Libertà d'insegnamento e libertà di studio

Francesco Gasco

1892 Indice:Gasco - Libertà di insegnamento e libertà di studio.djvu Libertà d'insegnamento e libertà di studio Intestazione 18 novembre 2019 100% Da definire


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ASSOCIAZIONE UNIVERSITARIA DI ROMA


LIBERTÀ D’INSEGNAMENTO

E

LIBERTÀ DI STUDIO


DISCORSO INAUGURALE

dell’Onorevole Prof. F. GASCO

(28 Gennaio 1892)


ROMA

Tipografia delle Terme Diocleziane di G. Balbi

Via Cavour, 160-162


1892.





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Signori,


Ringrazio vivamente la Direzione di questa giovane e tanto attiva Associazione per la prova di benevolenza e di fiducia cui volle farmi segno, invitandomi a tener qui un discorso nella solenne circostanza dell’inaugurazione dei nuovi locali.

Da una parte le mie occupazioni, dall’altra la brevità del tempo mi consigliavano lì per lì a respingere il delicato ed onorifico còmpito. Non ho modo, dicevo tra me, di preparare in tre o quattro giorni una conferenza che corrisponda all’importanza, alla solennità di questa festa.

Le cortesi insistenze vinsero la mia titubanza.

Ma quale sarà, dimandai a me stesso, il tema del mio discorso?

Il telegrafo ha risposto: l’insurrezione degli studenti e la chiusura dell’Università di Napoli e, di Torino: l’agitazione degli studenti romani, pavesi, palermitani, ecc. e la minacciata chiu[p. 6 modifica]sura degli Atenei della capitale, di Pavia, di Palermo.

L’anno scolastico è così fugace; le materie dell’insegnamento così vaste; il numero delle lezioni così ridotto (giacchè normalmente ogni studente universitario ha sei mesi di vacanze legali), che la sospensione improvvisa dei corsi rappresenta davvero una grande sventura non solo per chi li frequenta, ma pel vero progresso intellettuale ed economico del nostro paese.

La violenta chiusura di questa o di quella o di parecchie Università ad un tempo è indubitatamente una malattia grave. Essa da molti anni si verifica: dunque nè i decreti, nè i regolamenti nè le circolari, nè le ispezioni valgono a combatterla.

La nascondono, la frenano per qualche semestre, per qualche anno; ma la malattia finisce per galleggiare sempre ed imporsi con tutte le sue tristi conseguenze.

V’ha un rimedio?

Il rimedio c’è; ma occorre costanza e coraggio per sapersene valere.

Ed essi tutti, entro i limiti della più stretta legalità, possono validamente concorrere ad impedire che si neutralizzi, che si soffochi questa costanza, questo coraggio in colui che può e che ripetute volte ha dimostrato di volerlo applicare.

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Nutro fiducia di poter ingenerare con alcune considerazioni anche in molti di loro che solo da qualche anno frequentano l’Ateneo che questo sovrano rimedio è riposto nella libertà d’insegnamento e nella libertà di studio.


Signori,


La grandiosa teoria dell’evoluzione della natura organica, tanto combattuta in sul nascere, è oggi generalmente accettata, e le importanti conseguenze a cui essa porta, rapidamente si propagano in Inghilterra e negli Stati Uniti, nella Germania, nella Svizzera, nell’Olanda, in Francia, ecc.

In Italia essa è ancora molto osteggiata e molto temuta perchè generalmente s’ignorano le serie di fatti su cui essa riposa.

È lungi da me l’idea di trattenerli stasera sull’eredità, sulla lotta per l’esistenza, sull’elezione naturale, sui fenomeni embriologici, sull’eloquenza degli organi rudimentali nei due regni organici, sulla corologia o distribuzione delle specie sul globo: infine sul progresso continuo che nel decorso di molti milioni d’anni l’organizzazione ha fatto; progresso rivelatoci dalle medaglie biologiche, dai fossili che in tutti i periodi geologici rinvengonsi. [p. 8 modifica]

Mi consenta però l’Associazione di trattenermi qualche istante sulla variabilità. È dessa una proprietà essenziale, propria di tutti gli organismi e che grandemente contribuisce coll’imponente falange di fatti, che determina e spiega, a convalidare le teoria dell’evoluzione organica o teoria della discendenza.

Non si danno due individui della medesima specie che posseggano gli stessi caratteri esterni, la stessa organizzazione interna. Studiando un gruppo di piante o d’animali, ogni biologo non tarda a convincersi quanto sia grande la variabilità della specie che attentamente esamina e non di rado arriva a conclusioni sorprendenti.

