La scienza nuova - Volume I/Libro I/Sezione I

Sezione prima - Annotazioni alla tavola cronologica, nella quale si fa l’apparecchio delle materie

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Sezione prima - Annotazioni alla tavola cronologica, nella quale si fa l’apparecchio delle materie
Libro I - Tavola cronologica Libro I - Sezione II
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[SEZIONE PRIMA]

ANNOTAZIONI ALLA TAVOLA CRONOLOGICA
NELLA QUALE SI FA L'APPARECCHIO DELLE MATERIE




I

[Tavola cronologica, descritta sopra le tre epoche de’ tempi degli Egizi, che dicevano tutto il mondo innanzi essere scorso per tre età: degli dèi, degli eroi e degli uomini]

Questa Tavola cronologica spone in comparsa il mondo delle nazioni antiche, il quale dal Diluvio universale girasi dagli Ebrei per gli Caldei, Sciti, Fenici, Egizi, Greci e Romani fin alla loro guerra seconda cartaginese. E vi compariscono uomini o fatti romorosissimi, determinati in certi tempi o in certi luoghi dalla comune de’ dotti; i quali uomini o fatti, o non furono ne’ tempi o ne’ luoghi ne’ quali sono stati comunemente determinati, o non furon affatto nel mondo; e da lunghe densissime tenebre ove giaciuti erano seppelliti, v’escon uomini insigni e fatti rilevantissimi, da’ quali e co’ quali son avvenuti grandissimi momenti di cose umane. Lo che tutto si dimostra in queste Annotazioni, per dar ad intendere quanto l’umanità delle nazioni abbia incerti o sconci o difettuosi o vani i principii (a)1.

Di più, ella si propone tutta contraria al Canone cronico egiziaco, ebraico e greco di Giovanni Marshamo, ove vuol provare che gli Egizi nella polizia e nella religione precedettero a tutte le nazioni del mondo, e che i di loro riti sagri ed ordinamenti [p. 58 modifica]civili, trasportati ad altri popoli, con qualche emendazione si ricevettero dagli Ebrei2. Nella qual oppenione il seguitò lo Spencero, nella dissertazione: De Urim et Thummim, ove oppina che gl’Israeliti avessero apparato dagli Egizi tutta la scienza delle divine cose per mezzo della sagra Cabbala3. Finalmente, al Marshamo acclamò l’Ornio, nell’Antichità della barbaresca filosofia, ove, nel libro intitolato: Chaldaicus, scrive che Mosè, addottrinato nella scienza delle divine cose dagli Egizi, l’avesse portate nelle sue leggi agli Ebrei4. Surse allo ’ncontro Ermanno Witzio, nell’opera intitolata: Ægyptiaca sive de Ægyptiacorum sacrorum cum hebraicis collatione (a)5; e stima che ’l primo autor gentile che n’abbia dato le prime certe notizie degli Egizi, egli [p. 59 modifica]sia stato Dion Cassio, il quale fiorì sotto Marco Antonino filosofo6. Di che può essere confutato con gli Annali di Tacito7, ove narra che Germanico, passato nell’Oriente, quindi portossi in Egitto per vedere l’antichità famose di Tebe, e quivi da un di quei sacerdoti si fece spiegare i geroglifici iscritti in alcune moli; il quale, vaneggiando, gli riferì che que’ caratteri conservavanole memorie della sterminata potenza ch’ebbe il loro re Ramse nell’Affrica e nell’Oriente e fino nell’Asia Minore, eguale alla potenza romana di quelli tempi, che fu grandissima: il qual luogo, perchè gli era contrario, forse il Witzio si tacque (a)8.

Ma, certamente, cotanto sterminata antichità non fruttò molto di sapienza riposta agli Egizi mediterranei. Imperciocché, ne’ tempi di Clemente l’Alessandrino, com’esso narra negli Stromati9 andavano attorno i loro libri sacerdotali al numero di quarantadue, i quali in Filosofia ed Astronomia contenevano de’ grandissimi errori, de’ quali Cheremone, maestro di san Dionigi l’Areopagita, sovente è messo in favola da Strabone10; — le cose della Medicina si truovano da Galeno, ne’ libri De medicina mercuriali11, essere manifeste ciance e mere imposture; — la Morale [p. 60 modifica]era dissoluta, la quale, nonché tollerate o lecite, faceva oneste le meretrici; — la Teologia era piena di superstizioni, prestigi e stregonerie. E la magnificenza delle loro moli e piramidi potè ben esser parto della barbarie, la quale si comporta col grande; però la scoltura e la fonderia egiziaca s’accusano ancor oggi essere state rozzissime. Perchè la dilicatezza è frutto delle filosofie; onde la Grecia, che fu la nazion de’ filosofi, sola sfolgorò di tutte le belle arti ch’abbia giammai truovato l’ingegno umano: pittura, scoltura, fonderia, arte d’intagliare; le quali sono dilicatissime, perchè debbon astrarre le superficie da’ corpi ch’imitano.

Innalzò alle stelle cotal antica sapienza degli Egizi la fondatavi sul mare da Alessandro Magno Alessandria; la qual, unendo l’acutezza affricana con la dilicatezza greca, vi produsse chiarissimi filosofi in divinità, per li quali ella pervenne in tanto splendore d’alto divin sapere che ’l Museo alessandrino fanne poi celebrato quanto unitamente erano stat’innanzi l’Accademia, il Liceo, la Stoa e ’l Cinosargi in Atene; e funne detta «la madre delle scienze» Alessandria e, per cotanta eccellenza, fu appellata da’ Greci «Πόλις», come «Ἄσυ» Atene e «Urbs» Roma. Quindi provenne Maneto, o sia Manetone, sommo pontefice egizio, il quale trasportò tutta la storia egiziaca ad una sublime Teologia naturale, appunto come i greci filosofi avevano fatto innanzi delle lor favole, le quali qui truoverassi esser state le lor antichissime storie; onde s’intenda lo stesso esser avvenuto delle favole greche che de’ geroglifici egizi (a)12.

Con tanto fasto d’alto sapere, la nazione, di sua natura boriosa (che ne furonomotteggiati «gloriæ animalia»13, in una città ch’era un grand’emporio del Mediterraneo e, per lo Mar Rosso, dell’Oceano e dell’Indie (tra gli cui costumi vituperevoli, da [p. 61 modifica]Tacito, in un luogo d’oro14, si narra questo: «novarum religionum avida»), tra per la pregiudicata oppenione della loro sformata antichità, la quale vanamente vantavano sopra tutte l’altre nazioni del mondo, e quindi d’aver signoreggiato anticamente ad una gran parte del mondo; e perchè non sapevano la guisa come tra’ gentili, senza ch’i popoli sapessero nulla gli uni degli altri, divisamente nacquero idee uniformi degli dèi e degli eroi (lo che dentro appieno sarà dimostro), tutte le false divinitadi, ch’essi dalle nazioni che vi concorrevano per gli marittimi traffichi udivano esser sparse per lo resto del mondo, credettero esser uscite dal lor Egitto, e che ’l loro Giove Ammone fusse lo più antico di tutti (de’ quali ogni nazione gentile n’ebbe uno), e che gli Ercoli di tutte l’altre nazioni, de’ quali Varrone giunse a noverare quaranta15, avessero preso il nome dal lor Ercole egizio, come l’uno e l’altro ci vien narrato da Tacito16. E con tutto ciò che Diodoro Siculo, il quale visse a’ tempi d’Augusto, gli adorni di troppo vantaggiosi giudizi, non dà agli Egizi maggior antichità che di duemila anni17; e i di lui giudizi sono rovesciati da Giacomo Cappello, nella sua Storia sagra ed egiziaca18, che gli stima tali quali Senofonte aveva innanzi attaccati a Ciro19 [p. 62 modifica]e (noi aggiugniamo) Platone sovente finge de’ Persiani20. Tutto ciò, finalmente, d’intorno alla vanità dell’altissima antica sapienza egiziaca si conferma con l’impostura del Pimandro smaltito per dottrina ermetica, il quale si scuopre dal Casaubuono21 non contenere dottrina più antica di quella de’ platonici spiegata con la medesima frase, nel rimanente giudicata dal Salmasio22 per una disordinata e mal composta raccolta di cose (a)23.

