La scienza nuova - Volume I/Libro I/Sezione IV

Libro I - Sezione quarta - Del metodo

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Libro I - Sezione III Libro II

[p. 181 modifica][SEZIONE QUAETA] DEL METODO

Per lo intiero stabilimento de’ priricipii, i quali si sono presi di questa Scienza, ci rimane in questo primo libro di ragionare del metodo che debbe ella usare. Perchè, dovendo ella cominciare donde ne incominciò la materia, siccome si è proposto nelle Degnità 1; e si, avendo noi a ripeterla, per gli filologi, dalle pietre di Deucalione e Pirra, da’ sassi d’Anfione, dagli uomini nati da’ solchi di Cadmo o dalla dura rovere di Virgilio 2, e per gli filosofi, dalle ranocchie d’Epicuro, dalle cicale di Obbes 3, da’ semplicioni di Grozio, da’ gittati in questo mondo senza ninna cura o aiuto di Dio di Pufendorfio, goffi e fieri quanto i giganti detti «los Patacones», che dicono ritruovarsi presso lo stretto di Magaglianes, cioè da’ Polifemi d’Omero, ne’ quali Platone riconosce i primi padri nello stato delle famiglie * (questa scienza ci han dato de’ principii dell’umanità così i filologi come i filosofi!); e dovendo noi incominciar a ragionarne da che quelli incominciaron a umanamente pensare; e nella loro immane fierezza e sfrenata libertà bestiale non essendovi altro mezzo per addimesticar quella ed infrenar questa, ch’uno spaventoso pensiero d’una qualche divinità, il cui timore, come si è detto nelle Degnità &, è ’1 solo potente mezzo di ridurre in ufizio una libertà

1 Degn. evi.

2 ^n., Vili, 315.

3 L’Hobbes non parla mai di cicale. Suppongo che l’equivoco del V. sia derivato dall’avere egli troppo frettolosamente percorra Top. cit. del Paschio (cfr. p. 131 8g. n.). Il quale, 1. e, dopo aver trascritto un passo dell’Hobbes (De cive, Vili. § 1: «IIomines tamquam si esseni iain iarn subito e terra fungorum more exorti et adulti, sine ornni unius ad alterum obliffatione», ecc.), soggiunge: <t Ex quibus apparet quos cicadis Lucretius [cfr. IV, 56 e V, 801], hos fungis Hobbium similes facere homines, quorum non, minor quam brutorvmi cojna in terras 2>rimitus effusa».

  • Si veda Degù. XCVflI e le note corrispondenti.

5 Degn. XXXI. [p. 182 modifica]182 LIBRO PRIMO SEZIONE QUARTA

inferocita: per rinvenire la guisa di tal primo pensiero umano nato nel mondo della gentilità, incontrammo l’aspre difficultà che ci han costo la ricerca di ben venti anni, e discendere da queste nostre umane ingentilite nature a quelle affatto fiere ed immani, le quali ci è affatto niegato d’immaginare e solamente a gran pena ci è permesso d’intendere (a).

Per tutto ciò dobbiamo cominciare da una qualche cognizione di Dio, della quale non sieno privi gli uomini, quantunque selvaggi, fieri ed immani. Tal cognizione dimostriamo esser questa: che r uomo, caduto nella disperazione di tutti i soccorsi della natura, disidera una cosa superiore che lo salvasse. Ma cosa superiore alla natura è Iddio, e questo è il lume ch’Iddio ha sparso sopra tutti gli uomini. Ciò si conferma con questo comune costume umano: che gli uomini libertini invecchiando, perchè si sentono mancare le forze naturali, divengono naturalmente religiosi.

