Capitolo XIV

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XIII XV
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XIV.

Era la vigilia delle nozze di Maria.

La facciata e le stanze della casetta erano state imbiancate e messe a nuovo. Nella cucina le masserizie splendevano, accuratamente pulite; le casseruole sembravano d’oro e i coperchi d’argento, così almeno affermava zia Luisa.

Anche la balaustrata della scala e del poggiuolo, strofinata con cenere ed olio, luccicava al riflesso del tiepido sole di febbraio.

Dopo le ultime pioggie, il tempo s’era raddolcito; si sentiva già la primavera, e nel cortile e nella casetta gaia degli sposi l’aria pareva ancor più tiepida, piena di carezze e di promesse.

Nel focolare e sui fornelli le caffettiere grillavano, nelle stanze superiori della casa spandevasi un forte profumo di dolci e di liquori; sui tavolini, sui letti, sulle sedie, su tutti i mobili stavano [p. 193 modifica]grandi vassoi contenenti torte dai vivi colori e gattòs, specie di piccole costruzioni moresche di mandorle e miele.

Nel cortile e nelle stanze terrene era un continuo via vai di gente: ogni momento il portone s’apriva per lasciar entrare donne in costume, attillate, che recavano sul capo torte e gattòs, e sopratutto corbe (còrbulas) d’asfodelo ricolme di frumento, dal cui oro polveroso emergevano bottiglie di vino rosso e giallo turate con mazzolini di fiori.

Questi presenti venivano mandati agli sposi dai parenti, dagli amici e dai servi dei Noina e dei Rosana.

Sabina prendeva garbatamente i vassoi e le corbe, e mentre un’altra parente dei Noina conduceva le donne in una stanza dove venivano serviti dolci e liquori, ella entrava nella dispensa e vuotava il grano, riponeva le torte, e nei recipienti da restituirsi ai donatori metteva un bel pezzo di carne bovina, un cuore di pasta dolce e di mandorle ed altri pasticcini in forma di uccelli, di fiori, di triangoli.

Una ragazza dai capelli rossi, seduta davanti ad un tavolo ingombro di pezzi di carne e di mazzolini di fiori, scriveva su una striscia di carta i nomi dei donatori.

Sabina entrava, dettava, vuotava il frumento ed il vino:

— Zia Maria Rosana una torta di mandorle.

— Il signor Antonio Maria Zoncheddu un presente di grano. [p. 194 modifica]

— Donna Grazia Casula un presente di grano e un gattò... presto, scrivi svelta, Caderinè; sembri una gatta morta.

Caderinedda scriveva con calma e non rispondeva; ma appena si trovava sola balzava di qua e di là, rubacchiava quanti più dolci poteva e se ne riempiva le tasche, il seno, le calze...

Maria in quei giorni aveva l’obbligo, per lei intollerabile, di non far niente: tutta vestita a nuovo, con una camicia bianca come la neve, un fazzoletto a fiorami, e un cordoncino nero intorno al collo, ella se ne stava seduta accanto ad un braciere colmo di brage e chiacchierava con le parenti dello sposo.

Le donne che recavano i doni lo stringevano la mano, si curvavano su lei augurandole «tanti punti di buona fortuna quanti chicchi di grano le portavano» poi andavano a bere il caffè.

Maria ringraziava con sussiego, dicendo fra sè che non tutti gli auguri erano sinceri; zia Luisa invece riceveva le donne con affabilità aristocratica, costringendole a servirsi abbondantemente di dolci, caffè e liquori.

Maria disapprovava questo «fare splendido» della madre: anzi a un certo momento attirò zia Luisa nella camera attigua e le disse:

— Ma lasciate che prendano quel che vogliono e non vuotate il vassoio nel loro grembiale!

