Le meraviglie di Milano/Divisione del capitolo ottavo
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Traduzione dal latino di Ettore Verga (1921)
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DIVISIONE DEL.CAPITOLO OTTAVO Dignità di Milano : I. Come sede dell'imperatore. II. Come luogo dove si incoronano gli imperatori. III. Per la loro presentazione fatta dal nostro Arcivescovo. IV. Per l'indipendenza del medesimo. V. Pel rito ambrosiano che Carlo tentò di abolire e per il carnevale. VI. Per la penitenza. VII. Per l'antichità della sede metropolitana e del rito ambrosiano. Quanti furono e quanti sono ora i vescovi soggetti al nostro Metropolitano. Numero degli Arcivescovi di Milano. VIII. Per le grandi dignità conferite ai nostri cittadini, ecclesiastici e secolari. IX. In quante prerogative Milano supera tutte le altre città. X. Due difetti di essa. XI. Milano è gloriosa per sua natura. XII. Significato del nome Mediolanum. XIII. Qualità di quest'opera. XIV. Scuse dell'autore. XV. Invocazione a Milano e ammonimento ai cittadini potenti.
ELOGIO DI MILANO PER LA SUA DIGNITÀ. Che la nostra città sia gloriosa per la dignità sua procurerò di dimostrare con diversi argomenti, seguendo la via della verità. I. - Qui, come in una seconda Roma, spesso risiedettero gli imperatori, cioè Nerva, Traiano, Adriano, Massimiano ed altri Gentili, i quali, prima che la Chiesa prosperasse, perseguitavano i Cristiani. Essi, come si legge, ampliarono e abbellirono la città. E in Milano spesse volte posero la loro residenza molti imperatori cattolici dopo il trionfo della Chiesa, come Filippo, Costanzo III, Costante, Costantino, chiamato Gallo, Gioviniano, Valente, Valentiniano, Graziano e, ultimo, Teodosio. II. - In Milano prendono la corona di re d'Italia gli imperatori romani. Infatti, come si narra in un libro intilotato « Copia di Arnolfo » (96), Corrado III fu unto, benedetto e coronato della corona ferrea dall' Arcivescovo di Milano Anselmo da Pusterla, in Monza, dove questa corona si conserva, nella chiesa di San Michele; quindi cinse nuovamente la corona a Milano nella basilica di S. Ambrogio. All'Arcivescovo di Milano, quando si trovi presente (in Roma), spetta di presentare a San Pietro e al suo Vicario il Re d'Italia destinato ad assumere l'Impero e accompagnarlo in processione stando alla, sua sinistra. Si legge infatti nel libro di Benzo, già Arcivescovo d'Alba (97): da una parte il Pontefice e dall'altra l'Arcivescovo ambrosiano accompagnano il Re in processione. III. Mentre Corrado II, coronato dal nostro Arcivescovo Eriberto, doveva essere per consacrazione apostolica sublimato alla dignità imperiale, l'Arcivescovo di Ravenna, pur chiama- to Eriberto, violentando, con temerario ardire, la volontà del Re, tentò di usurpare quella insigne prerogativa. La sua condotta sdegnò profondamente tutti i Presuli presenti. Ne nacque non lieve susurro, cosicchè il Re, domandatane la causa e venuto a conoscenza, del vero, salì d'un tratto sul trono e così parlò : « Certo è, venerandi Padri, che, come la consacrazione dell'Imperatore è privilegio della Sede apostolica, così la elezione e la consacrazione del Re lo è di quella ambrosiana. E' quindi indubitato che la mano la quale benedice il Re e prima gli impone la corona sul capo, se è presente, deve pure presentare il Re destinato all'Impero a S. Pietro e al suo Vicario. Esige dunque il diritto che egli divenga Imperatore coll'assistenza ambrosiana dacchè per ambrosiana consacrazione è divenuto Re ». Dopo queste