Fece agli Egizi la falsa oppenione di cotanta lor antichità questa propietà della mente umana — d’esser indiffinita, — per la quale, delle cose che non sa, ella sovente crede sformatamente più di quello che son in fatti esse cose. Perciò gli Egizi furon in ciò simiglianti a’ Chinesi, i quali crebbero in tanto gran nazione chiusi a tutte le nazioni straniere, come gli Egizi lo erano stati fin a Psammetico e gli Sciti fin ad Idantura, da’ quali è volgar tradizione che furono vinti gli Egizi in pregio d’ [p. 63 modifica]antichità(a)24. La qual volgar tradizione è necessario ch’avesse avuto indi motivo onde incomincia la storia universale profana; la qual, appresso Giustino25, come antiprincipii propone innanzi alla monarchia degli Assiri due potentissimi re: Tanai Scita e Sesostride Egizio, i quali finor han fatto comparire il mondo molto più antico di quel ch’è in fatti; e che per l’Oriente prima Tanai fusse ito con un grandissimo esercito a soggiogare l’Egitto, il qual è per natura difficilissimo a penetrarsi con l’armi; e che poi Sesostride con altrettante forze si fusse portato a soggiogare la Scizia, la qual visse sconosciuta ad essi Persiani, ch’avevano stesa la loro monarchia sopra quella de’ Medi, suoi confinanti, fin a’ tempi di Dario detto «maggiore», il qual intimò al di lei re Idantura la guerra; il qual si truova cotanto barbaro a’ tempi dell’umanissima Persia che gli risponde con cinque parole reali di cinque corpi, che non seppe nemmeno scrivere [p. 64 modifica]per geroglifici26. E questi due potentissimi re attraversano con due grandissimi eserciti l’Asia, e non la fanno provincia o di Scizia d’Egitto, e la lasciano in tanta libertà ch’ivi poi surse la prima monarchia delle quattro più famose del mondo, che fu quella d’Assiria!

Perciò, forse, in cotal contesa d’antichità non mancarono d’entrar in mezzo i Caldei, pur nazione mediterranea e, come dimostreremo, più antica dell’altre due, i quali vanamente vantavano di conservare le osservazioni astronomiche di ben ventiottomila anni: che forse diede il motivo a Flavio Giuseppe Ebreo27 di credere con errore l’osservazioni antidiluviane descritte nelle due colonne, una di marmo ed un’altra di mattoni, innalzate incontro a’ due diluvi, e d’aver esso veduta nella Shùa quella di marmo. Tanto importava alle nazioni antiche di conservare le memorie astronomiche; il qual senso fu morto affatto tralle nazioni che loro vennero appresso! Onde tal colonna è da riporsi nel museo della credulità.

Ma così i Chinesi si sono truovati scriver per geroglifici, come anticamente gli Egizi e, più degli Egizi, gli Sciti, i quali nemmeno gli sapevano scrivere. E non avendo per molte migliaia d’anni avuto commerzio con altre nazioni dalle quali potesser esser informati della vera antichità del mondo, com’uomo che dormendo sia chhiso in un’oscura picciolissima stanza, nell’orror delle tenebre la crede certamente molto maggiore di quello che con mani la toccherà; cosi, nel buio della loro cronologia, han fatto i Chinesi e gli Egizi e, con entrambi, i Caldei. Pure, benché il padre Michel

[p. 65 modifica]di Ruggiero 29, gesuita, affermi d’aver esso letti libri stampati innanzi la venuta di Gesù Cristo; .e benché il padre Martini, pur gesuita, nella sua Storia chinese30, narri una grandissima antichità di Confucio (la qual ha indotti molti nell’ateismo, al riferire di Martino Scoockio, in Demonstratione Diluvii universalis31; onde Isacco Pereyro, autore della Storia preadamitica, forse perciò abbandonò la fede catolica32 , e quindi scrisse che ’l Diluvio si sparse sopra la terra de’ soli Ebrei); però Niccolò Trigaulzio, meglio del Ruggieri e del Martini informato, nella sua Christiana expeditione apud Sinas, scrive la stampa appo i Chinesi essersi [p. 66 modifica]truovata non più che da due secoli innanzi degli Europei33, e Confucio aver fiorito non più che cinquecento anni innanzi di Gesù Cristo (a)34 35; e la filosofia confuciana, conforme a’ libri sacerdotali egiziaci, nelle poche cose naturali ella è rozza e goffa, e quasi tutta si rivolge ad una volgar Morale, o sia Moral comandata a que’ popoli con le leggi (b)36.

Da sì fatto ragionamento d’intorno alla vana oppenione ch’avevano della lor antichità queste gentili nazioni, e sopra tutte gli Egizi, doveva cominciare tutto lo scibile gentilesco; tra per sapere con iscienza quest’importante principio: — dove e quando egli ebbe i suoi primi incominciamenti nel mondo, — e per assistere con ragioni anco umane a tutto il credibile cristiano (il quale tutto incomincia da ciò: che 'l primo popolo del mondo fu egli l’ebreo37, di cui fu principe Adamo, il quale fu criato dal vero [p. 67 modifica]Dio con la criazione del mondo); e che la prima scienza da doversi apparare sia la Mitologia, ovvero l’interpetrazion delle favole (perchè, come si vedrà, tutte le storie gentilesche hanno favolosi i principii), e che le favole furono le prime storie delle nazioni gentili; e, con sì fatto metodo, rinvenire i principii come delle nazioni così delle scienze, le quali da esse nazioni son uscite e non altrimente (come per tutta quest’opera sarà dimostro ch’alle pubbliche necessità o utilità de’ popoli elleno hanno avuto i lor incominciamenti, e poi, con applicarvi la riflessione acuti particolari uomini, si sono perfezionate). E quindi cominciar debbo la storia universale, che tutti i dotti dicono mancare ne’ suoi principii (a)38.

E per ciò fare, l’antichità degli Egizi in ciò grandemente ci gioverà, che ne serbarono due grandi rottami non meno maravigliosi delle loro piramidi, che sono queste due grandi verità filologiche. Delle quali una è narrata da Erodoto39: — ch’essi tutto il tempo del mondo ch’era corso loro dinanzi riducevano a tre età: la prima degli dèi, la seconda degli eroi e la terza degli uomini; — l’altra è che, con corrispondente numero ed ordine, per tutto tal tempo si erano parlate tre lingue: la prima geroglifica, ovvero per caratteri sagri; la seconda simbolica, o per caratteri eroici; la terza pistolare, o per caratteri convenuti da’ popoli (b)1, al riferire dello Scheffero, De philosophia [p. 68 modifica]italica 2 La qual divisione de’ tempi egli è necessario che Marco Terenzio Varrone, — perch’egli, per la sua sterminata erudizione, meritò l’elogio con cui fu detto il «dottissimo de’ Romani»3 ne’ tempi loro più illuminati, che furon quelli di Cicerone, — dobbiam dire, non già ch’egli non seppe seguire, ma che non volle; perchè, forse, intese della romana ciò che, per questi principii, si truoverà vero di tutte le nazioni antiche: cioè, che tutte le divine ed umane cose romane erano native del Lazio; onde si studiò dar loro tutte latine origini, nella sua gran opera: Rerum divinarum et humanarum4, della quale l’ingiuria del tempo ci ha privi (tanto Varrone credette alla favola delle Leggi delle XII Tavole venuta da Atene in Roma!); e divise tutti i tempi del mondo in tre, cioè: tempo oscuro, ch’è l’età degli dèi; quindi, tempo favoloso, ch’è l’età degli eroi; e finalmente, tempo isterico, ch’è l’età degli uomini, che dicevano gli Egizi5.

Oltracciò, l’antichità degli Egizi gioveracci con due boriose memorie, di quella boria delle nazioni, le quali osserva Diodoro Sicolo6 che, barbare o umane si fussero, ciascheduna si è tenuta la più antica di tutte e serbare le sue memorie fin [p. 69 modifica]dal principio del mondo; lo che vedremo essere stato privilegio de’ soli Ebrei. Delle quali due boriose memorie una osservammo esser quella che ’l loro Giove Ammone era il più vecchio di tutti gli altri del mondo, l’altra (a)7 che tutti gli altri Ercoli dell’altre nazioni avevano preso il nome dal lor Ercole egizio; cioè, ch’appo tutte prima corse l’età degli dèi, re de’ quali appo tutte fu creduto esser Giove; e poscia l’età degli eroi, che si tenevano esser figliuoli degli dèi, il massimo de’ quali fu creduto esser Ercole.


