Mitologia del secolo XIX/IX. Pigmalione

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VIII. Semele X. Edipo e la Sfinge
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IX. PIGMALIONE.

La bella ventura di Pigmalione è ragionevolmente invidiata, come quegli che ottenne dai numi gli fossero contentate due fra le più violenti passioni che agitino il cuore dell’uomo, l’ambizione e l’amore. Accade d’ordinario ch’ove arrivi taluno a conseguire il suo desiderio per una parte, ne rimanga per l’altra in continua ansietà. Ma l’elegante scultore, dopo aver raggiunto l’estremo confine della perfezione nell’arte, collo scolpire per modo la sua Galatea da doverne innamorare egli stesso, potè vedersela muovere innanzi, e udire dalla propria bocca di [p. 65 modifica]lei i ringraziamenti dell’averla fatta tanto bellissima. Direte voi forse che l’artefice avesse indi a poco a desiderare, che la vivente creatura tornasse persona di marmo? Questa sarebbe soverchia malignità. Vero è per altro, pur troppo! che non rade volte più giova essere ammirati che amati, e mentre sono frequenti gli esempi di amori estinti, o per lo meno sopiti dall’ambizione, mai, o forse mai, incontrerete ambizioni che abbiano saputo tacere a fronte dell’amore. Questa però è controversia che non fa al caso. Torniamo più propriamente a Pigmalione.

Pigmalione implorò adunque dagli Dei, che il marmo da esso condotto all’ultimo grado di rassomiglianza, ottenesse tal soffio animatore da cui fosse reso conscio della propria esistenza, e sensibile alle impressioni esteriori. Qui Pigmalione perorò contro l’arte propria, dacchè una rassomiglianza tanto perfetta della realtà aveva in sè maggior pregio della realtà medesima, intendiamo sempre non per l’oggetto considerato in sè stesso, ma per le sue relazioni colla valentia dell’artista. Non potrebbe derivarsi da ciò, che quando l’imitazione sia condotta a segno da generare illusione perfetta, le intenzioni dell’arte rimangono tradite, essendochè le commozioni cagionate dall’oggetto imitato debbano essere altre da quelle che in noi cagionano gli aspetti naturali delle cose? Veggano i sottili indagatori delle riposte allegorie degli antichi fino a qual punto debba credersi giusta questa supposizio[p. 66 modifica]ne; quanto a me egli è ad altro fine che ho posto in mezzo la storia dell’antico scultore.

Perchè adunque ho io chiamato su questi fogli la buona memoria di Pigmalione e della sua statua? Gli ho chiamati per farne riscontro cogli scrittori ed artisti in generale, il desiderio e la preghiera de’ quali hanno tutt’altra direzione da quella di lui. Domandava Pigmalione nel maggior fervore della sua anima che rimanesse vivificato il suo marmo, ossia che la spiritualità fosse infusa nell’opera sua materiale; domandano scrittori ed artisti che sia loro conceduto di rivestire di forme sensibili il concetto della loro mente. Lo spirito invocato discese ad animare la statua, e l’immobile Galatea sorrise improvvisamente al suo artefice maravigliato: ma qual è mai lo scrittore, o disegnatore, cui toccasse di condurre un lavoro che mantenesse fedele la stampa de’ suoi pensieri, in guisa da farsi intelligibile a chi guarda o a chi ascolta? Non sarebbe questa una buona ragione a giustificare l’amore a un tempo e il disamore che hanno gl’insigni artisti per l’opere loro? Veggono essi tutte le ultime relazioni della rappresentazione colla realtà, alle quali i mezzi dell’arte non furono bastanti, ed amano quindi nell’opera quello ancora che non può intendersi dall’osservatore straniero alla forza e sublimità del concetto dell’artefice; e per lo contrario, dove altri si arresta a quel tanto di perfezione che alla mano e all’ingegno dell’artefice fu conceduto di mettere sot[p. 67 modifica]to gli occhi, l’artefice, alla cui mente si è mostrato un tipo sommamente più bello e perfetto, rifugge dall’opera propria come da una copia infedele. La sua condizione è molto somigliante a quella dell’innamorato, cui venga mostrato il ritratto della cara sua donna; quando altri ci vede il lavoro dell’arte e non più, infinite relazioni d’altro genere ci trova egli nell’esaltamento della sua immaginazione, e all’incontro languida ed infedele gli sembra quella rassomiglianza che può ad altri parere assai viva e compiuta.

