Le colpe altrui/Parte I/Capitolo III

Capitolo III

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III.


Andrea arrivò l’indomani, con la corriera delle undici.

Passato il paesetto, dove Pancraziu era andato ad incontrarlo a cavallo, davanti al cancello dell’orto di Vittoria vide il servetto che lo aspettava.

— Bene arrivato, signor Andrea. Suo padre sta meglio e la mia padroncina è là che aspetta Vossignoria. Tanti saluti dalla mia padrona grande.

— Va bene. Io vado dritto, allora.

E andò dritto, anche perchè con la sua futura suocera non riusciva a scambiare mai una frase intera: andò dritto, lasciandosi indietro le muriccie lungo il sentiero coperto di fiorellini gialli; e il suo viso scuro ossuto, ove il colore azzurrognolo degli occhiali da sole contrastava col rosso delle labbra sporgenti circondate di peluria nera, riprese la solita espressione di durezza.

Arrivato allo stazzo Zoncheddu, smontò e, dopo aver consegnato il cavallo al servo dicendogli di aspettarlo più avanti, s’inoltrò nel sentiero senza curarsi di guardare se qualcuno lo vedeva.

Non faceva più mistero delle sue relazioni con la madre e col fratello. Lontani i tempi in [p. 40 modifica]cui andava di nascosto fino alla siepe dello stazzo Zoncheddu e fischiava timidamente per chiamare Mikali e aveva con lui tra le macchie e dietro i ciglioni segreti convegni. Eppure... Eppure quel profumo di primavera che gli alitava intorno, quella pace velata del cielo di maggio, e il ronzìo delle api e l’ondulare delle erbe e i cespugli umidi di rugiada che parevano sollevarsi al sole dopo aver pianto nell’ombra, tutto gli dava un senso di nostalgia, il rimpianto del tempo passato. Com’era stato bello ed eroico il tempo passato! Come trepida di inquietudini pure e di dolore ingenuo la primavera della sua vita! Così, come la primavera della landa marina, con la poesia selvaggia delle terre solitarie, della natura vergine. Dolore, sì, ma anche speranza che il dolore porti alla gioia; inquietudine, sì, ma fatta di attesa e di amore.

Si fermò davanti ad una siepe morta sulla quale, dall’altra parte, una donna stendeva una fila di panni bianchi.

— Mamma! — chiamò a voce alta, e la piccola donna che stendeva i panni, togliendoli ad uno ad uno da un cestino e sbattendoli prima di gettarli sopra la siepe, trasalì e con la mano umida si fece il segno della croce. La sua testa delicata, dal piccolo viso grigio fra i capelli grigi, tremava sull’esile collo appassito.

Corse al di qua della siepe ed Andrea l’abbracciò senza baciarla. Com’era piccola e magra; più magra del solito! Non senza un senso di amarezza, egli che era piccolo e magro, [p. 41 modifica]accanto a lei si sentì quasi alto e potente come suo padre.

L’allontanò, tenendola per le braccia, la esaminò da capo a piedi, tenero e corrucciato.

— Ebbene, che mi dite? Perchè siete così?

— Come, così?

— Malandata in salute, mi sembra! Siete stata male? Che fate adesso? Li avete lavati voi, i panni? Non voglio, lo sapete. E Mikali, dov’è?

Ella si accomodava il fazzoletto intorno al viso con le mani tremanti e non riusciva a parlare.

— Mikali? È andato a domare un puledro... Tu stai bene, vero, cuore mio? La vita militare ti fa bene... Sei grasso...

— Ah, molto! — egli esclamò ridendo e palpandosi le braccia scarne: ed ella lo guardava triste, coi grandi occhi neri cerchiati da due anelli lividi.

— Ma, davvero, siete stata malata? Che c’è, ditemi? Ditemi, mamma...

— Lo sai: tuo padre sta male. Da ieri ti aspetta e non ha pace, così mi han detto. Va, figlio. Egli è solo.

— Ha voluto lui, viver solo! — disse Andrea rudemente, poi si frugò le tasche. — Ah, ecco, mamma! È benedetto dal Pontefice.

