di sposarla, la svergognerò dimani dinanzi al sacerdote.
D. Pedro. E come io la corteggiavo onde ottenerla per te, così mi unirò a te per disonorarla.
D. Gio. Mi astengo dal dirne di più finchè voi stessi abbiate veduto quello che si apparecchia; intanto restatevi freddi finchè giunga la notte, e allora il fatto si dichiarì da sè.
D. Pedro. Oh ore di inaspettata angoscia!
Claud. Oh avvenimento crudele, chd viene a svanire ogni mia speranza!
D. Gio. Oh sventura prevenuta a tempo! Così voi direte quando avrete veduto quel ch’io vi mostrerò. (escono)
SCENA III.
Una strada.
Entrano Dogberry e Verges colla guardia.
Dog. Siete voi prodi soldati?
Verg. Sì certo. Sarebbe altrimenti da compiangersi se salvassero l’anima e il corpo.
Dog. Ogni punizione sarebbe lieve per essi, se alcuna idea hanno della fedeltà, essendo scelti come sono per guardia del principe.
Verg. Ebbene, date loro la consegna, cugino Dogberry.
Dog. Prima di tutto, chi è di voi il più immeritevole di comandare?!
1ª Guar. Ugo Formaggio, signore, o Giorgio Carbone; perocchè entrambi sanno scrivere e leggere.
Dog. Appressatevi, vicino Carbone. Iddio vi ha dato un bel nome: essere un bell’uomo è dono della sorte; ma il dono di scrivere e di leggere t’è fatto dalla natura.
2ª Guar. Entrambe cose, comandante.....
Dog. Voi le possedete; so che così volete rispondere. Quanto alla vostra bellezza, messere, ringraziatene Dio, nè vogliate esserne vano. Rispetto al saper scrivere e leggere dimostratelo, allorchè mestieri non sia di tali vanità. Voi siete riputato qui il più insensato e idoneo uomo per la guardia, perciò portate la lanterna; tale è il vostro carico; voi comprenderete tutti i vagabondi: e farete fermare ogni uomo in nome del principe.
2ª Guar. E se qualcuno non vuol fermarsi?
Dog. Non vi curate dì lui e lasciatelo andare, ringraziando Dio che non l’abbia posto sotto le mani un furfante.
Verg. Se non vuole fermarsi quando gli viene comandato, non è un suddito del principe.
Dog. È vero, e noi non dobbiam prendercela che coi sudditi del principe. Voi dovete anche non far romore per le strade; poichè udire una guardia che ciancia è così tollerabile che non può sopportarsi.
2ª Guar. Dormiremo piuttosto che parlare; sappiam quel che si addice ad una guardia.
Dog. Voi parlate da antico militare e da uomo pacifico; il sonno non può offendere alcuno: badate soltanto che le armi non vi siano rubate. Voi anderete a battere a tutte le osterie, e comanderete a tutti gli ubbriachi di coricarsi.
2ª Guar. Ma ove nol vogliano?
Dog. Lasciateli soli finchè divengan sobrii; e se non vi danno le migliori risposte, potete dire che non son quelli che avevate creduto.
2ª Guar. Sta bene, signore.
Dog. Se incontrate un ladro, in virtù della vostra carica potete sospettare che non sia un onest’uomo: e meno converserete con tal razza di gente, meglio sarà per la vostra illibatezza.
2ª Guar. Se riconosciam taluno per ladro non dovrem porgli le mani addosso?
Dog. Veramente per l’ufficio che avete lo dovreste; ma io credo che quegli cho tocca il paiuolo ne ha le mani sconcie: la via più pacifica da seguirsi per voi, se prendete un ladro, è di lasciarlo dichiararsi per quello che è, fuggendo dalla vostra compagnia.
Verg. Voi siete sempre stato reputato un uomo misericordioso, compagno.
Dog. In verità, non vorrei volontariamente cagionare l’appiccatura d’un cane; molto meno di un uomo che sia tal poco onesto.
Verg. Se udite un fanciullo guaire di notte, dovete chiamare la nudrice perchè lo culli.
2ª Guar. E se la nudrice dorme, e non vuol ascoltarci?
Dog. Allora partitevi in pace, e lasciate che il fanciu11o la svegli colle sue grida: perocchè la pecora che non vuole udire i belati del suo agnello, non risponderà mai a muggiti del giovenco.
Verg. Benissimo detto.
Dog. Qui finisce la consegna. Voi, constabile, dovete rappresentare la persona stessa del principe; e se incontrate il principe di notte, potete arrestarlo.
