La scienza nuova - Volume I/Libro I/Sezione III
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[SEZIONE TERZA] (a) DE’ PEINCIPn Ora, per fare sperienza se le proposizioni noverate finora per elementi di questa Scienza debbano dare la forma alle materie apparecchiate nel principio sulla Tavola cronologica, preghiamo il leggitore (b) che rifletta a quanto si è scritto d’intorno a’ principii di qualunque materia di tutto lo scibile divino ed umano della gentilità, e combini se egli faccia sconcezza con esse proposizioui, o tutte più o una; perchè tanto si è con una quanto sarebbe con tutte, perchè ogniuna di quelle fa acconcezza con tutte. Che certamente egli, f accendo cotal confronto, s’accorgerà (e) che sono tutti luoghi di confusa memoria, tutte immagini di (a) [CMA^] Proposizione de’ principii di questa Scienza. (6) che richiami alla memoria e risvegli nella fantasia qualunque anticipato concetto di qualunque materia [CMA^] d’intorno all’origini di tutto lo scibile, ecc. (e) essere tutti pregiudizi oscuri e sconci, e la lor fantasia esser un covile di tanti mostri e la lor memoria una cimmeria grotta di tante tenebre. Ma perchè egli cangi in piacere la dispiacenza che certamente dovrà recargli cotal veduta, la quale quanto egli sarà più addottrinato dovrà farglisi sentire maggiore, perchè più il disagia ed incomoda di ciò sullo che esso già riposava: per tutto ciò esso faccia conto che quanto immagina e si ricorda d’intorno a’ principii di tutte le parti che compiono il subbietto deUa sapienza profana, sia una di quelle capricciose dipinture, le quali, sfacciate, danno a vedere informissimi mostri, ma, dal giusto punto deUa loro prospettiva guardate di profilo, danno a vedere bellissime formate figure. — Ma tal giusto punto di prospettiva ci niegano di ritruovare le due borie che nelle Degnità abbiamo dimostro. La boria delle gentili nazioni, che diceva Diodoro Sicolo, d’essere state ogniuna la prima del mondo (dalla quale da Gioseffo udimmo essere stata lontana l’ebrea), ci disanima di ritruovare i principii di questa Scienza 172 LIBRO PRIMO — SEZIONE TERZA
mal regolata fantasia, e niun esser parto d’intendimento, il qual è stato trattenuto ozioso dalle due borie che nelle Degnità i noverammo. Laonde, perchè la boria delle nazioni, d’essere stata ogniuna la prima del mondo, ci disanima di ritruovare i principii di questa Scienza da’ filologi; altronde la boria de’ dotti, i quali vogliono ciò ch’essi sanno essere stato eminentemente inteso fin dal principio del mondo, ci dispera di ritruovargli da’ filosofi: quindi, per questa ricerca, si dee far conto come se non vi fussero libri nel mondo.
Ma in tal densa notte di tenebre ond’è coverta la prima da noi lontanissima antichità, apparisce questo lume eterno, che non tramonta, di questa verità (a) la quale non si può a patto alcuno chiamar in dubbio: che questo mondo civile egli certa da’ filologi; la boria de’ dotti, che vogliono ciò che essi sanno essere stato eminentemente inteso dal principio del mondo [Cil/A^] (perchè la gloria di ciò noi sopra dimostrammo, per lo giusto calcolo ch’essi han fatto de’ tempi del mondo, essere stata de’ soli Ebrei) [S^^j^ ci dispera di ritruovargli da’ filosofi. In tal disperazione bassi a porre il leggitore che voglia profittare di questa Scienza, come se per lo di lei acquisto non ci fussero affatto libri nel mondo. Né noi Paremmo ritruovata altrimenti, senonsè la Provvedenza divina ci avesse cosi guidato nel corso de’ nostri studi che, non avendo avuto maestri, non ci determinammo da ninna passione di scuola o setta; e ’n cotal guisa, dalla bella prima che incominciammo a profondare ne’ principii dell’umanità gentilesca, sempre meno e meno soddisfaccendoci ciò che se n’era scritto, stabilimmo finalmente da ben venti anni fa di non legger più libri; come ultimamente risapemmo aver fatto con magnanimo sforzo ma con infelice evento l’inghilese Tommaso Obbes, il quale in questa parte credette di accrescere la greca filosofia, [CMA^] al riferire di Giorgio Paschio, De emditis ìiuius sascitli inventis, [SN^] e se ne vantava co’ dotti amici che, se esso come quelli avesse seguitato a leggere gli scrittori, non sarebbe più d’ogniuno di essi ^.— Ma in tal densa notte, ecc.