L’illustre prof. Ernesto Haeckel di Jena, compiuto l’esame diligente delle spugne calcaree, dichiarò che si potevano ammettere 591 specie oppure una sola, non potendosi esse nettamente distinguere dalle varietà.

E tutti gli animali domestici al pari delle piante coltivate ci provano luminosamente la variabilità della specie. Quante razze e varietà di cavalli, di cani, di pecore, di piccioni, di galline; di camelie, di rose, di giacinti!

Il sommo filosofo-naturalista Carlo Darwin si è incessantemente preoccupato della variabilità, di questa manifestazione vitale inseparabile dal concetto di organismo. Egli la cercò, la segui ovunque: la promosse nei due regni organici, [p. 9 modifica]ponendo in rilievo una serie di fatti che erano sfuggiti ai suoi predecessori, istituendo esperienze alle quali non si era mai pensato ed ottenendo inaspettati, sorprendenti risultati.

Rammenterò qui di volo soltanto la sua memoria sui colombi, la quale costò al Darwin ben dieci anni di lavoro. Ebbe cura d’inscriversi a diverse Società di colombicultori e di raccogliere saggi di tutte le razze conosciute di piccioni. Studiandone i caratteri esterni ed interni colla maggior diligenza, riconobbe ben 150 forme più o meno decise, le quali, se si trovassero in libertà, si riterrebbero per altrettante specie. V’ha di più. Se non si conoscesse la provenienza di queste 150 forme, i loro caratteri ci autorizzerebbero a ripartirle in cinque generi. Invero di fronte ad una così inaspettata diversità, di fronte ad una plasticità così spiccata Darwin si è dimandato se tutte queste specie apparenti potevano rimontare ad una forma iniziale e, dietro un assieme di fatti precisi, di accuratissime sperienze, di rigorose deduzioni, egli ebbe la grande soddisfazione di convincersi e di provare che tutti i piccioni domestici, per quanto diversi, provengono dal piccione torraiolo, dalla Columba livia.






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E nella specie umana quante razze e varietà non sono state distinte!

Ma teniamo pur d’occhio una sola razza, la caucasica. Ebbene, scendendo all’esempio che m’offre il mio cortese uditorio, questa variabilità pone in evidenza che non vi sono due studenti in tutto simili, perfettamente identici.

Per la variabilità, le cui conquiste sono poi confermate, protette da un’altra proprietà fisiologica generale degli organismi, l’eredità, non vi sono due studenti che nei caratteri esterni e nei caratteri interni pienamente si eguaglino.

Varia di molto la loro potenza gastrica, la loro forza cardiaca; varia di molto il loro sistema osseo e muscolare; e mostra spiccate differenze nelle sue svariatissime provincie il loro encefalo.

Di qui emanano le più svariate attitudini, i caratteri, i temperamenti più diversi.

Alla variabilità individuale, all’influenza ereditaria (che può essere in parte anche patologica), aggiungansi le più svariate condizioni sociali, economiche, didattiche, educative;

aggiungasi la lotta per l’esistenza, agli uni già ben nota, mentre agli altri, circondati da un ambiente favorevole, è quasi ancora sconosciuta;

aggiungasi l’incubo della leva negli uni e non negli altri; [p. 11 modifica]

aggiungasi la differenza dell’età;

e meglio si comprenderà che non vi sono due studenti nelle stesse condizioni fisiologiche: due studenti che abbiano le stesse attitudini, la stessa volontà di valersene e via dicendo.

Gli uni, di conseguenza, amano lo studio, sono diligenti, esemplari nel loro contegno dentro e fuori l’Ateneo, durante l’intero corso di studi.

Gli altri sono allo studio piuttosto indifferenti, l’apprezzano nei compagni, lo ameranno solo quando saranno fuori dell’Ateneo.

Gli uni temono le agitazioni, le insurrezioni, e si sforzano di evitarle perchè sanno che si risolvono sempre a danno loro.

Gli altri quasi quasi le vagheggiano: e mille circostanze loro paiono buone per costituire la parva scintilla quae magnum excitabit incendium.

Agli studenti del 1° anno in generale piace un’occasione qualsiasi per convincersi che davvero l’ambiente universitario non somiglia a quello del Liceo o dell’Istituto tecnico: per convincersi che non hanno più le redini tese od i polsi frenati.

Quelli amano, desiderano gli esami: questi li paventano quanto l’acqua bollente.

