Memorie dell'ingegnere Giovanni Milani/Capo I
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Qual linea seguir debba | Capo II | ► |
CAPO I.
Qualche cenno generale sulle grandi vie di comunicazione, e confronto delle due linee. |
II. Scopo precipuo di una nuova e grande via di comunicazione essere, e dover essere l’utilità pubblica.
2. Una grande via di comunicazione aperta in un territorio, in un regno, è sempre un’opera di pubblica utilità: giova a chi la transita da sè, a chi vi fa trasportar sopra qualche cosa per conto suo; giova anche a quelli che non sanno che esista, o lo sanno appena, perchè approfittano dell’incremento di civiltà che procura, del basso prezzo che la facilità e l’economia dei trasporti ingenerano in ogni cosa necessaria al sostegno od al diletto della umana vita.
3. Una grande e nuova via di comunicazione deve dunque soddisfare innanzi tutto alla più grande utilità pubblica possibile, perchè questo è il suo scopo precipuo; e deve quindi soddisfarvi anche a costo, se occorre, del sacrificio di qualche utilità privata. È la somma finale delle utilità che deve guidare in simili risoluzioni, non i numeri particolari, non gli elementi particolari del calcolo.
4. Questa utilità pubblica deve essere il primo ed il principale scopo a cui mira una grande e nuova via di comunicazione, sia che l’impresa si faccia per conto ed a spese del Governo, dello Stato, naturale tutore ed amministratore di ogni pubblica utilità, sia ch’essa si compia a cura dei privati e con denari privati, perchè senza questa pubblica utilità i Governi non potrebbero trasferire nelle Società e nei privati il diritto di espropiazione forzosa.
III. Grave essere il danno che si reca alla pubblica utilità, se in una nuova e grande via di comunicazione si fa male, od almeno non si fa tutto il bene che si può.
5. Se in simili opere si fa male, od almeno non si fa tutto il bene che si potrebbe fare, per qualunque ragione ciò sia, il danno che si reca al pubblico è grande, appunto per la potente influenza che le vie di comunicazione hanno sullo sviluppo dell’ incivilimento, sugli incrementi della prosperità sociale. Intanto tutto quel che non si è colto è perduto, e se fosse per sembrar poco nel presente, potrebbe divenir moltissimo nel futuro, perchè queste perdite s’accrescono col crescere della fortuna delle nazioni: poi col far non bene una nuova e grande via di comunicazione si pone ostacolo, e forse per secoli, ad una migliore, perchè difficilmente si abbandona il già fatto se costa molta pazienza, molti studii, molto denaro; perchè poche nazioni sono tanto ricche da poter impiegar senza danno milioni a decine in due strade dirette allo stesso scopo; perchè in fine ponendo a calcolo il doppio capitale impiegato nel mal fatto e nel ben fatto, potrebbe ben essere che alla fine dei calcoli non vi fosse il tornaconto, malgrado i maggiori vantaggi che si potessero cogliere col ben fatto.
IV. Una nuova via di comunicazione costruita non a spese pubbliche, ma a spese private, dover soddisfare all’utilità privata di chi la costruisce, ma tra limiti onesti, e dopo aver soddisfatto alla pubblica utilità, condizione fondamentale e precipua.
6. E se una nuova e grande via di comunicazione deve essere costrutta non a spese del Governo, ma a spese di un qualche privato, o di una compagnia d’azionisti, col fine di rimborsarsi in un limitato tempo dei capitali impiegati, questa via di comunicazione dovrà non solo soddisfare alla maggiore utilità pubblica possibile, condizione fondamentale; ma anche alla particolare utilità degli azionisti, cioè fruttare a loro, per la sola tassa del pedaggio, quanto occorre all’interesse ed al rimborso delle somme pagate, ed alle annue spese di manutenzione, senza che per questo possa soffrire di troppo la pubblica utilità. V. Doversi avere nella costruzione di una nuova via di comunicazione particolari riguardi alle affluenze presenti e future, se questa nuova via di comunicazione può divenire in seguito il tronco principale, il recipiente di molte confluenze.
7. Che se poi questa nuova e grande via di comunicazione debba o possa essere, oltre il detto, anche il tronco principale, la spina dorsale di un nuovo sistema di comunicazioni, di una nuova rete di comunicazioni di un territorio, di un regno, egli è evidente che dovrà esser tale, per la sua posizione, direzione e forma, da offrirsi non solo comoda e facile a simili concorrenze, ma da eccitarle e di dar per essa la maggior facilità ed economia di transito possibile, e ad ogni modo eguale a quelle di cui queste confluenze godono o potrebbero godere nelle loro linee particolari.
Questo fatto di agevolare e di attirare le confluenze è importantissimo, perchè ciascuna confluenza reca al tronco principale, al tronco comune, un profitto, una ricchezza eguale a quella di cui gode la stessa confluenza se la lunghezza di strada che deve percorrere lungo la linea comune è soltanto eguale a quella dell’intiero confluente, e le reca un profitto maggiore se la lunghezza che percorre nel tronco comune è maggiore; conoscendosi ormai da tutti che la rendita di una via di comunicazione segue la composta delle due ragioni dirette della quantità del transito e della lunghezza del transito.
VI. Doversi distinguere le vie di comunicazione minori dalle grandi e perfezionate vie di comunicazione. Le prime doversi e potersi aprire per tutto dove sorge un nuovo incivilimento, perchè costano poco e sono dirette ad esser cagione della pubblica prosperità: le seconde dover muovere quale effetto della pubblica prosperità per divenire poi impulso, cagione al di lei successivo sviluppo, perchè costan molto, perchè non sono utili che dove la pubblica prosperità è grande, e grandemente estesa.
8. Dicemmo che una via di comunicazione è sempre un’opera di pubblica utilità. Ora aggiugniamo che in queste opere di pubblica utilità convien fare una distinzione.
Alcune vie di comunicazione, le più semplici, le meno costose, quelle che si aprono sul suolo al nascere dell’incivilimento delle società, come i sentieri pei pedoni o per cavalli, le strade per carri, ma senza grandi opere di spianamento e di consolidazione di suolo, incominciano dall’essere mezzo, cagione alla prosperità pubblica, e possono accontentarsi di questo, perchè domandano pochi studii, poco impiego di capitali. Ma le grandi, le perfezionate vie di comunicazione, quelle che costano molti lavori, molti denari, come i canali navigabili manufatti, come le maravigliose strade a vapore, bisogna che muovano qual effetto della pubblica prosperità per divenir poi cagione, impulso al successivo sviluppo ed incremento di essa. Debbono sorgere colà dove le più semplici, le meno costose, le meno comode e meno celeri vie di comunicazione non sono più sufficienti alla fortuna della Società, al movimento degli uomini e delle cose: debbono sorgere colà dove l’attuale prosperità del territorio basta a sopperirne il dispendio con pubblico vantaggio. Altrimenti operando, vi sarebbe forse, per un buon numero di anni, inutilità d’impiego dei capitali occorsi all’opera, e di quelli necessari alla di lei manutenzione, e ad ogni modo non si otterrebbe da essa tutto il bene che avrebbe potuto fruttare ove si fossero opportunamente collocate.