Trasse un piccolo rosario nero con la crocetta di metallo e glielo versò piano piano sulla mano come ad una bambina. Ella lo guardava felice, il piccolo rosario che aveva desiderato tanto; poi sollevò la testa e sorrise, ma con gli occhi pieni di lagrime. [p. 42 modifica]

— Sì, bisogna pregare.

— Mamma, — disse Andrea riafferrandola, mentr’ella si metteva il rosario sul seno già gonfio di altre reliquie — ditemi la verità. Che c’è? Mio padre è grave?

— Ieri dicevano di sì, ma oggi pare stia meglio. Il Signore lo conserverà... Andrea, cuore mio... perchè tu hai ancora bisogno di lui. Va, fiore: ecco Maria Luisa Zoncheddu, ecco i ragazzi che spiano e ci vedono. Va; corri.

Lo spingeva, ed egli tornava indietro, anche perchè voleva evitare Maria Luisa Zoncheddu e le sue domande curiose e maliziose; ma traeva con sè la madre, e quando furono nel sentiero verso lo stradone le disse con impeto veemente:

— Io andrò, adesso; ma poi verrete anche voi. È tempo di farla finita, con questo stato di cose. Sono tornato per questo, anche: e se è vero che lui sta meglio come voi dite, gliene parlerò subito. Sì, subito! Tenetevi pronta.

Ella pareva non capire.

— Sì, voglio che torniate a casa: voglio che sia finita una buona volta per sempre. Siete vecchia, siete malata, ed io non posso permettervi oltre di fare la serva. No, mamma, non mi guardate così; voi dovete aiutarmi, dar retta ai miei consigli. Tutto andrà bene, mamma, vedrete; prima che io e Vittoria ci sposiamo voi sarete a casa...

Ella lo fissava spaventata, con le mani giunte davanti al viso.

— Figlio benedetto dell’anima mia...

Ma Andrea non la lasciò proseguire. [p. 43 modifica]

— Niente! Voi state zitta!

— Mikali...

— Mikali non c’entra! — egli riprese con maggior impeto. — Egli lavora e basta a sè stesso: voi non dovete vivere alle sue spalle poichè ci son io...

— Mikali... — ella insistè ancora, ma Andrea, che la scuoteva sempre e pareva le parlasse più con odio che con amore, disse parole che ella sulle prime non capì bene.

— Prima di Mikali c’ero io! E vi ha avuto abbastanza, lui: adesso vi voglio io. E basta! Dite alle Zoncheddu che si cerchino un’altra serva.

— Andrea!... Andrea!...

Ma egli l’aveva respinta e andava rapido verso il servo. Ella lo vide balzare sulla muriccia, montare sul cavallo e allontanarsi dopo essersi guardato indietro con un viso pieno di tristezza; e rimase lì, spaurita, con le mani giunte accanto al viso, come implorando un aiuto dal suo stesso dolore.

E Andrea andava, seguìto dal servo, chiuso di nuovo nel suo tormento e nella sua disciplina. Il viso gli si era ricomposto, duro, fermo. Gli pareva d’essere ancora in marcia, ai comandi di un superiore: andava, perchè bisognava andare, e non sapeva dove, ma sicuro di compiere il suo dovere.

Solo passando sotto la vigna domandò al servo se aveva veduto Mikali.

— L’ho veduto, sì, anche ieri. Domava un puledro nero furioso come un diavolo. Ma anche lui è svelto, Mikali; malanno, come è svelto! [p. 44 modifica]Diventa sempre più alto e bello: sembra una bandiera.

— Che mestiere! — disse Andrea con disprezzo. Ma Pancraziu aveva per Mikali una ammirazione feroce non libera d’invidia.