II

[Ebrei]


S’innalza la prima colonna agli Ebrei (b)1, i quali, per gravissime autorità di Flavio Giuseppe Ebreo e di Lattanzio Firmiano ch’appresso s’arrecheranno 2, vissero sconosciuti a tutte le nazioni gentili. E pur essi contavano giusta la ragione de’ tempi corsi del mondo, oggi dagli più severi critici ricevuta per vera, secondo il calcolo di Filone Giudeo; la qual se varia da quel d’Eusebio, il divario non è che di mille e cinquecento anni3 ch’è brievissimo spazio di tempo a petto di quanto l’alterarono i Caldei, gli Sciti, gli Egizi e, fin al di d’oggi, i Chinesi. Che dev’esser un invitto argomento che gli Ebrei furono il primo popolo del nostro mondo ed hanno serbato con verità le loro memorie nella Storia sagra fin dal principio del mondo. [p. 70 modifica]70 LIBRO PRIMO SEZIONE PRIMA

III

[Caldei]


Si pianta la seconda colonna a’ Caldei, tra perchè in Geografia si mostra in Assiria essere stata la monarchia più mediterranea di tutto il mondo abitabile, e perchè in quest’opera si dimostra che si popolarono prima le nazioni mediterranee, dappoi le marittime. E certamente, i Caldei furono i primi sappienti della gentilità, il principe de’ quali dalla comune de’ filologi è ricevuto Zoroaste Caldeo. E senza veruno scrupolo, la storia universale prende principio dalla monarchia degli Assiri (a), la quale aveva dovuto incominciar a formarsi dalla gente caldea; dalla quale, cresciuta in un grandissimo corpo, dovette passare nella nazion degli Assiri sotto di Nino, il quale vi dovette fondare tal monarchia, non già con gente menata colà di fuori, ma nata dentro essa Caldea medesima, con la qual egli spense il nome caldeo e vi produsse l’assirio: che dovetter esser i plebei di quella nazione, con le forze de’ quali Nino vi surse monarca 1, come in quest’opera tal civile costume di quasi tutte, come si ha certamente della romana, vien dimostrato (b). Ed essa storia pur ci racconta che fu Zoroaste ucciso da Nino; lo che truoveremo esser stato detto, con lingua eroica, in senso che ’l regno, il qual era stato aristocratico, de’ Caldei (de’ quali era stato carattere eroico Zoroaste) fu rovesciato per mezzo della libertà popolare da’ plebei di tal gente, i quali ne’ tempi eroici si vedranno essere stati altra nazione da’ nobili, e che col favore di tal na-


(a) e la storia, per ignorazione di questi nostri principii, non vide che tal monarchia aveva dovuto, ecc.

(b) [CMA*] sicché tale avesse fatto prima Nino contro di Zoroaste, quale fece poi Arbace contro Sardanapalo, ultimo re dell’Assiria. Onde dicono ch’indi in poi furono due regni d’Assiria, con due città capitali: Niuive e Babillonia; la qual verità usano i critici bibbici per ischiarire la storia sagra ove narra la schiavitù babilonese del popolo ebreo. Ed essa storia, ecc. [p. 71 modifica] zione Nino vi si fusse stabilito monarca Altrimente, se non istanno così le cose, n’uscirebbe questo mostro di cronologia nella storia assiriaca: che nella vita d’un sol uomo, cioè di Zoroaste, da vagabondi eslegi si fusse la Caldea portata a tanta grandezza d’imperio che Nino vi fondò una grandissima monarchia (a). Senza i quali principii, avendoci Nino dato il primo incominciamento della storia universale, ci ha fatto finor sembrare la monarchia dell’Assiria, come una ranocchia in una pioggia d’està, esser nata tutta ad un tratto.

IV

[Sciti]

Si fonda la terza colonna agli Sciti (b), i quali vinsero gli Egizi in contesa d’antichità, come testè l’hacci narrato una tradizione volgare.

V

[Fenici]

La quarta colonna si stabilisce a’ Fenici, innanzi degli Egizi; ai quali i Fenici, da’ Caldei, portarono la pratica del quadrante e la scienza dell’elevazione del polo (c), di che è volgare tradizione 1 ; e appresso dimostreremo che portarono anco i volgari caratteri.

(a) [CMA*] (al quale qviindi a poco truoveremo un mostro somigliante dentro la storia greca nella persona d’Orfeo), senza i quali, ecc. (b) oggi detti Tartari del Gran Precop, per una volgar tradizione che si serba nel tesoro dell’antichità da’ filologi, che, nata contesa, ecc. (e) Alla qual volgar tradizione, ricevuta da tutti i filologi, si aggiugneranno invitte ragioni da questa Scienza, più salde di quelle ch’arreca il Witzio contro la quanto vantata altrettanto vana antichità degli Egizi. 1 Heeod., li, 109; Plin., N. H., VII, 56 (57). [p. 72 modifica]

VI

[Egizi]


Per tutte le cose sopra qui ragionate, quelli Egizi che, nel suo Canone, vuol il Marshamo essere stati gli più antichi di tutte le nazioni, meritano il quinto luogo su questa Tavola cronologica.

VII

[Zoroaste, o regno de’ Caldei. — Anni del mondo 1756]


Zoroaste si truova in quest’opera essere stato un carattere poetico di fondatori di popoli in Oriente, onde se ne truovano tanti sparsi per quella gran parte del mondo quanti sono gli Ercoli per l’altra opposta dell’Occidente; e forse gli Ercoli i quali con l’aspetto degli occidentali osservò Varrone anco in Asia (come il Tirio, il fenicio), dovettero agli orientali essere Zoroasti(a). Ma la boria de’ dotti, i quali ciò ch’essi sanno, vogliono che sia antico quanto ch’è il mondo, ne ha fatto un uomo particolare ricolmo d’altissima sapienza riposta, e gli ha attaccato gli oracoli della filosofia (h). i quali non ismaltiscono altro che per vecchia una troppo nuova dottrina, ch’è quella de’ pittagorici e de’

(a) [CMA3] Perocché i mitologi, con le loro interpetrazioni erudite, fanno Ercole anche dotto d’astronomia, e ne spiegano quella favola ch’egli succedette al vecchio Atlante, stanco di più sostenere sopra i suoi omeri il cielo; ed or ora vedremo che Atlante egli è da’ filologi creduto scolare di Zoroaste. [SN2] Però di quelli il primo di tutti è ’l Caldeo, che ci appruova la Caldea essere stata la prima nazione di tutta la gentilità. Ma la boria, ecc.

(6) appigliatisi temerariamente a due volgari tradizioni: una che Zoroaste fu sappiente (ma quella intese della sapienza volgare con la quale si fondarono i popoli), l’altra che gli oracoli sono le cose più antiche che ci narra essa antichità (ma questa volle dir oracoli d’indovini, non di filosofi). E ’nfatti tali oracoli di Zoroaste non fann’altro che smaltire per vecchia, ecc.