parole l'Arcivescovo di Ravenna, che temerariamente aveva voluto usurpare il primo posto, ne fu, pieno di vergogna, allontanato perchè altri più degno lo occupasse. Alquanti giorni dopo l'Autorità apostolica convocò una Sinodo nella quale fu decretato che in tutti gli affari pontificali l'Arcivescovo di Ravenna non potesse mai, in alcun modo, essere anteposto a quel di Milano: se lo avesse tentato, dovesse subire la sanzione canonica. Per il che nella diciassettesima distinzione del Decreto si legge : « E' pur da notare che in questo Concilio e in una Sinodo di Papa Simmaco si legge che il Vescovo di Milano ha sottoscritto e risposto prima di quel di Ravenna, onde consegue che il privilegio spettava alla Sede (milanese) prima che a lui » (100). E Papa Gregorio disse a Siagrio, vescovo di Autun : « Ordiniamo che i vescovi, sia nel sedere in Concilio, sia nel sottoscrivere, e in qualunque azione, si succedano secondo l'anzianità e si valgano delle prerogative spettanti al loro grado » (101). Non stabilì forse la sua sede in Milano l'apostolo Barnaba, primo nostro Pontefice, al quale successero tutti gli altri nostri arcivescovi, mentre a Ravenna fu primo il beato Apollinare, non apostolo, ma solo discepolo degli apostoli? Non fu qui stabilita la Chiesa cristiana prima che in qualunque altra città d'Italia? Non fu forse qui, per opera del beato Ambrogio, oriundo di Roma, istituito il rito ambrosiano diverso dal rito di tutto il mondo? Non fu forse la nostra città sempre amica fedelissima di Roma? Non sopportò per amor della Chiesa romana gravissime jatture versando anche spesso il proprio sangue? Nessuno merita maggior reverenza di chi ha consacrato la propria anima agli amici. Dirò ancora: in che può Ravenna paragonarsi a Milano? A chi mi offrisse, quando fosse possibile, tutta Ravenna colla sua diocesi, io non darei in cambio neppure il clima di Milano e le sue preziose acque. IV. - Che altro potrei dire intorno alla moltissima dignità del nostro Metropolitano quando si sa che, dopo il Sommo Pontefice, è, fra tutti i Pontefici del mondo, come il più degno degli arcivescovi, primo e indipendente, non soggetto ad alcun Patriarca o ad altro Primate, incorona in Milano i re dei Romani, e li presenta, come ho detto, colla mano destra, a S. Pietro e al suo Vicario, e quando il Papa convoca una Sinodo siede alla destra di Lui? V. - Il capo del rito ambrosiano diverso da quello di tutto il mondo, è qui come un secondo Papa. Questa liturgia, concessa alla Chiesa milanese per beneficio del nostro patrono S. Ambrogio (102), ci fu conservata per un memorando miracolo divino. Si sa infatti che l'imperatore Carlo, figlio di Pipino re di Francia e padre di Carlomagno, voleva, in odio ai lombardi, consenziente Papa Adriano, abolire la liturgia ambrosiana (103) Riuscito ad avere, mentre era a Milano, o per dono, o per acquisto, tutti i libri sacri ambrosiani, parte ne fe' bruciare, parte portò con sè oltre i monti. Finalmente, per miracoloso intervento della clemenza divina, la Curia romana decretò che fosse consentito di celebrare in perpetuo il divino ministero istituito dalla devozione del beato Ambrogio. Tutti sanno ancora che, come noi godiamo d'una liturgia speciale, così facciamo un carnevale diverso da quello di tutti gli altri popoli. Ed anche in questo si manifesta la gloria e la particolare dignità di Milano. VI. - La qual dignità si appalesa anche in un altro modo: essendo cioè stato sempre ammesso, fin dal tempo degli antichi Padri, che i milanesi possano far penitenza