Ma tali primi uomini, che furono poi i principi delle nazioni gentili, dovevano pensare a forti spinte di violentissime passioni, ch’è il pensare da bestie. Quindi dobbiamo andare da una volgar Metafìsica (la quale si è avvisata nelle Degnità i, e truoveremo

(a) Oh’è la molesta fatiga che deon far i curiosi di questa Scienza, di cuoprìre d’obblio le loro fantasie e le loro memorie e lasciar libero il luogo al solo puro intendimento; e ’n cotal guisa da tal primo pensier umano incominceranno a scuoprire le finora seppellite origini di tante cose che compongono ed abbelliscono cosi questo mondo civile come quel delle scienze, per lo cui scuoprimento con tanta gloria travagliarono, del mondo civile, Marco Terenzio Varrone ne’ suoi libri Rerum divinarum et humanarum, e del mondo delle scienze, Bacone da Verulamio. E sventata ogni boria, e quella delle nazioni per ciò che attiensi al mondo civile, e quella de’ dotti per ciò che riguarda il mondo delle scienze, tutte con merito di verità e con ragion di giustizia, quali (per la serie dell’umane cose e dell’umane idee che nelle Degnità 2 proponemmo) debbon esser l’origini di tutte le cose, tutte semplici e rozze si ravviseranno qui, come in loro embrione e matrice, dentro la sapienza de’ poeti teologi, che furono i primi sappienti del mondo gentilesco. Perchè questa Scienza dee cominciare, come si è detto, chi una gualche cognizione, ecc.

1 Degli. XXXIII.

2 Degn. LUI e LIV. [p. 183 modifica]DEL METODO 183.

che fu la Teologia de’ poeti), e da quella ripetere il pensiero spaventoso d’una qualche divinità, ch’alle passioni bestiali di tal’uomini perduti pose modo e misura e le rende passioni umane. Da cotal pensiero dovette nascere il conato, il qual è propio dell’umana volontà, di tener in freno i moti impressi alla mente dal corpo, per o affatto acquetargli, ch’è dell’uomo sappiente, o almeno dar loro altra direzione ad usi migliori, ch’è dell’uomo civile. Questo infrenar il moto de’ corpi certamente egli è un effetto della libertà dell’umano arbitrio, e si, della libera volontà, la qual è domicilio e stanza di tutte le virtù, e traile altre della giustizia; da cui informata, la volontà è ’1 subbietto di tutto il giusto e di tutti i diritti che sono dettati dal giusto. Perchè dar conato a’ corpi tanto è quanto dar loro libertà di regolar i lor moti, quando i corpi tutti sono agenti necessari in natura; e que’ ch’i meccanici dicono «potenze». «forze», «conati» sono moti insensibili d’essi corpi, co’ quali essi o s’appressano, come volle la Meccanica antica, a’ loro centri di gravità, o s’allontanano, come vuole la Meccanica nuova, da’ loro centri del moto.

Ma gli uomini per la loro corrotta natura essendo tiranneggiati dall’amor propio, per lo quale non sieguono principalmente che la propia utilità, onde ^ eglino, volendo tutto l’utile per sé e ninna parte per lo compagno, non posson essi porre in conato le passioni per indirizzarle a giustizia. Quindi stabiliamo: che l’uomo nello stato bestiale ama solamente la sua salvezza; presa moglie e fatti figliuoli, ama la sua salvezza con la salvezza delle famiglie; venuto a vita civile, ama la sua salvezza con la salvezza delle città; distesi gl’imperi sopra più popoli, ama la sua salvezza con la salvezza delle nazioni; unite le nazioni in guerre, paci, allianze, commerzi, ama la sua salvezza con la salvezza di tutto il gener umano: l’uomo in tutte queste circostanze ama principalmente l’utilità propia. Adunque, non da altri che dalla Provvedenza divina deve essere tenuto dentro tali ordini a celebrare con giustizia la famigliare, la civile e finalmente l’umana società; per gli quali

1 S’interpetri qui «onde» nel significato di «per questa ragione» anzicliè in quello di «per la qual cosa •«: costrutto non raro nel V., che usa anche spesso il pronome relativo per il dimostrativo, in guisa che talvolta il periodo sembra a prima vista privo di proposizione principale, anche quando tale non sia. [p. 184 modifica]184 LIBEO PRIMO SEZIONE QUARTA

ordini, non potendo l’uomo conseguire ciò che vuole, almeno voglia conseguire ciò che dee dell’utilità; ch’è quel che dicesi «giusto». Onde quella che regola tutto il giusto degli uomini è la giustizia divina, la quale ci è ministrata dalla divina Provvedenza per conservare l’umana società.

