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grandi vassoi contenenti torte dai vivi colori e gattòs, specie di piccole costruzioni moresche di mandorle e miele.

Nel cortile e nelle stanze terrene era un continuo via vai di gente: ogni momento il portone s’apriva per lasciar entrare donne in costume, attillate, che recavano sul capo torte e gattòs, e sopratutto corbe (còrbulas) d’asfodelo ricolme di frumento, dal cui oro polveroso emergevano bottiglie di vino rosso e giallo turate con mazzolini di fiori.

Questi presenti venivano mandati agli sposi dai parenti, dagli amici e dai servi dei Noina e dei Rosana.

Sabina prendeva garbatamente i vassoi e le corbe, e mentre un’altra parente dei Noina conduceva le donne in una stanza dove venivano serviti dolci e liquori, ella entrava nella dispensa e vuotava il grano, riponeva le torte, e nei recipienti da restituirsi ai donatori metteva un bel pezzo di carne bovina, un cuore di pasta dolce e di mandorle ed altri pasticcini in forma di uccelli, di fiori, di triangoli.

Una ragazza dai capelli rossi, seduta davanti ad un tavolo ingombro di pezzi di carne e di mazzolini di fiori, scriveva su una striscia di carta i nomi dei donatori.

Sabina entrava, dettava, vuotava il frumento ed il vino:

— Zia Maria Rosana una torta di mandorle.

— Il signor Antonio Maria Zoncheddu un presente di grano.