La scotennatrice/VI. Una partita di boxe nella prateria
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VI.
Una partita di boxe nella prateria.
— Ferma!...
— Chi fermare?
— Tu uomo bianco.
— Io non fermare affatto. Io uccidere bisonti in questo momento.
— Se a mio fratello il volto pallido preme la sua capigliatura, scenda dal suo cavallo e consegni il suo rifle. — Io non essere mai stato fratello di musi rossi. Aho!... Io essere inglese e milord.
— Mocassino Rosso è un grande guerriero.
― A me poco importare. Levati di lì, briccone!... Tu spaventare bisonti.
— Mio fratello il volto pallido ha la lingua più lunga della canna del suo rifle; Mocassino Rosso o se vi piace, Mocassino Sanguinoso, ha invece il suo tomahawak più pesante delle sue parole. Obbedite!
― Lord Wylmore, l’ammalato di spleen, che aveva arruolato l’indian-agent, Harry e Giorgio colla speranza che le grandi emozioni della caccia lo guarissero in un modo o nell’altro, magari con dei colpi d’unghia o con delle cornate, lanciò un furioso:
— By God!...
Con un colpo di sperone ed una strappata di briglie fece fare al suo magnifico puro sangue un salto straordinario che lo portò fuori dalle colonne dei bisonti, le quali fino allora si erano lasciate tranquillamente fucilare, troppo preoccupate a frapporre fra loro ed il fuoco che ardeva all’orizzonte il maggior spazio possibile, per pensare a difendersi da quell’importuno.
Un indiano di alta statura, un vero gigante, dalla pelle più bruna che rossastra, lineamenti feroci e duri, vestito d’un paio di calzoneros di tela grossolana, adorni di una doppia riga di capigliature umane, si era piantato dinanzi all’inglese, impugnando un tomahawak dalla lama lucentissima.
Pareva risoluto a chiudere il passo al suo avversario e ad inseguirlo nel caso che avesse tentata la fuga, poichè a pochi passi da lui pascolava un magnifico mustano nero, dal mantello lucidissimo come il velluto, la testa leggera, il ventre stretto dei bevitori d’aria e le gambe lunghe, secche e nervose.
— Dove vuole andare mio fratello il viso-pallido? — chiese il gigantesco indiano, sogghignando. ― Verso il fuoco che in questo momento divora la prateria, od incontro ai miei fratelli che guardano tutti i passi?
― Facchino! ― urlò l’inglese, furibondo. ― Io non voler essere tuo fratello!... Pezzente!... Puzzi come aragosta marcia!...
«Via!... Io uccidere tutti brutti indiani se non mi lasciare voi uccidere bisonti!... Io voler guarire mio spleen.
― Spleen!... Che cos’è? ― chiese l’indiano il quale, forse per la prima volta in vita sua, si divertiva a chiacchierare.
— Lo spleen di lord Byron.
— Mio fratello parla in modo da non poterlo capire. Tu hai due lingue dunque?
— Asino!... Tu non capire niente!...
― Io m’intendo che di strappare le capigliature degli uomini bianchi, — rispose Mocassino Rosso.
— Brigante!...
— Scendi, uomo bianco.
— Io non scendere niente affatto, pezzente. Tu volere mio portafoglio, ma io difendere miei chéques e mia capigliatura insieme.
Mocassino Rosso fece un gesto d’impazienza.
Lanciò un rapido sguardo verso le nuvole di fumo che s’alzavano sull’orizzonte, stendendosi lentamente in forma d’immense cortine, essendo in quel momento il vento leggerissimo, poi alzò il tomahawak, urlando ferocemente:
— Il tuo rifle, uomo bianco!...
— Mio rifle servire a me milord, cacciare bisonti e guarire spleen.
Un’imprecazione pronunciata in buonissima lingua inglese, uscì dalle labbra dell’indiano.
Il suo tomahawak, scagliato a tutta forza, andò a colpire il puro sangue all’altezza della spalla sinistra, aprendogli una larga ferita.
L’animale, sotto l’impressione del dolore, s’impennò bruscamente mandando un lungo nitrito e spiccò un salto di montone gettando d’arcione il cavaliere.
Contrariamente ai cavalli arabi ed ai mustani della prateria, i quali mai abbandonano i loro padroni, invece di arrestarsi, si scagliò fra le colonne dei bisonti le quali procedevano a larghi intervalli, allontanandosi velocemente.
