La umanità del figliuolo di Dio/Libro settimo
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LIBRO SETTIMO
1
Di Palestina in fronte, tra l’aurora
e ’l freddo carro, siede la gran massa
di Libano che Balte nebbie fora
ed a le piante de la Luna passa;
da l’irne sue radici manda fuora
le fonti Gior e Dan, ch’andar giú lassa,
formandone duo’ rivi, i quai non stanno,
ma fra sé discostando abasso vanno.
2
Van giú distanti e piú tra lor si stringe
la terra piú eh ’avanti portan Tonde;
fin ch’affrontati ornai, l’un l’altro attinge,
facendosi, di quattro, sol due sponde;
con un sol fiume un nome ancor s’avvinge,
detto Giordano, dove giá T immonde
e brutte coscienze, poco inanti,
lavò Battista e dielle al Re dei santi.
3
Ma non va molto per Toblique rive
che ’n grembo a Galilea le braccia ispande,
e fassi un lago, ch’altri mar descrive,
che come il mare ha Tonde poco blande:
poi quinci ancor si parton Tacque vive,
calando a farne un altro assai piú grande,
il qual di forma lunga, d’ogn’ intorno,
è di cita, di borghi e ville adorno.
4
Tiberia vi è fra l’altre, onde s’appropia
quel lago il nome, e n’ebbe Erode cura.
Or mentre un giorno il volgo qui s’accopia
inanzi a Chi salute gli procura,
ch’or, di duo’ pesci e cinque pani, copia
fe’ tal eh’ a cinquemillia fòr pastura,
come vezzoso ed invaghito tiene,
né vuol che da lui parta il sommo Bene.
5
Ma Cristo benedetto, c’ ha non presta
men la ragion che’ scribi la stolticcia,
i quali aver devrian in sé molesta
l’invidia ornai, la rabbia e la tristiccia,
sottrarsi alquanto vuol, ché manifesta
sia la virtú cedendo a la maliccia:
una barchetta, ch’ivi nel suo nido
dormia, fa ornar per gire a l’altro lido.
6
E mentre l’arma Pietro con Giovanni,
ecco una volpe che, d’agnel vestita,
tirollo leggermente per li panni
drieto a le spalle, e con la fronte attrita
disse: — Maestro mio, non per affanni
ch’abbian ad esser, mai verrá ch’ardita
mia voglia non vi sia seguirvi ovunque
andrete. Or car vi sia ch’io vegna dunque! —
7
Cui rivoltato il fiume di modestia,
risposta occulta a l’ammantate colpe
le die’ di morso tal, di tal molestia,
che d’altro la fe’ dòr che d’ossa e polpe:
ché, mentre degli ucelli e d’una bestia
de l’altre falsa piú, com’è la volpe,
recò l’essempio, c’han suoi nidi e cave,
ed esso no, la tenne fuor di nave,
8
come se le dicesse aperto e chiaro
quel ch’ella, di sé conscia, intese occulto:
— Non fan per me le frode d’un avaro,
qual tu ti celi, e non puoi star sepulto !
Ecco, la tua ingordigia del danaro
venirmi a dir menzogne t’ha consulto;
si che rimanti pur, ch’io non ho tetto,
dov’abbiano le volpi e augei ricetto.
9
Ch’ove di volpi son l’astuccie ladre,
inconstanzia d’augelli e leggerezza,
non ho capo a chinar, perché mio Padre
vietami aver con lor domestichezza.
Hanno lor grati nidi, hanno lor adre
spilonche grate, ma per me si sprezza;
e meno è per entrare in nostra barca
chi pria di questo mondo non si scarca. —
10
Ladro non stette mai gelato e smorto,
cui come foglia tremano le piante
quando sul furto vien compreso e scorto,
né sa dove s’appiatti in quell’istante,
come quel finto scriba tutto assorto
rimase in gran travaglio e nel sembiante
non insensato men, non men immoto,
che statua ritta per trionfo o voto.
11
Non cosi tosto domandato gli ebbe
costui d’andar con seco, e non l’ottenne,
eh’ un altro, al quale il dover gire increbbe,
vols’ir altrove e Cristo seco il tenne.
Né di’ però che cosi far non debbe
la gran Bontá, che tutti a chiamar venne
sol per tutti salvar, coni’ siamo instrutti,
ma non volemo noi salvarse tutti !
12
Or dunque un giovenetto in quello istante,
ch’essergli morto il padre avea novelle,
trasse piangendo al suo Maestro innante,
ma non, come lo scriba, versipelle:
— Signor — disse — lasciatemi ch’io, avante
questo passaggio e le notturne stelle,
sepelir vada il padre mio, ch’or ora
m’è detto esser di vita uscito fuora! —
13
Rasserenossi quella faccia santa,
che mai non rise in luoco d’un sorriso,
perché ’l discepol senza fraude ammanta
di Azione inusitata il viso.
Non era la pietá del padre tanta,
che mai s’avesse da Iesú diviso;
ma d’essergli successo erede il vinse,
a tal ch’una tal scusa si dipinse.
14
Dove occorrendo il capitano accorto,
che l’aversario mondo non gli fure
qual sia picciol soldato e l’abbia torto
da sé ribelle, gli risponde: — Hai cure,
hai tu pensieri ch’ai tuo padre morto
sian per mancare avelli o sepolture?
Lascia gli morti sotterrar fra loro:
vien presso me, ch’io vivo e mai non moro!
15
Io vivo, e chi mi segue viver faccio;
non moro, e i miei seguaci non morranno.