Perciò questa Scienza per uno de’ suoi principali aspetti dev’essere una Teologia civile ragionata della Provvedenza divina, la quale sembra aver mancato finora; perchè i filosofi o l’hanno sconosciuta affatto, come gli Stoici e gli Epicurei, de’ quali questi dicono che un concorso cieco d’atomi agita, quelli che una sorda catena di cagioni e d’effetti strascina le faccende degli uomini; o l’hanno considerata solamente sull’ordine delle naturali cose, onde «Teologia naturale» essi chiamano la Metafisica, nella quale contemplano questo attributo di Dio, e ’1 confermano con l’ordine fisico che si osserva ne’ moti de’ corpi, come delle sfere, degli elementi, e nella cagion finale sopra l’altre naturali cose minori osservate. E pure sull’iconomia delle cose civili essi ne dovevano ragionare con tutta la propietà della voce, con la quale la Provvedenza fu appellata «divinità» da «divinari», «indovinare», ovvero intendere o ’1 nascosto agli uomini, ch’è l’avvenire, o ’1 nascosto degli uomini, ch’è la coscienza; ed è quella che propiamente occupa la prima e principal parte del subbietto della giurisprudenza, che son le cose divine, dalle quali dipende l’altra che 1 compie, che sono le cose umane. Laonde cotale Scienza dee essere una dimostrazione, per così dire, di fatto isterico della Provvedenza, perchè dee essere una storia degli ordini che quella, senza verun umano scorgimento o consiglio, e sovente contro essi proponimenti degli uomini, ha dato a questa gran città del gener umano; che, quantunque questo mondo sia stato criato in tempo e particolare, però gli ordini ch’ella v’ha posto sono universali ed eterni.

Per tutto ciò, entro la contemplazione di essa Provvedenza infinita ed eterna questa Scienza ritruova certe divine pruove con le quali si conferma e dimostra. Imperciochè la Provvedenza divina, avendo per sua ministra l’onnipotenza, vi debbe spiegar i suoi ordini per vie tanto facili quanto sono i naturali costumi umani; pere’ ha per consigliera la sapienza infinita, quanto vi [p. 185 modifica]DEL METODO 185

dispone debbe essere tutto ordine; pere’ ha per suo fine la sua stessa immensa bontà, quanto vi ordina debb’esser indiritto a un bene sempre superiore a quello che si han proposto essi uomini.

Per tutto ciò nella deplorata oscurità de’ principii e neli’innumerabile varietà de’ costumi delle nazioni, sopra un argomento divino che contiene tutte le cose umane (a), qui pruove non si possono più sublimi disiderare che queste istesse che ci daranno la naturalezza, l’ordine e ’1 fine, ch’è essa conservazione del gener amano. Le quali pruove vi riusciranno luminose e distinte, ove rifletteremo con quanta facilità le cose nascono ed a quali occasioni, che spesso da lontanissime parti, e talvolta tutte contrarie ai proponimenti degli uomini, vengono e vi si adagiano da sé stesse; e tali pruove ne somministra l’onnipotenza. Combinarle e vederne l’ordùie, a quali tempi e luoghi loro propi nascono le cose ora che vi debbono nascer ora, e l’altre si differiscono nascer ne’ tempi e ne’ luoghi loro, nello che all’avviso d’Orazio i consiste tutta la bellezza dell’ordine; e tah pruove ci apparecchia l’eterna sapienza: e finalmente considerare se siam capaci d’intendere se a quelle occasioni, luoghi e tempi, potevano nascere altri benefìcii divini, co’ quali in tali o tali bisogni o malori degli uomini si poteva condarre meglio a bene e conservare l’umana società; e tali pruove ne darà l’eterna bontà di Dio.

Onde la propia continua pruova che qui farassi sarà il combinar e riflettere se la nostra mente umana, nella serie de’ possibili la quale ci è permesso d’intendere, e per quanto ce n’è permesso, possa pensare o più o meno o altre cagioni di quelle ond’escono gH effetti di questo mondo civile. Lo che faccende, il leggitore pruoverà un divin piacere, in questo corpo mortale, di contemplare nelle divine idee questo mondo di nazioni per tutta la distesa de’ loro luoghi, tempi e varietà; e truoverassi aver convinto di fatto gli Epicurei che ’l loro caso non può pazzamente divagare e farsi per ogni parte l’uscita, e gli Stoici che la loro catena eterna delle cagioni, con la qual vogliono avvinto il mondo.