(a) che può servirci di cinosura onde giugniamo al desiderato porto di questa Scienza: che questo mondo, ecc.
1 Degù. III-IV.
- Si veda più su, p. 131 «g. n. mente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perchè se ne debbono, ritmo vare i principii dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana. Lo che, a chiunque vi rifletta, dee recar maraviglia come tutti i filosofi seriosamente si studiarono di conseguire la scienza di questo mondo naturale, del quale, perchè Iddio egli il fece, esso solo ne ha la scienza; e traccurarono di meditare su questo mondo delle nazioni, o sia mondo civile, del quale, perchè l’avevano fatto gli uomini, ne potevano conseguire la scienza gli uomini. Il quale stravagante effetto è provenuto da quella miseria, la qual avvertimmo nelle Degnità1
, della mente umana; la quale, restata immersa e seppellita nel corpo, è naturalmente inchinata a sentire le cose del corpo, e dee usare troppo sforzo e fatiga per intendere sé medesima, come l’occhio corporale che vede tutti gli obbietti fuori di sé ed ha dello specchio bisogno per vedere sé stesso.
Or, poiché questo mondo di nazioni egli è stato fatto dagli uomini, vediamo in quali cose hanno con perpetuità convenuto e tuttavia vi convengono tutti gli uomini; perchè tali cose ne potranno dare i principii universali ed eterni, quali devon esser d’ogni scienza, sopra i quali tutte sursero e tutte vi si conservano in nazioni.
Osserviamo tutte le nazioni così barbare come umane, quantunque, per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lontane, divisamente fondate, custodire questi tre umani costumi: che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matrimoni solenni, tutte seppelliscono i loro morti; né tra nazioni, quantunque selvagge e crude, si celebrano azioni umane con più ricercate cerimonie e più consagrate solennità che religioni, matrimoni e seppolture. Che per la Degnità2 che «idee uniformi, nate tra popoli sconosciuti tra loro, debbon aver un principio comune di vero», dee essere stato dettato a tutte, che da queste tre cose incominciò appo tutte l’umanità, e per ciò si debbano santissimamente custodire da tutte, perchè ’l mondo non s’infierisca e si rinselvi di nuovo. Perciò abbiamo presi questi tre 174 LIBRO PRrMO — SKZIONE TERZA
costumi eterni ed universali per tre primi principii di questa Scienza.
Né ci accusino di falso il primo i moderni viaggiatori, i quali narrano che popoli del Brasile, di Cafra ed altre nazioni del mondo nuovo ^ fé Antonio Ax’naldo crede lo stesso degli abitatori dell’isole chiamate Antille ^ j, che vivano in società senza alcuna cognizione di Dio; da’ quali forse persuaso, Bayle afferma nel Trattato delle comete che possano i popoli senza lume di Dio vivere con giustizia 3; che tanto non osò affermare Polibio, al cui detto da taluni s’acclama: che «se fussero al mondo filosofi, che ’n forza della ragione non delle leggi vivessero con giustizia, al mondo non sarebber uopo religioni» ’^. — Queste sono novelle di viaggiatori che proccurano smaltimento a’ lor hbri con mostruosi ragguagli. Certamente Andrea Rudigero nella sua Fisica magnificamente intitolata «divina», che vuole che sia l’unica via di mezzo tra l’ateismo e la superstizione, egli da’ censori dell’università di Genevra (nella qual repubblica, come libera popolare, dee essere alquanto più di libertà nello scrivere ) è di tal sentimento gravemente notato che «’1 dica con troppo di sicurezza» ^^ ch’è lo stesso dire che con non poco d’audacia.