— Lascia fare, figlia, — disse zia Luisa, accomodandosi la benda intorno al capo. — Questi son giorni rari nella vita: bisogna festeggiarli... [p. 195 modifica]

Non aggiunse che giusto in quei giorni occorreva «mostrarsi splendidi» per far capire alla gente che la famiglia Noina era ricca; ma la sposa lo indovinò e non insistè.

— Maria, — chiamò una graziosa fanciulla, cugina del fidanzato.

Maria le andò incontro e le strinse la mano; poi l’accompagnò fino alla scala, la seguì con gli occhi e la vide fermarsi a chiacchierare con Sabina.

— Sei lieta, Sabina, — disse la fanciulla.

— Sicuro che son lieta, — l’altra rispose.

— Eh, domani verrà anche Pietro Benu.

— Lascialo che venga, — disse Sabina con finta indifferenza.

— Non ti fa piacere che venga?

— Venga o no, per me è la stessa cosa!

— Come sei furba, Sabì! Come sai fingere bene...

Sabina sorrise, poi andò incontro ad un’altra donna, prese la córbula, entrò nella dispensa. Un’ombra le oscurò il viso. Pietro sarebbe venuto? Perchè? Che voleva?

— Ah, — pensava Sabina, — vorrò ben vederlo!

Pietà, paura, rancore e speranza la animavano. Ella non osava confessare a sè stessa che, dopo il fidanzamento di Maria, la speranza e la pietà avevano di nuovo acceso in lei la fiamma di un amore pronto al perdono ed all’oblio.

Per un tacito accordo il nome di Pietro non era più stato pronunziato fra lei e Maria; e [p. 196 modifica]Sabina scusava la ricca cugina per il suo breve errore, e perdonava perchè sperava.

Ora egli tornava. Da mesi Sabina non l’aveva più riveduto. La notizia della sua visita ai padroni, nel giorno delle nozze di Maria, la inquietava, ma in fondo al cuore le ridestava una vaga speranza. Ella sarebbe stata là, pronta a guardarlo con occhi pietosi; forse egli sarebbe ritornato a lei.

Con questi pensieri per la mente ella continuò fino a tarda sera a raccogliere i presenti; le toccava anche di segnarli perchè la ragazzetta, sazia e imbottita di dolci, aveva abbandonato il suo posto.

Verso l’imbrunire giunse il fidanzato. Sbarbato, attillato, con le scarpette che scricchiolavano, i calzoni bianchissimi, Francesco sembrava quasi bello: i suoi occhi splendevano di gioia e di desiderio.

Ma la sposa era alquanto turbata e lo accolse quasi con freddezza.

La notizia della visita di Pietro l’inquietava e la rattristava. Che voleva, che veniva a fare il disgraziato?

Dopo la sera della sua scarcerazione Pietro non era più tornato. Con sua grande meraviglia Maria aveva un giorno ricevuto, per mezzo del bettoliere toscano, una lettera, con la quale Pietro la supplicava di dargli un convegno.

«Tutte le sere, alle undici, io passerò davanti al tuo portone; aprimi, se hai ancora un cuore di donna». [p. 197 modifica]

Ella non aveva risposto, non aveva aperto: egli non s’era più lasciato vedere. Che veniva ora a fare? Che voleva? Si era rassegnato, o coltivava progetti di vendetta?

— Forse, — pensava Maria, — forse era meglio lasciarmi vedere, convincerlo, domandargli scusa... D’altronde, se egli avesse voluto vendicarsi avrebbe potuto farlo prima. Forse domani neppure verrà: sarà stato uno scherzo di Tatana a Sabina.

Ma intanto aveva paura e suo malgrado un pensiero poco pietoso le attraversava la mente:

— Ah, non potevano tenerlo dentro ancora un po’? Come c’è stato tre mesi poteva starci quattro. Non per desiderargli del male... ma per la pace di tutti... Se usciva di carcere dopo le mie nozze, forse si sarebbe rassegnato più facilmente.

