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usciti, non è ragionevolmente appropriata soltanto alle donne, per le quali l’Ariosto la scrisse. Voglio però qui soggiungere che a renderla vera compiutamente occorre una dichiarazione, cioè che vi ha in generale nelle deliberazioni da prendere alcuna parte che domanda una meditazione anticipata, ed alcun’altra mutabile a seconda della subitaneità degli accidenti, la quale commetterebbe errore chi volesse stabilirla in prevenzione. Egli è di qua che alcuni caratteri dotati di una viziosa inflessibilità, quando anche succeda loro di praticare il bene, ne colgono frutti quali avrebbero potuto ottenere se avessero operato il male. E vuolsi all’incontro in certe azioni, che a prima giunta ecciterebbero il nostro sdegno, badare all’insufficienza dei mezzi che molte volte distolgono dal fine, anzichè condurvi, chi gli ha adoperati. Questa è quella caritatevole discrezione nei giudizii di cui tutti abbisogniamo, ed è pur quella di cui in generale tanto scarseggia la società!

Che se lo scrittore o l’artista logoreranno il proprio ingegno a vagheggiare il concetto che sta loro nella mente, nell’assoggettarlo alle forme che il rendano sensibile agli altri, si troveranno puniti della soverchia loro cura. Anzi quell’idea tanto splendida, tanto vivace, tanto allettante, appena saranno per ricopiarla nell’opera loro, sparirà loro dinnanzi per non ritornarvi mai più. Non vogliano quindi artisti e scrittori, discredendo la verità di questi principii, mettersi