La umanità del figliuolo di Dio/Libro ottavo
Questo testo è incompleto. |
◄ | Libro settimo | Libro nono | ► |
LIBRO OTTAVO
1
La generosa Fama, piú che mai
vaga di rimbombar fin a l’inferno
le molte opre immortali di chi ornai
va bere il suco del voler paterno,
spiega ben mille suoi pennuti rai,
scorrendo il mondo tutto; ne si interno
né lido è si riposto od antro o tomba
che non vi s’oda il grido di sua tromba.
2
Ma perché altrui maggior fa per costume
col suon, cui non risponde poi l’effetto,
avendo essa col numer de le piume
di lingue, mani ed occhi egual ricetto,
non però di Iesú montar presume
col rumor di sua lode a l’alto oggetto,
ché con tremille bocche non ha dove
dir possa in parte l’onorate prove.
3
Trascorre dunque a volo il grande augello
e piove d’alto audaci lingue e sciolte;
si parla, e s’ode che ’1 rinchiuso avello,
dove di Lazar Tossa eran sepolte,
ad un sol grido del celeste agnello
s’aperse in vista di brigate molte,
veduto de l’ossame a loro innante
drizzarsi un uomo vivo in su le piante.
4
Né pur drizzossi, ma con vivi detti
usò ringraziar chi a vita il rese,
e che tal cosa grandi e pargoletti
correan mirar, posposte loro imprese,
ed in Betania piú di mille petti,
che l’abbracciáro, nuovo amor incese,
si che a parecchi segni manifesto
fu ch’era inver dal mortai sonno desto.
5
Cosi la Messaggera sona e porta
l’accesa fiamma di tant’opre buone.
Salta ciascun eletto e si conforta
venire ornai chi ’l popol suo sprigione,
chi, la giá cotant’anni chiusa porta
schiudendo, tolga il regno al fier Plutone.
Sol sta de’ farisei l’odio, l’intento,
qual sasso a l’onda, qual vecchi’ olmo al vento.
6
Dura sentenzia per lor sozza vita
gli avea da la ragion si allontanati,
ch’a’ lumi vista, ch’a l’orecchie udita,
ch’ai core han morti i sensi ed indurati;
né Tesifòn, con le sorelle uscita
del doloroso abisso de’ dannati,
cessa lanciar tant’aspidi e ceraste,
c’han giá lor trecce lacerate e guaste.
7
Fanno conciglio nel gran tempio; e dove
dir lode a Dio conviensi ed adorarlo,
anciderlo si trama: tanto ’i move
d’invidia il sempre lor mordente tarlo!
E ’n ricompenso di si degne prove,
d’opre si nuove, cercan lapidarlo;
e ben sapranlo far, ché le pareti
son tinte ancor del sangue de’ profeti.
8
Ma ’1 padre d’ogni mal però noi prebe
lor tanto ardir, ch’ardiscan farlo ancora;
perciò che rumor grande ne la plebe
sollevar si potrebbe in poco d’ora.
Ricopron l’odio adunque, il qual non ebe,
non scema piú, eh’ è chiuso, e non vapora,
ma piglierá piú forza, qual costume
ha pressa fiamma o sostentato fiume.
9
Dicean fra loro: — E che dobbiam far noi
di cotest’uom, cui tanti segni e tanti
escon palesi, e piú n’usciran poi?
Donde le genti e popoli, ch’inanti
li costui fatti e de’ seguaci suoi,
eran ad util nostro tutti quanti,
corrongli dietro, e per Figliuol di Dio
l’han divolgato, e noi messi ’n oblio?
10
Se non si occorre con astuccia ed arte
o pur con forza, noi cadremo al fondo,
però che tutto ’l regno, non che parte,
move a seguirlo; e piú ch’egli (secondo
ch’a voglia sua dischiuder sa le carte)
si fa colui che giudicar dé’ il mondo
(né tiensi a dicer questo il dito a labro:
tant’è superbo un nato di vii faDro!),
11
dubbio non è che, di Giudea gelosi,
gli empi romani, udendo ch’esso audace
sollevator di plebe con dolosi
suoi parlamenti fassila seguace,
come schivi che sono e sospettosi,
verranno ad inquetar la nostra pace;
ond’anco converrá portiam la soma
d’ Egitto e Babilonia dentro a Roma. —
12
A questo alzò la baldanzosa fronte
quel che fu allor pontefice de l’anno:
— Non è — disse — fra voi chi si raffronte
al saper dir la via, ch’usciam d’affanno:
le carte, agli altri oscure, a me sol cónte
per l’onorata sedia, detto m’hanno
che, per salvar il popol di sua noia,
fará mistier ch’un uom per lui ne muoia. —
13
Anna, ch’era piú vecchio, afferma il detto,
né fu di lor che poi non congiurasse;
si che la veritá d’un maladetto
non far puotéo che ’n bocca non entrasse,
mirando a la cagione, al grande affetto
di quella dignitá quant’ importasse;
e mentre van cercando a sé piú corta
via di far questo, battesi la porta.