Verg. No, per la Vergine! codesto io penso ch’ei nol possa.
Dog. Scommetto cinque scellini contr’uno, con chiunque conosca gli statuti, che lo può: non già invero senza il permesso del principe, perchè la guardia non deve offendere alcuno, ed è una offesa il fermare un uomo contro la sua volontà.
Verg. Per la Vergine! credo che abbiate ragione.
Dog. Ah! ah! ah! sta bene, signori, buona notte: se qualche cosa di peso accade, chiamatemi: seguite ognuno l’avviso dell’altro, ed anche il vostro proprio. Buona notte. — Venite, vicino.
2ª Guar. Onde, amici, abbiamo inteso qual è il nostro ufficio: assidiamoci qui su questo banco della chiesa fino alle due dopo mezzanotte, e poscia andiamocene a letto.
Dog. Ancor una parola, onesti vicini: vi prego di vegliar alla porta del signor Leonato; perocchè le nozze essendo fermate per dimani, vi sarà un gran tumulto in quella casa stanotte. Addio, siate alacri, ve ne supplico. (escono Dog. e Ver,; entrano Borracchio e Corrado)
Guard. (a parte) Zitto, non ci muoviamo.
Bor. Corrado, dico!
Cor. Son qui, amico, al tuo fianco.
Bor. Per la messa! pungi più della febbre.
Cor. Ti darò poi a ciò risposta; intanto seguita il tuo racconto.
Guard. (a parte) Vi è qualche tradimento, messeri; attenti, attenti.
Bor. Sappi dunque che ho guadagnati a don Giovanni milleducati.
Cor. È egli possibile, che una scelleraggine venga pagata sì cara?
Bor. Chiedi piuttosto come sia possibile che esistano scellerati tanto ricchi da pagarla; perocchè quando lo scellerato ricco ha bisogno dello scellerato povero, il povero può statuire il prezzo a piacer suo.
Cor. Mi meraviglio di ciò.
Bor. Questo mostra quanto sei novizio. Tu sai che la moda di un cappello, di un giubboncino, di un manto, non è nulla, per un uomo.
Cor. Si, è il suo apparecchio.
Bor. Io m’intendo la moda.
Cor. La moda è la moda.
Bor. Così io pure potrei dire che uno stolto è uno stolto. Ma non vedi tu qual deforme ladro è la moda?
Guard. Conosco quello scaltrito malandrino, che ruba da sette anni; e s’introduce qua e là come un gentiluomo. Io ben ne rimembro il nome.
Bor. Non udisti qualcuno?
Cor. No; fu il vento per le finestre.
Bor. Non vedi, dico io, qual deforme ladro è questa moda? Come vertiginosa ella si aggira intorno a tutte le teste calde dai quindici ai trentacinque anni? Talvolta veste i mortali da soldati di Faraone affumicati e mesti; talvolta li acconcia da preti del Dio Belo, quali si veggono nei veroni dell’antica Chiesa; talvolta li fa simili all’Ercole che si discerne nelle nostre logore tappezzerie, che ha il dito mignolo grosso al pari della clava.
Cor. Tutto questo io veggo; e veggo che la moda consuma più abiti che non l’uomo; ma la moda non istordisce ella anche te, allorchè di lei parlandomi obblii la tua storia?
Bor. No: sappi dunque che questa notte io ho amoreggiata Margherita, donzella di Ero, sotto il nome della sua signora: e ch’ella mi ha stesa la mano dalle finestre del suo appartamento e mi ha fatto mille teneri addii. Ti narro ciò senz’ordine; e avrei dovuto dirti prima che il principe, Claudio e il mio padrone, prevenuti e appostati da don Giovanni, han veduto da lungi, da un angolo del giardino, quell’incontro amoroso.
Cor. E hanno essi creduto che Margherita fosse Ero?
Bor. Due di loro l’han creduto, il principe e Claudio; non così il mio demonio di padrone che ben attera che era Margherita; ma in parte coi suoi giuramenti, in parte col ministero dell’oscura notte, e principalmente poi per la mia astuzia che confermava ogni calunnia inventata da don Giovanni, essi rimasero ingannati; e Claudio partì pieno di rabbia, giurando di andare dimani al tempio all’ora indicata, e là dinanzi a tutto il sacro corteo disonorarla, col racconto di quanto egli ha veduto questa notte, e rimandarla vergognosamente a casa senza sposo.
1ª Guard. (avanzandosi) V’imponiamo in nome del principe di fermarvi.
2ª Guard. Chiamate il nostro valoroso comandante: noi abbiamo scoperto il più pericoloso tradimento che si vedesse mai nella repubblica.
