La scotennatrice/V. La «Scotennatrice»
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | IV. Uno spettacolo spaventoso | VI. Una partita di boxe nella prateria | ► |
V.
Lo spettacolo che presentavano quei sette od ottocento animali caduti sotto la marea di fuoco, terribile non meno d’una eruzione di lave scaraventate fuori da un vulcano, era orribile.
I poveri colossi, chiusi entro la cerchia delle fiamme, asfissiati dal fumo, abbrustoliti dalla pioggia furiosa di scintille cadenti da tutte le parti, erano stramazzati tutti, formando un carnaio gigantesco, o meglio, un arrosto colossale, poichè si erano cucinati come se fossero stati cacciati dentro un forno.
La loro agonìa, quantunque brevissima, data l’impetuosità delle cortine di fuoco, doveva essere stata dolorosissima, a giudicarlo dalle loro diverse pose.
Alcuni avevano conficcate le loro corna entro la terra come se avessero cercato di seppellirvisi sotto; altri giacevano coricati sul dorso, colle zampe rattrappite sui ventri ancora fumanti; altri ancora si trovavano cacciati sotto i compagni colla speranza che i loro corpi servissero di scudo.
L’odore di carne arrostita e di grasso, che saliva da quell’ammasso di corpacci era tale, che i quattro avventurieri esitarono ad avanzarsi per scegliersi la cena.
— Questa è la cucina di Belzebù!... — esclamò John.
— Che rovina!... — esclamò Harry. — Ecco qui delle migliaia di tonnellate di eccellente carne perdute inutilmente!...
— È spaventevole!... — esclamò Giorgio.
— Lasciate stare e cerchiamoci un paio di lingue che siano ben cotte — disse Turner. — Penseranno i lupi e le coyotes a far sparire, a poco a poco, questo carnaio.
— Lupi e coyotes che piomberanno certamente a battaglioni — disse John.
— Anche a reggimenti completi, amico. Fra una settimana questa prateria sarà piena di belve.
«Speriamo di essere allora ben lontani. Se la sbrigheranno gl’indiani.
Passarono in rivista una ventina d’animali, ed avendone trovati un paio arrostiti quasi perfettamente, tagliarono dei pezzi di gobba e strapparono un paio di lingue, poi scapparono a tutte gambe verso gli occhi, non potendo più reggere a quell’odore che non era troppo appetitoso, non essendo tutti gli animali perfettamente cucinati.
La bassura, ancora abbastanza satura d’acqua e ricca di erbe quantunque avvizzite dalla gigantesca fiammata, era diventata rapidamente fresca.
La cenere calda, che era caduta abbondantemente, anche là, formando in certi luoghi dei veri cumuli, si era subito raffreddata, sicchè l’aria era diventata meno ardente anche in causa dell’umidità, non completamente assorbita.
I quattro avventurieri si sdraiarono presso uno degli occhi più vasti che conteneva dell’acqua ancora abbastanza limpida, misero intorno le selle per meglio appoggiarsi, stesero una coperta e si misero a cenare, tranquilli come se si fossero trovati dentro un fortino accuratamente sorvegliato dalle sentinelle.
D’altronde pel momento non avevano nulla da temere da parte degl’indiani, poichè la prateria avvampava sempre verso ponente, e verso levante il terreno era ancora troppo ardente perchè i cavalli vi si avventurassero sopra.
Le lingue e un buon pezzo di gobba scomparvero ben presto sotto i formidabili denti degli avventurieri, ai quali le emozioni non avevano punto scemato l’abituale appetito.
Osservato l’orizzonte per vedere se qualche pericolo li minacciava, accesero le loro pipe e si gettarono a gambe all’aria, mentre le stelle fiorivano in cielo scintillando vagamente.
— Io mi domando, — disse John, dopo aver lanciato in aria quattro o cinque nuvolette di fumo, — se sia proprio vero che io sia ancora vivo o non mi trovi invece fra le deliziose praterie del grande Manitou, nel paradiso delle pelli-rosse. Che cosa dici tu, Harry?
— Che questo tabacco non mi è mai sembrato così ottimo come questa sera, — rispose lo scorridore, il quale fumava come una vaporiera. — Se gusto il tabacco vuol dire, mi pare, che sono ancora vivo.