14
La chiusa porta del crudel conciglio
fort’ è percossa e molto risospinta.
Ricadde allor piú d’un superbo ciglio,
piú d’una faccia di pallor fu tinta:
san l’odio contra sé, san lo periglio,
che portan de la plebe a l’arme accinta,
accinta in danno di chi un pel torcesse
al suo profeta, non pur l’uccidesse.
15
Caifa commette al portinar ch’intenda
di quel picchiar si forte la cagione,
ma cauto stia che dentro alcun non prenda,
se fosser piú di cinque o sei persone.
L’usciero, acciò ’l commando non trascenda,
l’orecchia e l’occhio a la fessura pone;
dove comprende un solo, ma non vede
quanti demòn tengon quel corpo in piede.
16
Albergo di demòn, quel corpo exangue
ha mani, bocca ed occhi, orecchie e naso,
fatt’uscio e varco a mille, non ch’un, angue
che l’han di divin tempio fatto un vaso
d’eterni guai, dove lo spirto langue
tra’ roncigli d’Alchin, di Satanaso.
Ingrato Giuda, quanto fora stato
meglio per te giamai non esser nato !
»7
Torna quel servo, e parla ch’un seguace
di quel tant’uomo eh’ è contrario loro,
voria (se d’ascoltarlo non gli spiace)
dir cose d’importanzia in consistoro.
Ciascuno in ciò si meraviglia e tace,
finché da vespe l’agitato toro
vien loro avanti e men la fronte piega
di putta vecchia e rofiana strega.
18
— S’io vi do in preda — disse — il mio Maestro,
quanto di premio n’asseguisco poi? —
In questo dir le parche in un capestro
cominciano a tramar gli stami suoi.
Al qual risposer presti: — Se ben destro,
se ben occulto fai cotesto, noi
trenta danar d’argento t’assignamo,
ch’avrai tantosto che da te l’abbiamo. —
>9
Non piú v’indugia il re de’ traditori:
esce da l’empia e lorda sinagoga;
dovunque passa le viv’erbe e fiori
col mortai tosco di sue piante affoga,
finché pervenne ove con l’ altre sori
Cloto l’aspetta e la tessuta soga
con secretezza tal gl’ impose al collo,
ch’ei non s’accorse finché diede il crollo.
20
Girava di Betania pel contorno
quasi certamente il sommo Verbo,
attendendo Tomai propinquo giorno,
che ber dovea del Padre il melle acerbo
e, qual vitello ch’or produce il corno,
darsi allo stol de’ lupi, che superbo
tutto lo rompa, spezzi, strugga e spolpe,
per sue non giá, ma si per nostre colpe.
21
Di Madalena il frate è sempre seco,
puoc’anzi dal sepolcro in piede sorto.
Alcun de’ farisei si ’l guarda in bieco
e cercalo tornar, com’era, morto.
Evvi quel ch’or vi vede, il nato cieco,
e chi fu pria lebroso, e chi fu torto,
l’adultera giá casta, e quel pigmeo
ch’ascese il sicomor, dico Zacheo.
22
Nasi, occhi, orecchie, gole, gambe, mani
son mille mille, che fór manchi, or fermi:
d’idropisie, catarri, umori insani,
fianchi, stomachi, febri, scabbie, vermi,
con petrose vesiche ed altri strani
ed infiniti morbi, inferme, infermi,
giá sani, ovunque va, seguendo il vanno
per levar anco de’ suoi falli il danno.
23
Non vengan giá per oltraggiarlo un pelo,
nonché per porlo in croce, Caifa ed Anna!
Sentiran forse quanto possa il zelo
ch’un popol arma d’altro che di canna,
e vederan cader (non giá dal cielo,
perch’abbia il suo sapor) de’ sassi manna,
che di lor faccian quel che piú fiate
volser far essi al Mar de la bontate!
24
Però lesti, che senza lor schifare
ben puote sempre qual si fosse oltraggio,
vuols’anco senza lor puoter serbare,
si come quel ch’era del Padre ostaggio,
P impromesse a noi fatte su l’altare
di Mosé, e quelle ancora fatte al saggio
Abramo ed al figliolo ed al nipote,
vòlte che sian le destinate rote.
25
Eran pur fra le turbe misti alquanti
de’ sacerdoti, e non so quai d’ Erode;
ma, come arpie, ne’ colombini manti
mostran bei volti e celan brutte code.