VII. Qualche cenno sulla giacitura e sopra gli accidenti principali topografici del Regno lombardo-veneto.
9. Il Regno lombardo-veneto giace tra il Mare adriatico, le Alpi, il Po ed il Ticino. La bella, fertile e popolosa sua pianura si stende dall’Adriatico al Ticino, forma la parte settentrionale del ricco bacino del Po, e sale dalle rive di questo fiume sino alle prime pendici delle colline, che sono le ultime onde delle Alpi.
Tra la Laguna veneta e le Alpi presso Vicenza sorgono due gruppi isolati di colli detti Euganei e Berici, che lasciano, per via piana, tre soli varchi a chi voglia condursi dalle rive dell’Adige a quelle del Brenta.
Il lago di Garda è di tutti i laghi delle Alpi quello che si spinge più innanzi nella pianura lombarda. È cinto a mezzogiorno da una corona di colli che seguono per lungo tratto il di lui emissario, il Mincio, uno dei ricchi tributari del Po.
VIII. Qualche cenno statistico sul Regno lombardo-veneto.
10. L’intiera superficie del Regno, ch’è di miglia geografiche 13,459, si può distinguere in quattro parti, scendendo da nord a sud, cioè alpestre, montuosa, pianura alta, pianura bassa. La pianura bassa segue il Po e l’Adriatico; l’alta sta tra questa ed i colli.
11. La popolazione di tutto il Regno è di 4,558,370 abitanti, cioè di 338 abitanti per miglio quadrato. Questa popolazione è rara nella parte alpestre, lo è meno nella montuosa, fitta nella pianura alta: e nella bassa, ma soltanto in alcuni luoghi, ritorna a diradarsi.
12. Il Regno si divide in diciassette provincie, e conta trentuna città. La pianura alta comprende le provincie, le città più popolose: le provincie, le città di Milano, Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza, Padova, Venezia, che hanno 2,4000,000 abitanti sopra una superficie di miglia quadrate 5868, cioè una popolazione di 408 abitanti per ogni miglio quadrato.
13. Il maggior movimento d’uomini e di cose, la maggior fertilità, le maggiori industrie, i maggiori prodotti del suolo, del commercio, delle arti si trovano appunto nella pianura alta, in quella più popolata, come è per tutto, come è già chiaro da sè.
Delle altre tre parti del Regno, le due più vicine alla pianura alta sono le due che più alla di lei fortuna s’avvicinano, e tanto più quanto più le si accostano.
IX. Direzione e posizione della strada di ferro da Venezia a Milano. Dover essere il tronco principale della futura rete di tutte le strade di ferro che saranno per sorgere nel Regno lombardo-veneto. Come la linea principale si annodi alla città di Bergamo.
14. La strada di ferro da Venezia a Milano corre da un estremo all’altro del Regno lombardo-veneto, da est ad ovest nel senso della di lui maggior lunghezza. Essa è non solo una grande, una nuova, una perfezionata via di transito, ma per la sua posizione e direzione deve essere indispensabilmente il tronco, il recipiente di tutti i modi di comunicazioni simili, di tutte le strade di ferro che saranno per sorgere in seguito nel Regno lombardo-veneto, mirino esse alla comunicazione particolare delle città tra loro, a quelle delle città minori con le due capitali, in fine a quella dell’intiero Regno con le parti più lontane della Monarchia austriaca.
15. Giace nella pianura alta del Regno per le molte ragioni che furono superiormente esposte; tocca le città principali di Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Brescia, Milano ed altre minori, e s’annoda alla città di Bergamo per una diramazione che, movendo da Treviglio, giunge alla porta detta di san Bernardino, in uno dei sobborghi di quella città. X. Per quale dei tre varchi che si aprono tra le Alpi, i colli Berici ed Euganei, e la Laguna veneta passi la strada di ferro, e perchè.
16. Dei tre varchi piani che si aprono tra le Alpi e la Laguna veneta in mezzo ai colli Berici ed Euganei segue il più settentrionale, quello in cui sorge la città di Vicenza, perchè l’ultimo, il meridionale, l’avrebbe sviata intieramente dall’alta zona; l’intermedio l’avrebbe sviata dalla città di Verona, punto importantissimo della linea per ogni utilità, per ogni riguardo. Il volerlo raggiugnere anche andando pel varco intermedio, avrebbe allungato il cammino più che non occorre andando per Vicenza, e condotta la strada da Padova a Verona in luoghi meno fertili, men popolosi che per Vicenza, sicchè alla fine del conto si sarebbe speso di più, ricavato di meno, e perduta per la linea una delle importanti città del Regno.
XI. Perchè non attraversi i colli del Lago di Garda, e come li eviti procedendo da Verona a Brescia.
17. Da Verona non va dritta a Brescia, ma gira le colline del lago di Garda sotto il villaggio della Volta, perchè tra quelle colline non si apre per una strada di ferro alcun passo facile, od almeno di spesa proporzionata ad uno scopo di utilità derivante dalla sola tassa del pedaggio.
XII. Direzione della strada da Brescia a Milano per Chiari, Romano e Treviglio. Considerazioni e fatti che indussero a dare a questa direzione la preferenza sull’altra per Bergamo e Monza.
18. Dopo Brescia s’avvia retta retta per Chiari, Romano, Treviglio, sino all’Adda sotto Cassano, e di là, dopo tenue inflessione a sud, retta ancora sino a Milano.
19. Giunti a Brescia, si studiò sin dapprima se meglio convenisse sviare dal cammino retto e salire a Bergamo, per poi volgere e scendere verso Milano per Monza, onde riunire alla linea principale anche quelle due Città. Questo fu anche in seguito richiesto da alcuni dei signori cittadini di Bergamo con domande, con ricorsi, con istampe pubbliche. Questo or si vorrebbe da esso loro e da altri, e lo si vorrebbe ad ogni costo del pubblico interesse, dei vantaggi della Società per la I. R. Privilegiata Strada Ferdinandea lombardo-veneta.
20. Ma quanto risultò dagli studii sin dapprima eseguiti, dura ancora intatto malgrado le molte e calde parole che vi mossero contro le passioni e gli individuali interessi; e non solo rimane intatto, ma si fa più evidente quanto più vi si riflette sopra.
Risultò dagli studii fatti che l’andare per Bergamo, anzichè per Chiari e Treviglio, recherebbe:
I. Nel presente un grave danno alla pubblica utilità che può derivare e che si attende dalla strada di ferro da Venezia a Milano: ed uno gravissimo poi nel futuro, e tanto maggiore quanto è maggiore la prosperità a cui essa può giugnere per le fortunate condizioni nelle quali si ritrova; e questo è il fatto più importante.
II. Un grave danno nel presente, e più nel futuro, alla Società degli azionisti che intraprende l’esecuzione dell’opera suddetta, danno che si risolverebbe poi anch’esso in un aumento del danno pubblico, come è chiaro per la natura stessa della cosa di cui si parla, per la di lei qualità di nuovo e perfezionato mezzo di transito.
Tutto questo per una utilità particolare e non grande della città di Bergamo, e forse per nessuna, se ai presenti ed ai futuri bisogni della attuale e della futura prosperità di Bergamo si provveda in altro modo, quanto occorre, come farlo si può.
