Lezioni sulla Divina Commedia/Secondo Corso tenuto a Torino nel 1855/XI. Varia forma poetica degli esempi di virtù nel purgatorio

Secondo Corso tenuto a Torino nel 1855 - XI. Varia forma poetica degli esempi di virtù nel purgatorio

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Lezione XI (XXXIII)

[VARIA FORMA POETICA DEGLI ESEMPI DI VIRTÙ
NEL PURGATORIO]


Le anime per disawezzarsi dalle abitudini terrene si sforzano a prendere nuovi abiti, ricordando le colpe o contemplandole intagliate. E poiché le colpe non sono piú il soggetto che le fa e le pensa, ma un oggetto estrinseco alle anime, la poesia si fa descrittiva. E vedemmo come da una semplice enunciazione il poeta si è levato fino alla ricchezza della descrizione nella visione estatica e nel sogno. Queste abitudini sono ordinate a fortificare nelle anime il santo orrore del male, perché elle se ne tengano lontane. Ma il tenersi lontano dal male è virtú negativa: la virtú non è posta in non far male, ma in far bene. E però come le anime ricordano e contemplano le colpe per astenersi dal male, cosí ricordano e contemplano le virtú per sforzarsi di salire al bene, perché nella loro coscienza entri il paradiso, che non è astinenza ma opera, ed è conceduto non agli esseri negativi, ma agli uomini virtuosi, cioè operosi fattivi. Cosí nel girone de’ golosi le anime si affollano intorno a un albero di odorifere poma, di su dal quale sentono suonare una voce, che ricorda loro le lodi della temperanza. Cosi nel girone de’ superbi s’incontrano intagli finissimi, dove le anime veggono esempli d’umiltá. Veggono Maria all’annunzio dell’angelo prostendersi ed umiliarsi dicendo: «Ecce ancilla Dei». Veggono Davide trescare discinto innanzi all’arca del Signore. Veggono Traiano in tutta la pompa della sua imperiai maestá porgere orecchio a’ richiami d’una [p. 253 modifica]femminella e farle ragione. Il poeta adunque si trova sullo stesso terreno, ed a mano gli stessi mezzi poetici: le colpe sono ricordate e intagliate; e le virtú sono ricordate e intagliate; ma perché il contenuto e l’impressione è diversa, la poesia è diversa. Ne’ vizii l’impressione è contraria alla rappresentazione; è una impressione reagente, ripugnante; e però la forma è un’antitesi, un contrasto tra il peccato e l’impressione, tra il peccato quale fu e quale appare alle anime. Due termini, che stannosi di rincontro, pensieri piú che imagini, enunciazione piú che descrizione: perché l’anima non ferma lo sguardo sopra un oggetto che abborre, non s’intrattiene a farne la descrizione; vedutolo appena ne torce lo sguardo e reagisce. La descrizione è possibile nel sogno, perché nel sogno l’anima è in preda all’immaginazione e al senso, e Dante dormendo si abbandona alla contemplazione della donna ed alla dolcezza del suo canto; e come piú egli la guarda, e piú la si fa bella alla sua fantasia, perché piú è stimolato il senso, e piú lavora l’immaginazione; cosí egli può considerarla parte a parte e farcene la descrizione. Ma quando la donna santa fendendo i panni dinanzi a colei, gliela mostra nuda; credete voi che il poeta descriva ora la sua bruttezza, come innanzi ha descritto la sua falsa bellezza? La descrizione qui è bruscamente troncata; la sua subita impressione di disgusto che egli riceve rompe a mezzo il sogno ed il sonno. Ma nella virtú l’impressione è d’accordo con la rappresentazione: l’anima vagheggia nella virtú il suo ideale, e la considera con compiacenza: quindi la descrizione è perfetta fin dal principio. E poesia ammiratissima è la descrizione degli intagli di Maria di Davide e di Traiano, de’ quali vi voglio intrattenere quest’oggi. È un lavoro scultorio, che la poesia vi rappresenterá questa volta: è il poeta, che si fa interprete dello scultore: la natura è stata idealizzata nella scultura: che cosa fará il poeta?La poesia si fará copiatrice, riproduttrice dell’arte sua