1 n V. attinge all’opera del Bayle, cit. più sotto, § 88 (IV, pp. 119-123): ■’■ Examen de ce que le pére Thomassin remarque sur la grossièreté des nations athées»; in cui si parla dei Cafri, degli Irocchesi, dei Canadesi e degli abitanti delle isole Mariane, citandosi il Dapper, Description de l’Afrique (Amsterdam, 1688) e il p. Le GOBIER, Histoire des lles Marianes.
2 «Tous ceux qui nous ont donne l’histoire des Antilles demeurent d’accora qu’avant qu’elles eùssent esté decouvertes par les Chrestiens, tous les habitans de ces isles estoient dans une profonde ignorance de Dieu», ecc. — Anche questo passo della Quatrième dénonciation de la nouvelle hérésie du peché philosophique, qui contieni la réponse à la troisième lettre des pères jésuites (in (Euv.res de messirc Axtoine Arxauld, docteur de la maison et société de Sorbonne, voi. XXXI, A Paris, Chez Sigismonde d’Arnay et Comp., MDCCLXXX, p. 274), il V. trovò nell’op. del Bayle qui sotto cit., IV, p. 167.
^ Pensées diverses écrites à un docteur de Sorbonne à l’occasion de la coinète qui parut au mois de déceinbre 1680: e Continuation des pensées, ecc., ou Réponse à plusieurs difficultez que Mr.*** a proposées à V Auteur, Nouvelle édition corrig«^e (A Rotterdam, Chez les héritiers de Reincrs Léers, MDCCXXl, 4 voli, in-16).
- Si veda p. 132, n. 1. Anche il passo di Polibio qui cit. è ricordato dal Bayle,
op. cit., Ili, p. 557 8g.
’ Andreae RiJDiOERi, Phil. et. Med. D., Physica divina, Recta via, Eademqttp inter auperstitionem et atheismum media, ad utramque hominis fcìicilatem, naiaralem atque moralem, ducens. In prcefatione respondetur ubivctionibus professoris BK’ PRINCIPII 175
Perchè tutte le uazioni credono in una divinità provvedente, onde quattro e non più si hanno potuto truovare religioni primarie per tutta la scorsa de’ tempi e per tutta l’ampiezza di questo mondo civile: una degli ebrei, e quindi altra de’ cristiani, che credono nella divinità d’una mente infinita libeia; la terza de’ gentili, che la credono di piìi dèi, immaginati composti di corpo e di mente libera, onde quando vogliono significare la divinità che regge e conserva il mondo, dicono «deos immortales»; la quarta ed ultima de’ maomettani, che la credono d’un dio infinita mente libera in un infinito corpo, perchè aspettano piaceri de’ sensi per premii nell’altra vita.
Niuna credette in un dio tutto corpo o pure in un dio tutto mente la quale non fusse libera. Quindi né gli Epicurei, che non danno altro che corpo e, col corpo, il caso; né gli Stoici, che danno Dio in infinito corpo infinita mente soggetta al fato (che sarebbero per tal parte gli spinosisti), poterono ragionare di repubblica né di leggi; e Benedetto Spinosa parla di repubblica come d’una società che fusse di mercadanti i. Per lo che aveva la ragion Cicerone, il qual ad Attico, perch’egli era epicureo, diceva non poter ■ esso con lui ragionar delle leggi, se quello non
cuiusdam lipsiensis, et appendicis loco adiecta sunt monita doininorum censorurn cum responsionibus auctoris. Accedit Index locupletissimus (Fraucofurti ad Msenum, Typis Matthiae Audiese, MDCOXVI).— Ma l’esame del libro (o meglio, d’una parte del libro) del R. non fu fatto dai censori dell’università di Ginevra, sì bene da quei di Lipsia (p. 776: «Notum est iis qui me norunt quod per biennium, fere huius «Pàysicceii quinque priora capita sustinuerint dominorum censorurn hi e Lipsia: examen»). Inoltre nei XXXYll Motiita onde constano quelle censure non v’è quello indicato dal V. Semplicemente, nella Prcefatio ad lector., % 1 (De inscriptione libri), il R. stesso, prevedendo per l’appunto l’obiezione di soverchia audacia, dice: «iVe arrogantius dictam putes Ph ysicam divina m, monco nullo alio respectu divinam dici quam ut mechanicce,hodie fere per totam, Europam fiorenti iamque paulatim marcescenti, intelligas esse oppositam».