Ecco, quattro mesi di lontananza avevano finito di smorzare il fuoco indegno che le aveva acceso disgraziatamente il cuore. Non amava Francesco, ma le pareva d’aver dimenticato Pietro: il suo cuore, guarito dal terribile male dell’amore, sonnecchiava con dolcezza, come un convalescente.

— No, — ella diceva a sè stessa, — non devo aver paura. Pietro non è capace di fare del male. Io, meglio d’ogni altro, lo so.

Mille piccole cure, d’altronde, la occupavano e la distraevano. Dopo lunghe discussioni, ella e Francesco avevano deciso di restare presso la famiglia di lei: in tal modo la casa dello sposo, affittata, poteva rendere un centinaio di scudi, e Maria, [p. 198 modifica]restando presso i parenti, avrebbe goduto meglio la sua felicità. C’era l’utile e il dolce.

Francesco finì con l’accettare.

La camera di Maria fu rimessa a nuovo, tinta d’azzurro e di rosa; il letto nuziale, fatto venire da Sassari, le sedie, i quadri, lo specchio, formarono la meraviglia di tutto il vicinato.

Per mesi e mesi non si parlò d’altro.

Del resto la fama della camera e del corredo di Maria varcò i confini del misero vicinato; destò persino l’invidia e le critiche dei borghesi, tanto più che le cose venivano esagerate: si diceva che la sposa di Francesco Rosana avrebbe indossato il costume delle dame paesane, cioè gonna di panno ricamata in oro, e corsetto con bottoni d’oro; e che si sarebbe messo i guanti e su junchillo, catena d’oro con orologio.

Tutto ciò era falso; ma queste dicerie lusingavano Maria. Ella viveva di queste piccole vanità.

La mattina delle nozze ella si alzò più presto del solito e si lavò tutta, chiudendo forte la bocca per non inghiottire qualche goccia d’acqua, poichè doveva comunicarsi durante la cerimonia nuziale; poi si vestì, e calzò un paio di stivaletti lucidi, che le strinsero un po’ i piedi, ma glieli resero piccoli ed eleganti. [p. 199 modifica]

Per qualche momento ella stette a guardarseli con compiacenza infantile, poi chiamò Sabina e sollevò alquanto le sottane.

— Quanta come sono bellini i miei piedi. — le disse, con la sua solita voce un po’ ironica.

Sabina spalancò la finestra e si volse pensierosa a guardar la cugina. La luce di una limpida giornata inondò la grande camera rosea; i paesaggi incrostati di madreperla, dipinti sulla testiera del magnifico letto, si tinsero d’un riflesso d’aurora. Nel cortile garrivano le rondini, i galli cantavano ancora. Tutto annunziava pace e letizia.

Nella camera attigua zio Nicola sbadigliava rumorosamente. E già qualcuno picchiava al portone.

— Presto, puliamo la camera, — disse Sabina, già rimettendo in ordine ogni cosa. — È una bellissima giornata. Buon augurio.

— Senti come scricchiolano, — riprese la sposa, intenta ai suoi stivaletti. — Sembrano le scarpe di Francesco. Come sono strette, però! La gente mormorerà, vedendomi calzata con stivalini lucidi! Che ne pensi?

Sabina sorrise, un po’ sdegnosa. Possibile che Maria non avesse altre preoccupazioni, quella mattina? Perchè era così leggera? Beata lei che poteva dimenticare, e vivere di piccolezze!

Ma no; ad un tratto il bel viso calmo e sorridente della sposa si annuvolò, i suoi occhi diventarono quasi tristi. Sabina la guardò e le chiese con ironia:

— Ti fanno male i piedi? [p. 200 modifica]

— No, ma pensavo...

— A che pensavi? Tira un po' la coperta, così: ecco il cuscino. Non s’è visto mai un più bel letto di sposi.

— Pensavo... Francesco vuol condurmi al suo ovile, in primavera. Resteremo là una quindicina di giorni. Verrai tu a tener compagnia a mia madre?