sorella, o le aggiugnerá qualche altra cosa? E che cosa le aggiugnerá? Cominciamo dal fatto per maggiore chiarezza. Se aprendo un romanzo, vi abbattete in descrizioni, non è egli vero che voi sentite una certa impazienza; e vi ci rassegnate con quella [p. 254 modifica]mala voglia, che patite una cattiva musica, pestando i piedi e domandando che si alzi la tela e si cominci la rappresentazione? Allora l’attenzione si sveglia e si prende interesse, quando il romanziere dopo que’ preliminari descrittivi v’introduce nel pieno della vita, mostrandovi caratteri e sentimenti in azione, quando alla descrizione succede il dramma. Dalle descrizioni in genere scendiamo alle descrizioni di statue e di quadri. Giorgio Vasari ha scritto Vite di eccellenti pittori lodatissime, dove ha fatte molte descrizioni di quadri. Prendetene una, ed al terzo o quarto periodo voi non potete tirare innanzi; e sentite in voi qualche cosa che se non fosse la riverenza dovuta al Vasari, si potrebbe chiamar noia; e se facendo atto di pazienza vi risolvete a continuare insino alla fine, vi rimarranno in mente fluttuanti [immagini] di teste e braccia e gambe e occhi e nasi, senza poter raccogliere quel cumulo di particolari in uno e senza acquistare un’immagine adeguata del dipinto. Mi direte che ciò è difetto di stile; che la maniera del Vasari, come di quasi tutti i cinquecentisti, è alquanto grave e faticosa; sta bene: e voi prendete uno scrittore moderno, che si faccia leggere volentieri. Prendete Pietro Giordani, il cui stile è alcunché rettorico e artifiziato, pure non senza vivacitá e splendore, che cessa la noia. Prendete la sua Psiche, tenuta meritamente come uno de’ suoi capilavori, e dopo lette due o tre pagine, non perciò vi farete un’immagine della statua del Tenerani. Quella fronte sparsa di malinconia, quel volto grazioso e caro sono immagini indeterminate, e per nessun modo voi potrete con questo e quel particolare formar nella mente la Psiche, com’ella è nella sua unitá di statua. E se mentre voi vi ci adoperate indarno, sopravvenga qualcuno e vi dica: — Eccola, è dessa! — mostrandovi la statua; in un sol girar d’occhi voi abbracciate quello che con tanto studio non siete riuscito a comprendere. Tale è il fatto giudicato dall’impressione: la scultura veduta si comprende subito e genera un godimento estetico immediato; descritta, lasciamo stare la noia, si comprende a stento ed a stento si giugne a raggranellare e comporre i particolari per riuscire ad una specie di sintesi. Certo, o [p. 255 modifica]signori, io non voglio esagerar la mia tesi: si riesce ad una specie di sintesi, ma faticosa e riflessa, che non ha in sé niente di poetico: è una costruzione, anziché una intuizione, una percezione immediata della cosa, ed il godimento che di lei viene non è estetico, perché non nasce nell’atto stesso della contemplazione. E perché ciò, o signori? Perché lo scarpello e il pennello rappresentando il corpo produce una visione ed un godimento immediato; e la parola mal vi si prova e non riesce che ad una sintesi prosaica, ad una unitá riflessa. Perché la natura non può essere rappresentata da tutte le arti allo stesso modo, ma sotto questo o quell’aspetto secondo, la materia e l’istrumento di ciascuna. La scultura ha a’ suoi servigi la pietra ed il marmo e può esattamente riprodurre le linee, le figure, le attitudini, le movenze, la parte esteriore della natura, il corpo. Manca a quel bel corpo il movimento e la successione, il sentimento ed il pensiero. E come il corpo per sé non è artistico, ma in quanto è espressione dell’anima, lo scultore si studia, perché dalla fredda pietra emerga un simulacro di vita, inducendo nel marmo rigido la morbidezza della carne, e scegliendo tali attitudini e movenze, che aiutino la fantasia a passare di lá da quelle e cogliere sotto le delicate apparenze il moto interiore. L’anima pare con piú