1 Con questa profonda e giustissima definizione dell’utilitarismo spinoziano il V. voleva forse alludere in particolar modo al cap. XVI del Tractactus theologicus politicus (ediz. originale: Hamburgi, Apud Henricum Kiinrath, MDCLXX, pp. 175-186, spec. p. 177j: «.... quanto sit hominibus utilius secundum legem et certa nostrae rationis dictamina vivere, qucs, uti diximus, non nisi veruni hominum utile iaitendunt, nemo potest dubitare ^. Sui rapporti tra il V. e lo Spinoza, e la probabile influenza che per l’appunto il Tractatus theolog. polit. ehhe sul pensiero del primo, si veda B. Croce, La filosofia di G. B. V. (Bari, Laterza, 1911), cap. XVI. 176 LIBRO PRIMO — SEZIONE TERZA
gli avesse conceduto che vi sia Provvedenza divina i. Tanto le due sètte, stoica ed epicurea, sono comportevoli con la romana giurisprudenza, la quale pone la Provvedenza divina per principal suo principio!
(a) L’oppenione poi ch’i concubiti, certi di fatto, d’uomini liberi con femmine libere senza solennità di matrimoni non contengano uiuna naturale malizia (6), ella da tutte le nazioni del mondo è ripresa di falso con essi costami umani, co’ quali tutte religiosamente celebrano i matrimoni e con essi diffiniscono che, ’n grado benché rimesso, sia tal peccato di bestia. Perciocché, quanto è per tali genitori, non tenendogli congionti niun vincolo necessario di legge, essi vanno a disperdere i loro figliuoli naturali, i quali, potendosi i loro genitori ad ogni ora dividere, eglino, abbandonati da entrambi, deono giacer esposti per esser divorati da’ cani; e se l’umanità o pubblica o privata non gli allevasse, dovrebbero crescere senza avere chi insegnasse loro religione, né lingua, né altro umano costume. Onde, quanto é per essi, di questo mondo di nazioni, di tante belle arti dell’umanità arrichito ed adorno, vanno a fare la grande antichissima selva per entro a cui divagavano con nefario ferino errore le brutte fiere d’Orfeo, delie qual’i figliuoli con le madri, i padri con le figliuole usavano la venere bestiale; ch’è l’infame nefas del mondo eslege (e), che Socrate con ragioni fisiche poco propie voleva pruovare esser vietato dalla natura 2, essendo egli vietato dalla natura umana, perchè tali concubiti appo tutte
(a) Se voglia opporsi al secondo alcuno, che in questa mansuetudine d’atti e parole sia di mente più immane che non furono le fiere d’Orfeo e voglia appruovare a’ dissoluti ch’i concubiti, ecc.
(fe) egli fugga e si nasconda in ogni angulo più riposto del mondo, che sarà ripreso di tal sua falsa oppenione. Poiché le nazioni tutte, ecc.
(e) che determina nefari cosi fatti concubiti, de’ quali non potè intendere la ragione Socrate né gli altri (tra’ quali è Ugon G-rozio) che gli vennero appresso. Finalmente^ ecc.
1 CiC, De leg. I, 7: «Dasne igitur hoc nobis, Pomponi.... deorum immortalium vi, natura, ratione, potestaie, numine, aive quod est alkid verbum quo planius significem quod volo, naturarli omncm regi? Nani,»i hoc noti probas, ab eo nobis causa ordienda est potissirnum».