Ch’altro ti lascia il padre tuo che impaccio,
se fatto erede sei? qual peggior danno
ti può venir eh’ avolgerti nel laccio,
che teso le tue brame istesse t’hanno?
Manchi al vivace ben per lo caduco?
Preponi il mondo al ciel, dove t’induco? —
16
A cotal dire il giovene arrossito
fra gli altri si ritrasse al Mastro dietro,
giá fermo a seguitarlo e stabilito,
giá fatto marmo, ch’ora fu di vetro.
Iesú non piú s’ indugia, ma sul lito
le turbe lascia e, nel battei di Pietro
scendendo con que’ pochi star vi ponno,
chinossi e l’uman parte diede al sonno.
17
Da poppa Andrea, da prora sta Giovanni,
e questo e quello il mar solcando varca;
l’ardente Pietro de’ suoi propri panni
compose un seggio in mezzo de la barca.
Ivi, perché non hanno sedie o scanni,
dormia de l’universo il gran Monarca:
dormia sedendo, e lui che ’l mar, la terra
e sempre vede il ciel, qui gli occhi serra;
18
serra gli occhi dormendo, e de la stessa
sua bianca mano fassi un capezzale.
Giá di minute stelle carca e spessa
tace la notte intorno, e ad alto sale.
Dal dolce peso leggermente pressa,
la navicella fende l’onda eguale,
tranquilla si, ch’andar senza rumore
parean su l’olio od altro tal liquore.
- 9
Fra tanto l’aquilon da l’alto giogo
il Domator del mar vede assonnato:
muovesi ratto e con tonante fuogo
il laco ha giá sosopra rivoltato.
Cosi ’l fanciul, se dorme il pedagogo,
gitta l’odiato libro e corre al prato
e favvi quelli eccessi che non mai
faria, vegghiando quel che gli dá guai.
20
Quel lago, che di stagno ebbe apparenza,
or l’ha di rotto mar, tant’è commosso!
Muggia una nebbia orribile, che senza
le stelle ha fatto il ciel da lei percosso;
vanno giá d’acqua i monti, e violenza
d’aer ’i caccia l’uno l’altro addosso;
nulla si ve’, se non qualora il solfo
del ciel s’avvampa e scuopre il brutto golfo.
21
Con ch’arte un buon nocchier vuol acciuffarse
contra si fier’ tempesta in un legnetto,
le cui sponde talor vengono scarse
al mar che gli percuote il fianco, il petto?
L’impallidito Andrea non sa che farse,
ché l’acqua è molta, il vaso è parvoletto;
gli altri cui l’onda e piú la téma caccia
non han piú in petto cor, non sangue in faccia.
22
O sconoscente, ingrato e senza fede !
Uomo immortai, degli anima’ pur solo,
l’alte di Dio vertú con gli occhi vede,
in quanto cinge il mar, circonda il polo,
e n’è da tanto Padre fatto erede
come di lui carissimo figliuolo;
e pur travaglia, e pur vacilla sempre,
se Dio tai cose o caso alcun contempre!
23
Quei cinque o sette o diece ch’eran dentro
la picciol conca in si stravolto lago,
han seco il grande Autor del cerchio e centro,
di quanto appare in vista adorno e vago;
e pur spavento tal va per lor entro,
che punta sottilissima d’un ago
esser tra morte e vita lor parea,
e di dover ber troppo ognun credea.
24
Non obliando in tutto alfin le prove
fatte dal lor Maestro in terraferma,
speran (ma molto in forse) ch’esso, dove
sia desto, il simil faccia in l’onda inferma.
Nuovo consiglio dunque allor si move,
se dissonnarlo denno, e si conferma.
Pietro toccollo e disse tutto gramo:
— Serbateci, Signor, che s’affogamo! —
25
Alzò quel gran prudente in un momento
dal sonno gli occhi e da la mano il volto:
— E perché avete voi si gran spavento?
e qual tiranno m’ebbe cosi tolto
da vostra fé, che ’l mormorar d’un vento
v’abbia sfidati e tengavi sepolto
puel mio valor, quel ben, quel paragone
mostratovi a sanar tante persone?
26
Spiacemi forte in voi questa viltade,
vizio disconcio troppo a l’onor mio,
vizio che non per vento o pioggia accade,
ché venti e piogge vengono pur da Dio;
ma poca è vostra fé: chi la vi rade
si di leggér dal senso? chi ’n oblio
mandavi l’opre tante, i segni tanti,
c’ho fatto e faccio e son per farvi avanti? —
27
Cosi lor disse. Né piú tardo al detto
fu ’l gir del vento e ’l ritornar le stelle:
anzi cangiarsi a quel divino aspetto
vider le facce di si brutte in belle;
non è piú mar, ch’intorno al batelletto
con le sue bianche pecore saltelle.
Tal meraviglia le lor menti eccede,
ch’entro non cape quanto fuor si vede.
28
Giá veggon fiammeggiare a man sinestra
d’Ermón le acute cime di lontano;
apresi al di l’orientai fenestra,
e Febo scoprirassi a man a mano;
da tergo hanno Magdallo e da man destra
Tiberia, in fronte il campo Gettasano.
Lá gir dissegna il Fonte de la vita,
ch’ad un grave accidente amor l’invita.
29
Rivolge adunque lá Simon la prora,
ch’ai suo fratei giá stanco era successo.
Vengono a spiaggia e del naviglio fuora
il pastor scende, e gli agnelletti appresso;
né tutti si trovar sul sodo ancora,
quando a lor vien d’un bosco antico e spesso
rumor d’orribil colpi e d’alte strida,
alte cosi, che ’l ciel par si divida.