— E che fare? pare nato per quello, come i giganti. L’altro giorno, alla festa di San Pietro, tutti correvano per veder lui, rosso, coi capelli come fiocchi di nastro, inchiodato al puledro che si rizzava in piedi come un cristiano. Sì, prese il premio, alle corse. E le ragazze lo guardavano incantate. Ma da qualche tempo egli sembra un altro, non va più tanto dalle donne; ha lasciato la nipote di Predu Pinna, che pure è ricca, e da quella donna... quella tale maritata... lei sa... non ci va più. Del resto ha seminato anche il grano e le fave — aggiunse dopo un breve silenzio, mentre Andrea precedeva di nuovo pensieroso. — Ma l’altro giorno mi disse che non vuole più curvare la schiena, e che si prenderà un servo. Ho riso tanto, malanno al diavolo! Un servo, lui! È curioso, Mikali: non si sa mai se scherzi o parli sul serio. Perchè no, gli dissi, anche sette, ne puoi prendere, di servi, se sposi una donna ricca. E perchè no? È bello, è forte: molte donne ricche se lo prenderebbero in grembo come un agnellino. Ma ecco la nostra gobbina che ci viene incontro. Uhì, zia Zizza, uhì!

Andrea guardava fisso verso lo stazzo, pensando a Vittoria. No, ella non gli veniva incontro; ma egli la vedeva ugualmente, alta, pieghevole, coi dolci occhi voluttuosi, e il [p. 45 modifica]ricordo e il desiderio di lei lo investirono ad un tratto come un vento impetuoso, facendolo arrossire e togliendogli ogni altro pensiero di mente.

Ed eccola, nella cornice del portone, luminosa tra le figure tetre delle serve e del frate. Il cane feroce gemeva di gioia agitando la coda rossa come una pannocchia di granturco; le cornacchie e il falco stridevano e il gallo cantava come all’alba. Tutto si animava per il ritorno del padrone; egli però vedeva solo il viso di Vittoria, gli occhi dolci che sfuggivano i suoi, e l’impeto della sua gioia cadeva come stroncato da una minaccia nuova.

— Ebbene? Ebbene? Il babbo?...

Le prese la mano, la trasse nella camera del malato; ma questo sorrideva silenzioso, aspettando, e parve quasi irridere l’inquietudine del figlio.

— Ebbene? babbo?

— È più il bene che il male. Eccola, chi mi ha guarito, eccolo qui il grappolo d’uva! Noi facevamo anche a meno di te.

Andrea sedette davanti al letto e cinse col braccio Vittoria; ma la sentiva sfuggirgli, e mise la mano di lei in quella di suo padre come se un istinto oscuro lo avvertisse che quello era il solo modo di trattenerla.

— Ma voi state bene, babbo! Come va? Come vi sentite adesso?

Bakis Zanche guardava Vittoria e ammiccava, come per dirle che non aveva bisogno dell’interessamento di Andrea. [p. 46 modifica]

— Malato, io? Io sto bene come uno sposo. C’è Zizza là dietro l’uscio che mi aspetta per ballare. Ebbene, vieni, e di’ a Pancraziu che vada alla mandria per scegliere l’agnello più grasso e arrostirlo. Vieni, ballerina!

La gobbina si avanzò guardando con inquietudine i fidanzati: Andrea sentì quello sguardo equivoco e d’un tratto abbandonò la mano che Vittoria tentava sempre di liberare dalla sua; poi ritirò anche il braccio ed ella si scostò, appoggiandosi ai dappiedi del lettuccio con la persona piegata da una grande stanchezza.

Il malato parlava di nuovo agitato; e voleva che l’indomani si tosassero le pecore e si facesse un banchetto per il fidanzamento dei due giovani; intanto guardava ora Andrea taciturno ora Vittoria triste e stanca e infine si sollevò, rosso, spinto da un improvviso furore:

— Ebbene, che avete tutti e due? Che c’è? Se pensate a me fate male, poichè io sto meglio di voi, e se pensate di guarirmi con la vostra musoneria fate peggio ancora perchè io non vi guarderò più in faccia...

— Calmatevi — disse Vittoria, aggiustandogli le coperte. — È che pensavo che bisogna andarmene. Mia madre è sola: voi state bene, adesso, e Andrea è arrivato...

— È giusto! Adesso che sono arrivato io, tu devi andartene! — esclamò Andrea con voce amara. E s’alzò, andò alla finestra, tornò verso di lei come volesse dirle qualche cosa, poi uscì senza parlare.

Cos’aveva Vittoria? Sembrava stesse a [p. 47 modifica]disagio, lì dentro, triste e offesa, più che dalla malattia del vecchio, dall’ombra della casa.

