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— Su l’onorata catedra di Mòse
oggi seggon gli scribi e farisei:
ma, come che sian l’opre lor ritrose
ai parlamenti assai conformi ai miei,
fate ciò che vi dicon, ma le cose
lor sconce e gli atti d’ ingiusticcia rei
non fatti sian, per quanto avete care
l’alme, se vi cal pur di lor salvare!
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Su l’altrui spalle pongono quei pesi
ch’a dromedari e boi fòran soperchi:
non a le lor, però, sono scortesi,
trovando a le menzogne i lor coperchi :
ciò è che ’l freno a li dottori, accesi
nel predicar, ne l’arguir de’ cerchi,
sia rallentato a far piú lievi cose,
ché lievi appellan essi e men gravose.
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Quel eh’ è legger vi dicon esser grave,
ed ogni grave incarco fan leggero,
per avariccia intenti che le prave
lor ciance abbian in sé color di vero,
e ’l lume orbato lor da grossa trave
non paia in gli occhi altrui se non sincero:
donde secondo i loro avisi oprate,
ma l’opre d’essi far non v’impacciate.
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Scritt’han la legge al capo e intorno agl’imi
lembi di que’ lor ampi e ricchi manti;
negli occhi al ciel son istrioni e mimi,
negli occhi al mondo sacerdoti e santi ;
voglion ed aman sempre i seggi primi
come dottori al mezzo d’ignoranti,
ed esser salutati ed esser detti
saggi rabbini e precettori eletti.