XIII. Da che si deduca la maggiore utilità pubblica e privata di una strada di ferro.
21. Le considerazioni ed i fatti che a queste conclusioni condussero furono le seguenti:
La misura della maggiore utilità pubblica e privata di una strada di ferro è la quantità del transito di uomini, di cose. Tra due linee che mirino allo stesso scopo soddisferà più alla maggiore utilità pubblica e privata quella che od avrà il transito maggiore, o per la quale si potrà dimostrare con buoni argomenti di analogia che il transito sarà maggiore.
XIV. Condizioni per le quali s’ingenera e si accresce il transito lungo una strada di ferro.
22. Il transito, il concorso d’uomini e di cose lungo una strada a vapore è tanto più grande:
I. Quanto più le condizioni topografiche ed economiche del territorio che la linea attraversa, e quelle dei territorii a questo vicini sono favorevoli alla facilità ed alla ricchezza delle affluenze attuali e delle future;
II. Quanto più la linea è breve, retta, di dolci pendenze, e quindi di celere e di sicuro transito;
III. Minori le spese di costruzione, di manutenzione, di sorveglianza;
IV. Minori quelle di transito;
V. L’amministrazione ed il servizio semplici, pronti ed economici.
23. La prima delle cinque condizioni suddette rende possibile un numeroso transito d’uomini e di cose, ed è importantissima, perchè senza questa possibilità tutto il resto tornerebbe inutile.
Le quattro successive cambiano questa pura possibilità in atto; attirano, per così dire, il transito con la prontezza, con la sicurezza del cammino e con l’economia della spesa.
24. Tra due linee adunque per istrade di ferro allo stesso scopo dirette, l’utilità pubblica, la prima condizione, la condizione fondamentale dell’opera, vuole quella in cui il più gran numero delle condizioni suddette sono soddisfatte, ed in cui sono più che nell’altra soddisfatte.
XV. Confronto delle due linee.
25. Tutto questo premesso a chiarezza di cose, e presa per guida la sola utilità pubblica e null’altro, facciamoci al confronto delle due linee di Treviglio e di Bergamo, chiamando per facilità di discorso prima la linea che va retta a Milano per Treviglio; seconda quella che vi giugne sviando per Bergamo e Monza.
26. La prima linea cammina, come fu detto, retta da Brescia a Milano, piegando soltanto alcun poco al passaggio dell’Adda.
La seconda, quella dell’ingegnere sig. Sarti, va da Brescia a Palosco, di là sale a Bergamo, da dove discende non retta, ma per alcuni rettilinei uniti da curve, a Trezzo sull’Adda, che varca in faccia alle rovine del castello Visconti. Da Trezzo corre a Monza, e da Monza a Milano1.
27. Le condizioni topografiche ed economiche di un paese che favoriscono l’affluenza degli uomini e delle cose lungo una strada di ferro sono la ricchezza del territorio per fertilità, coltivazione, industria, commercio; la generale agiatezza degli abitanti; le folte popolazioni; i facili modi di comunicazioni e di affluenze attuali; la probabilità, la facilità, la ricchezza delle affluenze future.
28. La prima linea è tutta nel piano, nella pianura che si stende tra Brescia e Milano, le Alpi ed il Po. Divide anzi questa pianura in due parti, delle quali la maggiore rimane alla sinistra, a sud di essa, e scende dolcemente verso il Po; la minore rimane a destra, a nord, e sale ripidamente verso i monti. Attraversa le ricche pianure delle due provincie di Brescia e Bergamo, e gran parte di quella di Milano: tocca in cammino Chiari, Romano, Treviglio, Cassano, Melzo; giace vicina ai grossi paesi di Caravaggio, Brignano, Inzago, Gorgonzola, ed alle tre fertili province di Cremona, Crema, Lodi e Pavia.
29. La seconda, quella dell’ingegnere sig. Sarti, lascia affatto la pianura lombarda, si pone all’estremo di essa verso nord all’unghia dei monti. Per andar da Brescia a Bergamo, nel luogo della stazione, sale un’altezza di metri 104,889, per poi discenderne 122,63, onde giungere a Milano. Da Brescia a Bergamo non incontra alcun paese notabile, rade soltanto Ospedaletto, piccolo villaggio, e da Bergamo a Milano tocca Monza e s’accosta a Vimercate, ma dopo di essersi perduta tra le brughiere di Ornago e di Roncello. A destra di essa, a nord, ha i monti di Brescia e di Bergamo, poi la povera Valtellina, indi continuatamente le Alpi; le sta a sinistra la parte di pianura che giace a destra della prima linea, quella che discende ripidamente dalla seconda alla prima linea.
30. Se da Brescia e da Milano si conducano due linee paralelle, dirette a nord e a sud, sino ad incontrare i confini del Regno lombardo-veneto; e se la superficie compresa tra i confini del Regno e queste due linee si consideri divisa in tre parti, mediante i due andamenti della strada di ferro da Brescia a Milano, la prima parte, quella tra il Po e la prima linea, risulta di miglia quadrate, da 60 al grado, 1078, con una popolazione di 694,984 abitanti, cioè di 645 abitanti per miglio quadrato; la seconda, quella compresa tra i due andamenti della strada, di miglia quadrate 303, con una popolazione di 409,242 abitanti, cioè di 1351 abitanti per miglio quadrato; infine la terza, cioè quella tra il secondo andamento della strada di ferro ed il confine a nord, della superficie di miglia quadrate 2120, con una popolazione di 715,812 anime, cioè di soli 337 abitanti per miglio quadrato.
31. Queste tre parti del territorio lombardo si possono considerare, a due a due, come il primo concorso, il primo bacino confluente delle due linee; sicchè, tolta da questi due bacini confluenti la parte comune, quella compresa tra le due direzioni della strada di ferro, la probabilità di concorso, per ciò che può dipendere in generale dalla massa delle due popolazioni e della loro disposizione sul suolo che occupano, starà come 645 a 337; cioè sarà per la prima linea doppia che per la seconda.
32. E questo anche nell’ipotesi che le condizioni topografiche ed economiche che agevolano le confluenze presenti e le future siano simili nei due bacini, nelle due superficie che influiscono su quelle due linee; ma il fatto è che, mentre nella prima superficie, in quella che influisce sulla prima linea, le condizioni che agevolano le confluenze presenti e future sono favorevoli a ciò; nell’altra superficie, in quella della seconda, sono a ciò contrarie; sicchè per questo la differenza del concorso delle persone sopra le due linee sarà maggiore ed a scapito della seconda, di quello che si potrebbe sperare dal rapporto tra le due popolazioni.
33. Una vasta e fertile pianura serve, come fu detto, la prima linea: in questa, molte città, molte grosse borgate, spessi villaggi, popolazione folta. Una rete di ottime strade postali e comunali, di fiumi navigabili, di canali navigabili manufatti la ricopre, e molte industrie e molto commercio l’arricchiscono.
Ciò che sta a sinistra della linea scende al Po, ma dolcemente, sicchè e le comunicazioni attuali colla linea sono agevoli, e le future, mediante strade di ferro, possono essere facili. Varcato il Po, spaziasi per quella parte del di lui bacino che sale verso gli Appennini, che può ora ed in seguito accrescere le confluenze della Strada di ferro lombardo-veneta.