— Ecco una buona risposta, — disse Turner, — e che meriterebbe... Si era bruscamente interrotto, battendosi la fronte.
— Ed il vostro inglese!... — esclamò.
— Per centomila corna di bisonte!... — gridò John. — L’avevamo scordato.
— Che sia stato arrostito? — disse Harry, niente affatto commosso.
— Non può essere sfuggito all’uragano di fuoco, — rispose Turner.
— In fondo mi dispiacerebbe che quel lord avesse fatto una così brutta fine, — disse l’indian-agent.
— Quel testardo non ha voluto seguirci, John, — disse Harry. — Tanto peggio per lui se le fiamme lo hanno carbonizzato.
«Quell’uomo era pazzo.
— Può darsi però che sia ancora vivo, — disse Turner, dopo aver riflettuto alcuni istanti.
— Se è stato preso dagl’indiani.
— Sì, Harry.
— Che l’abbiano proprio portato via?
— Sul suo cavallo non vi era più.
— Ecco un’altra capigliatura che andrà ad ingrossare la collezione di Minnehaha, — disse John.
— Minnehaha!...— esclamò il campione degli uccisori d’uomini. — Sarebbe ora che mi narraste qualche cosa su quella terribile indiana che porta il triste soprannome di Scotennatrice.
«Prima dell’alba noi non potremo metterci in cammino, poichè il suolo non si raffredderà tanto presto.
«Orsù, John, ricaricate la pipa e ditemi innanzi tutto perchè vi ho incontrati qui, mentre io ho saputo che ancora un mese fa vi trovavate nei dintorni del Lago Salato.
«Il generale Custer aveva anzi pensato a voi, memore dei preziosi servigi che avevate prestati nell’insurrezione indiana del 1863, quella delle Cinque Nazioni.
— Noi eravamo venuti qui ai servigi di quell’inglese, il quale si era cacciato in testa di guarire il suo spleen con delle emozionanti cacce ai bisonti ed all’orso grigio.
«Avendoci offerto una somma abbastanza vistosa, abbiamo lasciato la vecchia fattoria dei figli del colonnello, per guidarlo attraverso l’Utah, il Colorado ed il Wyoming.
— Ignoravate che gli Sioux si preparavano a tentare un’altra riscossa insieme alle tribù dei Comanci, dei Kiowas, dei Pawnees e dei Chippeways?
— Non ne sapevamo proprio nulla.
— Avete commessa una grossa imprudenza, John.
— Me ne accorgo ora, ma io non sospettavo che gli Sioux, come quindici anni or sono, scendessero verso i Laramie per dichiarare la guerra ai visi pallidi.
«È Minnehaha la vendicativa figlia di Nube Rossa, che ha deciso Toro Seduto a dissotterrare l’ascia di guerra.
«Il suo odio contro di me e contro i figli del colonnello Devandel non cesserà che colla sua morte.
— I figli del colonnello Devandel, quel disgraziato che è stato scotennato dagli Sioux nell’insurrezione del ’63!... ― esclamò Turner, alzandosi a sedere.
— Sì, — rispose John. — Ne avete udito parlare?
— Continuate, amico, poi parlerò io.
― L’odio di Minnehaha, specialmente contro di me, data dall’epoca dell’insurrezione delle Cinque Nazioni, ― proseguì l’indian-agent. Come forse ricorderete, il governo, sorpreso da quella improvvisa levata di scudi degli Sioux, dei Chayennes, degli Arrapahoes, degli Apaches ecc., aveva telegrafato al colonnello Devandel di radunare quanti volontarî potesse e di occupare le gole dei Laramie per impedire agli Sioux di scendere nella pianura e di collegarsi coi Chayennes.
«Il governo non aveva pensato però che il colonnello aveva un vecchio conto da saldare colla sakem Yalla, moglie di Nube Rossa, capo dei Corvi, una delle più terribili guerriere che abbiano mai avuto gl’indiani.
— Spiegatevi meglio, John, — disse Turner, il quale pareva interessarsi straordinariamente di quella storia.
― Il colonnello nella sua gioventù, in causa d’un cavallo bianco che desiderava catturare, era stato fatto prigioniero dagli Sioux, e per salvare la propria capigliatura aveva dovuto sposare Yalla, una bellissima indiana, figlia d’un famoso capo.
«Voi sapete la ripulsione istintiva che proviamo tutti noi uomini bianchi per la razza rossa.
