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cui andava di nascosto fino alla siepe dello stazzo Zoncheddu e fischiava timidamente per chiamare Mikali e aveva con lui tra le macchie e dietro i ciglioni segreti convegni. Eppure... Eppure quel profumo di primavera che gli alitava intorno, quella pace velata del cielo di maggio, e il ronzìo delle api e l’ondulare delle erbe e i cespugli umidi di rugiada che parevano sollevarsi al sole dopo aver pianto nell’ombra, tutto gli dava un senso di nostalgia, il rimpianto del tempo passato. Com’era stato bello ed eroico il tempo passato! Come trepida di inquietudini pure e di dolore ingenuo la primavera della sua vita! Così, come la primavera della landa marina, con la poesia selvaggia delle terre solitarie, della natura vergine. Dolore, sì, ma anche speranza che il dolore porti alla gioia; inquietudine, sì, ma fatta di attesa e di amore.
Si fermò davanti ad una siepe morta sulla quale, dall’altra parte, una donna stendeva una fila di panni bianchi.
— Mamma! — chiamò a voce alta, e la piccola donna che stendeva i panni, togliendoli ad uno ad uno da un cestino e sbattendoli prima di gettarli sopra la siepe, trasalì e con la mano umida si fece il segno della croce. La sua testa delicata, dal piccolo viso grigio fra i capelli grigi, tremava sull’esile collo appassito.
Corse al di qua della siepe ed Andrea l’abbracciò senza baciarla. Com’era piccola e magra; più magra del solito! Non senza un senso di amarezza, egli che era piccolo e magro, ac-