34. Dicemmo che il piano che giace a nord della linea sale ripidamente verso i monti; ma anche questo ripido salire di quella parte del suolo, questa necessità derivante dalla condizione dei luoghi, non può recare alcuno scapito alle confluenze provenienti da Bergamo e dirette verso la linea della Strada Ferdinandea lombardo-veneta. Questa linea, considerata nelle due provincie di Bergamo e di Brescia, scende da una parte verso Milano, dall’altra verso Venezia. Chi viene dal nord di quelle due provincie, e vuol dirigersi a Milano od alle altre città della linea dopo Brescia, dovrebbe ad ogni modo discendere, qualunque genere di strada fosse per iscegliere, e viceversa salire volendo passare da una delle città della linea a Bergamo. Anche dunque nelle confluenze a destra della prima linea, attuali o future, non vi è nulla, e non vi può essere in seguito nulla che non sia indispensabile, che non sia una necessità.
35. La seconda linea alla di lei destra ha monti ed alpi; dove popolazione scarsa, paesi rari, strade poche e difficili, nessuna acqua navigabile, nessun canale manufatto. L’industria maggiore, dopo la seta, è quella del ferro, cosa di povero costo, perchè possa sostenere con pubblica e privata utilità la spesa di un trasporto a vapore od a cavalli lungo una strada di ferro. Quali confluenze di uomini e di cose si possa attendere ora e nel futuro sulla seconda linea da questo lato dei monti e delle Alpi, tutti lo possono vedere da sè.
A sinistra di questa seconda linea giace il territorio comune anche alla prima, quello che discende rapidamente dalla seconda alla prima. È appunto questo discender rapido di quel territorio da nord a sud che rende le grandi influenze sulla seconda linea difficili, o, meglio, impossibili; e dicesi impossibili non tecnicamente, ma economicamente, perchè non potrebbero effettuarsi con pubblica e privata utilità.
36. Si ripete qui quello che in parte fu già detto, ma giova ripeterlo a maggior chiarezza di cosa, ed affinchè tutti possano convincersi da sè qual sorta di pensiero sia quello per cui si vorrebbe condurre il tronco, la spina dorsale di tutte le strade di ferro future del Regno lombardo-veneto per le pendici dei monti, pei colli di Bergamo.
Bergamo, preso alla soglia della porta di S. Bernardino nel sobborgo, nel luogo ove si divisa di costruire la stazione, è più alto,
di Treviglio | metri | 117,940 |
di Brescia | ” | 104,889 |
di Milano | ” | 122,637 |
Quindi
da Treviglio a Brescia si sale | ” | 13,051 |
da Treviglio a Milano si scende | ” | 4,699 |
e da Brescia a Milano, sempre nei luoghi delle stazioni | ” | 17,748 |
37. Tutte dunque le attuali confluenze per istrade comuni, tutte le future per istrade di ferro, provenienti da mezzogiorno della intiera pianura lombarda che avessero lo scopo di volgere verso Milano o verso Brescia, e di là alle altre città del Regno, giunte a Treviglio, od in quel torno, sarebbero quasi alla maggior altezza a cui debbono per necessità giugnere, ove recar si volessero al livello delle due città di Milano e di Brescia. Per andare a Brescia non avrebbero da salire ancora che tredici metri, ma anche questi non superflui, non puramente a carico del transito, ma necessarii per giugnere a Brescia; e per andare poi a Milano, non avrebbero che a discendere quattro metri o poco più. Ecco perchè si è scelto il punto di Treviglio ad istazione delle confluenze della pianura da Milano a Brescia; perchè, giunti a Treviglio, quanto ad altezza, tutti sono giunti assai prossimamente dove debbono essere, sia che vengano dalle confluenze nella linea principale, sia che passino dalla linea principale alle confluenze.
38. Pongasi ora che la linea principale sia la seconda, che sia essa che debba raccogliere tutte le confluenze provenienti da mezzogiorno tra Milano e Brescia. Queste confluenze giunte a Treviglio, a Romano, a Chiari, dovranno intanto sviare dalla loro direzione di Milano e Brescia, allungare notabilmente il cammino per andare a Bergamo od in quel torno, per poi volgere di nuovo, e per via tortuosa, a Milano od a Brescia. Poi, mentre fra Treviglio e Chiari queste confluenze sarebbero prossimamente al livello di Milano e di Brescia, i trasporti procedenti da esse dovrebbero salire ancora 117 metri per giugnere a Bergamo, e poi discenderne 105 verso Brescia, oppure 122,63 verso Milano; e viceversa, se vengono dagli estremi della linea principale; cioè salirne 104, oppure 122, per discenderne poi 117, onde giugnere a Treviglio od a Chiari, da dove erano poco distanti essendo a Milano od a Brescia, ed al cui livello erano giunte.
Per esempio, la nuova strada di ferro da Cremona a Treviglio per Soresina e Crema, che chiede già di unirsi a Treviglio come diramazione della grande linea lombardo-veneta, dovrebbe continuare sino a Bergamo, salire 117 metri di più del bisogno, per poi correr giù a Milano od a Brescia.
39. Che se dopo tutto questo si dicesse ancora che in fine la seconda linea avrebbe le due città di Bergamo e Monza, che la prima non avrebbe; tutti potranno rispondere, che quelle due città, che non sommano che a 44,808 abitanti, già tenuti a calcolo nella popolazione generale della zona, per cui passa la seconda linea, sarebbero un povero vantaggio in confronto dei molti scapiti che essa seconda linea ha sulla prima; e sarebbero povero vantaggio anche se questo argomento rimanesse intiero, mentre intiero non è. Se la seconda linea conta Bergamo e Monza di 44,808 abitanti, la prima conta Chiari, Romano, Treviglio, Cassano, Gorgonzola, Melzo, Caravaggio, Brignano, Inzago, che ne contengono quasi altrettanti.2
40. Quando i fatti conducono a risultati del numero e della evidenza di quelli che furono superiormente esposti, si farebbe torto al buon senso pubblico, aggiungendo di più per concludere che seguire, colla grande strada di ferro da Venezia a Milano, col tronco principale di tutte le strade di ferro future del Regno lombardo-veneto, la seconda linea in luogo della prima, sarebbe, anche stando alle sole condizioni topografiche ed economiche del territorio che attraversa, e di quelli vicini che possono influire sulla maggiore o minore quantità del transito, sarebbe un grosso errore dannoso alla pubblica utilità ed all’interesse della Società lombardo-veneta.
41. Fin qui si trattò delle condizioni topografiche ed economiche del suolo, che mostrano possibile un numeroso transito sopra una strada di ferro. Ora si parlerà di quelle che, data questa possibilità di numeroso transito, lo sviluppano, lo attirano; di quelle indicate ai numeri I, II, III, IV e V del paragrafo 22.
42. Da Milano a Brescia per Treviglio e Chiari la lunghezza del cammino è di metri |
78303 |
Per Monza e Bergamo, ritenendo quanto fu detto dall’ingegnere signor Sarti e stampato dai signori Bergamaschi 3, la lunghezza è invece di metri |
92800 |
La seconda linea è dunque più lunga della prima di metri |
14497 |
cioè di miglia lombarde 8 76/100
Nella prima linea vi sono tre sole curve, nella seconda undici, cioè otto di più.