30
Luoghi arenosi ed interrotti passi
mirano intorno, e vie, non vie, ma piene
campagne d’ossa, di sepolcri e sassi
o rotti o intieri o ficchi ne barene:
vestigio alcun non ha che qua si passi
quando che i forti nodi e le catene
avean, giá molti giorni e mesi, rotte
duoi uomini che stanno in quelle grotte,
31
duoi ch’un inferno il ventre suo fatt’ hanno.
Mal va per chi s’abbatte ne’ lor ugne:
a borghi han fatto e a ville piú d’un danno;
valor non è, ch’a morsi lor ripugne:
terribil suon que’ spirti ardenti fanno,
qual solsi udir de l’affrontate pugne.
Colá Cristo si porta, ed ecco d’alti
ronchi venian calando a salti a salti.
32
Son di trent’anni e piú c’han loro forme,
non d’uomini com’eran, ma di belve;
van per le folte macchie, e con difforme
muggito fan sonar e monti e selve.
In questo tempo alcun pastori, a Torme
cercando, han téma ch’ivi non s’ inselve
de’ porci una lor greggia e sian squarciati,
come sovente avien, da quei famati.
33
Ma come vider loro uscir di tomba,
tornano al poggio e stan mirar da cima.
E Cristo, pura e semplice colomba,
va contro gli uccellacci e poca stima
fa di lor aspro suono, il qual rimbomba
si d’ogn’ intorno e si va su da l’ima
valle a l’altezza de’ pendenti sassi,
che gli uomini scampando han Tale ai passi.
34
Eran ignudi e neri come corbi ;
gli occhi di fuoco e ascosi ne la fronte
volgono brutti sguardi e d’ira torbi,
e sol correndo agli arbori fann’onte.
Il Medico gentil, che questi morbi
ed altri sa curar con le man pronte,
lor tenne al segno in quella guisa e modo
che mobil’asce tien confitto chiodo.
35
Or mille e mille spirti maladetti,
piú assai che ’n vecchio pin non van formiche,
stridean piú forte ancor, perch’eran stretti
d’abandonar lor nidi e stanze antiche.
Dicono in voce amara: — E perché affretti
si l’opre inanzi tempo e tai fatiche
ci dai, figliuol di Dio? C’hai tu far nosco?
Lasciaci star nel nostro antico bosco !
36
E s’anco di cotesto albergo vuoi
che pur n’usciam, qualch’altro ne concedi,
qualch’altro seggio, non di questi tuoi
eletti e del ciel nostro fatti eredi,
ma per tua gran vertú permette noi
entrare in quelli porci, che lá vedi! —
Iesú, per trar quei gaderani a fede,
bestie si lorde agli demòn concede.
37
Stavan da venti e piú villani lunge
quanto puotean, guatando d’alto a basso.
Come fanciulli, cui gran téma punge
mirando l’orso che, legato al sasso,
quando col morso altier quando con l’unge
fa dei troncon, che ’l batteno, fracasso,
or fuggon tutti, or stan, or fuggon anco,
né del timor la brama gli urta manco:
38
il simile facean gli spaventati
pastor, mentre vedean quelle due tigri,
quei duo’ destrier salvatichi e sboccati,
sotto la santa man non lenti e pigri.
Alfin veggono i porci lor turbati
pigliar subita fuga, i quai, de’ nigri
giá spirti de l’inferno enfiati e grossi,
verso del vicin poggio si son mossi.
39
Tant’ infernal insania gli urta e caccia,
che, giunti a la pendice d’un mont’alto
dissopre al mar da mille mille braccia,
tutti ad un tempo preser un gran salto.
L’onda, che di lá giú quel peso abbraccia,
levasi con rumore al sommo smalto:
colá s’aventan quelli a riparare
l’armento non piú lor, ma ben del mare.
40
Porgon la vista in giu, nel lago ch’ivi
veder potean lor bestie d’alto luoco;
ma spente son, gli spirti fuggon vivi:
questi de Tacque cibo, e quei del fuoco.
Allor, de Putii proprio come privi,
alzáro a suon di mani un grido roco,
a la cita correndo di Gadara,
via men di sé che di suoi porci avara.
41
Però ch’ai nunzio d’un si pieciol danno
non s’avisár d’un altro assai piggiore,
ch’avea lor tolto l’uom che trovar vanno,
e giá gli sono incontro usciti fuore.
Iesu con quelli duoi, ch’agnelli stanno
e furon dianzi tori al gran furore,
vede calar dal poggio in molta fretta
di cieca scortesia tutta la setta.
42
Sono villani d’avariccia lordi,
né men de’ porci lor nel fango vaghi.
Giunti davanti a lui come concordi,
si ’l pregano, per Dio, che non s’appaghi
schiuder con danno lor le orecchie a’ sordi,
dar gli occhi a’ ciechi e racquetare i laghi ;
ch’assai la virtú sua da sé vien chiara,
senza che passi a impoverir Gadara.
43
Oh veramente rozzi, oh mentitori
d’uman legnaggio e di ben proprio schivi!
Han l’Autor seco d’alti e gran tesori,
ch’ad un sol cenno può far loro i rivi
d’òr liquefatto, e vive perle i fiori
(se pur son tanto al zelo avar proclivi);
e nondimeno è si ciascun del fedo
suo porco gramo, che gli dan congedo.
44
Iesú, cui sempre aggrada sue parole
compier con opre, or dar né il santo a’ cani
né antipor le gemme a’ porci vuole;
ma lasciali com’eran ciechi e vani.