2 Xenoph., Metnorab. Socr., IV, 4, 19-23. de’ PRiNcrpn 177
le nazioni sono naturalmente abborriti, né da talune furono praticati che nell’ultima loro correzione, come da’ Persiani {a).
Finalmente, quanto gran principio dell’umanità sieno le seppolture, s’immagini uno stato ferino nel quale restino inseppolti i cadaveri umani sopra la terra ad esser esca de’ corvi e cani; che certamente con questo bestiale costume dee andar di concerto quello d’esser iucolti i campi nonché disabitate le città, e che gli uomini a guisa di porci anderebbono a mangiar le ghiande, colte dentro il marciume de’ loro morti congionti. Onde a gran ragione le seppolture con quella espressione sublime: «foedera generis humani» ci furono diffinite e, con minor grandezza, «humanitatis commercia» ci furono descritte da Tacito i. Oltrecchè, questo é un placito nel quale certamente son convenute tutte le nazioni gentili: che l’anime restassero sopra la terra inquiete ed andassero errando intorno a’ loro corpi inseppolti, e ’n conseguenza che non muoiano co’ loro corpi, ma che sieno immortali. E che tale consentimento fusse ancora stato dell’antiche barbare, ce ne convincono (b) ì popoli di Guinea, come attesta Ugone Linschotano 2; di quei del Perù e del Messico, Acosta,
(a) [CMA*] E la ragione naturale si è perchè con tali concubiti si pianta sopra il piantato, e si, quanto è per essi, coloro che l’usano, non a propagare, vanno a restrignere e per ultimo a finire la generazione degli uomini.
(b) non già i Chinesi, gente umanissima, ma i popoli di Guinea, ecc.
1 TA.c.,Ann.,Yl, 19, dopo avere parlato della, «immensa strages» ordinata da Tiberio dei supposti complici di Seiano, e descritti i cadaveri galleggianti sul Tevere, soggiunge: «Interciderai sortis humance[= mortis] comm,ercium vi metus: quantumque saevitia glisceret m,iseratio acerbatur».
2 Cioè Giov. Ugo van Linschooten (1563-1611). Dal passo vichiano parrebbe che il nostro a. volesse alludere alla Desariptio totius Guinea tractus, Cangi, Angola et Monopatce, eorwnque locorum, quce e regione C. S. Augustini in Brasilia iacent, Proprietates Oceani, insularumque eiusdem, S. Thomce, S. Helenae, Ascensionis, eie, portuum, altitudinis, Syrtium, vadorum ac fundi, Mirce narrationes Navigationum Batavorum, cum interioris terree descriptione. Nec non diffusa explicatio in Tabulam cosmographicam Insulae S. Laureniii sive Madagascar, cum detectione Syrtium, scopulorum omnium, ac multitudinis insularum huiiis Indici maris, situsque terree firmce a Bonce Spei promontorio per Monomotapan, Zefalam usque ad Moasambicquani, ac mox supra Quiloam, Gorgam, Melindam, Amaram, Barn, Mugadoxo, Doaram, etc, usque ad Rubrum Mare (Hagfe Comitis, Ex off. Alberti Hen 12 1 78 LIBRO PRIMO — SEZIONE TERZA
De Indicis i; degli abitatori della Virginia, Tommaso Aviot 2; di quelli della Nuova Inghilterra, Riccardo Waitboi’nio; di quelli del regno di Sciam, Giuseffo Scultenio (a) 3. Laonde Seneca conchiude: «Qutim de immortalitate loquimur^ non leve monientum apud
(a) Tanto che da queste nazioni ancora deve esser andato ad imparare o insegnare il dogma dell’immortalità dell’anima umana Pittagora! Laonde Seneca ecc.
