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ATTO TERZO | 115 |
SCENA V.
Un’altra stanza nella casa di Leonato.
Entrano Leonato, Dogberry e Verges.
Leon. Che desiderate da me, onesto vicino?
Dog. In verità, signore, avrei a confidarvi cosa che vi concerne assai.
Leon. Siate breve, ve ne prego; perchè vedete che ho molto a fare.
Dog. Lo veggo, signore.
Verg. Lo vediamo, messere.
Leon. Che volete dunque, miei buoni amici?
Dog. Il buon uomo Verges, signore, parla fuor di senno: egli è un vecchio i di cui spiriti non sono così ottusi come desidererei che fossero, ma in verità è onesto come la pelle della sua fronte.
Verg. Sì, ne ringrazio Dio, sono onesto al par d’ogni vivente vecchio; e non più onesto dì me.
Dog. I paragoni sono odorosi; al fatto, vicino Verges.
Leon. Vicini, voi m’avete omai fradicio.
Dog. Piace a Vossignoria di dir così; ma noi siamo i poveri ufficiali del duca, e per verità per parte mia, se fossi anche fradicio come un re, vorrei spogliarmi di tutto a favore di Vossignoria.
Leon. Di tutto il fradiciume a mio favore? Aah!
Dog. Sì, fosse anche mille volte più grande; perocchè odo benedire il vostro nome al pari di quello di ogni altro nella città, e sebbene io non sia che un pover uomo, ciò mi rallegra.
Verg. E rallegra me pure.
Leon. Conoscerei volentieri quello che avete da dirmi.
Verg. La nostra guardia, questa notte, signore, eccettuandone la presenza di Vostra Signoria, ha presa la coppia dei maggiori furfanti che fossero in Messina.
Dog. Un buon vecchio, signore; ei ciancia e ciancia; perocchè, come suol dirsi, quando l’età è dentro, lo spirito è fuori. Iddio ci aiuti! È cosa maravigliosa a vedersi! — Ben detto, in fede, vicino Verges; un buon uomo sulla mia fede! Quando due uomini cavalcano un cavallo conviene che l’uno dei due stia di dietro. Un’onest’anima è questa, signore, quanto lo sia qualunque altra che rompe pane: ma Dio debb’essere adorato; tutti gli uomini non son simili, oimè, buon vicino!