Mandano certi sciocchi a lui davanti
per non scoprir la giá tramata frode,
ch’era di farlo a Caifa reo di legge
overo a quel’ roman che ’l fisco regge.
2Ó
Vanno li sempliciotti, e pur di quelli
che dan tutto il giudiccio a creder troppo;
dicon: — Maestro, noi, per esser felli,
gimo a l’orbesca piú che di galoppo;
ma non cosi tu giacche sciogli e svelli
come dottor verace ogn’arto groppo.
Dinne, pregamo, il tuo parer, se dènsi
a Cesar dare o pur negare i censi. —
27
Risponde il sommo Ben senza pensarvi,
come chi sa le menti altrui secrete:
— A che profitto vi esce l’accordarvi
di tentar me, ipocriti che siete?
D’orgoglio magni e di consiglio parvi
voi fosti, siete e sempre mai sarete!
Costá mostrate a me qualche danaro! —
E quelli, udendo ciò, lo gli recáro.
28
Esso, ch’eternalmente non riceve
né passion d’oblio né d’ignoranza,
pur degnasi di cosa tanto lieve
chieder chi è ’1 sovrascritto e la sembianza,
e poi dar lor risposta che si deve
non fare a’ tasse de’ signor mancanza;
ché quanto a Cesar cade, a Cesar caggia;
ma quel che cade a Dio, Cesar non aggia.
29
Quelli, confusi e per sé fatti rei,
tornano ai mastri loro, e stan lontani.
E poco stante alcuni saducei
(gente che toglie a riso i corpi umani
di quanti nacquer mai, nonché d’ebrei,
doversi ravvivar co’ piè, con mani)
gli addomandáro un dubbio per accórlo
nel ragionar: pur lor dignossi esporlo.
30
— Giá fur sette fratelli, i quai, di morte
per cagion sola, successivamente
dal primo a l’ultim’ebber per consorte
una sol donna; e Mosé ci ’l consente.
Or snoda il groppo: allor che ’n su le porte
del ciel verrai per giudicar la gente,
rendendo a noi quest ’ossa e nervi istessi,
quella tal moglie a cui giungerai d’essi? —
31
E questi ancor potean a la risposta
di vergogna morir, se n’era in quelli.
Mostrato a lor che, qual è sotto crosta,
putrido corpo, d’indorati avelli,
cosi lor ignoranzia sta nascosta
nel manto di dottrina, e son si felli,
che solo è l’arte lor di far che sia
creduta esser pietá l’ipocrisia.
32
Donde potean intender che non segni
se non esterni avevan di dottrina,
ma che ’n la scorza, in guisa d’arsi legni,
non ebber suco mai di disciplina;
ché, quando in le Scritture fosser degni
di ben spiar la volontá divina,
non gli verrebbon domandare inanti
cose talor, che sanno ancor gl’infanti!
33
Però che, quando i corpi, rapicciati
con Palme lor beate, andranno in cielo,
degli angeli non men glorificati,
avran si come stella ciascun pelo;
non fie pivi lor mistier che maritati
sian ambo i sessi, ché ’l corporeo velo
sará piú d’un bel vetro trasparente,
duono ch’ai generar è impertinente.
54
Allora i farisei, vedendo sciolto
e sparso il primo ed il secondo laccio,
vengono al terzo, ch’un di lor, piú molto
duro di sasso e freddo piú di ghiaccio,
mandano a lui, come sòl far l’occulto
nemico che dá il colpo e cela il braccio.
Vien esso e dice: — Precettor leale,
dimmi qual sia ’l mandato principale. —
35
Il gran cortese non gli occulta il vero,
ch’almeno, s’ai ferrigni cuor non giova,
giovi a la turba nonch’a Toma e Piero
e gli egri sensi al bene oprar commova:
gli spone ch’amar Dio s’è lo primiero
divin commandamento, e poi gli prova
di questo e d’amar l’uom quanto se stesso,
prender la legge coi profeti appresso.
36
Dir poi d’altro precetto si rimane
oltra ’l divino ed il fraterno zelo,
tra perché gemme al porco e santo al cane
avrebbe dato al trapassar d’un pelo,
tra perché ’l detto era bastevol pane
a pascer i figliuoli del Vangelo,
e, vólto a’ farisei, cosi parlando
aneli ’esso a loro fece un tal domando:
37
— Dite voi, sacerdoti, s’a voi pure
sta sciòr le carte e trarne le medolle:
quel Cristo a voi promesso, acciò vi cure
le lorde piaghe e le durezze ammolle,
over quel buon pastor, che le sozzure
lavi di vostre capre mal satolle,
di chi è figliuol? dite, non stia coverto! —
Risposer: — Di David egli è di certo.