Nasce dunque spontanea l’idea: se gli studenti son tanto diversi; se svelano una variabilità così spiccata, è logico, è conveniente ed equo che gli studenti d’una stessa Facoltà siano ad litteram sottoposti tutti allo stesso [p. 12 modifica]trattamento; siano tenuti allo stesso numero di anni di studio; ad ascoltare gli stessi insegnanti (i quali, a loro volta, spiegano le più svariate attitudini didattiche e scientifiche; encefaliche e cardiache); siano costretti tutti a sostener l’esame di fronte allo stesso docente, abbia egli insegnato molto, poco o niente; abbia insegnato con zelo o con negligenza; con ottimi o con scarsissimi risultati?

Evidentemente al sospetto è oggi in moltissimi, entro e fuori dell’Università, sottentrata la convinzione che le agitazioni, i tumulti, le chiusure universitarie non si eliminano, non si combattono, rinnovando regolamenti, escogitando nuove circolari od ispezioni.

Oggi è generale la convinzione che le istituzioni che governano i nostri Atenei debbono essere radicalmente mutate.

Il mutamento non suona punto un azzardo, un salto nel vuoto; no, per fermo: noi abbiamo esempi classici da seguire, inspirandoci alle leggi che governano gli Atenei germanici, olandesi, svizzeri, inglesi, degli Stati Uniti e così via.

Quanti amano davvero il risveglio, il progresso, la floridezza degli Atenei italiani (e quindi il progresso intellettuale ed economico del nostro paese) debbono desiderare, propugnare vigorosamente che anche alle nostre Università sia finalmente concessa la libertà di studio e la libertà d’insegnamento. [p. 13 modifica]

È questo indubitatamente il fulcro della loro risurrezione.

«Lo spirito scientifico, osserva Fr. v. Liszt, non può crescere se non sul suolo della libertà accademica».

«La libertà di apprendere, esclama H. Dernburg, è il sole vivificatore al quale le nostre Università debbono la loro prosperità e grandezza ».

«Liberté absolue d’enseigner, — dichiara saggiamente M. K. Hillebrand, — liberté absolue d’apprendre, tels sont les principes qui ont fait la grandeur de ces établissements scientifiques; indépendance complète et concurrence féconde, telles sont les traditions qui, en leur donnant l’honos et praemium, ont fait la grandeur de ces corps qui jouissent en Prusse d’une position sociale assez semblable à celle de notre barreau ou de notre magistrature».

E son lieto di rammentare che anche in Italia vi furono Ministri della Pubblica Istruzione che nobilmente ed arditamente vollero la riforma alta, vasta, profonda.

Rammenterò qui il compianto Matteucci; rammenterò il mio ottimo collega, un loro esimio maestro, Guido Baccelli.

E lo stesso Ministro Villari non è punto contrario a questa alta e tanto necessaria riforma.

Basta leggere i suoi discorsi nel Senato e nella [p. 14 modifica]Camera dei Deputati, e precisamente quello del 29 maggio 1891.

Quando colla libertà d’insegnare e d’apprendere; quando coll’abolizione, se non di tutti, d’una gran parte degli esami speciali; quando questi si dovranno sostenere innanzi a giudici che non furono costantemente i propri insegnanti; quando coll’istituzione degli esami di Stato, s’intende colle opportune modificazioni riflettenti il nostro passato, le nostre tradizioni e consuetudini, si sarà compiuta la riforma anche in Italia, potremo subito riconoscere una serie di benefici immediati, di vantaggi meravigliosi.

Mi sia permesso di rammentarne qualcuno.

1° — Colloco in prima linea il tramonto di tutte le insurrezioni degli studenti entro l’Ateneo, e la conseguente chiusura di questa o quella o di parecchie Università contemporaneamente; chiusura che si risolve in danno degli studenti e quindi di tutto il paese.

2° —- Tramonteranno l’immobilità, la stasi, il regresso, insomma le condizioni d’inferiorità nei nostri Atenei di fronte alle Università straniere; poichè colla libertà completa si sveglierà la concorrenza feconda e si renderà permanente l’energia didattica e scientifica di tutti gli insegnanti, sia ufficiali sia liberi docenti, i quali — colle condizioni dominanti — conseguita la cattedra od il titolo di libero docente, subiscono non di rado una profonda metamorfosi regressiva. [p. 15 modifica]

3° — Aspireranno alla cattedra molti eletti ingegni che oggi dalla medesima rifuggono.

4° — S’ecclisserà il frazionamento di tante discipline, poichè quasi tutti i professori aumenteranno volentieri il loro lavoro didattico per sfuggire al terribile castigo di vedersi deserta la scuola.

Tanto per la matematica quanto per la legge, mi assicurano valenti professori ed amici, che parecchie cattedre si possono riunire in uno stesso insegnante. E lo stesso dicasi per le scienze biologiche (Anatomia umana normale e topografica; istologia ed embriologia anatomia comparata e zoologia, ecc.).