Lo sviluppo delle linee curve è nella prima dimetri |
3017 |
Nella seconda, dimetri |
5265 |
Quindi, in questa maggiore che nell’altra di metri |
2248 |
Da Brescia a Milano per la prima linea si discende 17 metri, o poco più.
Per la seconda se ne salgono prima 105 per andare a Bergamo, poi se ne discendono 122 per giugnere a Milano.
Nella prima linea non s’incontrano mai pendenze che superino il tre per mille.
Per la seconda, la prima Memoria stampata dai signori Bergamaschi nel 18374 aveva assicurato e promesso che si anderebbe sempre con una pendenza del 2.68 per mille; ma passando dalle parole ai fatti, si dovette confessare, nella seconda Memoria stampata nel 1838 5, che si andrà da Milano a Monza con una pendenza continua del 3.20 per mille, e che in seguito saranno per occorrere delle pendenze del 4, ed anche del 6.66 per mille.
43. L’ordinaria velocità del viaggio lungo le strade di ferro è attualmente di venti miglia inglesi all’ora, di metri 32,180.
Intanto la maggior lunghezza di metri 14,497 richiederà un maggiore impiego di tempo di circa venti minuti.
Nelle strade di ferro i convogli di carrozze e di carri correndo lungo i rettilinei accumulano una grande forza d’impulso, una grande velocità, che rende il loro moto celere, agevole, uniforme, con poco sforzo della macchina locomotrice, e quindi con poco consumo di combustibile.
Nelle curve non è così, ed è anzi il contrario. Intanto sarebbe pericoloso correre nelle curve con una grande velocità, con una velocità eguale a quella con cui si corre ordinariamente nei rettilinei, perchè si anderebbe a rischio che la forza centrifuga, che cresce al crescere della velocità della corsa, gettasse macchina e convoglio fuori delle guide di ferro; bisogna quindi ad ogni incontro con una curva frenare, prima di entrarvi, il convoglio, cioè distruggere la maggior parte della velocità preconcepita; andar per la curva con velocità moderata; infine, usciti che se ne è, imprimere di nuovo al convoglio la velocità primitiva: tre cagioni potenti di ritardo.
Poi nel passaggio per le curve, alle cagioni generali di resistenza che incontrano i convogli camminando anche pei rettilinei delle strade di ferro, se ne aggiungono tre, cioè:
La forza centrifuga che spigne i convogli contro la guida di maggiore sviluppo, ed ingenera quindi un altro elemento di resistenza, cioè lo sfregamento dello sguscio della ruota contro la parte laterale della guida.
L’immobilità delle ruote negli assi. Questa immobilità delle ruote nell’asse fa sì che le due ruote dello stesso asse non possono fare che un egual numero di giri in un tempo dato. Ma nelle curve, la guida esterna ha uno sviluppo maggiore di quella interna, e quindi le ruote dei due binarii di un carro che appoggiano sopra la guida di maggiore sviluppo sono obbligate, per seguir del pari nel cammino le altre due, di scivolare ad ogni giro di ruota per un piccolo spazio, ed accrescere quindi anche per questo gli attriti e la resistenza.
La terza cagione è il costante paralellismo degli assi, nei quali sono infisse le ruote. Per questo, le quattro ruote di ciascun carro formano colla loro proiezione orizzontale un paralellogrammo rettangolo, il quale, se scorre facilmente, per la sua forma, tra due linee paralelle, scorre con difficoltà tra due curve.
Queste nuove cagioni d’attrito, e quindi di resistenza, che si debbono vincere, percorrendo le curve delle strade di ferro con convogli, non si possono sottoporre facilmente a calcolo: ma l’esperienza c’insegna che la loro somma, il loro risultato finale è assai notabile, e tale, che il maggiore Poussin (Poussin, pag. 199), dietro alcune osservazioni da lui fatte nelle strade di ferro dell’America, non esita ad asseverare che la resistenza che una curva, posta sopra di un piano orizzontale, oppone al movimento di un dato convoglio, è maggiore della metà di quello che questo stesso convoglio dovrebbe vincere nel di lui moto sopra un rettilineo orizzontale.
Vedemmo che nella seconda linea vi sono otto curve di più che nella prima, e che lo sviluppo in linea curva è nella seconda maggiore che nella prima di metri 2248.
Nella seconda si dovrà dunque allentare il moto, e rianimarlo otto volte di più di quello che sia per occorrere nella prima; e si dovrà in quella vincere, per ben 2248 metri di cammino, una resistenza di una metà maggiore di quella che s’incontra nella prima in una eguale lunghezza.
Si dirà dunque, poco dicendo, che per questi otto allentamenti di moto, e pel tempo che occorre alla macchina, o per dir meglio al vapore, onde acquistare la forza necessaria a vincere la nuova resistenza, vi sarà in somma una perdita di tempo di quaranta minuti.
Siamo già alla perdita di oltre un’ora di tempo, e non si è ancora tenuto a calcolo tutto quello che alla perdita del tempo influisce.
44. Brescia, nel luogo dove si divisa di costruire la stazione, è più alta dell’origine della strada in Milano alla strada di circonvallazione, di metri 17.748, come si è detto più volte.
Salendo da Milano a Brescia, per la prima linea, s’incontra in cammino, alla strada comunale che da san Giorgio mette a Rovato, un piccolo rilevato di suolo più alto della stazione di Brescia di metri 8.881, che conviene quindi salire per poi discendere.
Andando da Milano a Brescia, per la seconda linea, per Monza e Bergamo, si sale sino al luogo della stazione di Bergamo metri 122.637, e si discende poi, per giugnere alla stazione di Brescia, di metri 104.889.
Nella prima linea adunque si sale per metri 8.881 più del necessario, per iscendere poscia;
E nella seconda si sale più del necessario, per iscendere poscia metri 104.889.
Sicchè questo scapito di salire per iscendere è nella seconda linea maggiore che nella prima di metri 96.008.
45. Per vincere questa maggiore altezza di metri 96, due modi si presentano: o lunghi sviluppi di linea, o forti pendenze.
Ma a qualunque di questi due partiti si voglia appigliarsi, tale maggiore altezza di 96 metri, a cui si deve ascendere, induce indispensabilmente una nuova perdita di tempo nel viaggio in confronto di quello che s’impiegherebbe correndo per l’altra linea. Se si adotta lo sviluppo maggiore, vi sarà perdita di tempo per la maggior lunghezza del cammino; se invece si preferiscono le forti pendenze, la perdita di tempo vi sarà ancora, perchè la macchina locomotiva, giunta alle forti pendenze, dovrà allentare il proprio moto, onde acquistare con una successiva accumulazione di vapore la forza necessaria per vincere la nuova resistenza, che a cagione delle forti pendenze le è dal carico del convoglio opposta. XVI. Non esser vero che nelle strade di ferro ove le forti ascese e discese si alternano, non vi sia, alla fine del conto perdita di tempo nel viaggio in confronto di quello che si impiegherebbe percorrendo lunghezze eguali sopra piani orizzontali o dolcemente inclinati.