Partesi quinci e insegna noi le scole
d’eretici ostinati, empi e profani
non mai dover entrare, né d’un pelo
far stima d’adescarli a lo Vangelo.
45
Quando che d’ostinati è proprio viccio
di raffreddarsi piú, che piú lor scaldi,
mostra lor quanto sai lo precipiccio;
di non voler vederlo han gli occhi saldi :
cosi dolce lor par, cosi propiccio
l’occulto error a’ sensi e ne son caldi,
che, per gioire in quel melato fele,
il tutto fan perch’altri noi rivele!
46
Pietro con la barchetta l’onda fende
e ’l Mastro suo ripone a l’altra ripa.
Tosto che del ritorno lor s’intende,
ogni spedai e tempio si dissipa:
di sordi, ciechi e d’altri d’altre mende
ecco gran turba intorno a lui si stipa,
il qual non era bene a quegli uscito
del legno fuor, che l’ebber assalito.
47
Giá porte gli hanno avanti mille pesti,
chi piè, chi man, chi volto enfiato e scarno;
non come quelli di Gadara, questi
cercati lunge tenerlo da Caparno;
poveri e ricchi, tutti gli son presti
offrir le cose lor né ’l fanno indarno,
ché ’n ricompensa di lor tanto amore
si mostra in fatti ch’è lor salvatore.
48
Cosi tutti sanando passa e drento
al cortese castel fu ricevuto;
ed ecco il venerabile convento
degli asini giudei vi è giá venuto,
ed han fra sé di cento e piú di cento
sofíste trame un ordine tessuto
per allacciarlo a tempo, e su la traccia
raccór ciò ch’esso dica, ciò che faccia.
49
In mezzo a quelli, sotto largo tetto,
montato agli altri sopra, si raccoglie,
ove con ragionar distinto e netto,
con argomenti gravi annoda e scioglie
non pur de’ libri sacri l’intelletto,
ma l’ostinate, fredde e sporche voglie
richiama, scuote, invita, rompe e piega
ed amorosamente alfin le prega.
50
Cosi facendo tuttavia, gli crebbe
la turba si, che non quell’ampio luoco,
ma lo castello amplissimo non ebbe
spazio per gremir quella, se non poco.
Fra li molt’altri infermi, un che vorebbe
passar piú avanti è giá chiamando roco,
chiamando per lor grazia e cortesia
voglian stringersi alquanto e dargli via.
51
Ma tutte son parole al vento sparte:
quantunque il buon voler vi fosse ancora,
la pressa è tal, che l’aria non la parte,
né vi è chi possa o voglia trarsi fuora.
Pur lo desio d’entrar gli porse l’arte,
ch’a’ preghi suoi vedendo che non fora
la stretta gente, al tetto va dissopre,
levandone le travi e ciò che cuopre.
14
T. Folengo, Opere italiane - n.
52
Non che per sé vi monti, non che smova
le tegole per sé, ch’ei senza possa
né piè né mani ha concie a simil prova,
parendo tratto allora de la fossa:
ma chi ’1 portáro in bara ove si trova
miseramente, come un sacco d’ossa,
voglion recarlo a chi per sua virtute
di mal lui tolga e sé di servitute.
53
Con l’occhio interno Cristo benedetto
veduto ha giá quell’atto loro audace;
di tanta fede pigliasi diletto
e parla tuttavia d’amor e pace.
Or mentre in quel gran loco il volgo stretto
ascolta lui, che tanto in dir gli piace,
ecco levan i capi, e ciascun tiene
gli occhi lá donde un carco a basso viene.
54
Quest’era il detto corpo che sospeso
di molte corde sul calar descende.
Oh di gran fede essempio! Ben compreso
l’ha, come dissi, Quel che ’l tutto intende:
vedendolsi agli piedi giá disteso,
parlò: — Spera, figliuol, che le tue mende,
quante ne celi, sonoti dimesse,
come a color c’han speme Dio promesse. —
55
Tal detto agli umil parve onesto e santo,
a’ sacerdoti d’arroganzia pregno:
schivan però d’ improverargli, tanto
stan del timor popolaresco al segno;
timor del popol hanno ed altretanto
di quelle sue, senza menzogna e sdegno,
risposte sante e cosi gravi e pronte,
ch’a lor sovente fan chinar la fronte!
56
Tengon l’attossicate lingue a freno
e ricoperto l’odio quanto sanno:
noi celano, però, ché del veleno
le note su pel volto errando vanno.
Ma quel Conoscitor de l’uman seno
lor vede, che d’invidia pregni stanno
e che fra sé dicean : — Chi è costui,
perché rimetter vaglia i falli altrui? —
57
Rispose allora il Fiume di modestia:
— Che mormorate voi nei cuori vostri?
Perché li fatti miei tanto a molestia
vengono a voi, se ad uomo, che de’ nostri
volti tien la sembianza, e non di bestia,
son senza danno altrui palesi e mostri ?
e s’io gli tolgo l’uno e l’altro viccio,
con laude vostra, e non con pregiudiccio?
58
Qual cosa vi par facil piú di dire,
ovvero: — Ecco gli errori ti perdóno, —
ovvero: — Alzati su, che ne puoi gire
a voglia tua, ché sanitá ti dono? —
Lasciate ornai, vi prego, gli odii, le ire,
né abbiate a mal s’ inutil non vi sono,
e, quando questi miei ragionamenti
abbiate schivi, or state a l’opre intenti! —
59
A questo ciascun gli occhi e orecchie affisse
per bene accórre il quanto accadde poi.