— Vedremo. Levati di lì, chè spruzzo d’acqua il pavimento. Presto, presto: levati di lì. Usciu, usciu... 1.

Sabina spazzò e Maria passò nella camera attigua. Zio Nicola intanto s'era alzato, aveva indossato il costume delle feste, e già andava e veniva, attraverso il cortile e la cucina strascinardo il suo bastone, e dando ordini e contrordini che non venivano eseguiti. In cucina zia Luisa, più impassibile e solenne del solito, chiacchierava con qualche donnicciola del vicinato.

— Che meraviglia di presenti, zia Luisa — le dicevano queste vicine, adulandola: — non s’è mai visto una cosa simile. Ma che «trattamento» il vostro, anche! Siete veramente splendidi.

— Eh, queste occasioni capitano raramente, nella vita. Eppoi, quando la roba c’è, perchè mostrarsi avari? Grazie a Dio la roba c’è.

— Ah, certo, Dio ve la benedica.

Rimesse in ordine le camere, Maria e Sabina scesero in cucina, inseguendosi per le scale e [p. 201 modifica]ridendo come bambine. Le vicine ammirarono subito i piedi della sposa.

— Sembrano due penne da scrivere, tanto sono piccini, — dissero chinandosi per veder meglio.

Sabina offrìscherzando a Maria una tazza di caffè e latte.

— Non lo vuoi? Allora lo bevo io.

E siccome Maria sbadigliava, una vicina le disse maliziosamente:

— Va là, stanotte non digiunerai.

Ella arrossì e scappò via. Ritornò nella sua camera e cominciò a preparare le vesti da sposa. Intanto zio Nicola e un fratello di zia Luisa erano andati a prendere lo sposo per condurlo in casa della fidanzata.

Le sorelle di Francesco, che dovevano abbigliare Maria, non tardarono a giungere, e benchè fossero vestite da spose, con ricche tunicas2 pesanti e cinture e corsetti strettissimi, e con le mani coperte di anelli, compirono il loro obbligo.

Ritta davanti allo specchio, Maria non rifiniva di guardarsi, girandosi e rigirandosi, torcendo il collo per vedersi le spalle; ma la luce dello specchio era falsa, rendeva l’immagine rimpicciolita e irregolare, e la sposa non poteva capacitarsi di tutta la sua bellezza ed eleganza.

Ma più che lo specchio, ne la persuase lo sposo quando, entrando all’improvviso, si fermò a guardarla con occhi scintillanti. [p. 202 modifica]

— Come sei bella! — esclamò.

Vestita da sposa, coi fianchi prominenti, la vita fortemente stretta da una cintura d’oro, e il busto ben disegnato dal corsetto di raso bianco ricamato, Maria era di una bellezza classica: la benda bianchissima che lasciava trasparire il colore roseo della cuffietta, e non nascondeva i lunghi pendenti di corallo, le circondava il viso come di un’aureola lunare.

Solo un’altra volta Francesco l’aveva veduta altrettanto bella, sebbene d’una diversa bellezza: la notte di Gonare.

E glielo disse, avvicinandosele, carezzevole, e aggiustandole con mani un po’ tremanti il nastro del ricco grembiale.

— Che matto! — ella rispose, dandogli un colpettino sulla mano, con la medaglia d’oro del suo rosario di madreperla.

— Andiamo, — disse la sorella di Francesco. — Scherzerete dopo.

Ma egli cinse la vita di Maria, e volle baciarla.

— Ah, — ella disse, svincolandosi — Tu vuoi dunque comunicarti in peccato mortale?

— Se i baci son peccati, quanti ne faremo!

Ella s’avviò: un’ombra le oscurò nuovamente il viso: il ricordo dei baci di Pietro le attraversava la mente. Ma subito altre cure la richiamarono alla realtà, e il sorriso della sposa felice tornò a illuminarle gli occhi. Il corteo nuziale fu ordinato da zia Luisa. [p. 203 modifica]

— Prima voi, — ella disse, consegnando ad un bambino e ad una bambina in costume due ceri adorni di nastri azzurri.