46. Nè si creda, come può sembrare a prima giunta, e come fu anche asserito6, che, dovendosi salire per iscendere poscia, non vi sia, alla fine del conto, perdita di tempo, potendosi nella discesa accelerare la velocità per modo da guadagnare per essa il tempo perduto nelle difficoltà della ascesa.
Si può creder questo seguendo un’idea astratta, una teoria; lo si può credere, non avendo mai osservato i fatti, non avendo mai consultata l’esperienza.
L’esperienza dimostra invece, che, correndosi ora per le strade a vapore su linee orizzontali e di miti pendenze con una velocità di ben venti miglia all’ora, quanto nelle ascese si perde, pel sopraccarico che ingenerano una parte di questa velocità, una parte di questo viaggio per ciascuna ora, torna impossibile il riguadagnarlo nelle forti discese che per avventura venissero dopo.
Nelle discese delle strade a guide di ferro, quando l’inclinazione supera il 3.60 per mille circa, i convogli scendono liberamente, perchè appunto la somma degli attriti che si oppongono al loro moto nei piani orizzontali è prossimamente eguale al 3.60 per mille del loro peso. Allora sono retti dalle leggi di gravità comuni a tutti i corpi, e quindi i loro incrementi di velocità successivi sono rapidi, e tanto più quanto è più grande l’inclinazione del piano, e quanto è più forte la carica.
Se dunque i convogli non si allentassero, accrescendo coi soliti congegni il loro attrito ordinario, e si corresse nelle discese con una grande velocità, con una velocità maggiore di venti miglia all’ora per compensarsi del tempo perduto nelle ascese, questa velocità potrebbe divenire in breve tempo infrenabile e quindi pericolosa, come cento casi già fatalmente accaduti lo attestano. Non si corre dunque, e non si permette che si corra sulle forti pendenze con una velocità maggiore di venti miglia all’ora, singolarmente se si tratta di treni assai pesanti, e composti di viaggiatori. Il tempo adunque che si perde nelle grandi ascese è perduto per sempre; e se questo tempo è, per esempio, un quarto di quello che sarebbe occorso sopra un piano orizzontale, sarà un quarto di tempo irreparabilmente perduto. Questa è dunque una nuova e forte cagione di ritardo da aggiungersi a quella da cui venne già il ritardo di un’ora.
Dunque, anche per brevità, per minor numero di curve, per nessuna ascesa o discesa di conseguenza inutile, per dolci pendenze, e quindi per celere, economico e sicuro transito, la prima linea è preferibile alla seconda.
47. La seconda linea è più lunga della prima di metri 14,497. Il terreno percorso dalla seconda linea è per una strada di ferro, ed a petto a quello della prima, meno opportuno, meno facile per forti pendenze, per suolo di andamento più vario in causa della di lui vicinanza all’unghia dei colli, per maggior numero d’influenti nei fiumi principali da valicare, e per ponte sull’Adda di più difficile e più costosa costruzione. Tuttavolta si ponga, per ipotesi, che una strada di ferro a due carreggiate di egual larghezza e forma costi per ogni chilometro di lunghezza lo stesso prezzo sopra tutte le due linee.
La lunghezza totale della strada di ferro da Venezia a Milano per Chiari e Treviglio è di metri 271,203, ed il di lei valore, nell’ipotesi più sfavorevole, in quella dell’acquisto di tutto il ferro nella Monarchia austriaca, di 64,593,074.
Il costo medio di un chilometro, di 1000 metri, risulta quindi di lire 238,172.
I metri 14.497, di cui la seconda linea è più lunga della prima, costeranno per sola costruzione della strada lire austriache 3,452,779.
E questi saranno intanto tre milioni e mezzo gettati al vento pel bel fine di abbandonare una linea utile alla prosperità pubblica ed all’interesse della Società, e seguirne un’altra dannosa al pubblico ed ai privati.
48. Proseguiamo. Le spese per la manutenzione della strada sono nella loro integral parte proporzionali alla quantità del trasporto. Desumendo dal progetto generale della strada, già superiormente approvato, e propriamente dai calcoli approssimativi della ritraibile rendita, quella quantità del movimento generale della linea che dovrebbe necessariamente esser comune al tronco di strada da Brescia a Milano, si ritrova che il peso di questa quantità, compreso il peso dei veicoli di trasporto, sarebbe di tonnellate 146,076.
La manutenzione della strada, le guide comprese, venne preventivata nel progetto in ragione di lire 0.0134 per ogni tonnellata ad un chilometro.
I chilometri 14,497 di maggior lunghezza della seconda linea sulla prima aumenterebbero quindi le spese annue di manutenzione dell’intiera strada per ciascuna tonnellata di lire 0.194, e quindi per le tonnellate 146,076 di annue lire 28,338.
49. Le spese annue di sorveglianza della strada seguono la ragione della di lei lunghezza, e si può ritenere che anche le imposte pubbliche seguano questa ragione.
Nel progetto della intiera linea da Milano a Venezia, la custodia e la sorveglianza della strada vennero valutate per ciascun chilometro annue | lire austr. | 1918 |
E le pubbliche imposte annue | ” | 110 |
Quindi per tutti e due questi titoli, per ciascun anno e per ciascun chilometro | lire austr. | 2028 |
E per ciò la maggior lunghezza di chilometri 14,497, costerà ogni anno, per custodia, sorveglianza ed imposte pubbliche, lire austr. 29,399.
50. Fu già accennato di sopra, al paragrafo 48, che la parte del movimento generale dell’intiera linea da Venezia a Milano, che dovrebbe estendersi al tronco da Milano a Bergamo, somma a tonnellate 146,076.
Queste tonnellate 146,076 dovrebbero, andando per la seconda linea, anzichè per la prima, percorrere non solo una maggior lunghezza effettiva di linea di chilometri 14,497 ma salire di più che nella prima linea di metri 96.008, come venne superiormente dimostrato.
51. Quando una macchina a vapore locomotiva è già riscaldata e posta in movimento, le successive masse di vapore ch’essa va impiegando nella corsa, e quindi le successive quantità di combustibile che consuma, seguono il rapporto delle resistenze diverse che la macchina deve vincere.
Nei piani orizzontali, e sopra una buona strada a guide di ferro, la somma delle resistenze che oppone un convoglio al proprio moto è eguale ad un 3.60 per mille del suo peso.