«Quantunque Yalla fosse una vera bellezza, dopo pochi mesi il colonnello l’abbandonava e si rifugiava nel Messico dove, dopo la guerra contro quello Stato, sposava una ricca messicana che morì dopo avergli dato due figli: Mary e Giorgio.
— Giorgio Devandel!... — esclamò Turner, scattando per la seconda volta. — Continuate, John.
— Ma... perchè vi ha sorpreso il nome di Giorgio?
— Tirate avanti per ora.
— Passarono molti anni quando scoppiò l’insurrezione del 1863.
«Il colonnello, pratico delle guerriglie indiane, fu subito mandato, come vi ho detto, sulle montagne dei Laramie con una cinquantina di uomini per trattenere momentaneamente gli Sioux.
— Vi eravate anche voi?
— Tutti e tre, signor Turner.
«Una notte tempestosa, un corriere indiano che portava con sè una giovanetta di dodici o tredici anni, cadde nelle nostre mani mentre tentava di attraversare, inosservato, la gola del Funerale.
«Conoscete la legge della prateria. Fu fucilato e la piccola indiana fatta prigioniera: questa era Minnehaha, la futura sakem dei Corvi e degli Sioux, che oggi porta il nome di Scotennatrice.
«E volete sapere chi era l’indiano fucilato? L’Uccello della Notte, figlio del colonnello e di Yalla.
— Yalla era la madre di Minnehaha, se non m’inganno.
— Sì, perchè Yalla, abbandonata dal colonnello, aveva sposato Nube Rossa, sakem della tribù dei Corvi.
— Sicchè il colonnello, senza saperlo, aveva fucilato il proprio figlio.
— Precisamente, Turner, — disse John.
— È una storia meravigliosa. E poi, che cosa accadde?
— L’Uccello della Notte era stato incaricato da Yalla di raggiungere Caldaia Nera e Mano Sinistra, sakems degli Arrapahoes, perchè distruggessero la fattoria che il colonnello teneva sulle rive del Lago Salato e facessero prigionieri i suoi due figli: Mary e Giorgio.
«In quel terribile frangente il colonnello incaricò noi di accorrere in difesa dei suoi figli.
«Non vi narrerò i terribili pericoli da noi corsi durante la traversata delle immense praterie battute dalle colonne volanti dei Chayennes e degli Apaches. Giungemmo alla fattoria nel momento in cui gl’indiani stavano per assalirla, e in mezzo ad un terribile incendio riuscimmo a salvare i due ragazzi che la terribile Yalla aveva giurato di scotennare.
— Ed il colonnello?
— Era già stato scotennato.
— Da chi?
— Da Yalla, la sua prima moglie.
Era già stato scotennato da Yalla...
— Corpo d’una balena!... — esclamò Turner, rabbrividendo.
— I volontari che difendevano la gola del Funerale, dopo prodigi di valore, erano stati oppressi dagli Sioux ed il colonnello, ferito già prima dalla piccola Minnehaha, a tradimento, aveva avuta la disgrazia di cadere vivo nelle mani della sua prima moglie.
— E fu scotennato?...
— Sì, Turner, — rispose John.
— Era una tigre quella Yalla?
— Una prossima parente di certo.
— E sopravvisse il colonnello?
— Un paio d’anni, malgrado quella spaventosa mutilazione.
— John, io sono un uomo che non mi commuovo facilmente, eppure vi confesso che il vostro racconto mi ha profondamente impressionato.
«E come finì tutta quella faccenda?
— In modo tragico. Come vi ho detto noi eravamo riusciti a salvare i due figli del colonnello, ma gl’indiani, guidati da Yalla, ci perseguitavano ferocemente.
«Volle il caso che andassimo ad incontrare il colonnello Chivington, il quale guidava il 3.° Reggimento dei volontarî del Colorado.
«Lo scontro, avvenuto il 29 novembre del 1864 sulle rive del Sand-Creek, fra soldati americani ed indiani, fu terribile.
«Tutte le pelli-rosse, sorprese nel loro campo, caddero. I capi loro, Caldaia Nera, Antilope Bianca, Mano Sinistra, il Guercio, Ginocchio Compresso ed il Piccolo Mantello, tutti famosissimi, rimasero sul terreno.
«In mezzo a quella lotta spaventosa mi trovai petto a petto colla terribile Yalla.