38
— Come ciò? — disse — di David s’aspetta?
non vi rimembra, o de la vigna eredi,
che David canta in spirto e dir s’affretta:
«Disse ’l Signor al mio signore: or sedi
a la man destra mia, fin ch’io ti metta
gli empi aversari tuoi di sotto a’ piedi» ?
Or dunque pare a voi che ’l senso quadre,
ch’ei gli sia servo, e voi gli ’l fate padre? —
39
Non ebber gl’ignoranti ed idioti
quel che ’n risposta si potesse dire,
né s’anco fosser stati Egidi o Scoti,
od altri professor di contradire:
Iesu, che vede lor non men rimoti
dal ver, che presti sempre a sdegni, ad ire,
perch’abbian piú voler di porlo in croce,
vólto a le turbe, alzò cosi la voce:
40
— Su l’onorata catedra di Mòse
oggi seggon gli scribi e farisei:
ma, come che sian l’opre lor ritrose
ai parlamenti assai conformi ai miei,
fate ciò che vi dicon, ma le cose
lor sconce e gli atti d’ ingiusticcia rei
non fatti sian, per quanto avete care
l’alme, se vi cal pur di lor salvare!
4 >
Su l’altrui spalle pongono quei pesi
ch’a dromedari e boi fòran soperchi:
non a le lor, però, sono scortesi,
trovando a le menzogne i lor coperchi :
ciò è che ’l freno a li dottori, accesi
nel predicar, ne l’arguir de’ cerchi,
sia rallentato a far piú lievi cose,
ché lievi appellan essi e men gravose.
42
Quel eh’ è legger vi dicon esser grave,
ed ogni grave incarco fan leggero,
per avariccia intenti che le prave
lor ciance abbian in sé color di vero,
e ’l lume orbato lor da grossa trave
non paia in gli occhi altrui se non sincero:
donde secondo i loro avisi oprate,
ma l’opre d’essi far non v’impacciate.
43
Scritt’han la legge al capo e intorno agl’imi
lembi di que’ lor ampi e ricchi manti;
negli occhi al ciel son istrioni e mimi,
negli occhi al mondo sacerdoti e santi ;
voglion ed aman sempre i seggi primi
come dottori al mezzo d’ignoranti,
ed esser salutati ed esser detti
saggi rabbini e precettori eletti.
44
Ma voi, consorti miei, non vi curate
fir detti bianchi, ancor non siate negri:
come figliuoli a Dio l’un l’altro amate,
né sia fra voi ch’esser maggior s’allegri:
in terra un Mastro, in ciel un Padre abbiate,
ma riputate voi vii servi e pegri :
qualunque altier si leva fie bassato,
e chi va chino e basso fie levato !
45
Guai dunque, o scribi, a voi, e farisei,
fallaci e mentitori di giusticcia,
che di tante mort’alme siete rei,
perché ’l ciel chiude a lor vostr ’ avariccia !
Guai, dico, a voi che miseri trofei
fatt’ha di quelle il re de la maliccia:
vostr ’è la colpa e vostro ancor fia ’1 danno
ch’avete a ripurgar ciò ch’esse fanno!
46
Guai a voi, scribi e farisei malnati,
che pecore di fuor, di dentro lupi,
la carne, Possa, il sangue devorati
di vedovette e d’orfanelli pupi:
cuor aspri che voi siete ed impetrati,
come se fosti nati o ’n selve o ’n rupi!
Che vaivi poi quel vostro orar prolisso,
ch’accrescavi la pena de l’abisso?
47
Guai a voi, scribi e farisei deliri,
che, per far vostro un alieno e strano,
cercate tutto ’l mondo a larghi giri,
ch’ei sia peggior ebreo, s’è mal pagano!
Guai, dunque, a voi che di doppi martiri
Genna gli accresce l’empia vostra mano,
ch’ove denno imparar da’ sacerdoti
esser a Dio, son al demòn devoti!
48
Guai a voi, scribi e farisei bugiardi,
che, come s’ hanno indici manifesti,
voi siete al divin culto pegri e tardi,
a rudi vostro risvegliati e presti:
voi sopra seminate ortiche e cardi
a gigli, rose ed altri fior celesti ;
voi fatto avete al tempio peggior danno,
che mai non fece qual si sia tiranno !
49
Guai a voi, scribi e farisei rapaci,
ch’ai tempio antiponete l’ór del tempio;
voi gli uomini, di mill’error capaci,
piegate al voler vostro e pravo essempio:
quinci gli voti a Dio si fan tanaci
per vostro sol consiglio ingiusto ed empio;
donde ciascun dal debito si torse
per tórre al tempio e dare a vostre borse!
50
Guai a voi, scribi e farisei perversi,
ch’ov’eran mirti, allori, ebèn, ginepri
de le sant’opre, quegli avete immersi
de le prav’opre ne le spine e vepri!