dei loro pec- cati senza uscir dalla diocesi, il che, se io non erro, non avviene in alcun altro luogo. VII. - Inoltre la nostra dignità è di tanto maggiore in quanto Milano ebbe prima di Roma e di tutte le altre città d'Italia la sede metropolitana, gli uffici divini e i sacramenti della Chiesa. Infatti il beato apostolo Barnaba, quattro anni prima che Pietro stabilisse in Roma la sua dimora, cioè tredici anni dopo la Passione di Cristo, fu creato Vescovo di Milano, e sette anni durò nel suo vescovado. Egli elevò agli onori metropolitani i suoi santissimi successori e loro sottopose tutti i vescovi della Lombardia. Furono così in antico molti suffraganei soggetti al nostro metropolitano, ma il loro numero andò scemando colla creazione di altri metropolitani, cosicchè al tempo dell'arcivescovo Giordano eran ridotti a soli diciotto. In seguito ne furono sottratti altri quattro ed ora ne rimangono quattordici (101). E sappiate che dall'apostolo Barnaba fino ad oggi sedettero nella nostra città novantun vescovi, trentuno de' quali figurati nel numero dei santi confessori, insieme col beato Ambrogio, dodicesimo arcivescovo, uno dei quattro principali dottori della Chiesa, superiore a tutti per sapienza e virtù, che contribuì ad accrescere la dignità e il decoro della nostra città. Egli, come ho detto, compilò la liturgia ambrosiana ventidue anni prima della creazione di quella romana. VIII. - Per altre vie ancora si manifesta la dignità di Milano : tre dei nostri concittadini divennero sommi Pontefici, Alessandro II, dei Capitani di Baggio (105) ; Celestino, dei Castiglioni (106), e Urbano III, dei Crivelli (107). E due imperatori romani, Valeriano e Galieno (108). Van ricordati anche Pietro da Bussero che fu Legato della Chiesa romana in Ungheria e i Cardinali Pietro da Rho e Galdino da Sala, Uberto Pirovano, Goffredo Castiglioni, Conte da Casate, e Pietro dei Pietrigrossi la cui vita, dedita alla scienza e alla virtù, il Signore conservi ognor più prospera, e, dopo la morte, ne sublimi l'anima al cielo (109). Inoltre moltissimi furon chiamati a reggere diocesi straniere: e di questi nulla dirò. Vive ancora il nobilissimo Patriarca di Aquileja, Raimondo della Torre, oriundo della nostra città (110). Che dirò dei tanti nostri eminenti concittadini secolari chiamati al governo di altri Comuni? Ciò si comprende : di nobilissima razza, i milanesi mostran dovunque i frutti della loro nobiltà. Che avverrebbe se, dando tregua ai rancori, si amassero a vicenda e concordi provvedessero al bene della patria? lo sono convinto che facilmente potrebbero governare tutta la Lombardia. Avete ormai veduto le magnificenze di questa grande città che sempre avanza dal bene al meglio e più avanzerebbe se spontaneamente non si lacerasse con rabbiosi denti. IX. - Qui è bene dichiarare che, secondo il parer mio, sei sono le particolari eccellenze per le quali Milano va innanzi ad ogni altra città : prima, l'abbondanza di ottime acque; seconda, il numero e l'onestà dei religiosi; terza, la quantità di sapienti inscritti al Collegio dei Giureconsulti; quarta, la liturgia distinta da quella di tutte le altre città cristiane, e il carnevale; sesta, la fedeltà, non mai smentita verso la Chiea, quale risulta dalla descrizione delle imprese da Milano compiute. X. - E due sono, se mi è concesso di confessarli, i difetti peculiari alla nostra città: la concordia civile e un porto che possa accogliere navi provenienti dal mare (111). Se a queste mancanze si potesse rimediare, ne conseguirebbe