— E la uccideste?
— E la scotennai secondo gli usi della prateria, — rispose John, con voce cupa. — Avevo giurato di vendicare il colonnello Devandel ed ho mantenuto la terribile promessa.
— E Minnehaha?
— Fuggì assieme a suo padre, Nube Rossa, il sakem dei Corvi.
«Sarebbe stato molto meglio che fosse caduta anch’essa, poichè oggi non risuonerebbe più nella prateria il sinistro nome della Scotennatrice ed io non correrei più alcun pericolo.
— Minnehaha è diventata la sakem di una frazione di Sioux e di Corvi, è vero?
— Sì, ed ha superato sua madre per valore, per audacia e soprattutto per crudeltà.
«Sette volontarî che erano sfuggiti al massacro della gola del Funerale, dopo quindici anni sono stati trovati da Minnehaha e scotennati colle sue proprie mani, dopo aver fatto subire a quei disgraziati le torture del palo.
«Ella pretende in tal modo di vendicare la fucilazione di suo fratellastro, l’Uccello della Notte, e la morte di sua madre.
«Oh!... Una volta o l’altra toccherà a noi, signor Turner, poichè di quel piccolo corpo di spedizione non sopravviviamo che noi tre.
«È vero, Harry? È vero, Giorgio? I due fratelli fecero colla testa un cenno affermativo.
— Avete commessa una grossa imprudenza, John, a venire a cercare i bisonti sulle frontiere del territorio degli Sioux.
— Che cosa volete? Ci annoiavamo mortalmente sulle rive del Lago Salato e poi il lord pagava da vero lord.
— Ora che mi avete spiegato per quali motivi quella terribile Minnehaha si diverte a far collezioni di capigliature d’uomini bianchi, vi darò ora io una notizia che vi farà poco piacere.
— Che cosa avreste da dire, Turner? — esclamò l’indian-agent, guardandolo con inquietudine.
— Quanto tempo è che non avete ricevuto nuove del signor Giorgio Devandel e di sua sorella?
— Ci hanno scritto tre mesi or sono da S. Louis, per annunciarci la nomina del signor Giorgio a luogotenente del 3.° Reggimento Esploratori.
— Sicchè ignoravate che il giovane Devandel, appena avuto sentore dei primi moti degli Sioux, aveva domandato ed ottenuto di aggregarsi al corpo di spedizione del generale Custer.
— Sì, Turner — rispose John.
— Allora sappiate che il giovane Devandel, mandato ad esplorare i passi dei Laramie con una piccola scorta, è scomparso.
— Dio!... — esclamò l’indian-agent, balzando in piedi, in preda ad una emozione indescrivibile. — Preso dagli Sioux?
— Così si sospetta.
— Forse catturato da Minnehaha?
— Può darsi, — rispose il sotto-sceriffo. — Ecco perchè voi mi avete incontrato qui.
«Io volevo sapere esattamente che cosa era successo di quel valoroso.
— E sua sorella?
— È sempre a S. Louis.
— Signor Turner, — disse Harry, — credete che il signor Devandel sia stato scotennato insieme alla sua scorta?
— Era quello che desiderava sapere anche il generale Custer, ma fino ad oggi io non ho potuto avere alcuna notizia di quei disgraziati.
John mandò un vero ruggito.
— Ho scotennato Yalla perchè aveva scotennato il colonnello, il mio benefattore: giuro che scotennerò anche Minnehaha, dovessi poi subire le atroci torture del palo!...
«Turner, cerchiamo di raggiungere al più presto il generale Custer.
«Ottocento visi pallidi saranno sufficienti per fiaccare per sempre questi dannati Sioux e distruggere, fino all’ultimo, i loro accampamenti.
«Io non lascerò questa prateria finchè non avrò saputo che cosa è successo del figlio del colonnello e non avrò uccisa anche la figlia della sakem.
— Aspettiamo l’alba, John. Sarebbe impossibile partire in questo momento.
«Il terreno è ancora troppo ardente.
— Ci lasceranno gli Sioux raggiungere l’Horse Creek? — chiese Harry. — Non veglieranno agli estremi confini della prateria?
— Chi lo sa, — rispose Turner.
— Farebbero presto a prenderci ora che siamo senza cavalli.
— Lo so purtroppo e l’Horse è lontano.