Or, se temete Dio, qui può vedersi,
ché siete paventosi piú di lepri
qualor v’assaglian queste umane spate,
ma di Dio a l’ira fiere scatenate!
5 1
Guai a voi, scribi e farisei ribaldi,
ch’avegna sian a Dio vostr’empie astucce
ingiuriose, piú vi state saldi,
nulla temendo ch’egli si corrucce!
Voi siete a tór de le decime si caldi
di menta, ruta, aneto ed altre erbucce:
ma la pietá dov’è? dov’è la fede?
dov’è l’oprar che ’n legge Dio richiede?
52
Guai a voi, scribi e farisei ritrosi,
di dentro al ben, di fuore al mal rubelli!
Come si vede in vista i gloriosi
soldati ornar d’insegne i bianchi avelli,
ma dentro i corpi puzzano, corrosi
da stomacosi vermi e serpentelli;
cosi voi siete ipocriti e bugiardi,
donde convien che l’ira non piú tardi.
53
Gierusalem, Gierusalem, ch’ancidi
e anciderai chi ’n tuo profitto venne,
tante volte giá volsi nei miei nidi
raccòrre i figli tuoi sotto le penne:
ma, lasso! che durissima ti vidi
ed ostinata contra a chi sostenne,
da poi tanti profeti da te morti,
calar dal cielo, acciò ch’ai ciel ti porti.
54
Però tu se’ quella diletta vigna
(diletta piú, non giá coni ’anzi fosti),
che ’l padre di famiglia per benigna
natura sua piantò per farne mosti:
mosti suavi ove sia chi ti cigna
intorno d’alte siepi e lidi angosti,
ed una de le due belle stagioni
di fiori, e l’altra d’uve ti coroni.
55
Ma gli cultori tuoi per morbidezza
lasciato han ruginir lor falci e zappe:
però de le tue piante ogni vaghezza
contrasse orror di sterpi, ortiche e lappe;
e peggio fu ch’ogni lorda bruttezza
ti fenno i porci sotto umane cappe,
finché, di be’ giardini in duri ed adri
boschi conversa, diesti albergo a’ ladri.
56
Vedendo il tuo Signor fatt’esser strazio
di te, qual di comun selva non Tassi,
piú d’un servo mandò fra breve spazio
agli aratori tuoi vezzosi e grassi;
ma il lor desio, non mai di sangue sazio,
gli armò sempre le man di ferro e sassi,
perché, d’Abel scendendo a Gieremia,
tutti gli ancise infino a Zacaria.
57
Sostenne il Padre mio le lor tant’onte
molti, molt’anni e secoli fin ora:
acciò che dunque ad alto tu sormonte
di tal lordura e ’n te lor colpa muora,
ti manda il proprio figlio giú dal monte
in questa valle, che ti tragga fuora
de gli adultèri tuoi, de le malnate
tue spine tante a la meglior pietate. —
58
Cosi parlando, tuttavia non puote
non mandar fuor per gli occhi alcune stille:
piagne l’Amore umano, e da le gote
movel pietá, che lagrime distille;
poi del bel viso le serene note
ritorna, e con parole piú tranquille
comincia i suoi figliuoli a confortare,
di pensier tempestosi fatti un mare.
59
Fu schietto quel parlar, che ben dovea
rallentar gli odii e farisaiche invidie;
ma si corrotta è lor natura e rea,
si dure ed ostinate lor perfidie,
ch’arrabbiati vanno ove sedea
Caifa con gli altri ad integrar le insidie,
finché ’l lupo tornato fra gli agnelli,
Giuda, dia lo pastore in mano a quelli.
T. Folengo, Opere italiane - n.
16
60
E mentre s’apparecchia il modo e l’ora
di dar travaglio a pace, morte a vita,
ecco ad un tratto veggono di fuora
de la citade uscir gente infinita.
Tal cosa piú lor cruccia, morde, accora
e d’appiccar se stessi piú gl’ invita,
ch’ove con pietre cercan di spezzarlo,
la turba vien con palme ad onorarlo.
ÓI
Eran duo’ degli apostoli con fretta
tornati allor da non so qual castello,
mandati lá per trarne l’asinetta,
cantata giá tant’anni, e l’asinelio,
ch’avesse ad esser la giumenta eletta,
in cui sedesse il mansueto Agnello
per girsi al sacrificcio de la croce,
squarciato e rotto, senza mai dar voce.
62
Tutti, seguendo l’amoroso Piero,
da dosso i propri manti si le varo,
e d’essi a quel ginetto, a quel corsiero
l’arzone e gli altri addobbamenti ornáro.
Montavi sopra il forte cavagliero
per gire a far di sé noni ’alto e chiaro:
va l’ animai né giá calcar si sente
da chi nel pugno ha ’l mondo e la sua gente.
