La scotennatrice/VII. I furori di Lord Wylmore
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VII.
Mocassino Rosso, aiutato da parecchi indiani prontamente accorsi, tolse dalla sella l’inglese, il quale si ostinava a non dare ancora segno di vita, gli slegò le mani e lo depose sull’erba che in quel luogo era altissima.
Il povero lord doveva aver ricevuta una scossa ben terribile per rimanere quasi un paio d’ore svenuto. Eppure non era niente affatto morto, poichè il suo cuore batteva sempre ed i colori a poco a poco gli erano tornati sul viso.
— Prima di presentarlo a Minnehaha voglio che si tenga, bene o male, almeno dritto.
«Non voglio già offrire a quella piccola tigre rossa un moribondo, e poi un lord deve presentarsi come un grande personaggio quale veramente è.
Accanto a lui si trovava un vecchio indiano, il quale portava, dietro il dorso, uno strano ornamento formato di penne di tacchino selvatico, che dalla testa gli scendeva fino alle natiche, ornamento riservato solamente ai più famosi guerrieri.
Sandy Hook gli strappò una lunga penna, l’accese al falò che ardeva dinanzi alla tenda della Scotennatrice e la mise sotto il naso dell’inglese.
L’odore pestifero delle barbe bruciate ottenne un effetto pronto e meraviglioso.
Lord Wylmore arricciò dapprima il naso, poi sternutò sonoramente tre o quattro volte e spalancò finalmente la bocca mandando un «Aho» che per poco non fece fuggire gl’indiani che gli stavano intorno.
— Corpo d’una bombarda!... — esclamò Sandy. — Che polmoni hanno questi inglesi!... Si direbbe che dopo aver corazzate le loro navi, hanno anche corazzati i loro organi più importanti.
«Parola d’onore che valgono noi americani!...
Strappò ad un altro indiano una fiaschetta che portava a bandoliera, la sturò, la fiutò, poi l’accostò alle labbra dell’inglese, dicendo:
— Sarà un tafià fabbricato a base d’acido solforico, ma giacchè lo bevono gl’indiani senza morire, può assaggiarlo anche un bianco d’oltre Atlantico.
«Certo che non è pale-ale. Orsù, milord, un sorso. Così giudicherete come i yankees avvelenano la razza rossa.
Una grossa goccia cadde fra la bocca semi-aperta di lord Wylmore, subito seguita da molte altre.
Parve che una scossa elettrica passasse attraverso il corpo del gentiluomo britannico.
I suoi occhi si spalancarono, le sue braccia si torsero, le sue gambe si contrassero, poi due furiosi colpi di tosse lo scossero dalla testa ai piedi.
— Altro che acido solforico!... — borbottò Sandy Hook. — In questa porcheria vi hanno messo dentro del vetriolo, ed il palato di questo brav’uomo non è mai stato abituato ad un sì potente corrosivo.
«Bei birbanti che sono i miei compatrioti!!... Meriterebbero l’applicazione della legge di Lynch!...
Lord Wylmore, che aveva mandato già parecchi sorsi di quel liquido infernale inventato dagli spietati yankees per abbrutire completamente gli ultimi superstiti della grande famiglia della razza rossa, si era alzato a sedere, comprimendosi il petto con ambo le mani.
— Aho!... — esclamò. — Me bruciare viscere!...
— Ma no, milord ― rispose Sandy Hook. ― Vi ho dato da bere poche gocce di quell’eccellente liquore che i miei compatriotti regalano ai miei amici pelli-rosse.
— Ah!... Essere ancora voi?
— Corpo d’una bombarda!... Credevate di avermi ucciso col vostro colpo del gallese? Niente affatto, milord.
— Voi avere pelle molto dura.
— Mi pare che anche la vostra sia delicata come quella d’un caimano.
Lord Wylmore ebbe un sorriso.
— Caimano — disse poi. — Bestia con corazza ossea, molto dura. Voi essere molto gentile, mister brigante.
Poi, girando intorno gli sguardi, osservò attentamente, con una viva curiosità, i dieci o dodici indiani che lo circondavano e che stavano seduti sulle calcagna, come era loro abitudine, conservando un silenzio religioso.
— Indiani questi brutti musi? ― chiese.
— Yes, milord.
— Amici?
— Ah!... Non lo so, milord.
— Voi cacciare via tutti.
— Non posso, perchè sono amici miei se non vostri.
— Voi essere gran birbante.