Ei si rivolse a l’ammalato e disse:
che tolga il letto in collo e con gli suoi,
e non con gli altrui piedi, se ne gisse
ovunque piú agradasse; ma dapoi
tal grazia non peccasse, ch’altra a questa
colpa non è ch’a Dio sia piú molesta!
60
Non fu quell’ increpar finito ancora,
che ’l lieto infermo, non piú infermo, eruppe
di quelle strazze fuor, come talora
usa far pollo d’intricate stuppe,
ove allacciata or questa gamba ed ora
scuote quell’altra, infin se ne sviluppe;
poi, toltesi le some a collo, in fretta
va presto e del gir nuovo si diletta.
61
Di tanta meraviglia fu quell’atto,
ch’un mondo di persone gli va dietro:
esser fasciato il vider e disfatto
e tratto in su la bara inanti e ’ndietro;
or con propri occhi vedonlo si ratto
volar sotto l’ incarco del ferètro.
Però dan laude a Dio che ’n lor etade
abbia concesso ad uom tal potestade.
62
Non son, però, da quanto furon prima
smossi d’un’oncia i duri sacerdoti;
anzi piú che poggiar di lode in cima
veggon Iesú con le sue belle doti,
piú per invidia tornano ne l’ima
vai d’ ignoranzia, ove, dal del rimoti,
nudi di grazia, di superbia pregni,
son di lor stesse piaghe perir degni.
63
Ma la bontá, cedendo a la maliccia,
quindi si leva e verso il mar sen riede.
Quelli, c’han anco di tradir periccia,
mostrano ne’ suoi detti aver gran fede:
con Pietro fan di lupo l’amiciccia
(che ’n lor la scorza, e non quel d’entro vede),
sol per indurlo a far domande spesse
al Mastro suo, se’n qualche error cadesse.
64
Né la cagion mancovvi punto allora
di sodisfarsi a pien, di farsi ’l reo;
ché, mentre indi si parte e non dimora,
vide sedersi un uomo al Teloneo,
un di que’ publicani che s’indora
d’altrui ricchezza e chiamasi Matteo.
Diedegli d’occhio il Salvatore accorto,
e con un guardo sol si l’ebbe morto.
65
Non che forza vi sia di basilisco,
ch’altrui debbia, guardando, tór di vita;
ma Cristo, che ’n mirar tutt’era visco
e ’n ragionar tutt’era calamita,
fe’ come uccellatoio ch’ai lentiseo
ed al ginebro l’augelletto invita,
che ’n cui lo strai de l’occhio suo volgea,
inort’egli al mondo subito cadea.
66
Ecco Levi gentil ch’ai mondo visse
molt’anni né del ciel giamai gli calse:
ratto che gli occhi agli occhi santi affisse,
il raggio ardente lor portar non valse,
nudo il segui né amollo sol, ma scrisse,
per contraporsi a molte istorie false,
ciò che con man, con lumi e con udita
toccò, vide, senti d’amor, di vita.
67
Era di caritá si ornai salito
a quell’altezza ove salir potesse,
che non gli parve ancor d’aver seguito
colui che’ beni eterni gli promesse,
se degli suoi compagni convertito
a lui gran numer seco non avesse;
ché, s’utilmente l’uomo a l’uomo nasce,
via piú questo dé’ far chi ’n Dio rinasce.
68
Fór questi publicani di quel seme
d’uomini infami e d’altrui sangue grassi,
che de le terre in fronte o su l’estreme
ripe de’ fiumi e laghi stanno ai passi:
non va, non vien persona che le sceme
borse d’ingorde lupe non s’ingrassi,
e proprio è studio d’essi l’usurparsi
gli altrui danari, e quanto puon celarsi.
69
Con questi dunque il buon discepol, ch’era
di gabellier giá fatto evangelista,
orna un convivio al qual d’ogni manera
di gente vuol che seggia o buona o trista,
anzi piú de la trista, perché spera,
come prima del vivo Sol la vista
s’aggiri ad essi, converrá si sfaccia
l’antica notte che ’l bel giorno scaccia.
7 o
Fu de’ suoi voti contentato a pieno;
ch’ove quel viso fiammeggiante apparve,
raggiò tutto ’l convito, e ’n un baleno
da’ ciechi petti ogn’atra nebbia sparve.
Piglia cibo con essi, ma ciò meno
puoter soffrir le personate larve:
dico, gli farisei non portár questo,
si come oltraggio in legge manifesto.
71
Per non contaminarsi non entráro
a quella pura mensa ed onorata,
la qual, s’entrati fosser, d’un amaro
tosco d’invidia fora contristata;
sicché di fuora in su la via restáro
a sfogar l’odio lor fra la brigata,
spargendo mille ciance occultamente,
ch’ove non puon con mano, dan di dente.
72
Larga presaglia d’anime rubate
ha giá di man del mondo il Re del cielo,
e seco trionfando ancor guidate
sotto l’invitta insegna del Vangelo.
Matteo con gli altri abbraccia povertate
né di ricchezze piú gli cal d’un pelo;
ma vanno presso al Capitan celeste,
con riferirgli grazie e lode oneste.
73
A cosi generose e degne pompe
scoppiò lividamente piú d’un fianco,
ch’un cor, d’invidia pregno, alfin si rompe
e sparge il tosco, e ’l viso ne vien bianco:
donde fa si che, se non interrompe
quanto trarromper giá vorebbe, almanco
mostra la stizza e con parlar la sfoga
si come or fece l’empia sinagoga.