Si veda p. 61, nota 2. [p. 73 modifica] tonici1. Ma tal boria de' dotti non si fermò qui, chè gonfiò più col fingerne anco la succession delle scuole per le nazioni: — che Zoroaste addottrinò Beroso, per la Caldea ; Beroso, Mercurio Trimegisto, per l'Egitto; Mercurio Trimegisto, Atlante, per l'Etiopia; Atlante, Orfeo , per la Tracia; e che, finalmente, Orfeo fermò la sua scuola in Grecia. Ma quindi a poco si vedrà quanto furono facili questi lunghi viaggi per le prime nazioni, le quali, per la loro fresca selvaggia origine, dappertutto vivevano sconosciute alle loro medesime confinanti, e non si conobbero tra loro che con l'occasion delle guerre o per cagione de' traffichi (a). (a) Quindi, frattanto, però s'intenda di che bollore di fantasia fer- vette cotal boria de' dotti nel capo di Samuello Reyero, De mathesi mosaica ^, ove vaneggia che la torre di Babillonia fessesi innal- zata per osservatoio delle stelle; lo che deve andar di séguito a ciò che, forse per conciliar con le novelle curiose la maraviglia a' suoi libri De ccelo [GMA^ (se pur sono suoi, [CAf^^] perocché i critici glieli negano), [SN'^ narra Aristotile 3 che Callisteue , suo genero, gli aveva maudato l'osservazioni astronomiche fatte da' Caldei ben mille novecento e tre anni del temjjo suo, le quali, tornando in- dietro, portavano fin al tempo ch'essa torre si alzò. — [CMA^*] Cer- 1 È inutile quasi d'avvertire che il V. scriveva molto prima che, per mezzo del- l'Anquentil-Duperron, si conoscesse in Europa il Zend-Avesta. Degli oracoli in versi greci attribuiti a Zoroastro egli doveva avere conoscenza diretta, essendo essi pubbl. anche in appendice alla Storio, della filosofia dello Stanley , da lui più d' una volta citata (si vegga, p. e., più oltre, p 74, nota 2). 2 Samelis REYnERi, Juris et Mathematnni Prof. Pubi., Mathesis mosaica , sive Loca Pentateuchi Èlatlieinutica inatheniatice enìlicata , cum Appendice aliorum S. Script. Locorum Mathematicorum (Kilise Holsatorum, Literis et Sumptibus Joachimi Reumanni, Acad. Typogr., A. 0. R. OIOIOCLXXIX), p. 196: « Minime rejicula est seii- tentia illorum fé si cita Gassend., Vit.Tychom., prsefat., p. 21], qui ... Ulani turrivi extruciani fiiisse arbitrantur, ut commodius sideruni ortus et occasus aliaque pha'~ nornena ccelestia possent ad notare , quod Inter alias etiam testatur Diodorus Si culus ». Il che, per altro, non vuoi dire che tale fosse sull'argomento l'opinione del R.; il quale, anzi, poco dopo p. 108), soggiunge: «7jr««c(>a/e/«i>rocer«m et seniorumNiìnrodi intentionem fuisse institutionem alicuius regni solitarii sive monatici, quod omnes universi generis humani liontines in una societate coactos complecterentur », ecc. ' Il V. confonde Aristotele con Simplicio. Il quale ultimo nel suo cemento al De Ccelo aristotelico [II, 12, p. 293 a], p. 226 b (ediz. Hei))crg, Berlin, 1894, p. 506), dice solamente che, mentre Aristotele scriveva, non erano ancora giunte in Gre- cia le osservazioni mandate da Callistene da Babilonia, «a$ laxopel Iloptfó- pioq èxctìv slvai )(iXcwv xaì [lupcaòcov xptcòv scog twv 'AXsgavSpo toO MaxsSóvog aa)^o|jLévag xpó'^wv », ecc. [p. 74 modifica] Ma de’ Caldei gli stessi filologi, sbalorditi dalle varie volgari tradizioni che ne hanno essi raccolte, non sanno s’eglino fussero stati particolari uomini, o intiere famiglie, o tutto un popolo o nazione. Le quali dubbiezze tutte si solveranno con questi principii: — che prima furono particolari uomini, dipoi intiere famiglie, appresso tutto un popolo e, finalmente, una gran nazione sulla quale si fondò la monarchia dell’Assiria; e ’l loro sapere fu prima in volgare


tamente, de’ Zoroasti ce ne vennero nominati il caldeo, il medo, l’eroarmenio, il panfilio, i quai solamente ha saputo osservar e raccogliere lo Stanleo nella sua Istoria della filosofia1. Ma queste notizie son troppo oscure e confuse per poter ragionare con iscieuza de’ principii della storia universale; la quale, con tutte queste notizie, ella, così per gli mostri di cronologia poco sopra accennati, come per questi di geografia i quali qui accenneremo, ha finor mancato al mondo delle scienze. Diciamo, adunque, [CMA4 che, per una maniera poetica di pensare (che nella Metafisica poetica2 si truoverà uniforme per natura in tutte le prime nazioni gentili), siccome gli Egizi tutti i fondatori dell’altre nazioni dissero aver preso il nome dall’Ercole Egizio, e siccome i Greci fecero andar il lor Ercole per lo mondo a disseminare per le nazioni l’umanità, cosi i Caldei tutti gli autori delle nazioni dell’Asia dissero Zoroasti. [CMA3*] E per questi stessi nostri principii di geografia, ritruoveremo che Zoroaste Caldeo fu Battriano, come narrano le storie; però da Battro posto dentro i confini della Caldea medesima, siccome ritruoveremo Orfeo essere stato della Tracia posta dentro i confinì della medesima Grecia, perch’egli certamente fu uno de’ poeti teologi greci; e che così Orfeo uscì dal di lei settentrione a fondar la Grecia, come Zoroaste uscì dal di lei settentrione a fondar la Caldea. E tali principii s’hanno a dare alla Caldea, ne’ suoi primi tempi di brievissimi confini, dentro i quali Battro, donde fu Zoroaste, dev’essere stato nel mezzo dell’Asia, perchè si faccia ancor verisimile il vero della storia sagra dintorno a questi tre punti massimi: l°) che, dopo il Diluvio, l’arca 1 Cinque Zoroastri si annoverano nella Historia philosophiae, Vitas, opiniones resque gestas et dicta philosophorum sectae cuiusvis complexa, Autore Thoma. Stanleio, Ex anglico sermone in latinum translata, emendata, et variis dissertationibus atque observationibus passim aucta (Lipsiae, Ap. Thomam Fritsch, A. MDCCXI), Par. XIII, sect. I, cap. Il (pp. 1111-4): il caldeo, il battriano, il medo-persiano, il panfilio o ero-armenio (non già: e ero-armrnio), il proconnesio. 2 Si vegga più giù, lib. II, sez. I, cap. I. [p. 75 modifica]ANNOTAZIONI ALLA TAVOLA CRONOLOGICA 75

divinità, con la qual indovinavano l’avvenire dal tragitto delle stelle cadenti la notte; e poi in astrologia giudiziaria, com’a’ Latini l’astrologo giudiziario restò detto «chaldceus» (a).

vili [Giapeto, dal quale provvengon i giganti. — Anni del mondo 1856]

I quali, con istorie fisiche truovate deatro le greche favole, e praove come fisiche cosi morali tratte da dentro l’istorie civili, si dimostreranno i essere stati in natura appo tutte le prime nazioni gentili,

IX

[Nebrod o confusione delle lingue. — Anno del mondo 1856]

La quale (b) avvenne in una maniera miracolosa, onde all’i si fermò ne’ monti dell’Armenia, 2°) che Noè si fermò nella Mesopotamia, S") che Semo quivi propagò la sua nazione, da’ cui rinniegati provennero essi Caldei; — ed ad un fiato si faccia credibile la storia profana, la qual appo Giustino propone come suoi antiprincipii, innanzi alla monarchia degli Assiri, Tauai Scita e Sesostride Egizio [e si continua come nel testo, p. 63, v. 5, fino olle parole: «provincia o di Egitto o diScizia» [p. 64, v. 3). Indi si prosegue:] Con tanta traccuratezza hanno finora tutti i dotti ricevuto i principii della storia universale! E ciò sia detto di Zoroaste.— M«de^ Caldei, ecc.

(rt) Per tutto ciò abbiamo noi allogato Zoroaste a lato di Giapeto, perocché sia il cai’attere della razza di Sem, che tratto tratto passò dalla vera religione all’idolatria, dalla quale si fondò il regno di Nebrod.

(b) pei- gli nostri principii si dimostra esser avvenuta nella discendenza di Sem per lo mondo dell’Asia orientale, ma essere stata diversa l’origine della diversità delle lingue nelle razze già fatte e disperse per l’Asia settentrionale (e quindi nella Scizia) e per la meridionale (e quindi nelF indie), per l’Affrica e per l’Europa, con l’errore di dugento anni, nel quale Cam e Giafet l’avevano mandate. Che tanto vi volle di tempo dalla divisione della terra tra questi tre figliuoli di Noè infili alla confusione babillonese delle lingue, se mai» Cfr. lib. II, Proieg., cap. IV. [p. 76 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/172 [p. 77 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/173 [p. 78 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/174 [p. 79 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/175 [p. 80 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/176 [p. 81 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/177 [p. 82 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/178 [p. 83 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/179 [p. 84 modifica]84 LIBRO PRIMO — SEZIONE PRMA

XIX [Danao Egizio caccia gl’Inachidi dal regno d’Argo.— Anni del mondo 2553]

Queste successioni reali sono gran canoni di Cronologia: come Danao occupa il regno d’Argo, signoreggiato innanzi da nove re della casa d’Inaco, per gli quali dovevano correre trecento anni (per la regola de’ cronologi), come presso a cinquecento per gli quattordici re latini che regnarono in Alba.