il vantaggio d'una gloriosa prosperità. A riparare la prima varranno, spero, i discorsi degli uomini assennati; la seconda facilmente si colmerebbe se i potenti della nostra patria consacrassero alla esecuzione di quest' opera quell'energia che impiegano a distruggersi a vicenda e ad estorcere ai loro concittadini denari per alimentare maligne imprese. E' ormai dimostrato che la nostra città non ha pari nel mondo: che è quasi un altro mondo separato dal resto, che non solo merita di esser chiamata seconda Roma, ma, se mi permettete di dirlo senza presunzione, meriterebbe, a mio giudizio, di divenir la sede del Papato e di tutte le altre dignità. XI. - Giacchè la nostra città è nobile per natura, mentre altre città non lo sono per sè stesse, ma traggono incremento e gloria dalla frequenza di stranieri, dal richiamo di studi o d'altri allettamenti, senza di che rimarrebbero oscure, come Parigi, Bologna ed altre dove esi- ste una Università di studi delle Arti liberali. Queste circostanze io non deploro, anzi le apprezzo purchè per esse le donne non divengano impudiche e i mariti non abbiano a mantenere figli altrui credendoli propri. Ma molto di più apprezzo la nostra Milano dacchè non per concorso di stranieri, ma per virtù propria è prospera e grande. E tanto più lo è in quanto la sua natural vigoria contribuisce a far prosperare altre città straniere, qual'è Como, e fino al di là delle Alpi. Qui infatti ogni giorno s'accumula roba che viene in grande abbondanza esportata altrove. XII. - Del resto quel che sia la nostra città si rileva dallo stesso significato del suo nome. Infatti Mediolanum comincia con M e con M finisce: nel mezzo sono O ed L. L'M, che è la più larga lettera dell'alfabeto, significa l'ampiezza della gloria di Milano diffusa per tutto il mondo. L'M, che sta, al principio ed alla fine, significa anche il numero mille al di là del quale nessun numero è semplice e presentabile con una parola sola. E questo numero, perfetto nella sua semplicità, dà ad intendere che Milano dall'origine fino alla consumazione dei secoli è stata e sarà annoverata fra le città perfette. L'O, una delle due lettere che stanno nel mezzo, rotonda e perfetta, la più degna e bella di tutte, significa la rotondità, la bellezza, la dignità e la perfezione. E' infatti la nostra città rotonda, come la lettera, più bella e più perfetta di altre consorelle. La L simboleggia la lunghezze e anche l'altezza della sua gloriosa nobiltà, giacchè per i meriti e le preghiere della beata Vergine Maria, del beato Ambrogio e dei santi de' quali qui riposan le ossa, e per bontà di Dio, la sua alta gloriosa nobiltà durerà fino all'ultimo.
XIII. - Dobbiamo anche rilevare che in quel nome si trovano tutte le cinque vocali ripartite nelle singole sillabe, il che vuoi dire che, come il nome della nostra città non manca di alcuna vocale, così la città non manca di alcuna cosa necessaria ai cinque sensi dell'uomo. E siccome i nomi delle altre città non possiedono il numero completo delle vocali, esse città, paragonate a Milano, mancano sempre di qualche cosa necessaria.
Tale essendo, quale fu dimostrata, la grandezza di Milano, mi sembra giusto che chi ha la fortuna di chiamarsi cittadino milanese possa di ciò gloriarsi. A un patto però, che non degeneri dalle virtù della stirpe, altrimenti non solo a sè, ma anche alla patria recherà vergogna. Imperocchè quanto più sono per nobiltà celebrate una famiglia o una città, tanto più spregevoli diventano quando si allontanino dalla probità degli avi.