— Me ne compiaccio.
— Mascalzone.
— Poco m’interessa.
— Io avere lottato come gentiluomo.
— Ed io vi ho vinto.
— Non dovere voi, mister brigante, portare me qui.
— Se sono miei amici!...
— Non essere miei.
— Ah!... Questo non lo so ancora.
— Volete rivincita?
― Di che?
— Voi avere dato a me pugno molto forte.
— E così, milord?
— Io volere restituire a voi.
― Ora è impossibile, signor mio, perchè vi è la Scotennatrice che desidera vedervi.
― Se offrire a me cena! Io avere molta fame.
― La sakem degli Sioux qualche volta è gentile e potrebbe invitarvi alla sua tavola.
― Aho!... Io essere contento vederla.
― Potete reggervi?
― Voi dare a me un altro sorso di quel veleno che brucia gola.
― Bevete pure, milord.
L’inglese diede un altro bacio alla fiaschetta, poi si alzò senza aver bisogno di essere aiutato.
In quel momento un indiano uscì dalla vasta tenda, dicendo a Mocassino Rosso:
― La sakem ti aspetta.
— È sola?
— Con suo padre, Nube Rossa.
― Andiamo, milord ― disse il bandito. ― È pericoloso fare impazientire Minnehaha.
L’inglese si rassettò alla meglio gli abiti, si cacciò bene in testa il suo elmo di tela bianca circondato dal velo azzurro, che durante la corsa attraverso la prateria non aveva perduto, perchè assicurato dal sottogola, e seguì Sandy Hook, senza manifestare alcuna apprensione.
Diamine!... Era un figlio della potente Inghilterra dalle braccia lunghe, sempre pronta a proteggere i suoi sudditi in qualunque angolo del mondo si trovassero, sì o no?
Un lembo della tenda fu alzato ed i due uomini entrarono.
Attorno ad un fuoco che ardeva nel centro, spandendo un fumo abbastanza noioso, stavano seduti su due crani di bisonte, le cui corna servivano da bracciali, due persone: una giovane donna ed un vecchio pelle-rossa tutto rugoso, colla capigliatura però ancora nera quantunque piuttosto rada, il quale fumava placidamente il calumet ben colmo di morike, ossia di tabacco fortissimo spruzzato d’acquavite.
Erano Minnehaha, la figlia di Yalla, e suo padre Nube Rossa, il gran sakem dei Corvi.
Minnehaha non era più la piccola monella che i lettori delle Frontiere del Far-West hanno conosciuta e che pure, fino da allora, aveva dato tanto da fare agli scorridori di prateria del disgraziato colonnello Devandel.
Si era sviluppata meravigliosamente e nulla aveva da invidiare a sua madre, la bellissima e terribile Yalla, l’anima dell’insurrezione indiana del 1863.
Era una bella donna di venticinque o ventisei anni, alta, slanciata, coi capelli e gli occhi nerissimi, i lineamenti energici e la pelle solo leggermente bruna, con delle indefinibili sfumature rossastre.
Portava sul capo un largo cerchio d’oro sorreggente tre penne di falco nero delle Montagne Rocciose e l’avvolgeva tutta uno di quei magnifici mantelloni di lana di montone selvatico, adorno di lunghe frange e con numerosi ricami che raffiguravano tanti uccelli neri.
Volevano raffigurare l’Uccello della Notte, suo fratellastro, fucilato nella gola del Funerale quindici anni prima, dal colonnello Devandel, durante le prime avvisaglie delle cinque nazioni indiane? Era probabile.
Nube Rossa, alto, massiccio ed ancora gagliardo malgrado la sua tarda età, indossava invece il pittoresco costume dei guerrieri della sua nazione.
Aveva sul capo un diadema di penne multicolori infisse in una benda di stoffa azzurra; una casacca di pelle di daino non conciata, abbellita da cordoncini rossi; calzoneros scotennati verso il fondo con capigliature umane, e le gambe strette da mocassini di pelle bianca, ricamati.
Vedendo entrare l’inglese, Minnehaha si era alzata di scatto, fissandolo coi suoi occhi nerissimi, ripieni di ardore selvaggio.
— È questo l’uomo che hai trovato nella prateria? — chiese a Mocassino Rosso.
— Sì, Minnehaha.
— E gli altri?
— Non so che cosa sia successo di loro, ma quest’uomo potrà darti delle preziose informazioni.