(a) in quanto si sottomettono a diritto e ragione, qui yruove ecc.

1 Ej). ad Pis., 42 sgg. e cfr. ivi le note del V.; in cui egli paragona l’ordine della composizione poetica all’ordine della natura, anzi identifica natura e ordine. [p. 186 modifica]] 86 LIBRO PRIMO SEZIONE QUARTA

ella (a) penda dall’onnipotente, saggia e benigna volontà dell’Ottimo Massimo Dio.

Queste sublimi pruove teologiche naturali ci saran confermate con le seguenti specie di pruove logiche: — Che nel ragionare dell’origini delle cose divine ed umane della gentilità, se ne giugne a que’ primi oltre i quali è stolta curiosità di domandar altri primi, ch’è la propia caratteristica de’ principi!; se ne spiegano le particolari guise del loro nascimento, che si appella «natura», ch’è la nota propissima della scienza; e finalmente si confermano con l’eterna propietà che conservano, le quali non possono altronde esser nate che da tali e non altri nascimenti, in tali tempi, luoghi e con taU guise, o sia da tali nature, come se ne sono proposte sopra due Degnità i.

Per andar a truovare tali nature di cose umane procede questa Scienza con una severa analisi de’ pensieri umani d’intorno all’umane necessità o utilità della vita socievole, che sono i due fonti perenni del Diritto naturai delle genti, come pure nelle Degnità 2 si è avvisato. Onde per quest’altro principale suo aspetto questa Scienza è una storia dell’umane idee, sulla quale sembra dover procedere la Metafisica della mente umana; la qual regina delle scienze, per la Degnità ^ che «le scienze debbono incominciare da che n’incominciò la materia», cominciò d’allora ch’i primi uomini cominciarono a umanamente pensare, non già da quando i filosofi cominciaron a riflettere sopra l’umane idee (come ultimamente u’è uscito alla luce un libricciuolo erudito e dotto col titolo Historia de ideis *, che si conduce fin all’ultime controversie che ne hanno avuto i due primi ingegni di questa età, il Leibnizio e ’1 Newtone).

(a) pende appunto, come appresso Omero, dal sovrano arbitrio di un ottimo m.assimo Giove. — A queste sublimi pruove divine ci faremo scala con le seguenti, ecc.

1 Degn. XIV e XV.

2 Degn. XI.

3 Degn. evi.

•* Historia philosophica doclrino’ de ideis, qua tum veteruin imprimis grcecorum lum recentioriim philosophorum placito enarranfur (.-Vugustae Viiidelicorum, Apud Dav. Raym. Mertz et J. Jac. Mayer, MDOCXXIII).— Che l’autore sia Giacomo Brucker, [p. 187 modifica]DKL METODO 187

E per determinar i tempi e i luoghi a sì fatta istoria, cioè quando e dove essi umani pensieri nacquero, e si, accertarla con due sue propie Cronologia e Geografia, per dir così, metafisiche, questa Scienza usa un’arte critica, pur metafìsica, sopra gli autori d’esse medesime nazioni, traile quali debbono correre assai più di mille anni per potervi provenir gli scrittori sopra i quali la critica filologica si è finor occupata i. E ’1 criterio di che si serve, per una Degnità sovraposta 2 ^ è quello, insegnato dalla Provvedenza divina, comune a tutte le nazioni; ch’è il senso comune d’esso gener umano, determinato dalla necessaria convenevolezza delle medesime umane cose, che fa tutta la bellezza di questo mondo civile. Quindi regna in questa Scienza questa spezie di pruove: chetali dovettero, debbono e dovranno andare le cose delle nazioni quali da questa Scienza son ragionate, posti tali ordini dalla Provvedenza divina, fusse anco che dall’eternità nascessero di tempo in tempo mondi infiniti (lo che certamente è falso di fatto).

