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56 | emilio salgari |
— Aspettiamo l’alba, John. Sarebbe impossibile partire in questo momento.
«Il terreno è ancora troppo ardente.
— Ci lasceranno gli Sioux raggiungere l’Horse Creek? — chiese Harry. — Non veglieranno agli estremi confini della prateria?
— Chi lo sa, — rispose Turner.
— Farebbero presto a prenderci ora che siamo senza cavalli.
— Lo so purtroppo e l’Horse è lontano.
— Ed i mustani selvaggi non si trovano ad ogni passo, — disse Giorgio.
— Terribile situazione, — disse l’indian-agent, il quale appariva più preoccupato che mai. — Saremo ben bravi se metteremo in salvo le nostre capigliature.
— Orsù, non disperiamo, — concluse Turner, — Gli Sioux non ci hanno ancora presi e forse a quest’ora si saranno allontanati, convinti che noi siamo caduti in mezzo al mare di fuoco.
«Cercate di dormire, se vi riesce, ed aspettiamo il sorgere del sole. Intanto la prateria si raffredderà.
Andò a ritirare da un occhio la sua sella e la sua coperta, per servirsi della prima come origliere, si allungò sull’erba e vuotata la pipa, cercò di chiudere gli occhi.
I suoi compagni lo avevano imitato, quantunque poco convinti di poter gustare un po’ di sonno.
La paura d’una improvvisa sorpresa da parte delle pelli-rosse si era radicata nei loro animi e li teneva ostinatamente svegli.
La notte tuttavia trascorse senza allarmi. Gli Sioux, convinti che i quattro avventurieri fossero periti insieme ai bisonti, si erano allontanati per prendere contatto col primo corpo delle truppe americane spedito frettolosamente incontro a loro dal governo di Washington, oppure aspettavano anche essi che la terra fosse abbastanza raffreddata da non correre il pericolo di rovinare le zampe dei loro cavalli?
Chi avrebbe potuto dirlo?
Ai primi albori John ed i suoi compagni, ansiosi di abbandonare la prateria maledetta, lasciavano la bassura portando sulle loro teste le selle dei cavalli e le bardature. Non avevano dimenticato i lazos, sui quali molto contavano per sorprendere qualche caballada di mustani.
Il terreno si era raffreddato, tuttavia la marcia non era diventata facile. Un fitto strato di cenere, che il vento sollevava in altissime colonne, copriva la prateria, avvolgendo i quattro avventurieri, penetrando nelle loro gole e nei loro occhi.
In certi luoghi ve n’era tanta della cenere, che le gambe affondavano fino sopra il ginocchio.
In altri luoghi l’incendio covava ancora sotto gli strati, ed improvvise folate di aria calda, ardente, investivano improvvisamente i disgraziati, essiccando i loro polmoni.