Oggi, vinta la cattedra, il professore ben di rado dà più di tre lezioni per settimana, qualunque sia l’estensione e l’importanza del suo insegnamento. — Di qui lo sdoppiamento di cattedre; di qui la necessità di nuovi professori straordinari; di qui l’emanazione di centinaia d’incarichi ed un maggior numero d’esami speciali che giustamente non di rado preoccupano gli studenti.

Colla libertà d’insegnamento, ogni professore accrescendo di molto il suo lavoro, si evita subito questo inconveniente.

5° — Nessuna preoccupazione si avrà, almeno nelle grandi Università, per coprire temporaneamente qualche cattedra vacante. Un [p. 16 modifica]libero docente o qualche insegnante ufficiale farà tosto il corso senza chiedere incarico di sorta.

6° — Si comprende di colpo che stabilito anche presso di noi un minimum di anni di studio, molti studenti, ricchi d’ingegno e di zelo, possano, dopo sei semestri, come nelle Università d’oltr’alpe, essere dottori in lettere o di scienze o dottori in legge; si comprende agevolmente che dopo dieci, e perfino solo dopo otto semestri (ciò che segue precisamente in Germania), possano conseguire il diploma professionale gli studenti di medicina e di chirurgia.

La laurea non sarà più obbligatoria. La sosterrà solo colui che desidera seguire la carriera didattica universitaria.

All’esame di Stato il candidato si potrà presentare appena abbia seguito il numero d’insegnamenti prescritto per ogni facoltà.

— E si comprende parimenti che la possibilità di guadagnare uno, due e persino quattro semestri sveglierà anche negli studenti italiani un ardore, uno slancio, un’iniziativa che purtroppo oggi in Italia non può avverarsi, poiché se non sono per bene compiuti i 4 o 5 o 6 anni, qui nessuno è ammesso all’esame di laurea.

— E se lo studente mormora che i professori a, b, c, sono assenti, troppo lungamente assenti... gli si fa tosto balenare lo spauracchio dell’esame e sempre con mirabile effetto. [p. 17 modifica]

7° — Quanti corsi liberi sono annunziati e non dati!

E quanti liberi docenti, per quanto distinti e volenterosi, per quanto utilissimi siano i loro insegnamenti, oggi in Italia non hanno o pochissimi uditori perchè si sanno escogitare elaborate combinazioni nell’orario e più elaborate commissioni d’esami di modo che essi o non hanno modo di affermarsi insegnando o non possono far parte delle commissioni esaminatrici, con tutte le conseguenze punto nobili che a me non occorre segnalare giacchè ognuno di loro ha presente qualche caso.

— In una parola colla riforma la libera docenza darà ottimi risultati; mentre oggi nulla o quasi nulla aggiunge all’insegnamento ufficiale.

8° — Colla riforma svanirà l’indifferenza che d’ordinario mostrano le Facoltà quando si tratta della nomina di qualche nuovo insegnante: anzi ogni Facoltà sarà ben lungi dal tollerare che le cattedre vacanti siano affidate a persone notoriamente deboli od immeritevoli; caso che purtroppo talvolta s’avvera.

9° — Scemerà grandemente il numero degli spostati, sebbene forniti di qualche laurea.

Ruit Hora.

Molti altri benefici potrei rammentare; ma sui medesimi non è per ora conveniente l’insistere.

E mi affretto qui a pormi innanzi alcune ob[p. 18 modifica]biezioni che alla niente di non pochi balenano o che alcuni anzi diligentemente affidano alla loro memoria per impedire che la riforma alta e proficua si verifichi.

(Abbondano i conigli e non difettano le ostriche che hanno la più strana paura di perdere lo scoglio).

Si dimanda: — Colla soppressione o colla riduzione degli esami speciali quali oggi seguono, come ci assicureremo che i nostri figli studino?

— Ebbene, seguita la riforma, entrando nell’Ateneo ogni studente sa che deve scegliere i suoi insegnanti: sa che dovrà dar prova del suo sapere innanzi ad una commissione da cui non è conosciuto e quindi studia.

Entrando nell’Ateneo egli sa che il suo avvenire dipende da lui: che nessuno lo deve guidare per mano; che è pienamente libero; egli sa d’essere uomo e non un giovanetto. Questi pensieri nobilitano e, quando è tempo di studiare, studia.

L’esame speciale in Italia — lascio le eccezioni — indica, prova forse che il candidato sa realmente la materia su cui lo ha sostenuto? Certamente no: centinaia di professori non insegnano affatto o dànno un limitatissimo numero di lezioni: e centinaia di professori non svolgono che un terzo od una metà del loro programma.

