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derio del meglio con danno del bene, ha due pericolosissime estremità alle quali può condannare i suoi ciechi proseliti: da un lato lo starsene colle mani in mano, come suol dirsi, e notare le altrui magagne, senza adornare sè stessi di alcuna virtù; dall’altro di correre troppo oltre e concepire disegni e tentare imprese rovinosissime e da ubbriachi.
Conchiudiamo: operando il bene mirisi al meglio costantemente; ma questa contemplazione del meglio non ci distolga dall’operare il bene. Il meglio ci ha, e ci deve essere in ogni cosa; ma prima del meglio c’è il bene, e non speri di giugnere al meglio chi non ha prima fatto prova del bene, o s’incammina per altra strada.
IX. PIGMALIONE.
La bella ventura di Pigmalione è ragionevolmente invidiata, come quegli che ottenne dai numi gli fossero contentate due fra le più violenti passioni che agitino il cuore dell’uomo, l’ambizione e l’amore. Accade d’ordinario ch’ove arrivi taluno a conseguire il suo desiderio per una parte, ne rimanga per l’altra in continua ansietà. Ma l’elegante scultore, dopo aver raggiunto l’estremo confine della perfezione nell’arte, collo scolpire per modo la sua Galatea da doverne innamorare egli stesso, potè vedersela muovere innanzi, e udire dalla propria bocca di