63
Quel giovenetto e tenero polletro,
che ’n sé di gentil popolo tien forma,
correndo a la Giudea sua madre dietro,
non ha segnale ancor di legge e norma:
avrá sol cura di domarlo Pietro,
di Cristo pur, non di Moisé, per l’orma,
e ne verrá si forte, che per soma
si porterá Cartago, Atene e Roma.
64
Lo spirto ch’alto spira, ove gli grada,
turbò si la cita mentre vi arriva
il mansueto Re, ch’ogni contrada
d’uomini, donne e parvoli si priva:
escene un popol contra, e per la strada
chi d’olmo e quercia, chi di palma e oliva
spargon novelle frondi, e piú persone
tengonle in mano e fansene corone.
65
Quelli fanciulli teneri e leggiadri,
co’ ramuscelli in l’una e l’altra spanna,
instrutti e ammaestrati da lor madri,
cantando fan sonare il ciel «osanna!»;
stendono in terra le lor veste i padri,
e qua e lá tutto ’l sentier s’appanna,
ove passa l’Altissimo immortale,
imperador sul piú vii animale.
66
Giá recevuto dentro da le porte
dir non si può con quali e quanti onori ;
né picciol è né grande che non porte
o ramo in mano o sparga foglie o fiori.
Sol de l’invidia la vivace morte
di scribi e farisei tormenta i cuori,
ove ricevon tanti dardi e chiodi
quante sentono a Cristo dicer lodi.
67
Ma né per questo il Redentor reale
contenne il zelo di sua nobil stanza;
trovavi dentro il volgo bestiale
ridotto aver non so che brutta usanza
di traficar lor mercatura, quale
si vede anch’oggi far con arroganza
del popol cristian, c’ha qui l’essempio
di quanto importa il mercantar nel tempio.
68
— Dormite, o voi pastori, e non v’ incaglia
d’aver nome venale e mercenaro,
ch’ornai sia giusto vender fieno e paglia
ove gli antichi in spirito adoráro?
Qual maggior fallo, dite, il vostro eguaglia,
che sopportate al volgo temeraro
far l’alma chiesa, ove adorar gli padri,
piazza di mercator, speco di ladri? —
69
Ché se ’l Fonte, se ’l Mar de l’amorosa
benignitá non puote non turbarsi
veder nel tempio suo piú d’una cosa
in guisa di mercato a prezzo darsi,
e la noiosa, tolte alcune corde,
turba cacciò, lasciando sconci e sparsi
banchi, mense, colombe, agnelli e molte
vivande quivi al sacrificcio accolte,
70
or chiaverebbe fatto, se veduto
un Lanzano vi avesse o Riccanata?
anzi s’un laido stormo e dissoluto
di putte, d’ ubriachi far danzata?
Cosi va il tempio, ed Eli stassi muto,
e non attende a la divina spata,
né punto si rimembra che i potenti
potentemente sosterran tormenti !
71
Cosi lesu con un terribil sguardo
e col flagello il tempio avea sgombrato.
Non uomo fu si altier, non si gagliardo,
che noi temesse austero e non irato:
provò la sferza chi al campar fu tardo,
e guai a lui se fossesi voltato,
ch’ove del Padre suo travien l’onore,
fassi sentire in zel, non in furore!
72
Ed ecco, di sue prove al suono indutti,
molt’uomini traean un muto e sordo,
che, pien di neri spirti, orrendi e brutti,
sté ’nanzi al Salvatore, il quale, ingordo
di parimente ristorar noi tutti,
presto ch’ai vischio suo quest’altro tordo
vid’esser appaniato, a mano il prese,
giá tutto di villan fatto cortese.
73
Perché de la sua man celeste al tatto
caccia gli spirti ed il parlar gli rende,
ciascun del volgo, a tante prove, matto
vien di stupor; ma ’l fariseo ne frende,
ma rugge in guisa d’orso ch’abbia tratto
da l’ape il muso enfiato, e piú s’incende
di pessimo livor, piú ch’ognor vede
aver tal fama il suo nemico in piede.
74
Non puote Aletto in lor tenersi a freno,
che ad alta voce con bavose canne
fuor non gittasse l’ invido veneno
e digrignasse l’incurvate sanne:
dicon gli ontosi porci che ’l sereno
angelico Dottor, da le cui spanne
l’ottavo cerchio gli altri sette abbraccia,
in Belzebú gli neri spirti caccia.
75
Tal scortesia (che s ’altra fu maggiore
giamai non so né di piú duro morso),
cheto portò d’ogni bontá l’Autore,
fatt’agno ove dovea fors’esser orso.
Stette quel viso nel suo bel colore,
né fu di sangue al cor verun concorso,
accorto sempre, occhiato e circonspetto
d’unir gli essempi a quanto ebbe mai detto.