Cor. Amici, amici.....
1ª Guard. Parlate invano; noi vi obbediremo conducendovi con noi.
Bor. È probabile che troviamo un buon alloggio fra codeste labarde.
Cor. Una buona carcere, ve ne io fede. Venite, vi seguiremo. (escono)
SCENA IV.
Una stanza nella casa di Leonato.
Entrano Ero, Margherita ed Orsola.
Ero. Buona Orsola, svegliate mia cugina Beatrice e pregatela di alzarsi.
Ors. Così farò, signora.
Ero. E ditele di venir qui.
Ors. Gliene dirò. (esce)
Mar. In verità credo che quell’altro pizzo vi starebbe meglio.
Ero. No, buona Margherita, vuo’ portar questo.
Mar. Sull’onor mio, non è neppur bello la metà, e vi assicuro che vostra cugina sarà del mio parere.
Ero. Mia cugina è pazza, e tu pure; non porterò altro che questo.
Mar. Mi piacerebbe quella nuova acconciatura che sta là dentro, se i capelli fossero un po’ più bruni: quanto alla vostra veste è dell’ultima moda. Vidi quella della duchessa di Milano che fu tanto lodata.....
Ero. Oh! ella vince di gran lunga la mia, dicono.
Mar. In verità non è che una veste da camera, in paragone della vostra. E bensì guarnito in oro e in argento, con filze qua e là di candidissime perle e ghirlande azzurre, ma per la delicatezza e la grazia del fondo la vostra vale dieci volte la sua.
Ero. Dio mi conceda la gioia necessaria a portarla: io sento un gran peso sul mio cuore!
Mar. Sarà anche più pesante fra breve col carico di un uomo.
Ero. Via, Margherita! non ti vergogni?
Mar. Di che, signora? Di parlare di una cosa onorevole? Non è il matrimonio onorevole anche in un mendico? Non è il vostro sposo onorevole anche senza il matrimonio? Credo, con vostra licenza, che avreste voluto che dicessi, invece d’un uomo, un marito: ma se un cattivo pensiero non disonora un discorso vero, io non offendo alcuno. Vi è qualche male a parlare del peso di un marito? Nessuno, io credo, da che è quistione di un marito legittimo unito a una legittima sposa; altrimenti il fardello è leggiero e non pesante: chiedetelo alla vaga Beatrice che vien qui. (entra Beatrice)
Ero. Buon giorno, cugina.
Beat. Buon giorno, dolce Ero.
Ero. E che vuol dir ciò? Voi parlate col tuono di un infermo!
Beat. Son fuori d’ogni tuono, a quel che mi pare.
Mar. Intuonate l’aria di... luce d’amore. Cantatela senza ritornelli ed io la danzerò.
Beat. Sì, luce d’amore per le vostre calcagna! Se vostro marito si provvede d’albergo, non mancherà di famiglia.
Mar. Indegna chiosa! Ma io la disprezzo.
Beat. Son quasi cinque ore, cugina, e dovreste essere ammanita. In verità mi sento assai male. Ah!
Mar. Per qual oggetto sospirate? Per un cavallo, per un falcone, per un marito?
Beat. Per quella lettera che comincia tutte tre queste parole per un h1.
Mar. Oh! se non siete divenuta turca, non si potrà più veleggiare fidandosi nelle stelle.
Beat. Che intende dire questa pazza?
Mar. Nulla; ma Dio appaghi in ognuna di noi il desiderio del suo cuore.
Ero. Questi guanti che il conte mi mandò spandono un profumo delizioso.
Beat. Son raffreddata, cugina, e non potrei odorarli.
Mar. Fanciulla e raffreddata! Dev’essere stato un freddo ben acuto.
Beat . Oh Dio aiutatemi! Dio aiutatemi. Da quanto tempo fate voi professione di donna di spirito?
Mar. Dal giorno che voi ci avete rinunziato: non mi si addice a meraviglia il mio spirito?
Beat. Non traluce abbastanza, e lo dovreste portare sul vostro cappello. Ma in verità io mi sento male.
Mar. Procacciatevi un po’ d’essenza di Carduus Benedictus2 e ponetela sul vostro cuore; è il solo rimedio contro le palpitazioni.
Ero. Tu la pungi con un cardo.
Beat. Benedictus? Perchè benedictus? Vi è qualche astuzia in questo Benedictus?