Se l’erba non fosse stata tanto fitta ed alta, lord Wylmore si sarebbe fracassato il cranio o per lo meno spezzate due o tre costole.
Invece, lesto come una scimmia, si era rialzato, precipitandosi contro Mocassino Rosso coi pugni tesi, poichè nella caduta aveva perduta la sua splendida carabina.
— Furfante!... — gridò. — Io ti uccidere a pugni!...
Mocassino Rosso era scoppiato in una clamorosa risata.
— Io non ho più la mia ascia di guerra, — disse, — ma mio fratello bianco non ha più il suo rifle.
«Accoppare Sandy Hook a colpi di pugno sarà una cosa un po’ difficile, milord. Anche a Chicago s’insegna la boxe.
L’inglese si era fermato, guardando con stupore l’indiano, il quale continuava a ridere e si era messo in guardia come un perfetto boxer.
— Tu, muso rosso, essere stato a Chicago a studiare boxe!... — esclamò.
— Precisamente, milord.
— Che indiano essere tu?
— Mio fratello bianco vuole vederlo?
— Aho... Io essere curioso!...
Mocassino Rosso si bagnò un dito colla saliva e se lo passò sulla gota sinistra, lasciando sul passaggio una striscia biancastra.
— Avevo ragione sì o no, milord, — disse, continuando a ridere, — di chiamarvi mio fratello bianco? Guardate: dove è passato il mio dito bagnato la tinta bruna se n’è andata.
— Birbante!... Tu non essere un indiano!... — urlò l’inglese. — Tu essere pitturato come muraglie d’una house.
— Per gli yankees ero Sandy Hook, il celebre svaligiatore della ferrovia del Pacifico; per le pelli-rosse sono Mocassino Rosso, un famoso guerriero che non dispera un giorno di diventare un sakem di qualche tribù di Sioux.
— Tu essere uomo bianco?
— Yes, milord.
— Doppio birbante.
Mocassino Rosso, o meglio Sandy Hook, alzò le spalle.
— Come sono noiosi questi inglesi quando si credono ammalati disse poi ― Orsù, milord, io non ho tempo da perdere e mi preme portarvi fra le genti che mi hanno adottato e che sono impazienti di levarvi la capigliatura.
«S’incaricherà quella graziosa Minnehaha di farvi l’operazione. Vi garantisco che ha una mano delicatissima per scotennare.
— Voi volete dire, brigante?
— Che montiate sul mio cavallo e che vi lasciate condurre fra gli Sioux.
— Aho!... Io demolire prima tutte vostre costole.
— Eh!... Provatevi!... D’altronde una buona partita di boxe non mi spiacerebbe.
«È molto tempo che non lavoro di pugni. Che cosa volete? Questi indiani non sanno adoperare che il tomahawak ed il coltello da scotennare.
— Voi essere molto divertente.
— Ciò mi fa piacere, milord.
— E se io vi accoppare?
— Prenderete il mio cavallo e ve ne andrete anche all’inferno, se così vi piacerà.
«Vi avverto però, da leale sportman, che l’inferno è più vicino di quello che credete.
«Tutta la prateria a quest’ora brucia e non vi è che un solo passaggio libero che io solo ed i miei amici Sioux conosciamo.
— A me non importare. All right, signor brigante.
— Pronto, milord, e cerchiamo di sbrigare la faccenda al più presto — disse Mocassino Rosso.
I due pugilatori si misero l’uno di fronte all’altro, lontani appena cento metri dalle schiere dei bisonti, le quali continuavano a sfilare al piccolo trotto senza nemmeno degnare d’uno sguardo quei due originali e cominciarono a far roteare i pugni.
Se Sandy Hook era un gigante, anche l’inglese non era un avversario da disprezzare, essendo pur lui d’alta statura e ben piantato su due solidissime gambe che terminavano con due piedi veramente inglesi.
Per qualche minuto il lord ed il bandito si assaggiarono, per modo di dire, facendo una serie di finte, poi il secondo, premuroso di finirla per paura che le fiamme chiudessero l’ultimo passaggio della prateria, portò al primo un pugno terribile proprio in piena faccia.
Il lord, che aveva assai frequentate le scuole di pugilato di Londra, fu pronto a correre alla parata, ma non potè evitare interamente il colpo datogli da vero maestro dal bandito.