chiarezza nella pittura; perché ella ha qualche cosa piú potente assai della pietra e del marmo, flessibile e quasi incorporea, la luce, graduata ne’ colori, che prima dona alla cieca statua l’occhio, parola dell’anima; e poi con le sue gradazioni e ombre e chiaroscuri e mezze tinte aiuta assai piú l’illusione, e sparpaglia sulla tela qualche cosa di tremolante, che simula il movimento e la vita. Ma architettura, scultura o pittura che siasi, queste tre arti dette plastiche o corporali, una cosa mostrano all’occhio, un’altra lasciano nell’immaginazione: mostrano all’occhio il corpo, lasciano all’immaginazione l’anima; il corpo è l’espresso, l’anima è il sottinteso, che elle lasciano indovinare, come non buone a rappresentarla direttamente. A questo difetto delle arti plastiche supplisce la parola, che nulla mostra al senso, non vi dá figure o colori, ma comunica da anima ad anima senza mezzo di corpo; e perciò [p. 256 modifica]potentissima ad esprimere la parte interiore della vita, i sentimenti e i pensieri. Ma ella non ha la stessa efficacia a rappresentare lo spazio; e qui trova formidabili concorrenti nelle arti plastiche, che in questo la vincono a gran pezza. Se io vo’ spiegarvi la positura di monti, di fiumi, di regioni, di cittá, per quanto la mia parola sia chiara e voi vi sforziate a tenermi dietro, non sará mai vero ch’io faccia impressione sulla vostra fantasia, né che voi vi figuriate quello che espongo, se non pongo mano ad una carta geografica, se la parola non domanda aiuto alla figura e al colore. E cosí accanto alle descrizioni de’ romanzieri si pongono le figure, non certo a spiegare i caratteri e i sentimenti, ma il di fuori de’ personaggi; non rappresentano ciò che è movimento e successione, ma ciò che rimane immobile nello spazio. Il che spiega perché il dramma piú che ogni altro genere poetico ha efficacia sulla fantasia; perché ivi la parte figurativa, il luogo dell’azione, non è descritto con le parole, ma è lasciato alle arti plastiche ed agli attori; ed alla parola rimane quello in che è regina, l’espressione de’ sentimenti. Ciò posto, che cosa fará il poeta che voglia rappresentare un lavoro scultorio? Riprodurrá la figura e le attitudini? Ma a questo la parola è insufficiente; perché la figura ti offre uno spazio contemporaneo alla vista; e la parola è successiva e ti presenta le cose l’una appresso l’altra: la parola disgrega quello che nello spazio è congiunto. Che cosa fará dunque il poeta? Non può, non dee riprodurre il corpo, ma impossessarsi di quel lavoro e farlo suo e trasformarlo in poesia: l’oggetto che lo scultore vede come scultore, egli dee vederlo come poeta: lo scultore rappresenta il corpo per farci indovinar l’anima; egli rappresenta l’anima per farci indovinare il corpo. Rappresenta l’anima, cioè a dire supplisce, compie il lavoro dello scultore, dá alla statua quello che non può lo scarpello, le dá il movimento e la successione, le aggiunge il sentimento e il pensiero. Per lasciarci indovinare il corpo, non riproduce la figura in tutti i suoi accidenti, ma sceglie alcun tratto piú direttamente congiunto con l’anima, dal quale si possa argomentare il rimanente del corpo scultorio: o piú tosto, il corpo che arguisce il lettore non [p. 257 modifica]è giá proprio quello che ha figurato lo scultore; ma un corpo fantastico piú o meno rassomigliante a quello: perché il poeta non è il critico e l’interprete dello scultore, che ci dia una notizia esatta della statua; ma un artista che prende il lavoro nello stato che lo ha lasciato l’artista suo compagno, e dotato di piú possente istrumento lo conduce ancora piú alto: all’ideale della scultura aggiunge l’ideale della poesia. Cosi lo scultore divino sul marmo del purgatorio rappresenta l’Annunziazione, scolpendo le figure dell’angelo e di Maria. Che fará Dante? Riprodurrá le due figure? Non un tratto solo, che accenni