74
Vanno gli farisei piú veramente
impetrati di scoglio a Tonde saldo,
vanno con froda, come usò ’l serpente
in far conoscer l’uomo ’l freddo e ’l caldo,
vanno, dico, agli agnelli del prudente
pastor, che ’l lupo sa quant’è ribaldo,
e chiedon la cagion di quello eccesso
dal Mastro lor contra Moisé commesso.
75
— Voi — dicono — che tanto avete a core
come ignoranti la costui dottrina,
non v’accorgete ch’esso è peccatore,
ch’esso a mistá de’ peccator s’inchina?
Usano insieme, e d’uno istesso errore
mentre son tutti, vivon di rapina:
van sempre a basso Tacque, ad alto il fuoco;
ch’ogni simil col simil suo tien luoco.
76
Dite, scherniti, voi, s’ei pur va dritto,
e se dal ciel, come si vanta, è dato,
perché si laido e misero tragitto
ha fatto del ben stabil al peccato?
Non s’antivede ben ch’alcun profitto
né a sé né ad altro fa, mentre gli è grato
ber sol con ubriachi e scortatori,
putte, micidiali e via peggiori? —
77
Queste parole, che di vero scorza
ed hanno di menzogna le medolle,
subito con le sue di maggior forza
battette il savio Duca e ributtolle,
intento sempre al lupo, il qual si sforza
di perder la sua greggia, eh ’anco è molle
né ben pasciuta in quel giardin di fede,
che ad un pastor di veritá si chiede.
78
Poi la ragion dignossi loro esporre,
che, per l’usar del giusto col perverso,
la consequenzia non però concorre
ch’ai tutto il viver lor non sia diverso.
L’uom eh’ è prudente cerca di sopporre
a la drittura il rio, ch’alfin converso
dal negro al bianco, da le spine ai fiori,
aborra il mondo e del ciel s’innamori.
79
Non per altro rispetto il pio de l’empio
tien l’amistá che per suo simil farlo;
da furti, giochi e putte a’ libri, al tempio
pon ogni studio ed arte per ritrarlo;
or con dottrina il move or con essempio,
fin che si desti in petto a lui quel tarlo,
quel penetrevol vermo, dal cui dente
sempre rimorso, il peccator si pente.
80
Col medico non ha che fare il sano,
ma de l’infermo sol vi è l’interesse;
ché se crudel sarebbe ed inumano
chiunque il corpo altrui serbar potesse
e non volesse a tal pietá por mano,
via piú chi l’alme, a sé da Dio commesse,
ricusa di salvar è da esser detto
fisico acerbo, ingrato e maladetto.
81
— O voi — diceva loro, — o voi ch’avete
o presumete aver noticcia soli
de l’onorate carte né volete
ch’altri che voi, d’ Abram cari figliuoli,
poscia spiegarle, or perché non leggete
al peccatore, acciò se ne consoli,
quella sentenzia del divin giudiccio:
«Voglio da voi pietá, non sacrificcio»?
82
Se voi benigni siete, onesti e santi,
se de la legge osservator distretti,
come gli esterni vostri e lunghi manti
ne fanno indiccio assai piú degli effetti,
ch’avete meco a far, il quale avanti
ogn’altra impresa venni entrar i tetti
d’adúlteri, omicidi, ladri e putte
sol per lavar lor macchie orrende e brutte? —
83
Su questo ragionar, ch’era un coltello
al cor de’ farisei penoso e amaro,
ecco di Gian Battista in un drapello
gli discepoli a lui s’ appresentáro.
Fermossi Cristo allor con quel novello
suo racquistato armento e a sé piú caro
eh’ a’ farisei le finte lor persone,
piú che ’l lor Mòse, Abramo e Salomone.
84
Duoi util studi a tutti, a lor superchi,
era l’orazion, era ’l digiuno,
però che ’n su le piazze e ’n mezzo a’ cerchi
puotea di turba contemplare ognuno.
Con ta’ mantelli e simili coperchi
solea vagar negli occhi a ciascheduno
col pazzo volgo drieto, tuttavia,
di su di giú la mona Ipocrisia.
85
Alcuni eran di lor piú pazzi che empi,
quantunque da Giovanni batteggiati,
cui molto piú gli esterni e vani essempi
de’ farisei parean d’esser lodati
che i detti di Iesú, li quai, nei tempi
via men che ne le stanze de’ peccati,
dicean ch’usava fra la gente iniqua
dando lor legge torta da l ’antiqua.
86
Poi, da non so che stolta invidia tocchi
eh’ esso piú del lor mastro Gian Battista
rempieva di stupor le orecchie, gli occhi,
la dove onor e gloria si s’acquista,
cercavan, come quelli ch’eran sciocchi,
buttargli qualche intoppo, il qual resista
ed attraversi di sua fama il corso,
e a lui non sia di turbe piú concorso.
87
Or sopra questo i farisei concordi,
vengon tentarlo a faccia discoperta:
— Con qual ragion — gli dicono — tu mordi,
tu aggravi noi, di ver sotto coperta,
ch’ai bene oprare andiamo ciechi e sordi,
e pur cosa vedemo al mondo aperta,
come né tu né ’ tuoi seguaci stanno
ne le sant’opre a quanto i primi fanno?
88
Né del digiuno in voi né de l’orare
alcun segno mostrate come noi,
a’ quali non men piace il digiunare
che li conviti e mense a questi tuoi.
Dicato a’ santi prieghi abbiam l’altare:
orar tu nondimeno a quel non vuoi,
e se talor (benché di rado) vi ori,
né guardi al ciel né molto vi dimori. —
89
Cristo verace, che dal ciel dissopre
la fé portò con seco in bianco velo,
ora d’ipocrisia (ch’anch’ella copre
il negro a bianco, ma mentito, pelo,
ché crede per le sue lodevol’ opre
deggiane riportar corona in cielo)
ne ride onestamente, e poi s’attrista
del puoco frutto in lor di Gian Battista.