Si coperse la fronte, il naso e gli occhi e non riuscì in tempo a difendere anche la bocca, sulla quale s’abbattè, con grande impeto, il colpo.
— Aho!... — esclamò, balzando indietro.
Poi sputò una boccata di sangue insieme a due dei suoi lunghi e gialli incisivi.
Sandy Hook aveva mandato un urlo di rabbia.
— Imbecille che sono!... — esclamò, digrignando i denti. — Il mio colpo avrebbe dovuto spaccarvi la fronte e farvi schizzare dalle orbite gli occhi.
«Era il famoso colpo di Long Tom, il più grande maestro della scuola di boxe americana.
«Sono stato un vero asino, milord.
Milord non rispose. Continuava a sputare sangue, guardando melanconicamente i suoi due incisivi in mezzo al buffalo grass.
— E che, signore, vi vuotate tutto? — chiese il bandito. — Voi non dovete ignorare che dopo cinque minuti se l’avversario non si rimette in gambe deve arrendersi.
Lord Wylmore trasse con tutta flemma, da una delle venti tasche della sua giubba di flanella bianca, un superbo cronometro d’oro e guardò la lancetta dei minuti.
— Trentaquattro soli secondi dalla botta a questo momento — disse poi. — Io avere tempo.
— Ma la prateria brucia.
— Io mi infischiare del fuoco. Bisonti son scappati tutti.
— Corpo di Satana!... Voi volete farmi perdere la pazienza, milord! ... — urlò Sandy Hook.
— Io avere sempre pazienza. Trentasette secondi... trent’otto... trentanove... Non passato ancora minuto.
Malgrado la sua collera il falso indiano non potè trattenere una fragorosa risata.
— Vi confesso, milord — disse — che da quando ho lasciato il mio onorevole mestiere di saccheggiatore di treni della linea del Pacifico non mi sono mai divertito tanto.
«Gl’indiani sono troppo gravi.
— E voi ridere per vedere miei denti passeggiare per prateria.
— Yes, milord.
— Io pagare miei denti con due vostre costole.
— Yes, milord.
— E rompervi anche muso.
— Yes, milord.
— Yes!... Yes!... Voi gonfiare mia milza, brigante!... — urlò l’inglese, furibondo, rimettendosi in guardia. — All right, mascalzone!...
— Yes, milord.
Il lord, più che mai furibondo, si scagliò su Mocassino Rosso con impeto irresistibile e gli piantò la testa in mezzo al petto, ributtandolo di cinque o sei passi.
A sua volta il bandito aveva mandato un urlo di dolore. Se il cranio dell’inglese non gli aveva sfondate le costole, si doveva credere che quelle dell’americano fossero veramente d’acciaio e di prima qualità.
Ad ogni modo la tambussata doveva essere stata terribile, poichè il bandito era diventato pallidissimo.
— By God!... — bestemmiò con voce rauca. — Non mi aspettavo una simile sorpresa.
«Vi faccio però osservare, milord, che questa non è boxe.
— Boxe gallese, mister brigante — rispose l’inglese dopo d’aver sputato un’altra boccata di sangue. — Io essere gallese e mio paese usarsi questi colpi.
«Io sperare avervi rotto due costole per vendicare miei denti.
— No, milord.
— Come!... Voi essere dunque corazzato?
— Sì di ossa, robustissime di certo — rispose il bandito il quale, tuttavia, respirava con grande fatica.
— Voi volere dichiarare vinto.
— Oh no!... No!...
L’inglese trasse nuovamente il suo cronometro e si mise a contare:
— Cinque secondi... sei... sette... Lancette camminare, mister brigante.
— Cinque minuti sono lunghi anche per me, milord. Dovreste però farmi un favore.
— Dite, mister brigante.
— Avreste per caso nella fiaschetta che mostra il suo collo da una delle vostre tasche, qualche goccia di gin o di wisky.
— Yes!... Yes!...
— Mi farebbe bene.
— Io avere sempre gin.
— Datemi almeno una goccia.
— Prima bere io, poi dare tutto a voi.
Lord Wylmore tirò fuori la sua fiaschetta d’argento, la scosse per accertarsi prima quanto liquido vi poteva essere dentro, poi mandò giù un paio di sorsi.
— Io lasciare a voi, mister brigante, permesso vuotare tutto.
