Le Ricordanze (Rapisardi 1872)/Intermezzo - Francesca da Rimini/Atto primo
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ATTO PRIMO.
SCENA I.
Coro di demoni.
I.
In quest’oscuro bàratro,
Che il vento orrido introna.
L’eterna ira imprigiona
L’alme, che rupper fede a l’amor primo.
L’urta da l’alto a l’imo
lì turbine veloce, e avvolve e caccia
Contro a le punte, ond’è funesto il loco;
Ma non avvien che il foco
Spenga giammai che la lussuria accese.
Sorge acerbo e più fiero entro al lor petto
L’insaziato istinto,
E, dal dolor non vinto,
Ei cresce più quanto più il corpo è inetto.
(Si ode il mugghio della bufera e i gemiti dei dannati)
Urlate, urlate, urlate.
Voi che d’adultero
Foco d’amor bruciate!
Noi per quest’aria nera
Tessiam la ridda agli orridi
Fischi de la bufera!
(Parte del coro incomincia una tregenda)
II.
Stolti! di tempra etema
Credon lor menti! Al Nume,
Che a noi, siccome a loro, usurpa il cielo,
Pari tengonsi in volto e in forza uguali!
Con superbo costume
Spronan l’anime inferme oltre i mortali
Segni a strappar d’ogni scienza il velo;
Di nuove stelle in traccia
Erran fra l’ombre ardimentosi, e quando
Sol del momento han regno,
L’eternità sognando.
Per l’ignoto avvenir spingon la faccia!
III.
Ciechi! D’amore al laccio
Dopo tanto volar porgon la vita,
E nel par d’occhi d’una figlia d’Eva
Chiudon tanta di ciel brama infinita!
Come farfalle improvvide
Ardon girando intorno
A la face d’amor sempre funesta,
E cui picciol soggiorno
Parve la terra e l’universo un gioco,
A un mal vegliato talamo
Legan lor fato; e la condanna è questa.
(Parte del coro come sopra)
Urlate, urlate, urlate.
Voi che d’adultero
Foco d’amor bruciate!
Noi per quest’aria nera
Tessiam la ridda agli orridi
Fischi de la bufera.
(S’allontanano fragorosamente, mentre il turbine va poco a poco cessando.)
SCENA II.
Francesca, Paolo.
Francesca
O supplizio, tormento, o interminato
Amor! (Silenzio)
Tu sei muto così! Non hai
Più parole per me! Ouanto aspettammo
Questo istante di tregua! Ecco, già tace
Il turbine infernal. Traggo dal petto
A fatica il respir! Dio dei soffrenti
Abbi di noi pietà!
Paolo
Dio? non intende
La nostra voce: il dolor nostro è eterno,
Siccome eterno è il nostro amore!
Francesca
Oh! taci,
Non parlarmi così! Morta al cor mio
La speranza non è. Dio non potrebbe
Eternamente condannare al pianto
Chi tanto amò sopra la terra. Oh! lascia
Che il suo perdon, che la sua grazia implori!
Paolo
Se giusto ei fosse, ai prieghi tuoi, già tempo,
Piegata avria la sua pietà! Chiamata
A le sedi del cielo, a le lucenti
Glorie del paradiso avria te sola,
Amatissima donna; e il soffrir mio
Fatto avria ben dei nostri falli ammenda.
Dei nostri falli! e che diss’io? Qual lieve
Nube di colpa a l’alma tua fè velo
Nei bei giorni terreni? Io solo, io solo
Rovesciai la fraterna ira sul tuo
Capo infelice, io ne la mia sciagura,
Nel mio morir, nel mio supplizio eterno
Crudelmente t’avvolsi, e questa è pena,
Che la mia disperata anima addenta
Così, che nulla in paragon può darmi
Pena maggior l’inferno tutto e il cielo.
Francesca
Crudel mi sei! Pari a la tua non m’arse
Lunga, ostinata, immensa fiamma il petto?
Del mio pensier, dei sogni miei, dei miei
Fati, del viver mio tutto il governo
Amor non ebbe, amor secreto e grande
Come Iddio, che ai mortali occhi si cela
E tutto regge e ad ogni cosa impera?
A l’amor tuo tutto io non diedi? Ahi indarno
T’illude il core, o invan me illuder tenti!
Se colpa è amore, ambi slam rei. Ma il petto
Chiuder non posso a la speranza, sai;
Fiamma d’amor, quantunque iniqua, eterna
Pena non porta da quel Dio, che tanto
Per nostro amor sofferse in terra!
Paolo
Iniqua
La nostra fiamma? Ah! no! Del fratel mio
Prima io ti vidi, e pria di lui t’amai.
Primo, possente, unico amor gran tempo
Mi regnavi ne l’alma; arbitra sola
Dei giorni miei, del mio destin compagna
Mi venia nei cimenti e nei trionfi
La bellissima tua virginea forma,
E di valore, di pietà, di tutte
Virtudi adorno, invidiato esemplo
Agl’italici prenci e al popol caro
Mi rese ella, ella sola!