Ma Tucidide dice che ne’ tempi eroici gli re si cacciavano tutto giorno di sedia l’un l’altro i; come Amulio caccia Numitore dal regno d’Alba, e Romolo ne caccia Amulio e rimettevi Numitore. Lo che avveniva tra per la ferocia de’ tempi, e perch’erano smurate l’eroiche città ^, uè eran in uso ancor le fortezze, come dentro si rincontra de’ tempi barbari ritornati.

XX

[Eraclidi sparsi per tutta Grecia, che vi fanno l’età degli eroi.— Cureti in Creta, Saturnia, ovvero Italia, ed in Asia, clie vi fanno regni di sacerdoti.— Anni del mondo 2682]

Questi due grandi rottami d’antichità si osservano da Dionigi Petavio 3 gittati dentro la greca storia avanti il tempo eroico de’ Greci. E sono sparsi per tutta Grecia gli Eraclidi, o sieno figliuoli d’Ercole, più di cento anni innanzi di provenirvi Ercole loro padre, il quale, per propagarli in tanta generazione, doveva esser nato molti secoli prima.

XXI

[Bidone va a fondar Cartagine]

La quale noi poniamo nel fine del tempo eroico de’ Penici, e, sì, cacciata da Tiro, perchè vinta in contesa eroica, com’ella

• Non già che i re si cacciassero dal trono l’un l’altro, ma che nell’epoca delle migrazioni era facile che un popolo cangiasse sede perchè a ciò costretto da un popolo più forte, dice Thuc,

2 Thdc, I, 5.

  • DioNYsii Petavii Adrelianensis e Societate lesu Opiis de doctrina tempurum,

Aiictius in hac nova editione (Antwerp<a’, Apud Georgiuiii Gallett, MDOCIII, [p. 85 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/181 [p. 86 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/182 [p. 87 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/183 [p. 88 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/184 [p. 89 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/185 [p. 90 modifica]90 LIBRO PRIMO — SEZIONE PRIMA XXV [Guerra troiana. — Anni del mondo 2820] La quale , com' è narrata da Omero , avveduti critici giudi- cano non essersi fatta nel mondo ; e i Ditti Cretesi e i Dareti Frigi, che la scrissero in prosa come storici del lor tempo, da' medesimi critici sono mandati a conservarsi nella libraria del- l'impostura. XXVI [Sesostride regna in Tebe. — Anni del mondo 2949] Il quale ridusse sotto il suo imperio le tre altre dinastie del- l'Egitto ; che si truova esser '1 re Ramse che '1 sacerdote egizio narra a Germanico, appresso Tacito i. XXVII [Colonie greche in Asia, in Sicilia, in Italia. — Anni del mondo 2949] Questa è una delle pochissime cose nelle quali non seguiamo l'autorità d'essa Cronologia, forzati da una prepotente cagione. Onde poniamo le colonie de' Greci menate in Italia ed in Sicilia da cento anni dopo la guerra troiana e, si , da un trecento anni innanzi al tempo ove l'han poste i cronologi, cioè vicino a' tempi ne' quali i cronologi pongono gli errori degli eroi, come di Me- nelao, di Enea, d'Antenore, di Diomede e d'Ulisse. Ne dee recare ciò maraviglia , quando essi variano di quattrocensessant' anni d'intorno al tempo d'Omero, ch'è '1 più vicino autore a si fatte cose de' Greci. Perchè la magnificenza e dilicatezza di Siragosa a' tempi delle guerre cartaginesi non avevano che invidiare a quelle d'Atene medesima; quando nell'isole più tardi che ne' con- tinenti s' introducono la morbidezza e lo splendor de' costumi, e ne' di lui tempi , Cotrone fa compassione a Livio 2 del suo » Ann., II, 60. Si veda p. 59. 2 Ma Livio non parla punto di « milioni » di abitanti che avesse una volta Ootrone: narra solamente (XXIII, 30) che, nel 536 d. R., « Bruttiorum exercUus Oro[p. 91 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/187 [p. 92 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/188 [p. 93 modifica]ANNOTAZIONI ALLA TAVOLA CRONOLOGICA 93

loro colonie tra’ Greci; o sono novelle de’ viaggiatori fenici, che da molto innanzi a’ tempi d’Omero mercantavano nelle marine di Grecia.

XXXII

[Esopo, moral filosofo volgare.— Anni del mondo 3334]

Nella Logica poetica si truoverà Esopo non essere stato un particolar uomo in natura, ma un genere fantastico, ovvero un carattere poetico de’ soci ovvero famoli degli eroi, i quali certamente furon innanzi a’ sette saggi di Grecia (a).

XXXIII

[Sette savi di Grecia, de’ quali uno, Solone, ordina la libertà popolare d’Atene; l’altro, Talete Milesio, dà incominciamento alla Filosofia con la Fisica. — Anni del mondo 3406]

E cominciò da im principio troppo sciapito: dall’acqua; forse perchè aveva osservato con l’acqua crescer le zucche.

XXXIV

[Pittagora, di cui, vivo, dice Livio che nemmeno il nome potè sapersi in Roma.— Anni del mondo 3468, di Roma 225]

Ch’esso Livio ^ pone a’ tempi di Servio Tullio (tanto ebbe per vero che Pittagora fosse stato maestro di Numa in divinità!); e ne’ medesimi tempi di Servio Tullio, che sono presso a dugento anni dopo di Numa, dice che ’n quelli tempi barbari dell’Italia mediterranea fosse stato impossibile, nonché esso Pittagora, il di lui nome per tanti popoli di lingue e costumi diversi avesse potuto da Cotrone giugnere a Roma. Onde s’in (a) [In SN2, cm giunte in CMA^ e CIMA*, e nella prima stesura^ indi cancellata, di SN^, era qui sviluppata la riduzione di Esopo a carattere poetico, che poi il V. trasportò, mediante un foglietto aggiunto, nel Uh. TI, sez. II, cap. Ili, § IX. Riferiremo là le varianti].

1 I, 18. Cfr. anche meglio Cic, Tusc. Qucest., I, 16 e IV, 1; De or., II, 37; nonché AuL. Gell., N.A., XVII, 21. [p. 94 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/190 [p. 95 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/191 [p. 96 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/192 [p. 97 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/193 [p. 98 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/194 [p. 99 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/195 [p. 100 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/196 [p. 101 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/197 [p. 102 modifica]102 LIBRO PEMO SEZIONE PRIMA

presso Platone, in uno degli Alcibiadi i ), ch’i Greci fossero sempre fanciulli. Laonde bassi a dire che per cotal boria i Greci, a riguardo degK Sciti e degli Egizi, quanto essi guadagnarono di vanagloria, tanto perderono di vero inerito.

XXXIX

[Guerra peloponnesiaca. Tucidide, il qual scrive che fin a suo padre 1 Greci non seppero nulla delle antichità loro propie, onde si diede a scrivere di cotal guerra.— Anni del mondo 3530]

Il qual era giovinetto nel tempo ch’era Erodoto vecchio, che gli poteva esser padre, e visse nel tempo più luminoso di Grecia, che fu quello della guerra peloponnesiaca, di cui fa contemporaneo, e perciò, per iscrivere cose vere, ne scrisse la storia; da cui fa detto ch’i Greci fin al tempo di suo padre, ch’era quello d’Erodoto, non seppero nulla dell’antichità loro propie 2. Che hassi a stimare delle cose straniere che essi narrano, e quanto essi ne narrano tanto noi sappiamo dell’antichità gentilesche barbare? Che hassi a stimare fin alle guerre cartaginesi, delle cose antiche di que’ Romani, che fin a que’ tempi non avevan ad altro atteso ch’all’agricoltura ed al mestiere dell’armi quando Tucidide stabilisce questa verità de’ suoi Greci, che provennero

1 Né nel primo né nel secondo Alcibiade (di entrambi i quali soli interlocutori sono Socrate e Alcibiade), ma nel Timeo, III, p. 22 b, Crizia riferisce il famoso detto di uno dei sacerdoti egizi: «StbXwv, ScóXcov, "EXXvjvsg dei naìSég èoxs, yépttìv 5è ’EXXvjv oùx loTiv».