E ciò non rammento per condannarli. No; essi e perchè senatori, o perchè deputati, o perchè [p. 19 modifica]sindaci, o deputati provinciali o comandati, o delegati commissari, o giurati ed un po’ anche perchè membri del Consiglio Superiore: oppure perchè sono avvocati, clinici o chirurghi di grido e quindi assorbiti dalle loro occupazioni extrauniversitarie, rendono al paese segnalati servigi: lo illustrano anzi oltralpe ed oltremare; ma ciò non di meno nessuno potrà impugnare che i loro uditori nell’Università siano condannati a non apprendere mai quanto questi sommi maestri sanno.

Data la riforma, una tale condizione di cose sparisce come neve al sole poichè innanzi tutto, finchè le forze non gli fanno difetto, ogni professore preferirà a qualsiasi altra occupazione quella della cattedra.




Nessuno ignora che presso di noi l’esame generalmente versa soltanto sulla parte del programma che fu svolto: il candidato, che lo supera, sarà un mezzo sapiente ed un mezzo ignorante.

I genitori, la società avranno innanzi non di rado anche una strana combinazione fatta da un terzo di sapiente e due terzi d’ignorante.

Verificandosi questo caso 8-10 volte per lo stesso candidato, la commissione di laurea si [p. 20 modifica]troverà nella triste necessità di proclamare dottore chi questo titolo non merita.

Volli un giorno convincermi se vi erano anche laureati in medicina e chirurgia col minimo dei punti. Cosultando i registri di un Ateneo, trovai che ben 18 dottori recentissimi avevano conseguito la laurea col minimo dei voti, con 6/10.

Noi potei fare a meno di esclamare: sventurati quei Comuni dove questi dottori otterranno la condotta medica! Per essere riconosciuto valente, dicesi, il clinico, il chirurgo deve riempire parecchie fosse d’una necropoli: ma questi laureati con 6/10 le riempiranno tutte rimanendo sempre strumenti di morte.

Or bene dimando: a che cosa hanno servito tanti esami speciali? Saggiamente quindi nel marzo 1891 il Comitato pavese per la riforma universitaria pubblicava un manifesto col quale dimandava l’abolizione degli esami perchè «prove spesso ridicole e menzognere».




Sono molte parimenti le obbiezioni contro gli esami di Stato, ma non lasciatevi infondere sgomento dalle medesime poichè non è difficile il combatterle, ciò che mi propongo di fare in una prossima occasione. [p. 21 modifica]

Egregi Giovani,

Io prendo ornai congedo da voi, ma amo che il mio intento vi resti scolpito nella mente in poche parole.

Associatevi: e primo compito dell’associazione, trasportatasi in questi nuovi locali, sia la tutela dei vostri interessi legittimi, senza uscir mai dall’orbita della legalità. Molti e svariati questi possono essere; ma il precipuo è senza dubbio quello del perfezionamento vostro, quello della vostra vera e reale istruzione.

La riforma universitaria, intesa nel debito modo e misura, vi ripromette appunto questo perfezionamento e questa istruzione, e non già con apparenze illusorie che tanti regolamenti non riescono a nascondere all’occhio di chiunque parli per ver dire, non per odio d’altrui nè per dispetto.

L’Italia oggi ha un Ministro della pubblica istruzione il quale è ben compreso di questa riforma universitaria che molti colleghi ed io andiamo propugnando.

I fatti, quali oggidì si verificano, quali si verificarono ieri e quali si potranno ancora verificare in un non tardo dimani, comprovano e comproveranno sempre più che la scienza, questa [p. 22 modifica]figlia primogenita del libero pensiero, abborre dalle viete pastoie e dalla moltitudine eccessiva di regolamenti che spesso scemano l’efficacia anche di quelle parti d’una legge, che l’esperienza aveva dimostrato per buone e che non si ebbe il coraggio di mantenere.

Al forte volere del Ministro s’unisca quello della vostra e di tutte le altre Associazioni universitarie.

Io sarò lieto di avere concorso colla mia modesta parola ad inaugurare questi eccelsi e vasti locali, che voi rallegrerete colla vostra balda e festosa gioventù, se potrò ripromettermi di avervi fatto comprendere che il vero vostro interesse e quindi anche gran parte del vostro avvenire, sta indubbiamente nell’attuazione libera di quelle norme naturali, che voi avete veduto trionfare in tutta la dottrina dell’evoluzione; norme che costituiscono da sole la lotta e la scelezione anche nel campo scientifico e professionale a cui sarete chiamati.