Onde questa Scienza viene nello stesso tempo a descrivere una Storia ideal eterna, sopra la quale corron in tempo le storie di tutte le nazioni ne’ loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini. Anzi ci avvanziamo ad affermare ch’in tanto, chi medita questa Scienza, egli narri a sé stesso questa Storia ideal eterna, in quanto — essendo questo mondo di nazioni stato certamente fatto dagli uomini (ch’è il primo principio indubitato che se n’è posto qui sopra 3), e perciò dovendosene ritruovare la guisa dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana, — egh, in quella pruova: «dovette, deve, dovrà», esso stesso se ’1 faccia; perchè ove avvenga che chi fa le cose, esso stesso le narri, ivi non può essere piìi certa l’istoria. Così questa Scienza

noto principalmente per 5 grossi voli, di Historia critica philosophice a tempore resuscitatarum litterarum ad nostra tempora (Lipsije, Brestkopf, MDCCXLIV), è detto esplicitamente dagli Ada eruditor. di Lipsia, a. 1723, p. 392 e dallo stesso Bruckeb, Miscellanea hystoricf philosopJiica; literai iw, criV/ccP (A Ug. VindelÌCor.,MDCCXLVIII), p. HO n.

1 Cfr. Degn. XII.

2 Degn. cit.

8 Si vegga più su pp. 172-3. [p. 188 modifica]188 LIBRO PRIMO — SEZIONE QUARTA

procede appunto come la Geometria, che mentre sopra i suoi elementi il costruisce o ’1 contempla, essa stessa si faccia il mondo delle grandezze; ma con tanto più di realità quanta più ne hanno gli ordini d’intorno alle faccende degh uomini che non ne hanno punti, linee, superficie e figure. E questo istesso è argomento che tali pruove sieno d’una spezie divina e che debbano, leggitore, arrecarti un divin piacere; perocché in Dio (a) il conoscer e ’1 fare è una medesima cosa.

(a) [C3f"J.2] ove voglia, il conoscer e ’1 fare è una medesima cosa; di che nella nostra vita letteraria, con una pruova metafisica, la quale tuttodì sperimentiamo nelle funzioni della nostr’anima, abbiamo [CM^^] tratto questa dimostrazione i. — Sono nella nostra mente certe eterne verità le quali non possiamo sconoscere e rinniegare, e ’n conseguenza che non sono da noi. Ma del rimanente, sentiamo in noi una libertà di far, intendendovi, tutte le cose le quali hanno dipendenza dal corpo, e perciò le facciamo in tempo, cioè quando vogliamo applicarvi, e tutte intendendovi, le facciamo; come l’immagini con la fantasia; le reminiscenze con la memoria; con l’appetito le passioni; gli odori, i sapori, i colori, i suoni co’ sensi; e tutte queste cose le conteniamo dentro di noi, non essendo ninna di quelle che possa sussistere fuori di noi, onde soltanto durano quanto vi tegniamo applicata la nostra mente. Laonde delle verità eterne, clie non son in noi dal corpo, dobbiam intender esser principio un’idea eterna, che, nella sua cognizione, ove voglia, ella cria tutte le cose in tempo e le contiene tutte dentro di sé, e tutte, applicandovi, le conserva. — La qual dimostrazione ne pruova ad un fiato queste quattro grandi verità: 1. Oh’un’Idea eterna è ’1 principio di tutte le cose mortali. — il. Che Dio é principio libero delle produzioni ad extra. — III. Che ’1 mondo é stato criato in tempo. — IV. Che vi sia Provvidenza divina, la quale, intendendo, conserva tutte le coso oriate. — Per tutto ciò, quel «dovette, deve, dovrà» è una maniera archetipa e quasi creativa, la quale non si può avere che nell’idee eterne di Dio; perchè tanto vagliene «dovette» quanto vale «fu fatto», tanto «deve» quanto «si fa», tanto «dovrà > quanto «farassi». Talché cosi, in un certo modo, la mente

  • Il brano che segue, fino alle parole «le conserva», è tratto testualmente, con

qualche correzione formale verso la fine, d&lV Autobiografia, ediz. Croce (Bari, Laterza, 1911;, pp. 16-17. [p. 189 modifica]DEL METODO 189