Potrebbesi dallo scrittore e dall’artista passare alla generalità degli uomini, e trovare in essi tutti, se non affatto disformi, molto diverse le opere dai pensieri. Una buona azione viene all’animo assai facilmente, e la guerra che a praticarla conviene durare colle passioni si mostra dal lato meno difficile, in quanto che il sentimento naturale della giustizia e della virtù infiamma lo spirito e il rende capace a vedere tutti i possibili mezzi al buon riuscimento dell’impresa. Venite all’atto? Allora il contrasto si fa sentire durissimo oltre quanto l’immaginazione aveva saputo antivedere. Quando anche ti accada di uscire vincitore della battaglia, il trionfo non è mai quale nella ingenuità del tuo cuore avevi a principio desiderato; perchè egli è pur forza di confessare che il desiderio dell’uomo oltrepassa tanto nel bene quanto nel male ciò tutto che può da esso in qualunque guisa veni[p. 68 modifica]re operato. Di qui la umiltà sempre propria degli uomini virtuosi, e che si crede ipocrisia da que’ molti, i quali sono miseri d’intelletto e di cuore a tal segno da presumere che vi abbiano limiti alla perfezione morale.

Ma tornando a discorrere degli scrittori; dacchè egli è pure inevitabile al lavoro dell’arte di rimanerne inferiore al semplice intellettuale concepimento, potrebbesi suggerire alcuna via a rendere meno grave questa sventura? Vorrei che fosse fatto il contrario di Pigmalione, vale a dire che laddove egli accarezzava il proprio lavoro coll’immaginazione, e gli si aggirava intorno irrequieto, non ad altro attendendo che ad esso, e a lui solo con tutta l’anima sospirando, gli artisti si contentassero di aver nella mente alcun poco indeterminate le proporzioni del loro concetto, quando ne vengono all’opera della sensibile manifestazione. Felice quell’artista al quale tanto della propria creazione si tiene davanti alla mente, quanto gli occorre ad avere una guida nel suo operare; tanto gli è occulto, quanto può essere prodotto, dirò quasi improvvisamente, sopra lavoro! Questa massima può essere riferita essa pure alle azioni tutte degli uomini. Felice quell’uomo che può concepire il disegno di un nobile fatto, ma quanto ai mezzi di porlo ad esecuzione piglia misura dalle accidentalità che gli accadono di presente!

Ho detto altra volta che la sentenza: Molti consigli... sono — Meglio improvviso che a pensarvi [p. 69 modifica]usciti, non è ragionevolmente appropriata soltanto alle donne, per le quali l’Ariosto la scrisse. Voglio però qui soggiungere che a renderla vera compiutamente occorre una dichiarazione, cioè che vi ha in generale nelle deliberazioni da prendere alcuna parte che domanda una meditazione anticipata, ed alcun’altra mutabile a seconda della subitaneità degli accidenti, la quale commetterebbe errore chi volesse stabilirla in prevenzione. Egli è di qua che alcuni caratteri dotati di una viziosa inflessibilità, quando anche succeda loro di praticare il bene, ne colgono frutti quali avrebbero potuto ottenere se avessero operato il male. E vuolsi all’incontro in certe azioni, che a prima giunta ecciterebbero il nostro sdegno, badare all’insufficienza dei mezzi che molte volte distolgono dal fine, anzichè condurvi, chi gli ha adoperati. Questa è quella caritatevole discrezione nei giudizii di cui tutti abbisogniamo, ed è pur quella di cui in generale tanto scarseggia la società!