76
Ma la risposta, che lor fece, quale
potuto arrebbe a tigri, a lupi, non che
piegare i cuori agli uomini, fu tale:
— Ahi menti furibonde, ahi voglie tronche
di bel raggio divino e naturale,
che ’1 vostro sempr’errar per le spilonche
d’ importun ’ombre in stato tal v’ha scorte,
ch’ornai vi lece disperar le porte !
77
Voi come ciechi, sordi ed impetrati,
contrari a chi ’l mal vostro ognor sospira,
m’apponete fra gli altri mille aguati:
che de’ demòn la peste non si tira
per me de’ corpi fuor, se congiurati
prima non sian in spirto orrendo d’ira,
lor duca Belzebú, lor fier tiranno:
parole, inver, che ’n sé ragion non hanno!
78
Ragion derrebbe a voi pur dare aviso,
come colei che scorge al dritto passo,
ch’ogni qual sia regnarne in sé diviso
cade sosopra e fassene conquasso,
finché dal fondo e ceppo sia reciso;
come si sa ch’ogn’alto stato a basso
sen giace per discordia, ed in contraro
per pace l’umil cose al ciel n’andáro.
79
Se dunque un pravo spirto l’altro oppugna
(sciolta cagion d’odio fra loro e lite),
bisogna ch’esso regno si disgiugna
né sian lor squadre in maltrattarvi unite;
ché, mentre vincer Belzebú la pugna
vuol contra Satanaso, assai spedite
da’ lacci d’esso andranno l’alme vostre,
fatte sicure a lor contrasti e giostre.
50
Oltra di questo, come crederete
che ’n vostro beneficcio vogliati essi
spegnersi l’un con l’altro, se lor siete
di mille ingiurie e piú nel cor impressi?
Onde v’han sempre od amo o vischio o rete
di lor maliccia tesi, acciò che messi
giú de la lor perduta grazia siate
per seco sempre avervi alme dannate.
51
S’anco di Belzebú l’arte invocando
da l’uman forme scaccio i suoi consorti,
i vostri figli, ch’or a un sol collimando
seguir vedeste me costanti e forti,
con qual spirito buono opur nefando
sanáro i corpi da’ demòn distorti?
Or non col nome mio? Che, dunque, dite?
me sol cosi empiamente ognor schernite?
S 2
Però voi, padri, da essa vostra prole
sarete al giorno estremo giudicati
di gire in bando ove non luca il sole,
fra quei ch’eternamente son dannati;
perché né ai fatti miei né a mie parole
voleste mai chinarvi, anzi piú irati
ver’ me piú ch’io vi palpo, date grido
che in Belzebúb oprando sol mi fido.
E Belzebúb e Satanaso, lordi
signor del pazzo mondo e de l’inferno,
fúr, sono e sempre fien tra lor concordi
d’invidiare a l’uomo il bene eterno;
dond’io con questi miei non muti e sordi,
a ben discerner quel ch’io me’ discerno,
sonomi a quelli opposto, e sol per scampo
de Palme vostre contra lor m’accampo.
84
Sin qui trionfato hanno quei tiranni
de l’ infelici, e fattone gran prede:
or venni per scatarli, giunti gli anni
che debbe sottoporsi legge a fede.
Voi pur vedete s’io riparo ai danni,
cui del ciec’occhio, cui del torto piede;
ma sopra tutto agli demòn infesto
son d’ora in ora ed a scacciarli presto.
85
Pace dunque fra noi com’esser puote,
diversi essendo di natura e stato?
Però le voglie mie vi sian qui note:
chi non è meco è dal contrario lato;
siamo duoi capitani, e a noi divote
son varie genti e un popolo fidato,
né d’altro cale al gran nemico in fuore
di farmi un mio vasallo traditore.
86
Di che piú tosto voi temer dovete,
non v’abbia Belzebú sotto sua insegna;
ché, se cotanto in l’opre mie frendete,
né sia di voi pur uno il qual sostegna
d’udir ch’io sani Palme sozze e viete
over ch’a morbi corporai sovegna,
indiccio manifesto al mondo date
che col tirán contrario a me voi siate.
87
Quanto fia Putii vostro, e mio piacere,
passar di quelle a queste invitte squadre!
Ché se, dapoi gli avisi e le preghere,
dure minacce lanciavi mio Padre,
derreste pur sua forte man temere,
derreste pur campar fuor di quell’adre,
fuor di quelle dal ciel bandite genti,
che vosco in fiamma sempre fian dolenti.