Oltracciò, quando per le diffiaizioni del vero e del certo sopra proposte 1 gli uomini per lunga età non poteron esser capaci del vero e della ragione, ch’è ’1 fonte della giustizia interna, della quale si soddisfano gl’intelletti — la qual fu praticata dagli Ebrei, che illuminati dal vero Dio erano proibiti dalla di lui divina legge di far anco pensieri meno che giusti, de’ quali ninno di tutti i legislatori mortali mai s’impacciò (perchè gli Ebrei credevano in un Dio tutto mente che spia nel cuor degli uomini, e i gentili credevano negli dèi composti di corpi e mente che no ’1 potevano); e fu poi ragionata da’ filosofi, i quali non provennero che due mila anni dopo essersi le loro nazioni fondate; — frattanto si governassero col certo dell’autorità, cioè con lo stesso criterio ch’usa questa critica metafisica, il qual è ’1 senso comune d’esso gener umano ^di cui si è la diffinizione sopra, negli Elementi 2, proposta), sopra il quale riposano le coscienze di tutte le nazioni (a). Talché per quest’altro principale riguardo questa Scienza vien ad essere una Filosofia dell’autorità, che è ’1 fonte della «giustizia esterna» che dicono i morali teologi. Della qual autorità dovevano tener conto gli tre principi della dottrina d’intorno al Diritto naturai delle genti ^, e non di quella tratta da’ luoghi degli scrittori; della quale ninna contezza aver poterono gli scrittori, perchè tal autorità regnò traile nazioni assai più di mUle anni innanzi di potervi provenir gli scrittori. Onde Grozio, più degli altri due come dotto cosi

umana con questa Scienza procede a produrre da sé questo mondo di nazioni come la Mente di Dio procede nel produrre il mondo della natura, il qual sommo facitore, nel suo Principio, nel suo Verbo, nella sua eterna Idea, disse in tempo quel «fiat et facta sunt»; e in cotal guisa questa Scienza, come nelle Degnità * avvisocci Aristotile, vien ad essere «de ceternis et immutahilibus». Oltracciò^ ecc. (a) perchè tal criterio accerta tutte le umane nazioni dintorno alla vita socievole. Talché ecc.

1 Si veda Degn. X.

2 Degn. XII.

8 Grozio, Selden e Puffendorf.

  • Degn. XXII. [p. 190 modifica]]90 LIBRO PRIMO — SKZIOVE QUARTA

erudito, quasi in -ogni particolar materia di tal dottrina combatte i romani giureconsulti i; ma i colpi tutti cadono a vuoto, perchè quelli stabilirono i loro principii del giusto sopra il certo dell’autorità del gener umano, non sopra l’autorità degli addottrinati.

Queste sono le pruove filosofiche ch’userà questa Scienza, e ’n conseguenza quelle che per conseguirla son assolutamente necessarie. Le filologiche vi debbono tenere l’ultimo luogo, le quali tutte a questi generi si riducono.

Primo, che sulle cose le quali si meditano vi convengono le nostre mitologie, non isforzate e contorte, ma diritte, facili e naturali; che si vedranno essere istorie civili de’ primi popoli, i quali si truovano dappertutto essere stati naturalmente poeti.

Secondo, vi convengono le frasi eroiche, che vi si spiegano con tutta la verità de’ sentimenti e tutta la propietà dell’espressioni.

Terzo, che vi convengono l’etimologie delle lingue natie, che ne narrano le storie delle cose ch’esse voci significano, incominciando dalla propietà delle lor origini e prosieguendone i naturali progressi de’ lor trasporti secondo l’ordine dell’idee sul quale dee procedere la storia delle lingue, come nelle Degni tà 2 sta premesso.

Quarto, vi si spiega il vocabolario mentale delle cose umane socievoli, sentite le stesse in sostanza da tutte le nazioni e per le diverse modificazioni spiegate con lingue diversamente, quale si è nelle Degnità ^ divisato.