90
Il qual d’ottimo grano seminava
le conscienze lor, ma le zizanie
sopra spargea la sinagoga prava
degli statuti e farisaiche insanie:
ma caderá ne la medesma cava
fatta da sé, ne’ suoi lacciuoli e panie,
ch’ove si crederá d’aver calcato
Iesú nel popol, quel fia piú levato.
91
Per dunque sottoporre l’empia speme
che s’ha ne le stess’opre a l’aurea fede,
parlò Iesú, dicendo: — Ahi! molto estreme
van vostre openion, c’han ficco il piede
in cure sciocche e d’intelletto sceme,
per cui l’uomo a se stesso troppo crede,
come fosse ’l digiuno e l’altre molte
vostr’opre di salvar cagioni sciolte.
92
Buon è ’l digiun, chi ’l nega? buoni i prieghi
ch’ai Padre mio si fanno; e nondimeno,
bench ’altri non digiuni e ’n tempio preghi,
non spinto fia d’Abrám però del seno,
purché da’ miei precetti non si pieghi;
rallento ad essi del digiuno il freno,
mentre lo sposo han seco, il qual son io
che dono il cielo a chi vuol esser mio.
93
Ei solo è mio chi al mio voler s’aggiunge,
e tutto è ’l mio voler quel di mio Padre;
l’alma che da lo sposo non va lunge
ha legge per madrigna e fé per madre.
Non sprezza legge, no, né si le sgiunge
chi a lei prepon l’accorte e le leggiadre
bellezze d’essa fede, la qual sola
per voi del ciel la chiave al Padre invola.
94
Sol è costei madonna, e l’opre ancille
che sempre a lei son preste e fanle onore.
Non essa senza Ior per le tranquille
contrade va d’un puro e netto core;
ma s’una sola di lor mille e mille
le ribellasse, l’infelice muore:
muor fede per l’error d’un’opra ria,
ch’ogni giusticcia, per un fai, s’oblia.
95
Mentre son io con questi miei, qual multa
di legge con ragion colpevol falli?
Ella sen giace allor come sepulta.
Ov’è chi sol punisce i vostri falli,
temeritá saria di legge multa
voler giudicar l’uomo ch’erri e falli,
quando l’autor di lei vi sta presente,
ché legge ove sia ’l Re vai poco e niente.
96
Verrá tempo, verrá (non ne prendete
astio di questo voi, cli’a voi non tocca),
quando con vostro scorno ’i vederete
non pur sottragger l’esca di lor bocca
e darne a chi patisce fame e sete,
ma per disviluppar la gente sciocca
del laberinto lor, cose faranno
di tolleranzia tal, che moriranno!
97
Nel nome mio fien morti e da le fiere
squarciati e rotti, e morsi da colubri;
fra fuoco e ferro andran le lor preghere,
e le prigion saranno i lor delubri.
Queste son l’astinenzie molto vere
piú de le vostre d’oggi e piú salubri:
ma se ’l nostro proceder intendeste,
non questi miei di colpa imputereste.
98
So quanto sia diffidi cosa e dura
volere un vecchio stile, e giá ’ndurato
per lung’uso nel ceppo di natura,
riducer ad un altro inusitato:
di che ben spesso aviene, a chi procura
d’un popolo cangiar costumi e stato,
esserne ucciso: tanto par di strano
le rane uscir del lor natio pantano!
99
Chi stabilisce dunque il nuovo regno
di nuova gente n’ha minore affanno;
e chi è colui che faccia mai dissegno
tagliar un non giá mai tagliato panno,
per racconciare il vecchio? e qual ritegno
in esse commissure quelli avranno?
e chi fu mai che ’l nuovo vin fondesse
ne l’orna vecchia, ed ambo non perdesse? —
ioo
Seguendo tuttavia cotai parole
un principal di sinagoga viene
inanzi a lui, che molto s’ange e duole
ch’ornai la figlia sua fuor d’ogni spene
di medico sen muore, e ch’altra prole
non ha che lei né aver la etá sostiene.
Però non senza pianto il prega, voglia
campar da morte lei, trar sé di doglia.
XOI
Iesú, come signor ch’assai parteggia
non con veruna sorte, ma con fede,
nulla risponde allor, ma signoreggia
nel costui cor che pienamente crede;
e mentre va con l’infinita greggia,
che stanco mai non ha seguendo il piede,
colui, fatto giocondo, avanti corre
sol per poter l’albergo suo comporre:
102
comporlo ed adornar, ché ricevute
ad esser vi hanno le virtú divine.
Non piú de la figliola la salute
gli cal che s’un tant’uomo a sé decline,
in cui non sta fra tanto la virtute
in ocio no, ma le sue medicine
cangiando il torto in dritto, il sozzo in bello,
tutte in andando imparte a questo a quello.
103
Donde quel nobil uomo, in maggior speme
giá sorto, ecco al contrario fu ritratto,
perché piú fresche nòve, ornai supreme,
vengon esser la figlia morta affatto.
Allora il miser padre, in su l’estreme
ripe del suo sperar venuto, ratto
cadde a quel nunzio, e lungo mai quant’era
gittasi a terra e piagne e si dispera.
104
Mosso a pietá di quel tapino padre
l’altissimo di Dio figliuolo disse:
— Ahi ! voglie umane quanto siete ladre
d’alme ch’ai ciel son destinate e fisse!