2 «Die Stelle des Thucydides, deren ungefahren Sinn Vico hier ausdriickt, steht: 1,20 [«01 Yàp àvGpcDTioi làg àxoàg twv 7ipoYSYevvyjnéva)v, xaì r)v èui^tòpia oqjfaiv ^, óiiotcog àpaoavtoTtog uap’àXXrjXcav Séxovxai»]. Durch ein wunderbares Misverstdndniss macht er aus dem Participium upoySTevv/j(lévcùV dem Thucydides einen allegorischen Valer Herodotus. In der ersten Ausgabe, Seite 29 [ossia SN^, ed. cit., p. 13], sagt er wenigstens weniger nàrrisch: t bis auf die Zeit ihrer (der Griechen) Valer [«fino al tempo dei loro padri»]». (Weber).— Ora, senza dubbio, l’interpetrazione vichiana è del tutto arbitraria; ma il V., d’altra parte, non ha mai pensato a fare d’Erodoto un padre «allegorico» di Tucidide. Col dire «fin al tempo di suo padre» il V. pensava solamente al padre effettivo di Tucidide, e cioè alla generazione precedente a quella di Tucidide: quindi, voleva dire lo stesso di quanto aveva detto in SNK Che poi Erodoto e Oloro, padre di Tucidide, sieno stati su per giù coetanei, è un fatto riferito da tutte le biografie di Tucidide, nelle quali si ricorda anche una famosa profezia fatta da Erodoto vecchio a Tucidide giovanetto (cfr., p. e., negli scolii a Tue, Marcellinus, De Thuc. vita et orationit forma, 91; Sdid., ad v. 6ouxu6.). [p. 103 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/199 [p. 104 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/200 [p. 105 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/201 [p. 106 modifica]106 LIBRO PRIMO SEZIONE PRIMA col tenergli partitamente divisi in coltivar i di loro campi, de' quali cosi dovette comporsi il fondo pubblico del territorio ro- mano, come di essi padri Romolo compose il senato. Appresso, Servio Tullio vi ordinò il censo, con permettere a' giornalieri il dominio bonitario de' campi eh' erano propi de' padri, i quali essi coltivassero per sé, sotto il peso del censo, con 1' obbligo di servir loro a propie spese nelle guerre ; con- forme, di fatto, i plebei ad essi patrizi servirono dentro cotesta fìnor sognata libertà popolare. La qual legge di Servio Tullio fu la prima legge agraria del mondo , ordinatrice del censo pianta deUe repubbliche eroiche, ovvero antichissime aristocrazie di tutte le nazioni. Dappoi, Giunio Bruto, con la discacciata de' tiranni Tarqui- ni , restituì la romana repubblica a' suoi principii ; e con ordi- narvi i consoli, quasi due re aristocratici annali (come Cicerone gli appella nelle sue Leggi i ), invece di uno re a vita, vi rior- dinò la libertà de' signori da' lor tiranni , non già la libertà del popolo da' signori. Ma i nobili mal serbando 1' Agraria di Servio a' plebei, questi si criarono i tribuni della plebe, e gli si fecero giurare dalla nobiltà, i quali difendessero alla plebe tal parte di naturai libertà del dominio bonitario de' campi : sic- come perciò , disiderando i plebei riportarne da' nobili il do- minio civile, i tribuni della plebe cacciarono da Roma Marcio Coriolano, per aver detto eh' i plebei andassero a zappare , cioè che, poiché non eran contenti dell'Agraria di Servio Tullio e vole- vano un'Agraria più piena e più ferma, si riducessero a' gior- nalieri di Romolo 2. Altrimente, che stolto fasto de' plebei sde- gnai'e 1' agricoltura , la quale certamente sappiamo che si re- cavano ad onore esercitar essi nobili ; e per si Keve cagione ac- cendere si crudel guerra che Marcio, per vendicarsi deU'esiglio, era venuto a rovinar Roma, senonsè le pietose lagrime della madre e della moglie l'avessero distolto dall'empia impresa?

  • III, 2: <i Regio imperio duo sunto K non già la frase addotta dal V., la quale si

trova, invece, in Corn. Nep., Hann., 7: « Ut enim Romoe consules, sic Cartilagine quotannis annui bini reges creabantur ». •iSi annonam... veterem[plebei] volunt, ius pristinum reddant patribus^-, e non altro, fa dire Liv., (II, 34), su quest' argomento, a Coriolano. [p. 107 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/203 [p. 108 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/204 [p. 109 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/205 [p. 110 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/206 [p. 111 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/207 [p. 112 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/208 [p. 113 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/209 [p. 114 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/210

  1. (b) per le nostre dimostrazioni filologiche, che si fanno moltissime nell’opera, accresciute di numero nell’Annotazioni 8, e in questi libri ultimi se n’arrecherà una nuova che val per tutte: che per fede anco umana l’ebreo fu il primo popolo del mondo.

      Scrittura, Operetta che può servir di appendice ai libri «De principiis iuris naturalis et gentium» del sig. G. F. Finetti (In Venezia, MDCCLXVIII, Appresso Vincenzo Radici), pp. xiii-iv.