Quinto, vi si vaglia dal falso il vero in tutto ciò che per lungo tratto di secoli ce ne hanno custodito le volgari tradizioni, le quali, perocché sonosi per sì lunga età e da intieri popoli custodite, per una Degnità sopraposta * debbono avere avuto un pubblico fondamento di vero.

Sesto, i grandi frantumi dell’antichità, inutili finor alla scienza perchè erano giaciuti squallidi, tronchi e slogati, arrecano de’ grandi lumi, tersi, composti ed allogati ne’ luoghi loro.

1 Si veda più oltre, lib. II, sez. I, cap. II, § VI, nelle note.

2 Degn. LXIV e LXV. 8 Degn. XXII.

Settimo ed ultimo, sopra tutte queste cose, come loro necessarie cagioni, vi reggono tutti gli effetti i quali ci narra la storia certa (a).

Le quali pruove filologiche servono per farci vedere di fatto le cose meditate in idea d’intorno a questo mondo di nazioni, secondo il metodo di filosofare del Verulamio, ch’è «cogitare videre» i; ond’è che per le pruove filosofiche innanzi fatte, le filologiche, le quali succedono appresso, vengono nello stesso tempo ed ad aver confermata l’autorità loro con la ragione ed a confermare la ragione con la loro autorità.

Conchiudiamo tutto ciò che generalmente si è divisato d’intorno allo stabilimento de’ principii di questa Scienza (&): che poiché i di lei principii sono Provvedenza divina, moderazione di passione co’ matrimoni e immortalità dell’anime umane con le seppolture; ed il criterio che usa è che ciò che si sente giusto da tutti o la maggior parte degli uomini debba essere la regola della vita socievole (ne’ quali principii e criterio conviene la sapienza volgare di tutti i legislatori e la sapienza riposta degli più riputati filosofi (e) ): questi deon essere i confini dell’umana ra (a) Ma tutte queste, anzi che pruove le quali soddisfacciano i nostri intelletti, sono ammende che si fanno agli errori delle nostre memorie ed alle sconcezze delle nostre fantasie, e per questo istesso faranno più di violenza a riceverle e più di piacere dopo averle ricevute. Pruova sia di ciò che, se non avessimo avuto affatto scrittori, si fatte pruove punto non ci avrebbero bisognate, e senza esse resterebbono per tanto ben sodisfatti gl’intelletti di ciò che ne aremmo ragionato in idea; anzi, libero di cotante vecchie, comuni e robuste anticipate oppenioni, ci ritruoveremmo più docili a ricevere questa Scienza. — Conchiudiamo, ecc.

(6) con questo anticipato certo non picciol frutto, che, quando ^’ di lei, ecc.

(e) quali furon i platonici: questi deon esser i confini più accertati e più utili alle repubbliche cristiane che distinguono la ragione e la fede, che non sono quelli di Pier Daniello Uezio 2 ultimamente in un libro postumo usciti alla luce. E chiunque, ecc.

1 Allusione all’opera baconlana cit. più su, p. 127.

  • Petri Daxielis Huetii, episcopi abricensis designati, Alnetame (puestiones de [p. 192 modifica]192 LIBRO PRIMO — SEZIONE QUARTA

gioiie. E chiunque se ne voglia trar fuori, egli veda di non trarsi fuori da tutta l’umanità (a).

(a) Ora qui si rapportino tutte le Degnità dalla i [n] fino alla xx [xxii], la xxrx [xxxi], il secondo corollario della xli [xliu], la xlu [xliv|, la LX [lxiv] e la lxi [lxv], l’ultimo dalla e [cv], e particolarmente la ci [cYi]; e si truoverà tutto lo qui detto essere eminentemente da quelle dimostrato.

concardia rationis et fidei iCadomi, Apud Ioannera Cavalier, regis et acad. typograph., MDCXC); opera tutt’altro che postuma, giacché fu pubblicata più di trent’anni prima del giorno della morte dell’autore (26 genn. 1721). E postuma non è nemmeno la 2» ediz., quella che forse il V. doveva conoscere e a cui voleva alludere col suo «ultimamente usciti alla luce s; giacché essa reca la data: «Francofurti et Lipsise, Apud hsered. loh. Grossii, MDCCXIX s.

FINE DEL LIBRO PRIMO