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Guai a voi, scribi e farisei ritrosi,
di dentro al ben, di fuore al mal rubelli!
Come si vede in vista i gloriosi
soldati ornar d’insegne i bianchi avelli,
ma dentro i corpi puzzano, corrosi
da stomacosi vermi e serpentelli;
cosi voi siete ipocriti e bugiardi,
donde convien che l’ira non piú tardi.
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Gierusalem, Gierusalem, ch’ancidi
e anciderai chi ’n tuo profitto venne,
tante volte giá volsi nei miei nidi
raccòrre i figli tuoi sotto le penne:
ma, lasso! che durissima ti vidi
ed ostinata contra a chi sostenne,
da poi tanti profeti da te morti,
calar dal cielo, acciò ch’ai ciel ti porti.
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Però tu se’ quella diletta vigna
(diletta piú, non giá coni ’anzi fosti),
che ’l padre di famiglia per benigna
natura sua piantò per farne mosti:
mosti suavi ove sia chi ti cigna
intorno d’alte siepi e lidi angosti,
ed una de le due belle stagioni
di fiori, e l’altra d’uve ti coroni.
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Ma gli cultori tuoi per morbidezza
lasciato han ruginir lor falci e zappe:
però de le tue piante ogni vaghezza
contrasse orror di sterpi, ortiche e lappe;
e peggio fu ch’ogni lorda bruttezza
ti fenno i porci sotto umane cappe,
finché, di be’ giardini in duri ed adri
boschi conversa, diesti albergo a’ ladri.