    1. (b) affine di comunicar tra loro le volgari bisogne della vita. La qual divisione de’ tempi o Varrone non potè seguire per ignorazione, o (perchè fu il più dotto de’ Romani ne’ loro tempi più luminosi di Augusto, di cui fu bibliotecario 40, [CMA4] ond’ebbe l’agio di fareda tutto il mondo copiosissima incetta di libri, de’ quali fu divoratore) [SN2] dovrem dire che non volle per una boria romana; onde si studiò, ecc.
      1. (a) Talché questa Tavola con queste Annotazioni propone la materia di questa Scienza, con le propietà di materia, cioè incerta, informe, difettuosa e vana. — Di più, ella, per gli nostri principii si propone, ecc.
      2. D. Johannis Marshami, angli, equitis aurati, Canon chronicus ægyptiacus, hebraicus, grecus, et disquisitiones, Liber non Chronologiæ tantum sed et Historicæ Antiquitatis reconditissima compìexens, Londini primum A. 1672 editus, Deinde in Germania recusus, Nunc vero longe emendatior typis expressus, adiectis locorum Scripturæ, auctorum et rerum indicibus lucupletissimis (Franqueræ, Ex officina Leonardi Strick bibliopolæ, MDCXCVI), pp. 154-5; il quale, con tono molto meno risoluto di quel che affermi il V., dice:«Moses plerosque Ægyptiorum ritus abrogavit, quosdam immutavit, quosdam pro indifferentibus habuit, quosdam permisit, imo et iussit».
      3. Dissertatio de Urim et Thummim in Deuteron., c. 33, v. 8, In qua eorum natura et origo, Non paucorum rituum mosaicorum rationes, Et obscuriora quædam Scripturæ loca probabiliter explicantur, Authore Iohanne Spencero S. T. D. Coll. Corp. Christ. in Acad. Cantab. præfecto (Cantabrigæ, Impensis Gualterii Kettilby, ad insigne Capitis Episcopi, in vico vulgo vocato Duck-lane, 1670), sect. VII, p. 116. Ma lo S. (oltre a non poter «seguitare» il Marsham, perchè pubblicò la propria opera due anni prima che venisse in luce la 1a ediz. di quella del cavaliere inglese), dice: «Et certe fieri vix potuit quin Israelitie (qui in Ægypto primum hausere spiritum, quibus tanice necessitudines cum ægyptiis per multos annos intercessere, et tot infortuniis in Ægypto fracti et vexati perpetuo fuere) omnes Dei et rerum divinarum notitias, per sacram tantum Cabbalam acceptas, oblivioni sensim traderent; et (vix ultra lateres et allium Ægypti iam sapientes) in dominorum suorum mores et ingenium toti transirent».
      4. Babilonica, indica, ægyptia, etc, philosophica primordia, Auctore Otthone Heurnio, Ioh. fil. (Lugduni Batavorum, Apud Ioh. Maire, ciɔiɔcxix), p. 60: «Moses... Israelitas ex gypto in Cenahhan educens, ut ipsos divina mysteria sic et disciplinas ab Ægyptiis acceptas, docuit». — Il titolo riferito dal V. è dato a p. 1 del curioso libriccino: Barbarica philosophice Antiquitatum liber primus, qui et Chaldaicus» inscribitur. Il II libro, qui et «Indicus» inscribitur, tratta de Indorum philosophis. — Il Weber cita una precedente ediz. del 1600, che a me non è riuscito vedere.
      5. (a) e confuta il Marshamo e lo Spencero e, ’n conseguenza, anco l’Ornio. Perocchè egli stima, ecc.
      6. Hermanni Vitsii Ægyptiaca et Δεκάφυλον, sive de Ægyptiacorum sacrorum cum Hebraicis collatione, Libri tres, et De decem tribubus Israëlis, Liber singularis. Accessit diatriba: De legione fulminatrice Christianorum sub imperatore Marco Aurelio Antonino. Editio secunda ab Auctore emendata (Amstelodami, Excudit Gerardus Borstius Bibl., MDCXCVI), I, p. 194.— Ma il Vitsio, diversamente da quel che afferma il V., dice: «Quicquid de antiquis Ægyptiorum institutis scimus, si ea demas quæce ex sacris nostris edocti sumus monumentis, id fere ex Dione Cassio, Luciano, Plutarcho, Strabone, Diodoro Siculo, Choeremone, Herodoto aut Manethonis et Sanchuniatonis fragmentis collectum est».
      7. II, 60.
      8. (a) Ma cotal vanità degli Egizi sarà quindi a poco confutata da noi nell’Annotazione a Psammetico.
      9. IV, 4. Cfr. anche Diod. Sic., I, 44.
      10. Cheremone Alessandrino non fu mai maestro di S. Dionigi l’Areopagita. Strabone poi non lo mette «sovente in favola, ma ne parla una sola volta (XVII, cap. I, § 29), dicendo che egli professava filosofia e astronomia «γελώμενος δὲ τὸ πλέον ὡς ἀλαζὼν καί ιδιώτης».
      11. Tra le opere di Galeno quelle a lui attribuite non ve n’è alcuna intitolata De medicina mercuriali. Semplicemente, nel Περί κράσεως καί δυνάμενος τῶν απαῶν φαρμακῶν, lib. VI, præf. (ediz. Kulm, XI, p. 798), egli mette in Panfilo, perchè questi mostra di credere all’esistenza di un’erba detta «ἀετὁς» e di altre trentasei erbe sacre negli oroscopi, di cui diceva d’aver trovata notizia «ἔν τὶνὶ τῶνεἲς Ἑρμῆν τὀν Αἰγύπτὶον ὰναφερομένων βιβλίων».
      12. (a) e se ne dee ricordare ovunque si ragionerà la nostra Mitologia,e particolarmente nella Discoverta del vero Omero. — Con tanto, ecc.
      13. A quale fonte il V. abbia attinto questo motto non sono riuscito a trovare. Ma della boria egiziana parlano molti classici: cfr., p. e., Plin., Paneg., c. 31: «ventosa et insolens natio».
      14. Questo «luogo d’oro» non si trova nè in Tacito nè nei non pochi scrittori che parlano della volubilità degli Egiziani. Qualcosa di simile, per altro, è in Flavio Vopisco, Saturninus, c. 7: «Sunt Ægyptii viri ventosi, furibundi, iactantes, iniuriosi atque adeo vani, liberi, novarum rerum, usque ad cantilenas publicas cupientes».
      15. Serv., Ad Ænead., VIII, 564: «....sicut et Varro dicit, omnes, qui fecerant fortiter, Hercules vocabantur: licet eos primos XLIII [non quaranta] enumeraverit. Hinc est quod legimus Herculem Tirynthium, Argivum, Thebanum, Libym», ecc. Cfr. sul diverso numero di Ercoli in Diodoro, Cicerone e Giovanni Lido, Garofalo, pp. 27-9.
      16. Ann., II, 60. Ma Tacito parla solamente di Ercole egizio, senza far menzione di Giove Ammone.
      17. I, 23 (24). — Per altro Diodoro, non che limitarsi a duemila anni, parla di più di diecimila (πλεὶω τῶν μυρίων); anzi soggiunge che taluni si spingevano fino a ventitremila anni.
      18. Historia sacra et exotica [non: ægyptiaca] ab Adamo usque ad Augustum, demonstrationibus mathematicis fulta et documentis ethicis locupletata, Autore Iacobo Cappello (Sedani, Ex Typogr. Ioh. Iannon., M. DC. XIII., Cum privilegio Christianissimi regis), p. 43, in cui si allega il passo di Diodoro citato nella nota precedente e si riduce l’origine degli Egizi al 2222 a. C.
      19. Che cosa voglia dire il V. non s’intende bene. A ogni modo, nessuno accenno nè a Senofonte nè a Ciro fa, nel l. c., il Cappello. Ma forse il V. pensava alle pp. 329-332 (sub ann. mundi 3596), in cui si parla della morte di Ciro e si cita spesso Senofonte, dicendosi tra l’altro, a proposito della guerra peloponnesiaca: «Ita non male rationes init Xenophon. Sed illud incommodum, quod deinceps nullam temporum notationem annorumve distinctionem adhibet».
      20. Platone non «finge» altro dei Persiani se non che Socrate, nell’Alcib1, c. 17 (p. 120e), ponga la questione: se i re lacedemoni e persiani sieno di stirpe più ignobile degli Ateniesi, posto che i Lacedemoni discendono da Ercole e i Persiani da Echemene, entrambi i quali ripetono la loro origine da Perse, figlio di Giove.
      21. Isaaci Casauboni, De rebus sacris et ecclesiasticis, Exercitationes XVI ad Card. Baronii Prolegomena in Annales et primam eorum partem, de D. N. Iesu Christi Nativitate, Vita, Passione, Assumptione; Ad Jacobum, D. G., Magnæ Britannicæ Regem sereniss., Cum prolegomenis auctoris, in quibus de Baronianis Annalibus candide disputatur (Francof., Curantib. Ruland.,Typis Ioan. Bring, MDCXV) exerc. I, § 10, spec. p. 57.
      22. II Weber annota: «In den «Exerc. Plin.», senz’altro; ossia nelle Plinianæ Exercitationes in Caii lulii Solini Poìyhistora (Parisiis, Ap. C. Morellum, MDCXXIX). Ma né in questa né in altre sue opere, il Saumaise parla mai del Ποιμανδρής; né il nome di lui ricorre nei parecchi scritti che ho a tal uopo consultati sull’operetta gnostica attribuita a Mercurio Trismegisto.— Forse il V., per una delle sue distrazioni tutt’altro che rare, citò il Saumaise invece di Ioh. Henr. Ursini De Zoroastre Bactriano, Hermete Trismegisto, Sanchoniathone Pœnicio, eorumque scriptis et aliis contro Mosaicæ scripturæ antiquitatem, Exercitationes familiares (Norimberga’, Typ. et sumpt. Mich. Endteri, MDCLXI); opuscolo che, in ogni caso, egli dovè conoscere e tener presente.
      23. (a) Laonde i Greci quanto credettero di guadagnare di vanagloria col dare antichissime straniere origini alla loro sapienza, tanto vi perdettero di vero merito. — Fece, ecc.