— Erano gli altri che mi premevano, soprattutto quel John che tiene la capigliatura di mia madre — disse la giovane donna, con accento feroce.
— E di mia moglie — aggiunse Nube Rossa, continuando a fumare.
— La prateria è tutta in fiamme e non so come potrebbero cavarsela — rispose Sandy Hook.
— Era la sua capigliatura che io volevo. Che importa a me che il corpo dell’indian-agent del colonnello Devandel si carbonizzi?
«Chi è quest’uomo?
— Un inglese che nel suo paese gode un’alta posizione.
«Metti che sia un sakem.
— Si trovava cogli scorridori?
— Sì, Minnehaha.
— Allora lui saprà dove sono fuggiti quei miserabili.
— Lo credo.
— Lasciaci soli e tieni sei guerrieri dinanzi alla tenda.
— Vuoi scotennarlo? Ti consiglierei di non aver premura, Minnehaha. Quest’uomo è una buona presa che potrai, in caso d’un disastro, scambiare con due sakem Sioux.
Minnehaha crollò la testa e fissò i suoi sguardi sulla capigliatura biondastra, cosparsa di abbondanti fili d’argento, dell’inglese, come se cercasse su quel cranio anglo-sassone il punto migliore per tracciare colla punta del coltello il circolo sanguinoso o il punto dove cacciare la lama sotto la cotenna.
Mocassino Rosso fece, colla mano, un saluto al lord e uscì dalla tenda con uno strano sorriso sulle labbra.
Il prigioniero era rimasto ritto dinanzi alla terribile Scotennatrice, senza apparire troppo preoccupato della sua cattiva sorte che poteva fargli passare un tremendo quarto d’ora.
Guardava Minnehaha con vivo interesse, sorpreso assai di trovare fra quei rossi selvaggi una così bella donna.
— Voi non siete yankee? — chiese finalmente la Scotennatrice, additandogli con un gesto superbo un cranio di bisonte che bene o male poteva servire da sedia.
La domanda era stata fatta in lingua inglese, abbastanza pura per essere parlata da una pelle-rossa.
— Io non essere mai stato americano, miss — rispose il lord, il quale si credette in dovere d’accompagnare la risposta con un lieve inchino.
— Dove si trova il vostro paese?
L’inglese arrossì fino al bianco degli occhi. Come!... Non si sapeva dove si trovava la grande Inghilterra? Ma dovevano saperlo perfino i negri dell’Africa centrale, i cannibali del Congo, i fuegini della Terra del Fuoco, i Tobas del Gran Chaco dell’America del sud, gli esquimesi, e anche gli orsi grigi.
Nube Rossa intervenne.
— È un gran paese che si trova al nord di queste terre, sui cui confini vivono alcune tribù della mia nazione — disse.
— Tu essere grosso asino!... — gridò lord Wylmore, con indignazione. — La Columbia non essere l’Inghilterra, la strapotente Inghilterra che fa risuonare per tutto il mondo il God save our Gracious Queen...1.
Il vecchio indiano guardò tranquillamente l’inglese, scrollò le spalle e si avvolse in una gran nuvola di fumo pestifero, che per un momento lo rese quasi invisibile.
Minnehaha si era contentata di sorridere alla sfuriata dell’inglese, ma si sarebbe detto che quello era il sorriso della tigre che si appresta ad afferrare la preda.
Lord Wylmore era rimasto un po’ sconcertato dell’ignoranza della giovane indiana e di Nube Rossa.
Non si ricordavano più dunque quelle terrecotte, che i loro avi avevano combattuto contro i yankees anelanti d’indipendenza a fianco dei gloriosi granatieri di re Giorgio e dei fortissimi e saldi Hassiani? È vero che era trascorso quasi un secolo!
— Miss — disse l’inglese — voi non sapere che cosa essere dunque la grande Inghilterra?
— So che è un paese abitato da uomini bianchi ed a me basta — rispose Minnehaha.
— Di uomini bianchi, ma non nemici, miss, perchè avere combattuto insieme sui laghi canadesi contro cattivi yankees.
— Io non ho veduto altro che dei visi pallidi massacrare e scotennare gli uomini rossi — rispose la Scotennatrice. — Per me ogni viso pallido è un nemico della razza rossa.
— Voi miss essere in grosso inganno.
Minnehaha fece un gesto come di noia, poi chiese:
— Che cosa siete venuto a fare voi sul nostro territorio?
— Io essere venuto a cacciare bisonti per guarire spleen.
— Che cos’è?