Che se lo scrittore o l’artista logoreranno il proprio ingegno a vagheggiare il concetto che sta loro nella mente, nell’assoggettarlo alle forme che il rendano sensibile agli altri, si troveranno puniti della soverchia loro cura. Anzi quell’idea tanto splendida, tanto vivace, tanto allettante, appena saranno per ricopiarla nell’opera loro, sparirà loro dinnanzi per non ritornarvi mai più. Non vogliano quindi artisti e scrittori, discredendo la verità di questi principii, mettersi [p. 70 modifica]ad una prova sì dolorosa. Imparino invece, se così posso esprimermi, ad arrestare nel suo rapido volo l’immaginazione che coglie il bello fuggendo. Non vengano all’opera stanchi, e come a dire consunti nella contemplazione del loro soggetto, se non vogliono che si vegga riflettuta nell’opera la loro stanchezza. Pur troppo, in onta a tutta la diligenza che usassero, troveranno sempre la materia sorda a rispondere, come divinamente notò l’Alighieri maestro d’ogni più riposta dottrina. A questo tormento è necessario che si apparecchino, ma abbiano in esso quasi un indizio dell’elevatezza del loro animo. È pur misero chi, dopo aver parlato, o scritto, o per altra guisa tentata una manifestazione degl’interni suoi sentimenti, si sente avere l’anima intieramente vota, e, come a dire, spuntato l’acume del desiderio. L’impossibilità di adeguare coi mezzi materiali la bellezza delle proprie concezioni irrita e tiene sempre desto quel principio di attività, nel quale sono riposte le maggiori consolazioni di una vita condannata alle dubbiezze, e di cui la speranza è il bene supremo. Lessi di non so qual filosofo, che, chiamato a scegliere tra il diletto che presumeva potergli cagionare la scoperta della verità, e il diletto che continuamente provava nella ricerca di quella, non avrebbe dubitato di anteporre al primo il secondo. Questo voto, trattandosi di dottrine scientifiche, potrà odorar di egoismo, ma trattandosi d’arti credo possa esser fatto da ogni animo retto e gentile. [p. 71 modifica]

Sia pur bello e lodato il lavoro delle tue mani; alcun che di più bello ti splende nell’intelletto, e ti libera dalla stanchezza e dal tedio che accompagnano la perennità a cui sono condannate le rappresentazioni sensibili. Forse Pigmalione, spaventato da questo pensiero, implorò che alla inerte sua pietra fosse data la vita, e l’ottenne. Gli artisti che portano in sè un ideale superiore a tutti i possibili ardimenti dell’arte, non chieggano di vederlo esattamente ricopiato. Sarebbe folle domanda, e spererebbero indarno di vederla esaudita. Dio solo poteva contemplare l’opera delle sue mani e soggiugnere che il fatto era buono. Ma in Dio volontà ed atto sono una cosa. L’uomo, quanto più nacque privilegiato di alto ingegno e di cuore impressionabile, spera e geme; ha sempre davanti quell’aureo fantasma che lo incatena, lo interroga a tutte l’ore nel secreto della sua anima, ne vagheggia visibilmente le sembianze, ne ode apertissime le risposte. Tutto è armonia ne’ suoi pensieri; e un tremito ineffabile lo rende avvertito che l’umana felicità non può essere cercata più oltre. Vuole far parte agli altri di queste sue intime gioie? Il caro sogno gli fugge; le parole, i colori, le musiche sono ineguali al bisogno della sua anima. Oh non invidii a Pigmalione l’adempimento della preghiera! Era giusto il desiderare la parte più nobile in chi aveva prodotto la meno eletta. Chi è atto a vagheggiare nel proprio interno la perfezione, si assoggetti tranquillamente al destino comune [p. 72 modifica]di tutti gli uomini, di non poter mai rendere sensibili i proprii pensieri salvo imperfettamente. Che quando Canova spirava dicendo: anima bella, vedesse venirgli dinnanzi quella mirabile forma a cui aveva agognato tutta la vita?