Egli la conosceva bene, la sua Vittoria, mistica e sensuale, misteriosa come tutte le donne: la conosceva, ma attraverso il corpo di lei che egli adorava, l’anima gli appariva a volte oscura come velatasi per sfuggirgli di nascosto senza osare di farlo perchè lui vigilava.

Ed egli vigilava e credeva di non illudersi. Guardandosi nel piccolo specchio incrinato, mentre si asciugava la testa e il collo, disse alla sua figura, schernendola un poco:

— Siamo brutti, Andrea Zanche!

No, non s’illudeva. Vittoria non lo amava, non lo conosceva; ma poteva amarlo, poteva conoscerlo; era intelligente, capiva la vita; bastava che egli la guidasse e guidando lei andasse anche lui per la via dritta, forte sotto il suo carico, obbediente agli ordini superiori.

La vita è una marcia fatale, una disciplina inesorabile: adesso lo capiva, come se quei sette mesi di servizio militare glielo avessero insegnato più che i lunghi anni di scuola e di esperienza propria: non si sa dove si va, ma si vede la strada dritta davanti a noi. Bisogna percorrerla da forti. Si arriva, si ottiene il premio, si ottiene il comando.

D’improvviso però, come vinto a un tratto dalla stanchezza del viaggio, si abbandonò sul davanzale della finestruola, guardando la panchina ove suo padre aveva sorpreso gli adulteri. Ricordi confusi gli passavano in mente, turbando i suoi propositi eroici. Si rivedeva [p. 48 modifica]accanto a suo padre quando per la prima volta, seduti su quella stessa panchina, aveva osato chiedergli di perdonare e di riprendere sua madre.

— Mai! Si può rimettere in casa una serva ladra?

— Ella non è stata colpevole come voi credete.

— Come? Se li ho sorpresi io?

— Che importa? Ella amava.

Il padre lo aveva guardato con pietà, pur sollevando la mano per schiaffeggiarlo. E non aveva discusso.

Ma ecco Ignazia che esce nel cortile a stendere un panno e solleva gli occhi lenti pensosi. Andrea si ritirò perchè aveva paura della malignità dei servi, ma invece di tornare nella camera di suo padre uscì in cucina e trovato il fraticello che voleva andarsene, lo prese per le braccia e lo costrinse a sedersi di nuovo.

— Dove volete andare? A predicare? Fatelo qui, se volete: gli eretici e i miscredenti son qui!

— Per questi non si predica più, è inutile. Si predica per quelli che credono ancora.

— E ce ne sono? Voi credete ancora?

Zia Sirena curva sul focolare a cuocere un cataplasma di salsapariglia, lo fissò, con occhi severi, poi guardò il frate battendosi un dito sulla fronte: il frate però aveva soggezione di Andrea e gli rispondeva scherzando timidamente.

— Se non credessi, che starei a fare in [p. 49 modifica]questo mondo? Le tancas e i servi non mi tratterrebbero certo.

Andrea aveva preso in mano il Libro dei Salmi e guardava le immagini. Eccone una che gli ricorda tutto il suo passato; una Santa Agnese che rassomiglia a Vittoria, ma coi capelli d’oro svolazzanti fra le stelle su uno sfondo d’azzurro: la sua bocca è dolce eppure un poco crudele, i suoi occhi lunghi e socchiusi sono dolci eppure un poco crudeli, come velati da una morbosa voluttà di martirio. Si rivide nella chiesetta ragazzo a cantare i Salmi guardando l’Immagine e pensando già a Vittoria. Da tanto tempo la amava. Ed ella era lì, vicina, ed egli, come da ragazzo, si contentava di desiderarla attraverso una piccola Immagine. Arrossì, un rombo gli risuonò entro le orecchie come se il fiotto del desiderio lo sommergesse; e balzò per andare a cercarla.

Anche lei lo aspettava torcendosi l’anima, spiegandola, torcendola ancora come un panno che si lava ma non diventa pulito. Le pareva che avrebbe la forza di confessargli tutto, ma appena lo vide impallidì e lo guardò smarrita.