Francesca
O rimembranze
De la terra, o dolore!
Paolo
Era il tramonto,
Ti sovvien di quel giorno, era il tramonto;
Terso era il ciel, chete eran l’aure. Un’onda
D’armonie, di fragranze era d’intorno
Ai lucidi giardini. Ai consueti
Raccoglimenti...
Francesca
Ai miei sogni d’amore...
Paolo
Chiusa nel tuo modesto abito bruno
Bellissima venivi. Io muto, ansante.
Fra’ rami occulto dei furtivi aranci,
Seguia col guardo i tuoi passi...
Francesca
I miei passi.
Paolo
Là, presso al tiglio t’assidesti, e....
Francesca
Un libro...
Paolo
Traendo, tutta nei pietosi scritti
Gli occhi e l’alma intendevi. Io m’appressai,
Furtivamente m’appressai: non visto
Mi t’assisi da presso, e l’aria bevvi
Del tuo respiro, e i tuoi palpiti intesi
La prima volta...
Francesca
Oh! dolce istante!
Paolo
Amore
Mi diè coraggio; mi svelai; sul ciglio
Ti spuntava una lagrima. Co’l guardo.
Con l’anima cercai quella pietosa
Storia d’amor.... Su la parola istessa
S’incontrar gli occhi nostri, in un sospiro
Si confuser le nostre anime; il libro...
Francesca
Di man mi cadde...
Paolo
Io lo raccolsi; e chiusa
Qui fra le braccia mie...
Francesca
Fra le tue braccia...
Paolo
«La bocca ti baciai tutto tremante!»
Francesca
O disperato amor!
Paolo
Chi, chi ti tolse
Ai baci miei, chi ti rapi? La gioia,
La speme, il mondo, l’avvenir, la vita
Tutto, colui che ti fu sposo, in terra
Ne tolse.
Francesca
E tutto co’l morir ne diede!
(Voci di demoni, e gemiti di dannati).
SCENA III.
Coro di demoni, Lanciotto, precedenti.
Coro
Spingi, caccia, urta, arrovella
L’alma rubella.
Che, testè fra noi caduta,
Andrà per queste eterne ombre perduta.
Bieca, iraconda in vista
Ecco ella vien. D’intorno
Gli balla, e più l’attrista
De l’oscuro soggiorno,
La ricordanza de la vita orrenda.
Muta, vigil, tremenda,
Con la tagliente force
Siegue Giustizia; al corso
La sprona, e con mortifere
Spire l’avvinghia e attorce,
Siccome angue, il Rimorso.
Spingi, caccia, urta, arrovella
L’alma rubella,
Che dal vizio sedotta.
Viene al giudicio di Minòs tradotta.
Francesca
Un’altra sciagurata anima piomba
In quest’oscuro baratro di morte
Fieramente ululando.
Lanciotto
Ella?.... Fia vero?....
(Resta immobile).
Coro
Come avare formiche
Lungo il tramite, quando
Più al sole ardon le lor chete fatiche,
S’annusano passando
Scevre di preda, e invidiano
Le piccolette miche,
Ch’altri a lor tolse, e adduce
Per opposto sentier con lieta pena,
Così, cadute appena
Da la superna luce
Si scontran l’ombre e piangono
La rapita a’ lor guardi aria terrena.
De la soave e cara
Speme, dei dolci inganni
Cresce vieppiù la rimembranza amara
Quest’immortali affanni
Cinta di liete immagini
Ride la terra avara,
E il ricordo infedele
Muta in dolci venture i casi acerbi
Quindi restiam: si serbi
A lo strazio crudele
Costui che a quella coppia
Mira i silenziosi occhi superbi.
(L’ombra di Lanciotto per avvicinarsi a Francesca).
Francesca
Lanciotto!... o ciel! no, non m’inganno...
Paolo
O fiera
Vista! (Coprendosi la faccia).
Francesca
Fuggiam!
Lanciotto (Fra sè).
Quanto mutata!
Francesca
Il guardo
Pietosamente in me figge, e parole
Mormora di pietà.
Paolo
Lascialo!
Lanciotto (Accorgendosi del fratello).
Insieme
Ancor!
Francesca (Muovendogli incontro).
No, non partir; parlami, ascolta
La prece mia, non mi fuggir! men rea
Son che tu credi; dei miei falli ammenda,
Più che il tuo ferro, il cielo ha fatto! ah! dimmi:
Placato sei? n’hai perdonato?...
Coro
Ei muto
Resta qual sasso, e gli balenan gli occhi
Cupi lampi di sdegno e di vendetta.
Spingi, caccia, urta, arrovella
L’alma rubella,
Che dal vizio sedotta,
Viene al giudizio di Minòs tradotta.
Francesca
Deh! fermativi ancor; pietà! Ch’io senta
La voce sua! N’hai perdonato?