«Aho!... Tempo camminare presto. Minuto primo passato... due secondi... tre... presto, mister.
Sandy Hook prese la fiaschetta che l’inglese gli porgeva e credette di far onore al suo avversario vuotandola fino all’ultima goccia.
— Gin finissimo — disse, facendo schioccare la lingua. — Deve essere stato nella bottiglia almeno dieci anni.
— Venti, mister brigante. Provenire da mie cantine di Swansea.
— Delizioso!... Peccato non averne un paio di bottiglie per romperci perfino l’ultima costola.
— Voi essere bandito amabile — disse il lord. — Io mai essermi così divertito.
«Mio spleen guarire presto.
— Vi preoccupate molto del vostro male.
— Molto come lord Byron.
— Io sono un asino e perciò non conosco il vostro amico Byron. Io però mi propongo di guarirvi per metà il vostro spleen, per l’altra meta penseranno gl’indiani.
— Due minuti passati.
— Me ne rimangono ancora tre.
— Pronto?
— Pronto, milord. Il vostro gin mi ha rimesso completamente in gambe.
«Mi sento in grado di farvi scoppiare la vostra milza, così non soffrirete più lo spleen.
— Aho!... Benissimo!... Voi essere brigante molto gentile.
— Tuoni!... Il fumo si avanza, milord, e non abbiamo tempo da perdere.
— All-right!...
— Sempre pronto. Vi avverto però che se ritentate i colpo dei gallesi io tenterò il colpo dei mustani per sbarazzarsi dei lupi.
— Voi adoperate piedi?
— E sono famoso per calci.
— How!... Brigante gentile.
— Vedremo fra poco se mi chiamerete così — rispose Sandy Hook.
Avevano ricominciato a roteare i pugni, tenendo gli avambracci quasi all’altezza del viso.
Per qualche minuto le finte si successero alle finte, poi Sandy Hook che cominciava a fiutare l’odore del fumo, attaccò a fondo. Il suo pugno destro, grosso quanto una mazza da fucina, colpì l’inglese proprio in pieno petto, facendolo stramazzare al suolo come un albero sradicato da una terribile raffica.
.... colpì l’inglese proprio in pieno petto, facendolo stramazzare al suolo...
Lord Wylmore non aveva mandato nemmeno un grido, ed era rimasto coricato fra il buffalo grass colle braccia aperte e gli occhi socchiusi.
— Che l’abbia ucciso? — si chiese Sandy, curvandosi sull’avversario. — Parola d’onore che mi rincrescerebbe assai.
«Questo inglese era assai gentile e molto divertente.
Mise una mano sul cuore del disgraziato, poi fece schioccare la lingua.
— Bah!... Un semplice svenimento — disse poi. — Perdio! È solido come un vero bisonte quest’uomo.
Mandò un fischio, facendo accorrere il suo bellissimo mustano e tolse dal pomo della sella il lazo.
— Non si sa mai — continuo il bandito. — È meglio ridurlo all’impotenza.
«Ah!... Che stupido!... Gli affari sono affari, dicono i miei compatriotti, ed io dimenticavo i miei.
Frugò delicatamente le venti tasche del lord, prendendosi innanzi tutto il magnifico cronometro, poi una borsa contenente una ventina di fiammanti sterline ed infine un libretto di chéques.
— Se per ora questi foglietti non hanno valore — disse — potranno averne un giorno. L’Amerikan Bank è solido.
Andò a raccogliere la carabina dell’inglese ed il proprio tomahawak, poi afferrò il lord, gli legò le mani dietro al dorso, servendosi del lazo, quindi lo gettò attraverso alla sella del suo bellissimo mustano. Ciò fatto diede un lungo sguardo alla prateria.
L’incendio avvampava da tutte le parti ed i bisonti si erano allontanati verso il settentrione scomparendo fra le prime cortine di fumo.
Appunto in quella direzione si erano pure diretti John ed i suoi compagni, colla speranza di mettersi in salvo sui contrafforti dei Laramie.
— Diavolo!... — borbotto Sandy Hook, corrugando la fronte. — Che questo animale d’inglese mi abbia fatto perdere troppo tempo?
«Non vorrei pagare questo po’ di divertimento con una bella arrostita.
«Orsù, Gim, bisogna galoppare per bene.