— Aho!... Io non sapere spiegare a voi miss. Malattia molto cattiva, molto pessima.
— Che si guarisce col grasso o colle corna dei bisonti forse?
— Io non sapere dire.
Minnehaha allargò i suoi occhi neri e scintillanti, fissandoli sull’inglese. Cominciava a credere d’aver dinanzi a sè un pazzo od un ubbriaco.
Interrogò, sempre cogli sguardi, Nube Rossa, ma il vecchio indiano rispose con un’altra alzata di spalle ed una fumata di più.
— Voi non eravate solo — chiese Minnehaha, dopo un breve silenzio.
— No, miss: io avere arruolato tre uomini, tutti grandi cacciatori.
— Uno dei quali si chiamava John, è vero? — chiese la giovane donna con voce cupa.
— Yes, John.
— Un indian-agent.
— Yes, indian-agent.
— Dov’è quell’uomo?
— Aho!... Io non avere più veduto miei uomini. Brutti briganti avere me abbandonato perchè io volevo cacciare bisonti per guarire il mio male.
— Quando vi hanno lasciato?
— Poter essere passate dodici ore.
— E perchè non vi hanno più accompagnato alla caccia?
— Perchè loro avere paura indiani e poi andare a cercare altro uomo.
— Chi era quell’uomo?
— Pare fosse amico dell’altro trovato senza capelli.
Sulle labbra della giovane donna spuntò un sinistro sorriso.
Si alzò quasi di scatto e tendendo un braccio verso uno scudo nel cui centro era appesa una capigliatura ancora lorda di sangue:
― Eccola quella di quell’uomo — disse, con selvaggia ferocia. — Gliela ho strappata io!...
— Aho!... Voi somigliare a tigri India orientale — rispose lord Wylmore. ― Cattiva!... Cattiva!...
— Ho delle vendette da compiere, uomo pallido, e le compirò. Anche mia madre è stata scotennata.
— Da uomo rosso.
— No, da quel John che vi guidava alla caccia dei bisonti.
— Io non avere mai saputo questo. Mio paese mai scotennare nè uomini, nè donne.
«Appiccare i birbanti, poi basta.
— Quale direzione hanno preso l’indian-agent ed i suoi due compagni?
— Io non sapere. Io essere troppo occupato dietro bisonti per badare a loro.
— Eppure dovete dirmelo.
— Ah, miss!... Voi volere da me l’impossibile.
— Voi me lo direte!... — gridò Minnehaha, alzandosi minacciosa.
Aveva lasciato cadere, con una mossa brusca, il suo splendido mantellone di lana bianca di montone selvaggio, comparendo agli sguardi stupiti dell’inglese in un costume bizzarro che stava fra quello così pittoresco dei messicani e quello non meno stravagante eppur suggestivo dei sakem indiani.
Aveva il corpo stretto in una corta manga di velluto nero con bottoni d’oro, aperta sul dinanzi in modo da mostrare una camicia di seta bianca, stretta alla cintura da una larga fascia di seta rossa, ricadente sul fianco destro in larghe frange.
I calzoneros invece erano indiani, di tela grossolana, di colore azzurro, scotennati all’esterno ed adorni di capelli umani di varie tinte; le gambe erano strette da mocassini di pelle di daino ricamati in azzurro.
Una lunga navaja spagnola, un po’ ricurva come i machetes messicani, le brillava sotto e sopra la fascia di seta rossa.
Era il terribile coltello di cui si serviva per scotennare i vinti nemici dalla pelle pallida.
Quantunque lord Wylmore, da vero inglese, non fosse facile a perdere il suo sangue freddo, rimase un po’ scombussolato dallo scatto di rabbia della sakem e soprattutto dall’espressione selvaggia che aveva improvvisamente alterati i lineamenti bellissimi di lei.
— Mia piccola tigre — disse — io non volere vedervi così.
«Voi vecchio, calmare nervi di miss rossa.
— Hug!...— fece il capo dei Corvi, senza interrompere la sua fumata e senza abbandonare il suo sedile.
— Lasciare pipa, voi, vecchio, e parlare una volta!... — gridò lord Wylmore.
Nube Rossa, come era sua abitudine, scrollò le spalle e fumò più forte che mai.
Minnehaha, tutt’altro che calmata, investì furiosamente il prigioniero.
— Cane d’un viso pallido!... — urlò, con voce fremente. — Vuoi tu dunque che alle capigliature dei yankees aggiunga anche quella d’una nuova razza?