Lanciotto
A Dio
Il perdono domanda: il mio perdono
Con l’amor mio morì
Francesca
Miseri! eterne
Dunque ne l’alma tua fiamme ha lo sdegno?
Etema ruggirà sui nostri capi
L’ira che bevve il sangue nostro?
Lanciotto
Eterna?
E pena ha tal l’eternità che possa
Al delitto adeguarsi?
Ove, ove sei
Tu che al mio cor tutto rapisti? Il fronte
Leva, sostieni il guardo mio; di Cristo
Il giudicio io precorro: io sono il vero
Giudice vostro!
Paolo
Il tuo brando già fece
Di noi giudicio! E inulto ancor ti chiami?
La tua vendetta è nel mio cor! Costei
Che prima, eterna, unica amai, che fatta
Felice avrei, che nata era ad amarmi,
Nata a intrecciar coi miei giorni i suoi giorni
Felicissimi in terra, ecco tu vedi
Per tua cagion, più che per mia, travolta
Nel fato mio: consorte al dolor solo
A la colpa non già, costei tu vedi...
E altra pena a me cerchi? Oh! ma a te noto
Amor non è; non ti fu mai!
Lanciotto
Gli audaci
Sensi e gli accenti e il millantar superbo
Ascoltar deggio ancor? Perfidi! io sento
Così de la mortale ira avvamparsi
Le furie in me; così mi avventa al petto
Fiamme gelose il furor mio, che mille
Ben mille volte io ti vorrei ridesto
A la vita mortal, perch’io potessi
Mille volte sfamar dentro il tuo sangue
Quest’acre, ardente, insaziata, immensa
Vendetta mia, che a la mia vita insieme
Spenta non s’è, ma al par s’è fatta etema!
Francesca
Deh! vi placate, alme infelici! Abbiamo
Tanto sofferto, e soffrirem pur tanto!
Abbiamo noi, più che nou abbia il cielo.
Di noi pietà! del suo perdon la via
Forse il nostro perdon fia che ne schiuda.
Lanciotto
Perdon dal Cielo io non imploro, e questi
Vili dèmoni io spregio...
Coro
O abbominoso
Sopra a tutti i mortali!
Lanciotto
Il ciel l’ho perso
In te, perfida donna, e d’ogni pena,
D’ogni supplizio è l’odio mio maggiore!
(Via tra i demoni).
Coro
Tanto dunque profonde, immortali
Mette l’odio radici nel petto
Di voi tristi, protervi mortali?
Maledetto, maledetto.
Maledetto l’amor, che è la fonte
D’ogni turpe, malefico affetto!
Con le rose, con gli astri a la fronte
Passa il ciel, varca il mare, e sorride
Ora al cielo, ora al mare, ora al monte;
Or tra’ sogni, or tra gli odi s’asside.
Fiero e saldo, volubile e fiacco.
Belve ed uomini e numi conquide;
Ed incerto fra l’angelo e il ciacco,
Or nel bacio di sozze megère
L’orgie canta di Cipri e di Bacco,
Or sul dorso di vote chimere,
Tramutato in un tisico iddio.
Scorda il mondo, ed ambisce alle sfere.
Noi felici, cui morbo sì rio
Non invade, non agita il petto;
Che alla possa in noi pari è il desio.
Maledetto, maledetto,
Maledetto l’amor, ch’è la brama
D’ogni turpe e malefico obietto;
Qui non s’ama, non s’ama, non s’ama!
(Un raggio di luce illumina a poco a poco la scena).
Francesca
Veggio, parmi, un chiaror novo.
Paolo
L’offesa
Pupilla abbarbagliata il soffre appena.
Francesca
Ecco, l’aria s’accheta; una tranquilla
Serenità spandesi intorno... O raggio
Vivissimo del cielo, o luce, o santa
Luce, che nei sorgenti astri notturni
E ne l’albe adorai, luce, che tutti
I miei sogni sapesti e i miei dolori,
Luce degli occhi- miei, qual mi ti rende
Nova grazia quaggiù?
Paolo
Raggio di Dio,
Ch’io prima vidi ed adorai negli occhi
De l’amata mia donna, oh! come allora
Vesti siccome allor del tuo sorriso
I grandi occhi di lei; dammi ch’io veggia
Costei, che al petto amaramente io serro,
Chiusa nel vel de la tua luce amica,
E in lei quest’infelice alma disseti
Che disiosa de la luce è tanto!
Francesca
Taci! ascolto una voce; un’armonia
Non sentita finora al cor mi scende.
Una Voce dal cielo
O de l’ira di Dio ministri, udite,
Udite e voi spirti infelici. Al fine
Del dovuto supplicio oggi s’appressa
Un’anima dolente. Al cielo assunta.
Per decreto di Dio, sarà tra poco
D’Arimino la donna.
Francesca
Un’alma ha detto
Solo un’anima?... E lui?...
Paolo
Sparito è il raggio.
Muta è la voce; io son felice!
Francesca
Io tremo.
(Cade il sipario).