Mar. Astuzia? No, in fede, non ho alcuna astuzia e parlo unicamente del cardo benedetto. Voi potete pensar forse ch’io vi creda innamorata: no, non son tanto pazza per dar fede a quello che ascolto, nè per cercar di sapere quello che so di già. In vero non torturerò il mio spirito per inondarvi di sospetti; e mi asterrò sempre dal pensare che voi amiate o che possiate amare. Pure anche Benedick si faceva un dì distinguere, ed ora è divenuto simile a tutti gli altri uomini. Egli giurava di non ammogliarsi mai, e nondimeno in onta del suo cuore, mangia ora le sue vivande senza mormorare3. A qual segno possiate voi essere convertita io l’ignoro; ma mi sembra che i vostri occhi guardino dinanzi a voi, come quelli delle altre femmine.
Beat. Di qual passo va questa tua lingua!
Mar. Non di cattivo galoppo. (rientra Orsola)
Ors. Signore, ritiratevi; il principe, il conte, il signor Benedick, don Giovanni e tutti i vagheggini della città son venuti a cercarvi per accompagnarvi alla chiesa.
Ero. Aiutatemi a vestirmi, buona cugina, buona Margherita, buona Orsola. (escono)
SCENA V.
Un’altra stanza nella casa di Leonato.
Entrano Leonato, Dogberry e Verges.
Leon. Che desiderate da me, onesto vicino?
Dog. In verità, signore, avrei a confidarvi cosa che vi concerne assai.
Leon. Siate breve, ve ne prego; perchè vedete che ho molto a fare.
Dog. Lo veggo, signore.
Verg. Lo vediamo, messere.
Leon. Che volete dunque, miei buoni amici?
Dog. Il buon uomo Verges, signore, parla fuor di senno: egli è un vecchio i di cui spiriti non sono così ottusi come desidererei che fossero, ma in verità è onesto come la pelle della sua fronte.
Verg. Sì, ne ringrazio Dio, sono onesto al par d’ogni vivente vecchio; e non più onesto dì me.
Dog. I paragoni sono odorosi; al fatto, vicino Verges.
Leon. Vicini, voi m’avete omai fradicio.
Dog. Piace a Vossignoria di dir così; ma noi siamo i poveri ufficiali del duca, e per verità per parte mia, se fossi anche fradicio come un re, vorrei spogliarmi di tutto a favore di Vossignoria.
Leon. Di tutto il fradiciume a mio favore? Aah!
Dog. Sì, fosse anche mille volte più grande; perocchè odo benedire il vostro nome al pari di quello di ogni altro nella città, e sebbene io non sia che un pover uomo, ciò mi rallegra.
Verg. E rallegra me pure.
Leon. Conoscerei volentieri quello che avete da dirmi.
Verg. La nostra guardia, questa notte, signore, eccettuandone la presenza di Vostra Signoria, ha presa la coppia dei maggiori furfanti che fossero in Messina.
Dog. Un buon vecchio, signore; ei ciancia e ciancia; perocchè, come suol dirsi, quando l’età è dentro, lo spirito è fuori. Iddio ci aiuti! È cosa maravigliosa a vedersi! — Ben detto, in fede, vicino Verges; un buon uomo sulla mia fede! Quando due uomini cavalcano un cavallo conviene che l’uno dei due stia di dietro. Un’onest’anima è questa, signore, quanto lo sia qualunque altra che rompe pane: ma Dio debb’essere adorato; tutti gli uomini non son simili, oimè, buon vicino!
Leon. In fatti, vicino, ei vi sta molto sotto.
Dog. Doni che Dio dà.
Leon. Bisogna che vi lasci.
Dog. Una parola, signore; la nostra guardia ha preso davvero due aspiciose persone, e vogliamo che siano esaminate questa mattina dinanzi a Vostra Signoria.
Leon. Esaminatele voi stessi, e rimettetemi il vostro rapporto; ho troppa fretta ora, come capirete.
Dog. Cotesto basterà.
Leon. Bevete un po’ di vino prima d’andarvene; e state lieti.(entra un Messaggiere)
Mess. Signore, siete aspettato per dar vostra figlia al suo sposo.
Leon. Son pronto a seguirvi(esce col Mess.)
Dog. Va, buon amico; va, trova Francesco Carbone, e digli di portare nella carcere penna e calamaio; dobbiamo esaminare quei due malfattori.
Verg. E lo dobbiamo far saviamente.
Dog. Non saremo avari di spirito, te ne fo fede; vi è qui (toccandosi la fronte) qualche cosa che saprà ben portarli in contumacia: abbiate soltanto un dotto scrittore per vergare la vostra scomunicazione e raggiungetemi alla Torre.(escono)