88
Ben so che voi sapete Tesser vostro
errar dal giusto, benché al volgo ascosi;
ma l’odio che portate al valor nostro
vi tien, vostro malgrado, a Dio ritrosi:
e questo è ’l peggior vizio che dal chiostro,
che dal centro infernal gli spirti ombrosi
recasser mai con gli altri al mondo, intanto
che detto vien «peccato» in Spirto santo. —
89
Queste con altre assai parole il Saggio
lor disse, al seco averli sempre intento.
Ma di tal ceppo son, di tal legnaggio,
che, s’omo in rete mai può accoglier vento,
se ne le man serrar d’Apollo il raggio,
cosi tenean quei duri il parlamento
del vero ne Torecchie, e men nel core,
ch’uscir non voglion di lor puzzo fuore.
90
Nel puzzo come i boi gioiscon lieti,
dando di corno a eh’ indi trarli vuole:
fingonsi, nondimeno, mansueti
esser venuti a Talme sue parole;
tutti nel volto son tranquilli e cheti,
rosi nel cor da T invide tignole;
sembiante in lor non è che non s’appulcri,
si come i bei, ma putridi sepulcri.
9»
A lui dicon ancor: — Maestro degno,
ché degno esser tal nome a te pensiamo,
se d’alto pure in questo basso regno
vieni Figliuol di Dio, nonché d’Àbramo,
conténtati mostrarci qualche segno,
acciò piú lealmente ti crediamo,
e sia cagione averti per quel tanto
promesso ai padri, e darsene poi vanto.
92
Daremosi di te poi vanto tale,
che degno a re, non ch’a maestro sia:
sol qualche segno ti cerchiamo, quale
fu quel di Samuel, fu quel d’Elia;
quando l’un contra il corso naturale,
d’inusitate piogge il ciel tenia;
l’altro ch’alzò di terra in lungo solco
di chiare fiamme il carro col bifolco. —
93
lesti, che l’ostinata lor maliccia
vedca (né s’avvedean d’esser veduti),
rispose: — O pieni cuor d’ogni sporciccia,
malvagi, e nel durato error perduti!
Voglion segno dal ciel non per giusticcia,
non per bontate no, ma con arguti
suoi lacci van cercando ch’estimate
sien l’opre mie non mie, ma d’impietate!
94
Hanno per cosa orribil e fuor d’uso
esser tre giorni e tante notti giti,
che nel gran pesce Giona ste’ rinchiuso,
fuggendo il predicare a’ niniviti!
Però dar altro segno a lor ricuso
fuor ch’un simil a questo, quando, inviti,
vedranno il Figlio d’uomo, tre di privo
di vita, uscire dal sepolcro vivo.
95
Costor da’ niniviti mertamente
fien nel giudiccio universal dannati,
però che son d’ingegno renitente
al viver giusto ed a chi gli ama ingrati.
Ad una strania, incirconcisa gente
predicò Giona e gli ebbe a Dio voltati :
costor, c’ hanno uno assai maggior di Giona,
l’odiano se ’n profitto lor ragiona!
96
Oltra di ciò de l’austro la reina,
donna d’ immondo e non giudaico seme,
giudice fia di lor, che venne a Sina
per udir Salomon di parti estreme:
questi ostinati fanno a la divina
potenzia offese piú, piú ch’ella ’i preme,
né riconoscer voglion un piú saggio
di Salomon, se non col fargli oltraggio !
97
Però l’immondo spirto, che lor vede
al ben gelati, al male accesi e prodi,
ritorna in lor si come in vecchia sede,
ove tesser solea sue trame e frodi:
d’indi giá fu scacciato, ed or se riede
meraviglia non è, ché Parti e’ modi
di richiamarli a penitenzia sono
giá spenti in lor, né vogliono perdono.
98
E giá trionfa l’aversario, e salta,
ché sua magion, da scope ornata e monda,
s’ha ritrovata e si superba ed alta,
ch’ivi può starsi a tavola rotonda
con altri sette spirti, i quali exalta
lor re sopra di quanti il centro abonda;
e però, s’ebber mal nel primier seggio,
or nel secondo avran il mal e ’l peggio. —
99
Cosi dicea con amoroso sdegno,
e con pietá s’appose a mirar quelli.
Ecco Madonna, che per tutto il regno
cercando il va, co’ suoi cugin fratelli,
ammaricata del suo caro pegno,
per cui non uno sol, ma piú coltelli
le vengon mersi al petto qualor ode
post’esser d’ammazzarlo mille frode.
100
Allora un fariseo, perch’ei sen vada:
— Ecco — disse — tua Madre e tuoi germani
ti stanno ad aspettare in su la strada,
constretti per gran turba star lontani ! —
Rispose: — Il parteggiare a me non grada!
E chi è mia madre? e chi è miei frati? Umani
son questi affetti! Sol miei frati e madre
chiamo chi ’l voler fan del sommo Padre!