a questa intenzione. La fantasia poetica, stimolata dalle» due immagini egregiamente scolpite, segue a lavorar di sopra, e quel marmo innanzi a lei si fa mobile e tiepido, e quella bocca si schiude alla parola. La poesia rappresenta l’espressione che esce dalla figura, non la figura: guardate l’intaglio e quella figura vi sta netta innanzi; leggete la poesia, e quella figura vi fluttua innanzi come un’ombra; perché nella scultura la figura è l’espresso che s’offre al senso, e nella poesia è il sottinteso che s’offre all’immaginazione. Cosi nell’intaglio di Davide vede il poeta gran folla intorno all’arca che canta e incensa; e la fantasia spronata dalle attitudini vivaci vede quelle bocche cantare, quantunque l’orecchio non oda, e vede quell’incenso fumare, quantunque il naso non senta odore. Cosi nell’intaglio di Traiano le aquile intessute in oro che sovrastanno al capo imperiale appariscono alla fantasia agitate dal vento, mobili e svolazzanti. Ma ciò non basta. Non che la poesia aggiunga alla statua il movimento e la vita intrinseca; dee addentrarsi nell’anima e sorprendere i suoi secreti. Non basta che l’angiolo sembri che parli; ma il suo atteggiamento ò tale, che se ne può argomentare il significato delle parole; e Maria è in tale attitudine d’umiltá che nel suo atto si veggono impresse le sue parole, come figura nella cera. Con non minor maestria è rappresentato il sentimento che spinge Davide a trescare innanzi all’arca. Lo scultore vi rappresenta un uomo che balla. Il poeta dá a quell’atto il significato e il sentimento:

                                    E piú e men che re era in quel caso.      
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Egli continua la scultura e vi aggiunge il lavoro della sua mente. Il sentimento di Davide è messo in rilievo dal contrasto di Micol, che sta allacciata ad un terrazzo, la quale nel cogliere il marito in quell’atto a suo parere plebeo, sta «come donna dispettosa e trista». Il poeta ha espresso il sentimento, lo scultore esprime la faccia sulla quale traspare il sentimento. E cosí, in che modo il poeta ha rappresentato la femminella inchina e supplichevole a Traiano? Non rappresenta egli giá l’atto in cui è la donna, ma l’espressione di quell’atto; è un atteggiamento che esprime pianto e dolore: lo scultore rappresenta l’attitudine, e dall’attitudine vi fa indovinare il sentimento; il poeta vi rappresenta il sentimento, e dal sentimento vi fa indovinar l’attitudine. Ed è in questo intaglio che Dante ha portato tant’oltre il suo sentire poetico da passare il limite della scultura. Egli vede la donna e l’imperatore cosí atteggiati, che ne cava il senso delle parole: la donna prega; l’imperatore risponde: — Aspetta il mio ritorno. — Ma la fantasia poetica non s’arresta qui, e prende la carriera e costruisce tutto il dialogo che ha dovuto aver luogo tra i due, insino a che l’imperatore commosso non ceda alle preghiere. Trascinato dall’istinto poetico, egli ha sforzato la natura del marmo e datogli movimento e successione; i due personaggi cambiano atteggiamento secondo i sentimenti da cui sono dominati; la figura dell’imperatore si moltiplica in quattro figure corrispondenti alle quattro volte che parla, supponendo ciascuna risposta un sentimento e quindi un atteggiamento diverso; il poeta ha trasformato il marmo in parola; ha immaginato un marmo poetico che si muove e cangia. Scultura umanamente assurda, epperò il poeta la chiama miracolosa opera di Dio, e la divinitá della scultura non è altro se non la scultura innalzata a poesia e fatta parola.

Tali sono le visioni e gli esercizii delle anime per fuggire il male e seguire il bene. Ma nella serena regione in cui stanno non solo elle sentono, ma giudicano il bene ed il male; sicché con la parte descrittiva si accompagna la didascalica, di cui vi terrò discorso domenica, che sará l’ultima mia lezione.