— Ed i mustani selvaggi non si trovano ad ogni passo, — disse Giorgio.
— Terribile situazione, — disse l’indian-agent, il quale appariva più preoccupato che mai. — Saremo ben bravi se metteremo in salvo le nostre capigliature.
— Orsù, non disperiamo, — concluse Turner, — Gli Sioux non ci hanno ancora presi e forse a quest’ora si saranno allontanati, convinti che noi siamo caduti in mezzo al mare di fuoco.
«Cercate di dormire, se vi riesce, ed aspettiamo il sorgere del sole. Intanto la prateria si raffredderà.
Andò a ritirare da un occhio la sua sella e la sua coperta, per servirsi della prima come origliere, si allungò sull’erba e vuotata la pipa, cercò di chiudere gli occhi.
I suoi compagni lo avevano imitato, quantunque poco convinti di poter gustare un po’ di sonno.
La paura d’una improvvisa sorpresa da parte delle pelli-rosse si era radicata nei loro animi e li teneva ostinatamente svegli.
La notte tuttavia trascorse senza allarmi. Gli Sioux, convinti che i quattro avventurieri fossero periti insieme ai bisonti, si erano allontanati per prendere contatto col primo corpo delle truppe americane spedito frettolosamente incontro a loro dal governo di Washington, oppure aspettavano anche essi che la terra fosse abbastanza raffreddata da non correre il pericolo di rovinare le zampe dei loro cavalli?
Chi avrebbe potuto dirlo?
Ai primi albori John ed i suoi compagni, ansiosi di abbandonare la prateria maledetta, lasciavano la bassura portando sulle loro teste le selle dei cavalli e le bardature. Non avevano dimenticato i lazos, sui quali molto contavano per sorprendere qualche caballada di mustani.
Il terreno si era raffreddato, tuttavia la marcia non era diventata facile. Un fitto strato di cenere, che il vento sollevava in altissime colonne, copriva la prateria, avvolgendo i quattro avventurieri, penetrando nelle loro gole e nei loro occhi.
In certi luoghi ve n’era tanta della cenere, che le gambe affondavano fino sopra il ginocchio.
In altri luoghi l’incendio covava ancora sotto gli strati, ed improvvise folate di aria calda, ardente, investivano improvvisamente i disgraziati, essiccando i loro polmoni.
Malgrado tanti ostacoli e la cenere che cadeva loro addosso senza posa, turbinando ad ogni lieve soffio del vento, camminavano rapidamente, rimontando verso i Laramie, i cui alti picchi si delineavano verso il settentrione, tutti coperti di verzura fino quasi verso le cime.
Avevano deciso di raggiungere innanzi tutto i primi contrafforti della magnifica catena, per chiedere a quelle fitte foreste un asilo, prima di ridiscendere verso il Chugwater, nelle cui acque si scarica l’Horse.
I quattro avventurieri continuarono a marciare fino al mezzodì, sostando di quando in quando per scrutare l’orizzonte, poi, non vedendo apparire nessun cavaliere indiano, fecero una sosta di qualche ora, in mezzo a continue nuvole di cenere che li tormentavano immensamente.
Malgrado le difficoltà che avevano incontrate, avevano già percorso un bel tratto di via.
I Laramie erano ormai vicinissimi, e le loro verdeggianti foreste, in mezzo alle quali torreggiavano dei pini immensi, sembravano pronte ad offrire loro un asilo fresco e quasi sicuro, poichè gli orsi grigi che vi abitano, quantunque terribilmente pericolosi, non erano tali da scuotere le fibre di quegli intrepidi scorridori che erano, si può dire, nati col rifle in mano.
Verso il tramonto finalmente, dopo uno sforzo supremo, sfiniti, assetati, affamati, coperti di cenere come se fossero usciti dalla gola d’un vulcano, si arrampicavano su uno dei primi contrafforti della catena, raggiungendo la grande e fresca foresta.
Stavano per lasciarsi cadere sulle rive d’un piccolo corso d’acqua che rumoreggiava deliziosamente fra le rocce, formando una serie di cascatelle, quando Turner che da parecchi minuti tendeva gli orecchi con una vera ostinazione, si gettò bruscamente dietro il tronco d’un gigantesco pino, dicendo:
— Gl’indiani!... Badate alle vostre capigliature!...