Di che ti lagni, o padre, se a la madre
terra tornò la terra, e se rivisse
lo spirto di tua figlia, d’ogni errore
uscita a contemplare il suo Fattore?
105
Giá non è morta no, se non in quanto
la poca fede tua ti si l’ancide!
Or t’alza, e vien con meco, e lascia ’l pianto! —
E ’n questo dir con gravitá gli arride;
ond’esso, ritto in piede ed altro tanto
in la renduta speme non piú stride,
non piú parole isfoga di dolore,
ma lieto corre dietro al Salvatore.
106
E pervenendo con le turbe al tetto
che d’urli e suon di man donneschi tona,
fu con lor di dolersi anch’egli astretto
per sua natura sommamente buona.
Passa fra il pianto de la morta al letto,
cui le dogliose madri fean corona,
e seco ha scelto fuor del suo drapello
l’ardito Pietro, Giacomo e ’l fratello.
107
Stan gli altri ad aspettar fuor su le strade,
ché ’n petto a lor si serra ogni uscio e porta:
e questo per voler del savio accade,
né dirvi la cagione ancor m’importa.
Allora il largo fiume di pietade
spruzzò del suo liquor la carne morta
di quella figlia, e lei rendette in vita,
ch’a gran dolor del padre era fugita.
108
In quel sembiante che d’april o mazzo,
venendo un nuvol spinto da doi venti,
rompesi a ’n tratto e di gross’acqua un guazzo
giú versa si, che i fior s’acchinan spenti;
ma poi, voltando il tempo, ecco d’ impazzo
scotesi Apollo e mostra i raggi ardenti,
ond’ogni fiore e fronda, al ramo e stelo
risorto, abbella il prato e guarda in cielo:
109
cosi quella famiglia ‘lagrimosa
e nel dolore del suo padre afflitta,
tosto risorse a l’insperata cosa
di veder viva la defunta e ritta.
Stupisce avanti, poi religiosa
tutta per terra subito si gitta,
e rende grazia al Medico dond’ogni
rimedio nasce a’ nostri uman bisogni.
110
Il qual commette a tutti che tacciuto
quell’atto sia, perché non esca in luce.
E questa è la ragion che ricevuto
non entro il popol fu dal saggio Duce,
per darne documento eh ’è perduto
il ben ch’a cercar lode umane induce,
benché né questa mai né simil opra
potrassi far, ch’alfine non si scuopra.
111
Rendute grazie con quell’umil atto
far seppe il gentil uomo al Re de’ sensi:
esce d’albergo, e gli uomini giá fatto
gli han cerchio intorno ramischiati e densi :
vorrian saper come sia gito il fatto;
non è chi dica il ver, non è chi ’l pensi;
sónogli sempre a lato, inanti e dietro;
altri pregan Giovanni, ed altri Pietro.
112
Pregavan loro, e piú l’iniqua setta
de’ sacerdoti, per intender chiara
la cosa, ove si fosse alfin ristretta,
s’è morta o se da morte si ripara.
Ma non vien lor ciò fatto, ch’ognun stretta
la bocca tien, com’ubedir s’impara.
E ’n questo tanto in sul montar d’un ponte
duoi ciechi a lunge sollevar la fronte.
113
L’oscura fronte sollevar lontani,
ch’appropinquar no’ ’i lascia il numer grande:
danno a lor guide le sinistre mani,
e vanno ove la fede par che ’i mande,
la qual promette a loro che fien sani
da Quel che ’l suo tesoro a tutti spande.
Giá de l’albergo giunti in su le porte:
— Miserere di noi ! — gridavan forte.
114
Quest’era un domiciglio stretto e basso,
ove ’l Fabro del ciel solea talotta
riducer a posarsi il corpo lasso,
come fan gli animali o ’n nido o ’n grotta:
stanze di marmo o d’altro vivo sasso
dimette a voi, mondani, che corrotta
la mente avete in fugitive pompe,
che ’n sul piú vago fior morte trarompe !
”5
La Bontá senza esseinpio, e de la vita,
Iesú, fontana, vede gli orbi e parla:
— Credete voi ch’io possa la smarrita
luce tornar? — Risposer: — Non tornarla,
ma l’alta tua potenzia eh’ è ’nfinita
può piú del sol sei volte incolorarla! —
Per tanta fede allor quelle palpèbre
toccò con mano e scosse le tenèbre.
T. Folengo, Opere italiane - n.
15
226
116
Qua l’aer azurin, lá il campo verde
veggon ch’agli occhi fór gran tempo spenti,
né sol degli occhi ciechi si disperde
la tenebria, ma da le cieche menti.
Due son le grazie, e nulla se ne perde,
ché ne rimangon amboduoi contenti,
perché di viva fede il gran splendore
apre di fuor la vista e dentro il cuore.
117
Gittan gli bastoncelli, che non sono
né piú di lor né d’altre guide al vuopo.
Usciti da Iesu, dan fama e suono
che Chi sa medicar senza siropo
e senza impiastro alcun, fatt’ha lor duono
di que’ quattr’occhi ; donde avanti e dopo
si veggon chiaramente il piano e l’alpe,
ch’or givano tanton’ si come talpe.
118
Tant’era l’allegrezza ed il contento
d’avere agli occhi racquistato il lume,
che contra il fatto a lor commandamento
da Lui, che di celarsi ha per costume,
van predicando a tutti, ed argomento
fan co’ lumi di ciò ch’un divin nume
era Iesu, figliuol di Dio, Re forte,
che del suo regno a tutti apre le porte.