XIV. - Tutto quanto ho detto in lode di Milano apparirà chiaro agli occhi di coloro che sanno vedere. Ma chi pensasse che nel tessere l'elogio di Milano io abbia sognato, o abbia scritto con leggerezza, o, per piacere ai leggitori, con malafede, sappia che ho attinto alla "Storia lombarda" e ad altri libri; e inoltre ho con non poca fatica indagato io stesso la verità o l'ho dimandata a chi era in grado di conoscerla. Molto potrei ancor dire intorno alla grandezza di Milano, ma sono stanco, ho altre cose da fare, e desidero fermarmi qui. Il detto basti. Se qualcuno crederà che l'opera mia non sia in tutto perfetta mi sia indulgente perchè l'urgenza di alcune mie occupazioni m'ha costretto a pubblicarla prima di averla potuta definitivamente correggere. XV. - O Milano che nel linguaggio volgare potresti anche essere chiamata Mirano da mirare (112), chi pensa che tu da mirabile abbia a diventar miserabile, chi dovrà deplorare che tu coperta di lana sia dilaniata?... (113). Tu nutrisci nel tuo seno chi tenta dilaniarti con rabbiosi denti. Forse della tua turbolenza si compiacciono le città, sorelle per timore di dover esserti soggette, quando la pace accrescesse la tua forza. Bramose di renderti loro tributaria, mentre ti vedono così ammalata, non si péritano di minacciarti e istigarti, ti disprezzano e della tua malattia pazzamente ridono. O mirabil decoro del mondo, o città, ripiena di molteplici grazie, o città veneranda consacrata dal sangue purissimo di tanti martiri, chi son che presumono di inquietarti se non certi prepotenti tuoi cittadini che le dovizie di tutto il mondo non basterebbero saziare? Che cosa può mai inspirar loro tanta presunzione? Dovrò io dire che è l'invidia che li corrode e li irrita e li stimola ad ogni scelleraggine, o dovrò tacere? Silenzio. Spesso il tacere non fa male. Ma questo dirò: che certi invidiosi di questa terra, ignari di Dio e di sè stessi, hanno la perfida capacità di esercitare, a danno de' loro concittadini, astuzie e violenze e preferiscono collegarsi cogli stranieri, combatter fra loro con inique armi per tiranneggiare gli altri, a disdoro della patria, piuttosto che vivere in pace, rispettandosi a vicenda, per favorire il progresso della città, conseguire l'egemonia su tutti i lombardi e una gloria trionfale. Coloro che, mentre potrebbero dominare le altre città della Lombardia, si adoprano a distruggere i concittadini per magnificare sè stessi, non tollerando che altri sia loro pari, e addentano come cani la grandezza della loro città spingendola quasi a ridursi in vergognosa servitù, coloro, mi sia lecito dirlo, non son degni neppure di pulire le scarpe ai milanesi. Guai agli scellerati, che movendo sulle orme di Lucifero, colla loro libidine di dominio tentano sconvolgere una sì grande città; guai agli altri che, imitando gli spiriti perversi, fautori di Lucifero, aderiscono alle fazioni e istigano gli empi capi a rovinar la patria. Guai ai religiosi che nell'ombra, favoriscon le sètte, e guai ai religiosi, indisciplinati favoreggiatori di coloro che, vaghi di dominar sui confratelli, quando fra essi trovano il male e si sentono incapaci a guarirlo, ricorrono ai potenti, al modo di Giuda Iscariota. Guai a coloro che volontieri apron le orecchie alle blandizie degli adulatori, benignamente li accolgono, e li secondano. Costoro sono autori di divisione e di discordia, e, se prima non si con- vertano al Signore, son degni di esser puniti come i falsi angeli ed i demoni. Preghiamo dunque il nostro Salvatore, il Siguor nostro Gesù Cristo, che si degni di accrescere la grandezza di questa città, mantenga sulla retta via i cittadini disposti a percorrerla e vi riconduca i traviati, benedica tutti gli stranieri che si compiacciono per la nostra grandezza, e gli invidiosi e i malevoli converta e riduca alla virtù della carità. Egli che vive col Padre, col Figliuolo e collo Spirito Santo. Dio per infinita saecula saeculorum. Amen.
Deo gratias amen.
Scrivi Ger, poi va, poi sio e avrai nominato quel Corio [che ha trascritto questo libro] (111)