Montò anche lui in sella, spingendo un po’ avanti il corpo sempre inanimato del lord, per avere un po’ di posto, e mandò un fischio.
Il mustano morello, che già dava segni d’inquietudine e d’impazienza alzò la testa, aspirò una lunga boccata d’aria, poi partì a corsa sfrenata, quantunque fosse carico di quel doppio fardello.
Sandy Hook lo guidava colle ginocchia, dovendo tener fermo l’inglese le cui gambe e braccia sbattevano lungo i fianchi del cavallo, facendo subire al corpo degli strani soprassalti.
Aveva piegato verso il nord-ovest, verso un punto della prateria dove non si scorgevano ancora che rarissime colonne di fumo.
Doveva essere quello il passaggio lasciato aperto appositamente dagli Sioux prima per lasciare un varco al guerriero bianco che godeva la stima di tutti i sakems, e poi colla speranza che l’indian-agent ed i suoi compagni galoppassero a quella volta e si gettassero nella bocca dei lupi che li attendevano all’agguato.
Il fumo s’avanzava un po’ dal nord, un po’ dal sud ed anche dall’est, non essendo il vento stabile, e turbini di scintille cominciavano a correre per il cielo il quale cominciava ad ottenebrarsi.
Il mustano, conscio del pericolo che correva, allungava sempre senza bisogno che il suo padrone lo aizzasse nè colla voce, nè coi piedi.
Fortunatamente era un animale robustissimo, oltre che essere un gran corridore, e la sua poderosa groppa non piegava sotto il doppio peso.
Dopo una buona ora di trotto serrato, riuscì a oltrepassare le prime cortine di fumo, non ancora chiusesi interamente, ed a raggiungere quel lontano angolo della prateria, tenuto sgombro dal fuoco.
Sandy Hook, vedendosi finalmente al sicuro, respirò lungamente.
— Una mezz’ora di ritardo ed io arrostivo come un roastbeef — disse.
— Bisogna proprio credere che la fortuna sia più inclinata a proteggere i birbanti che i galantuomini.
«È vero che questa volta ha accordato un po’ di protezione anche a questo inglese il quale, senza di me, sarebbe rimasto a cuocere insieme ai suoi bisonti.
Aveva appena terminato il suo monologo, quando il suo cavallo si arrestò bruscamente, piantandosi sulle quattro zampe e mandando un sonoro nitrito.
Quasi nel medesimo istante dieci o dodici indiani, armati di winchester, balzarono fuori dalle erbe, gridando:
— Ferma!...
— Non si conoscono più gli amici, dunque? — chiese Sandy Hook, con voce minacciosa.
— Mocassino Rosso!... — esclamarono i guerrieri, abbassando i fucili.
― Che porta una capigliatura non ancora scotennata, da regalare alla sakem.
«Dove accampa?
— Al di là dell’Homa Creek — rispose il più vecchio del drappello.
— So dov’è: non c’è bisogno che mi accompagnate, e del resto la vostra guardia è ormai diventata inutile.
«Brucia tutto laggiù.
— E gli uomini pallidi?
— Scomparsi.
— Ciò seccherà assai Minnehaha.
— Bah!... Si rifarà colla capigliatura di questo inglese.
«Date fuoco alle erbe anche qui, e lasciate che uomini e bisonti arrostiscano insieme.
Ciò detto diede due colpi di tallone al mustano e si allontanò a piccolo trotto. Il paese cambiava rapidamente, cominciando a spingersi innanzi i primi speroni dei Laramie occidentali, divisi da larghi cañones ricchi di acque scroscianti e di alberi.
Sandy Hook attraversò tre o quattro di quelle gole e s’introdusse finalmente dentro una quinta, più larga e più alberata, fermandosi dinanzi ad un accampamento piantato sulle rive d’un torrente e formato da tre o quattro dozzine di wigwams di forma conica e tutti fumanti, essendo l’ora della cena.
Dei fuochi brillavano intorno alle tende, proiettando in tutte le direzioni dei bagliori sanguigni.
Sandy Hook, oltrepassato il forte cordone delle sentinelle, vigilanti sui loro mustani, si fermò dinanzi ad un vasto ed altissimo wigwam, tutto formato di pelli di bisonte accuratamente cucite e dipinte in rosso, su cui ondeggiava il totem degli Sioux.
Era l’abitazione di Minnehaha, la famosa Scotennatrice.