Quando adunque in una strada di ferro, un’ascesa giugne al 3.60 per mille, la resistenza del convoglio diviene doppia, perchè un’ascesa del 3.60 per mille lascia appunto libera un 3.60 per mille dell’intiera gravità del convoglio. Allora dunque il consumo del combustibile è doppio; è triplo, se l’ascesa è di 7.20, e così via discorrendo: sicchè per vincere quell’altezza di metri 96.008, che s’incontra nella seconda linea maggiore che nella prima, vi vorrà, per questo fatto solo della maggiore altezza, e per ciascuna tonnellata di trasporto, tante volte la spesa del combustibile occorrente pel trasporto di una tonnellata alla distanza di mille metri sopra un piano orizzontale, quante volte il 3.60 è compreso nel 96, cioè 27 volte. E questo indipendentemente affatto dal modo con cui quell’altezza totale di 96 metri sarà suddivisa nei diversi tronchi, perchè, come è chiaro, per l’azione della macchina, pel dispendio del vapore, e quindi pel consumo del carbone, il risultato finale è sempre lo stesso, sia che a questo si giunga a riprese, o ad un sol tratto. Se, per esempio, la pendenza sarà dell’1.20 per mille, vi sarà ad ogni mille metri di cammino un terzo della spesa di trasporto di più; se di 2.40, due terzi, e così di seguito; ma infine la somma del più speso per i 96 metri di altezza sarà sempre la stessa. Anzi, quanto più questa altezza di 96 metri, a cui in ogni ipotesi si deve giugnere, sarà suddivisa, cioè quanto più la linea sarà sviluppata onde montarvi con dolci pendenze, tanto più il consumo del vapore, del combustibile sarà maggiore, perchè nel caso di un grande sviluppo di linea vi sarà, oltre il consumo di forza necessaria per vincere l’altezza dei 96 metri, anche il consumo di quella che occorre per vincere le resistenze ordinarie, gli attriti sul più di lunghezza di linea proveniente dal maggiore sviluppo datole.
52. L’aumento adunque, per ogni tonnellata, di 27 volte la spesa necessaria per trasportarla ad un chilometro di distanza sopra un piano orizzontale in causa di que’ 96 metri di più d’altezza, è quello a cui si è condotti nell’ipotesi più favorevole, cioè quella in cui per salire a que’ 96 metri non occorre allungare di soverchio il cammino.
53. E non solo il consumo del combustibile segue la ragione delle resistenze opposte dai traini al movimento della macchina, ma anche le spese di manutenzione della macchina stessa seguono questa ragione, perchè i guasti ad essa sono tanto più frequenti e tanto più grandi, quanto è maggiore lo sforzo che esercita.
54. Nel progetto generale della strada da Milano a Venezia, e particolarmente nei calcoli relativi alle spese di trasporto, venne, dietro l’esperienza delle strade di ferro dell’Inghilterra sul consumo delle macchine e sulla quantità di combustibile che esigono per una data lunghezza di corsa e per un dato peso trasportato, ed avuto riguardo ai prezzi delle materie e della mano d’opera che corrono qui da noi; venne, si replica, ritenuto per una tonnellata trasportata ad un chilometro di distanza:
Per manutenzione delle macchine locomotive | lir. austr. | 0.0270 |
Per combustibile | ” | 0.0150 |
Per manutenzione dei wagons | ” | 0.0010 |
Per unto | ” | 0.0004 |
In tutto | lire austr. | 0.0434 |
55. Vedemmo che di tutto il movimento generale presunto lungo la linea da Milano a Venezia, la parte che dovrebbe indispensabilmente percorrere il tronco da Milano a Brescia, somma a tonnellate 146,076. Per la seconda linea, queste tonnellate 146,076 dovrebbero percorrere 14,497 metri, e salire 96 metri più che per la prima.
Vedemmo anche che la spesa di trasporto di una tonnellata ad un chilometro sopra un piano orizzontale è di lire 0.0434; e che l’ascesa di 96 metri equivale, per la spesa di trasporto, ad un allungamento di cammino di 27 chilometri. Per la maggior lunghezza di cammino il più speso per ogni tonnellata sarà dunque di | lir. austr. | 0,629169 |
E per l'altezza di 96 metri | ” | 1,171800 |
In tutto e per ogni tonnellata | lir. austr. | 1,800969 |
E quindi per tutte le tonnellate | ” | 146076 |
di annue lire 262936.
XVII. Non esser vero che nelle strade di ferro, ove le forti ascese e discese si alternano, ciò che si spende di più per consumo di macchine e di combustibile nelle ascese, si risparmi poscia nelle discese, sicchè alla fine del conto la spesa riesca la stessa come si andasse per piani orizzontali, o dolcemente inclinati.
56. Nelle ascese una parte del peso totale del carico rimane libera, e le macchine a vapore locomotive debbono tirarla su con una aggiunta di sforzo a quella azione ordinaria che esercitano, anche nei piani orizzontali, per vincere la resistenza dell’aria e quella degli attriti.
Nelle discese avviene appunto il contrario, cioè la parte di carico che rimane libera aiuta, per le note leggi di gravità, la discesa, ed alleggerisce quindi d’altrettanto lo sforzo della macchina locomotiva.
Pare dunque, a prima giunta, che se nelle ascese vi è un incremento di spesa pel maggior consumo di vapore, e quindi di combustibile, nelle discese vi dovrebbe essere risparmio, e quasi compenso poi per tutto dove le ascese sono seguite da corrispondenti discese.
Pure l’esperienza dimostra che così non è e prova invece che se nelle ascese si spende più che nei piani orizzontali in ragione appunto della loro pendenza, nelle discese non si spende meno, e di questo le ragioni principali sono tre.
Quando da un piano orizzontale, o da una dolce prudenza, si corre con un convoglio, condotto da una macchina locomotiva, verso una ascesa sensibile, verso un piano inclinato, bisogna accrescere, per quanto si può, la forza di evaporazione della caldaia e quindi la combustione, onde, giunti al piano inclinato, avere disponibile tutta la forza che occorre per vincerne la pendenza, malgrado l’aggiunta di carico che questa pendenza procura.
Ora, ottenuto l’effetto propostosi, giunti alla cima del piano inclinato, è impossibile scemare da un momento all’altro l’intensità, l’incremento di combustione e di evaporazione della caldaia: quell’incremento di combustione e di evaporazione continua quindi, e per lungo tempo, anche nella discesa, disperdendo per le valvule di sicurezza quel vapore che non occorre al movimento dei cilindri.
E quand’anche si potesse scemare da un momento all’altro la evaporazione, non si potrebbe, anzi non si dovrebbe ad ogni modo farlo, perchè, finita la discesa, succederà sempre od una nuova ascesa, od un piano orizzontale, circostanze che domandano almeno la combustione, la evaporazione ordinaria, sicchè la combustione e la evaporazione ordinaria dovrebbero essere ad ogni modo mantenute, lasciando pure che si disperda per le valvule di sicurezza quella parte di vapore che non occorre alla condotta del traino nella discesa.
La terza ragione è questa. Ormai tutti conoscono l’ordito generale, le parti generali di una macchina locomotiva a vapore. Tutti sanno che tra le altre cose vi è un focolaio con una gratella orizzontale di ferro sul fondo, una caldaia cilindrica attraversata da molti tubi, i quali mettono in immediata comunicazione il focolaio col cammino della macchina, e pei quali passano dal focolaio al cammino il fumo e l’aria che attraversano la combustione.
L’aria esterna soffia nel combustibile ed alimenta la combustione passando dal disotto della gratella nel focolaio; e nella canna del cammino poi si scarica il vapore che ha posto in moto i due stantuffi dei due cilindri, aiutando così la corrente dell’aria che va dal focolaio al cammino. Quanto più la macchina corre, tanto più l’aria esterna soffia dal di sotto della gratella nel focolaio, e tante più volte i cilindri scaricano, in un tempo dato, vapore nel cammino; sicchè per queste due cagioni vi è nelle macchine locomotive uno stretto legame tra la rapidità della corsa e l’intensità della combustione e della evaporazione.