— Avanti, camminate, come due sposini; e non litigate, eh!

Seguiva la sposa fra le due cognate, poi Francesco fra zio Nicola e il fratello di zia Luisa. Seguivano altri parenti ed amici; niente donne.

Zia Luisa, ferma sul portone, guardò allontanarsi il corteo, poi rientrò in cucina, e col lembo della benda si asciugò una lagrima.

Nelle straducole che le vicine avevano accuratamente spazzato per la circostanza, le donnicciuole, i bimbi, le galline, i cani e i gatti fecero ala al corteo: ma nelle altre vie poco animate la gente arrivava in ritardo per godersi lo spettacolo.

Suo malgrado Maria si turbava sempre più: non vedeva, non sentiva; le gambe le tremavano e il cuore le saltava in gola. Ecco, aveva voglia di piangere e di ridere nello stesso tempo. Pensava che fra un’ora avrebbe ripercorso quelle vie, non più libera, non più fanciulla, ma legata eternamente ad un uomo che non amava. Eppure non si sentiva infelice; ma un arcano sentimento di paura le faceva battere il cuore.

E inoltre temeva di veder da un momento all’altro ricomparire la figura minacciosa e dolente di Pietro Benu. Ma il corteo arrivò felicemente in chiesa, e la sposa si rasserenò. Le parve che la pace silenziosa delle grigie arcate si riflettesse [p. 204 modifica]nell’anima sua: sì, tutto oramai era finito; non c’era più niente da temere; il passato era morto.

Dai finestroni della chiesa deserta pioveva qualche chiazza di sole sulle panche polverose; s’udivano gli uccelli garrire nell’aria tiepida e pura.

Maria e Francesco s’inginocchiarono sui gradini dell’altare, sotto gli sguardi severi d’un Padre Eterno dipinto sulla volta: un Padre Eterno che pareva un vecchio pastore sardo, circondato di nuvole verdiccie. Maria si raccolse, pregò, promise a Dio d’essere una buona moglie; disse il con voce ferma e forte, e solo quando furono usciti di chiesa osò guardare lo sposo.

Sua, per tutta la vita. Il suo nome non era più Maria Noina, era Maria Rosana. Amen.

Quasi felice, camminò a fianco dello sposo che non cessava di guardarla.

— Parla, Maria, — egli le diceva dolcemente. — Dimmi qualche cosa, sorridi; vedi, tutti ci guardano...

Ella sorrise e rispose:

— Non so cosa dire: sono tutta turbata.

La gente, intanto, sapendo che doveva ripassare il corteo, s'affacciava alle finestre, alle porte, usciva nelle vie. Una torma di monelli circondò gli sposi. E all’uscita dal Municipio cominciò per questi e per il loro seguito uno strano tormento.

Dalle finestre e dalle porte pioveva su loro una fitta gragnuola di frumento, di confetti, di fiori; e ciò non bastando le donne scaraventavano davanti alla sposa qualche piatto che si frantumava con [p. 205 modifica]fracasso. Quest’atto, che ha un significalo, e non si compie davanti alle spose vedove o non vergini, faceva arrossire Maria e sorridere Francesco.

Nelle straducole del vicinato dei Noina, la pioggia di grano e il fracasso dei piatti diventarono insopportabili; grida di donne e di fanciulli risuonarono:

— Buona fortuna! Buona fortuna!

Zia Luisa attendeva davanti al portone; appena vide gli sposi cominciò a piangere, e piangendo li abbracciò e li baciò.

Anche lungo la guancia di Maria scese una lagrima; il lembo della benda l’assorbì lentamente, e la piccola macchia non era peranco asciugata che la sposa sorrideva di nuovo.

  1. Voce per allontanare le galline.
  2. Gonne.