— Cane d’un viso pallido! — urlò con voce fremente.
— Miss piccola tigre, calmare vostri nervi. Io essere inglese, figlio grande Inghilterra e mia capigliatura costare cara molto, molto.
— Dove sono quegli uomini? Voi dovete rispondermi.
— Io avere già risposto non sapere nulla. I bisonti marciare verso levante, io questo sì saperlo, ma uomini di mia scorta, no.
— È impossibile, voi non volete tradirli.
— Io non sapere niente.
— Ah!... Vedremo!...
Si slanciò verso un vecchio cofano e tolse una tibia umana: era l’ikkischota, il fischietto di guerra delle tribù indiane.
Un fischio lacerò l’aria e tosto sei indiani, guidati da Mocassino Rosso, irruppero nella tenda, precipitandosi sul disgraziato lord e riducendolo all’impotenza, prima ancora che avesse potuto fare un gesto per reagire contro quella brutale ed inaspettata aggressione.
— Che si innalzi il palo della tortura!... — gridò Minnehaha, con voce terribile. — Vedremo come questi uomini appartenenti ad una razza nuova sapranno sfidare i nostri tormenti.
— Miss brigante — gridò lord Wylmore, il quale tentava, invano, di sfuggire alle strette di tutte quelle mani. — Mio grande paese vendicare mia morte!... Venire corazzate anche dentro prateria, vedrai, piccola tigre!...
Dieci robuste braccia lo sollevarono di peso e lo portarono fuori della tenda intorno alla quale, attratti dal fischietto di guerra, si erano radunati cinquanta o sessanta indiani fra Sioux e Corvi, tutti armati di winchester e di tomahawak.
Il disgraziato inglese fu spogliato fino alla cintola, poi legato al tronco d’un albero la cui parte superiore era stata subito abbattuta con pochi colpi di scure.
Mocassino Rosso si era subito avvicinato, tenendo in mano un pentolino di terra cotta pieno di acqua rossastra ed una penna di tacchino selvatico.
— Che cosa fare tu, brigante? — chiese il lord. — Tu, uomo bianco, non avere vergogna di essere con questi brutti musi rossi?
— Io non sono più Sandy Hook, bensì Mocassino Rosso — rispose tranquillamente il bandito.
— Tu mentire!... Tu avere fatto vedere a me tua pelle bianca!...
— Ah, baie!... Vi siete ingannato, milord. Mio padre era un sakem degli Arrapahoes e mio nonno era una scimmia rossa.
— Brigante!...
— Yes, milord.
— Voi non osare maltrattare suddito di Graziosa Regina.
— Io no, ma la sakem purtroppo sì, se non vi deciderete a parlare.
— Io detto già non sapere nulla.
— Tutti dicono così; anch’io farei altrettanto al vostro posto, per non tradire degli uomini appartenenti alla mia razza.
— Tu essere bianco, bandito!... Io avere veduto segno bianco!... Tu non essere rosso.
― Ma no, milord, io sono proprio rosso. Apritemi una vena e vedrete se il mio sangue non è rosso.
— Canaglia!... Tu deridere me!...
— Yes, milord.
— Andare sulla forca, bandito.
— Oh, non ancora, milord. È troppo presto.
«State fermo un momento.
Prese la penna di tacchino intinta in quella miscela rossastra che empiva il vasetto, composta d’ocra e di grasso d’orso leggermente riscaldato, e tracciò sul petto nudo dell’inglese un bersaglio a tre giri e relativo centro.
Lord Wylmore aveva mandato un urlo di belva ferita.
— Canaglia!... Ladrone!... Io servire da bersaglio a questi banditi!... Io, un inglese!...
― Hanno servito tante volte anche i miei compatriotti... cioè i yankees senza protestare tanto — disse Sandy Hook, il quale pareva che si divertisse immensamente delle sfuriate del prigioniero. — Ecco fatto!... Vedo che pitturo ancora abbastanza bene.
«Guardate un po’ come sono quasi esatti questi circoli. Io ero nato per diventare un artista e forse dei più famosi.
Ciò detto il birbante gettò via il pentolino e la penna e si diresse verso la tenda di Minnehaha, ridendo a crepapelle, mentre gl’indiani accumulavano ai due lati del palo della tortura dei grossi rami accesi, affinchè il bersaglio diventasse ben visibile.
Note
- ↑ Dio salvi la nostra graziosa Regina.