Quando si discende dai piani inclinati, si corre con una velocità almeno eguale a quella con cui si corre nei piani orizzontali; e questa corsa, questa velocità ha una grande influenza sulla intensità della combustione e della evaporazione, ed è quindi un forte ostacolo a chi si proponesse di moderarle per guadagnare nelle discese il più che speso si fosse nelle ascese.
E il risultato a cui conducono i tre argomenti suddetti è confermato tutto giorno dalla esperienza, ed è noto a quanti percorrono strade di ferro.
Il signor John Hawkshau, nel suo rapporto intorno alla strada ferrata inglese da Londra a Bristol (Great-Western Railway), dichiarò
«Che, sebbene rimanga ferma la conseguenza che coi declivii ripidi vi è nell’ascendere aumento, e nel discendere diminuzione di resistenza nell’egual proporzione, pure l’esperienza ha dimostrato che, eccetto quando i declivii sono molto lunghi, non si può nel discendere trar partito dalla diminuita resistenza, in quanto al vapore; perchè, quantunque non occorra la stessa forza, se ne perde una grande quantità col giuoco della valvula di sicurezza».
E nell’opera del signor Seguin, intitolata: Della influenza delle strade di ferro, e dell’arte di tracciarle e di costruirle, si legge (pagina 138 edizione di Bruxelles):
«Le pendenze sulle quali i convogli discendono pel solo effetto della gravità non sono quelle che riescono le più vantaggiose, poichè le macchine esigendo ad un dipresso le medesime spese, conducano o no il loro convoglio, conviene, per quanto è possibile, che la resistenza ch’esse hanno a vincere sia eguale nei due sensi del loro cammino».
Ed in quella del signor Teissereng (I lavori pubblici nel Belgio, e le strade di ferro in Francia):
«Lo stretto legame che esiste nelle locomotive tra l’intensità della combustione e la rapidità della corsa non permette di economizzare il combustibile senza rallentare la velocità del convoglio».
È dunque evidente che quanto fu speso di più nelle ascese, per maggior consumo di vapore, è speso per sempre, e senza compenso.
57. Se le somme suddette di maggiori spese occorrenti per la seconda linea si epiloghino, si avrà:
Per maggior costo di costruzione lir. 8,452,779, e quindi per dipendente frutto annuo, in ragione del 5% | lire | 172,638 |
Custodia, sorveglianza ed imposte annue | ” | 29,399 |
Manutenzione | ” | 28,338 |
Più speso pel trasporto degli uomini e delle merci | ” | 262,936 |
In tutto | lire | 493,311 |
58. Andando dunque per la seconda linea invece che per la prima, andando per Bergamo e Monza anzichè per Chiari e Treviglio, oltre di perdere moltissime delle confluenze attuali, e tutte le future apribili mediante strade di ferro; oltre l’incomodo ed il ritardo provenienti dalla maggior lunghezza del cammino, dal maggior numero di curve, dalle maggiori pendenze, si avrebbe in aggiunta ogni anno un dispendio maggiore di quello che sarebbe per occorrere nella prima linea, pel trasporto della stessa quantità d’uomini e di cose, di lire austriache 493,311. E siccome lungo le strade di ferro il ricavato netto sta al lordo come 50 a 100, così per supplire a quel più di dispendio annuo di lire 493,311, occorrerebbe nella seconda linea un ricavato brutto maggiore che nella prima di un milione di lire austr.; sicchè, mentre le condizioni topografiche, economiche e tecniche che favoriscono la quantità del trasporto sono per ogni conto nella seconda linea inferiori a quelle della prima, dovrebbe la seconda linea fruttare più della prima, cioè far l’impossibile. Tal perdita annua di lire 493,311 equivarrebbe quindi ad un maggiore ed infruttuoso impiego di dieci milioni nella esecuzione dell’opera.
XVIII. Epilogo dei danni pubblici e privati, a cui si andrebbe incontro sviando la linea per Bergamo e Monza.
59. L’andar dunque da Brescia a Milano per Bergamo e Monza anzichè per Chiari e Treviglio è porre gran parte e la più importante della intiera Strada Fendinandea lombardo-veneta sopra suolo ed in direzione inopportuna alle affluenze attuali ed alle future, allungare il cammino, renderne il transito più difficile, più lento, più incomodo, meno sicuro; accrescerne le spese di costruzione, di manutenzione, di sorveglianza, di trasporto: in una parola, diminuire per ciascuna di queste cagioni e per tutte unite il concorso presente e futuro non solo sul tronco da Milano a Brescia, ma su tutta la linea da Milano a Venezia, perchè gli scapiti e le fortune di una parte di essa si diffondono e debbono diffondersi su di tutta; infine recare un gravissimo danno alla prosperità pubblica ed all’interesse della Società lombardo-veneta.
XIX. Come il fatto, l’esperienza attuale confermi che la linea da preferirsi tra Brescia e Milano è quella di Chiari e Treviglio, e non l’altra di Bergamo e Monza.
60. E che a questa conclusione venir si dovesse, ce lo additavano di già la direzione e l’affluenza dei transiti attuali tra Brescia e Milano. A Brescia si presentano due strade postali: una corre dritta a Milano per Chiari e Treviglio; l’altra vi giugne passando prima per Bergamo. La prima è frequentatissima dalle merci e dai viaggiatori: per la seconda, che pur va a Milano per Vaprio, e non divaga sino a Monza, come si vorrebbe fare colla grande linea della strada di ferro, non vanno che le diligenze erariali, che di andarvi hanno obbligo, ed i pochissimi che hanno od un grande interesse, od una grande curiosità di passare per Bergamo. Questo è un fatto notissimo, e del quale tutti possono farsene sicuri, e questo fatto solo è più che sufficiente per convincere tutti, anche quelli che non vogliono riflettere alle cagioni, che non vogliono discendere ad esami, a particolari; per convincere tutti, si replica, che la grande linea della strada di ferro da Venezia a Milano deve, giunta che sia a Brescia, andare dritta a Milano per Chiari e Treviglio, e non salire a Bergamo per iscendere poscia, non isviare per Bergamo e per Monza.
Note
- ↑ Memoria intorno alla progettata strada a ruotaie di ferro nel Regno lombardo-veneto in rapporto ai bisogni della città e provincia di Bergamo. — Bergamo, dalla stamperia Crescini, 1837. (In questa Memoria, stampata dai signori Bergamaschi, è descritta la linea del signor ingegnere Sarti.)
- ↑
Chiari Abitanti N. 8439 Romano ” 4123 Treviglio ” 8676 Cassano ” 3165 Gorgonzola ” 3407 Melzo ” 1932 Caravaggio ” 5883 Brignano ” 2583 Inzago ” 2914 Totale 41,122 - ↑ Memoria intorno alla progettata strada di ferro nel Regno lombardo-veneto in rapporto ai bisogni della città e provincia di Bergamo. — Bergamo, dalla stamperia Crescini, 1837.
- ↑ Memoria citata.
- ↑ Sulla progettata strada di ferro da Bergamo a Monza, in continuazione di quella da Monza a Milano. — Bergamo, dalla stamperia Crescini, 1838.
- ↑ Memoria citata. — Bergamo, dalla stamperia Crescini, 1837.