rici, Anno 1599), stampata(con frontesp. e numeraz. a parte) in séguito alV Itinerarium indicum del medesimo autore. Ma in quest’opera non v’è nulla di ciò che dice il V. Tuttavia, ho fondato motivo di credere che la sua non sia un’errata citazione di terza quarta mano. Infatti nell’antico catalogo della Biblioteca oratoriana di Napoli (nella quale il V. studiò per molti anni e di cui catalogò e apprezzò il fondo Valletta) è segnata (10, 5, 31) sotto il nome del v. Linsch. una Indice Orientalis Deteriptio, divisa in 11 parti, nella quale i fratelli Gio. Teodoro e Gio. Israele de Bbt, raccolsero scritti di vari autori, e principalmente del v. Linsch., intorno all’argomento. Ora, nella Pars VI, Veram et historicam descriptionem auriferi regni Guinea, ad Africani pertÌ7ientis,quod alias ^litlua de Tnina>’ vocant,continens, qua situs loci, ratio urbium et domorum, portus item et flumina varia, cum variis incolarum superstitionibu^, educatione, forma, commerciis,linguis et moribus, succincta brevitate explicantur et percensentur, latinitate ex germanico donata studio et opera M. GoTARDi Arthus Dantiscani, Illustrata vero vivis et artificiosissime in oes incisis iconibus inque lucem edita a Jo. Theod. et Jo. Israel de Brt fratribns (Francof. ad M., Ex offic. Wolf. Richteri, Anno MDCIV). p. 42, si dice: «Accidit enim non semel ut Baiavi cum ipsis [gli abitanti della Guinea] conversantes... interrogarint... quo morientes migrent... Respondebant... mortuos... in alium quidem mundum migrare; at quomodo et quo, illud vero se nescire».
«Historia naturale e morale delle Indie, scritta dal r. padre Gioseffo di Acosta, della Compagnia del Giesù,A’e/Za quale si trattano le cose notabili del Cielo e degli Elementi, Metalli, Piante et Animali di quelle; i suoi riti e ceremonie; Leggi e governi e guerre degli Indiani, Xovamente tradotta dalla lingua Spagnuola nella Italiana da Gio. Paolo Gallucci Salodiano, Accademico Veneto, Con privilegii (In Venetia, Presso Bernardo Basa, AU’ Insegna del Sole, MDXCVi;, lib. V, cap. 7 {Delle superstitioni che usavano con gli Morti), p. 103.
2 Né questo Tommaso Aviot né U Waitbornio, di cui appresso, sono riuscito a identificare. Gesuiti non debbono essere, perché non li menziona il Sommebvogel. Ma chi sa in qual modo il V. avrà storpiato i loro nomi.
8 Cioè loost Schouten, il quale scrisse nel 1636 i Beschrijvinge van de Regeeringe, Macht, Religie, Costuymen... des Coningriicks Siam, pubbl. per la prima volta nel Beschrijving van het... lapati, di Francesco Caron (Amsterdam, 1648). — Ne ho innanzi una traduz. frane: Relation du Royaume de Siam par Ioost Schouten, directeur de la Compagnie hollandoise en ces quartiers-là, inserita in [Melchisedech ThÉVENOt], Relation de divers voyages curieu-x qui n’ont esté publiés ouqui n’ont esté traduits d’HACLDTT, de Purchas et d’autres voyageurs anglois, hollandois, portugais, allemandes, espagnoles, et de quelques persans, arabes et autres auteurs orientaux, Enrichie de figures de plantes non décrites, d’animaux inconnus à l’Europe et de cortes géographiques de pays dont on n’apoint encore donne de cortes de’ principit 179
iios habel corncw^m hoininuiìi aut fimentinm luferos (tal colcntncm; hac peìsnmione piiblica ulor» i.
(Paris, De l’Imprim. de Jacques Lauglois, ecc., MDCLXdi), I (con numeraz. a parte). A pp. 32-3: ^ Ces peuples soni divisez en plusieurs sectes; mais elles s’accordent à croire... que les àmes sont immortelles et que dans l’autre monde sont punies ou recompensées selon le inerite de leurs actiuns ’■■.
^ Sex., Epist., 117. 5-6; - Quum de animarum immoriulitate disserimus, non lece... coleiìtium. Utor hac publica persuasione: neminem invenies qui non putet et sapieiitiam bonmn et bonum. sapere..