      24. (a) [Il brano che segue nel testo, dalle parole: «La qual volgare tradizione» alle altre: «che fa quella d’Assiria!», manca nell’ediz. del 1730. Fu aggiunto in CMA2 (con una variante in CMA3), ma non a questo posto, sì bene nell'annotazione XXXVIII, dopo le parole: «di vero merito» (p 102 v. 4 della presente ediz.); e con tal numero di varianti che riesce più breve riferirlo per intero.] Finalmente, questo Idantura, che non sa neppure scrivere per geroglifici in tempi sì bassi dell’antichissima Scizia, ci dilegua affatto la vana oppenione di Tanai Scita e di Sesostride Egizio (che noi sopra accennammo esser il Rampse che narra Tacito), i quali sono stati finora ricevuti per antiprincipii della storia universale, sul comun errore della sformata antichità di queste due nazioni; e perchè in tal contesa la Scizia vinse l’Egitto, perciò forse fu fatto prima Tanai uscir dalla Scizia con uno potentissimo esercito, col quale, avendo attraversato tutto l’Oriente, fusse penetrato nel pili riposto di Egitto ed avesselo soggiogato; e che poi Sesostride, con altrettante forze, faccende lo stesso cammino, armato, avesse renduto la vece agli Sciti; [CMA] e Rampse n’avesse portato in Egitto in tanta potenza d’imperio quanta l’egizio sacerdote narrava a Germanico. Del qual Sesostride debbon essere le che racconta Erodoto aver vedute sparse per l’Asia28, e debbon esser altresì le conquiste che ’l sacerdote egizio diceva a Germanico aver fatto il suo Rampse, re d’Egitto, nella Licia e nella Bitinia.
      25. I, 1. Ma Giustino dice semplicemente: «Fuere quidem temporibus antiquiores Sesostris Ægypti et Scythiæ rex Tanaus; quorum alter in Pontum alter usque Ægyptum excessit».
      26. Si vegga lib. II, sez. II, cap. IV.
      27. Ant. iud., 1, 2 (3), 3.
      28. Allusione forse alle colonne che Sesostri faceva erigere nei paesi conquistati, sulle quali erano incisi «τó τε ἑωυτοῦ οὔνομα καὶ τὴς πάτρης, καὶ ὡς δυνάμι τῇ ἑωυτοῦς κατεστρέψατό σφεας». Cfr. Herod., II, 102, il quale dice anche (II, 106) di averne viste alcune in Siria, in cui era la predetta iscrizione nonché «γυναικός αῖδoῖα»
      29. Il Weber cita: «In seinen «Epistol. sinens.:, senz’altro; volendo forse alludere alle quattro lettere del p. Michele Ruggiero [1043-1607: cfr. per molte notizie intorno a lui l’op. più oltre cit. del Trigault, pp. 144-214], inserite nei Nuovi avvisi del Giapone con alcuni altri della Cina del LXXXIII et LXXXIV, Cavate dalle lettere della Compagnia di Giesù, Ricevute il mese di Dicembre e prossimo passato MDLXXXV (In Venetia, appresso i Gioliti, MDLXXXVI), pp. 162-7, 170-4 (cfr. Sommervogel, Bibl. de la Comp. de Jesus, II, col. 493; VII, coll. 316-7). A me non è riuscito vedere questa raccolta, sicché non posso dire se l’asserzione del V. sia esatta.
      30. Martini Martinii Tridentini e Soc. Iesu Sinicæ Historicæ decas prima, Res a gentis origine ad Christum natum in extrema Asia, sive Magno Sinarum Imperio gestas complexa (Monachii, Typis Lucæ Straubii, Impensis Iohan. Wagneri, cives et bibliopoli monacensis, A. CICICCLVIII), p. 120; in cui, per altro, il M. non assegna a Confucio antichità maggiore di 551 anno av. C
      31. Martini Schoockii Diluvium Noachi universale, sive Vindiciæ communis sententiæ, quod Diluvium Noachicuìn universæ terræ ìncubuerit, adversus Virum quendam Celeberrimum (Groningæ, Typis Francisci Bronchorstii, 1692, in app. alla 2a ediz. della Fabula Hamelensis più oltre cit. dello stesso aut). Ma lo S. non dice in nessun luogo che la credenza nell’antichità di Confucio abbia indotto qualcuno all’ateismo.
      32. La cosa è proprio all’opposto: da protestante, il Peyrera si fece cattolico. Lo stranissimo errore del V. è derivato dall’aver egli letto con la sua consueta fretta un passo del libro cit. dello Schoock,p. 274: «In unum præ aliis digitum intendere debeo, authorem scil. «Fabulæ Preadamiticæ» qui, turpiter deserta reformata religione,quam antea professus erat, et metu pœnæ:, odierno papæ Alexandro VII supplex factus, professus sibi nomen esse Isaaco Peyrero, delirantis mentis periculosa somnia imputare ausus fuit Religioni, cuius si sincerum membrum fuisset, submittere se Scripturæ scivisset, nec obtorto collo eam malesanis dogmatibus aptare tentasset, tractando illam haud aliter ut corium calcearii solent» — E qui un lungo elenco di proposizioni eterodosse del P., tra cui anche (p. 275), come dice il V.: «Diluvium Noachicum non fuisse effusum super universum terrarum orbem, sed super terram saltem iudaicam». — Il titolo esatto dell’opera del Peyrera è: Prædamitœ, sive Exercitatio super Versibus duodecimo, decimofertio et decimoquarto capitis quinti Epistolæ D. Pauli ad Romanos, Quibus inducuntur Primi Homines ante Adamum, conditi (Anno Salutis, M. DC. LV., s. l.).
      33. De Christiana expeditione apud Sinas suscepta a Societate lesu, Ex P. Matthæi Ricii eiusdem societatis commentariis, Libri V, In quibus Sinensis Regni mores, leges atque instituta et nova illius Ecclesia difficiìlima primordia accurate et summa fide describuntur, Auctore P. Nicolao Trigautio [TrigaultJ ex eadem Societate (Augusta; Vind., ap. Christoph. Maugiumi, MDCXV), I, c. 4, p. 19.— Del libro c’è una trad ital., «in molti luoghi... accresciuta e revista»», di Antonio Sozzini di Sarzana (Napoli, Per Lazzaro Scorriggio, s. a., ma 1622).— Si noti che il V. toglie un secolo giusto dal computo del Tir., il quale dice che la stampa ^ «a quinque retro sæculis certum est ab iis [dai Cinesi] usu receptam»». Cinque secoli prima del 1615 ci conducono ai principii del sec. XII. Ma il V., senza tener conto della data dei libro, li calcolava, per distrazione, dall’anno in cui egli scriveva.
      34. (a) Certamente, coloro che ne asseriscono la maggior antichità noi pongono più innanzi di quattromila anni; e la filosofia confuciana, ecc.
      35. Ivi, p. 29.
      36. (b) Per lo che, Confucio tale dee essere stato a’ Chinesi quale (come or ora vedremo) fu Zoroaste agli Asiani, Anacarsi agli Sciti, Trimegisto agli Egizi, Orfeo finalmente a’ Greci; i quali erano stati fondatori delle mentovate nazioni e poi furon creduti filosofi. [Qui termina, in SN2, questa prima Annotazione. Per altro, dei tre capoversi che seguono nel testo, e che si trovano collocati a q. l. già in CMA4, il primo solamente è una giunta propriamente detta; giacché gli altri due, in SN2 e CMA3, si trovano nell'Annotazione quinta. Se ne indicheranno qui le varianti.]
      37. Che questa proposizione del V. sia contraria alla Bibbia, dimostra il Finetti, Apologia del gener umano accusato d’essere stato una volta una bestia, Parte prima, In cui si dimostra la falsità dello stato ferino dei/li antichi uomini colla Sacra
      38. (a) [CMA4] e nella perpetuità con seco stessa, e molto più con la sagra. — E per ciò fare, ecc.
      39. Si vegga, invece, Diodoro, I, 44. — Erodoto II, 36, parla solamente del modo di scrivere degli Egizi da destra a sinistra, e della loro doppia scrittura; ιρά e δημοτικά.
      40. Varrone non fu mai bibliotecario di Augusto: semplicemente, Cesare, divisando tra le altre cose, «bibliothecas græcas et latinas, quam maximas, publicare», pensava di affidare a Varrone la cura «[earum] comperandarum ac digerendarum» (Svet., Iul., 44).
    2. Iohannis Schefferi Argextoratensis, De natura et constitutione philosophiæ italicæ seu pythagoricæ Liber singularis, Editio secunda ex integro curata, Cui accedunt Pythagoricæ «Aurea carmina» cum præfatione C. S. Schurzfleischii (Vitembergæ, Sumptibus Christiani Theoph. Ludovici, CIƆIƆCCI), cap. 5, p. 25). Ma lo S., naturalmente, non parla di una triplice lingua che avessero usato gli Egizi, ma delle loro «triplex scribendi ratio».
    3. Cfr. Cic, Brut, 56; Acad. post., I, 3; Quintil., X, 1,95; XII, 11,24; Plin., N. H., VII, 30 (31), 115; S. August., De civ. Dei, IV, 1 e VI, 2.
    4. Ap. S. Aug., De civ. Dei, VII, 3-9. Ma non col titolo riferito dal V., sì bene con quello di Antiquitatum, lib. XLI, l’opera varroniana è citata da S. Agostino.
    5. Ap. Censorinus, De die nat., c. 21.
    6. I, 9. — Senonchè, la traduz. vichiana è tutt’altro che letterale. Infatti Diodorodice: «Περί δὲ τῆς τοῦ γένους αρχαιότητος οὐ μόνον ἁνφισβητοῦσιν ῞Ελληνες, ἀλλὰ καὶ πολλοί τῶν βαρβάρων, ἑαυτοὺς ἄυτόχθονας λέγοντες καὶ πρώτους τῶν ἁπάντων ὰνθρώπων εὐρετὰς γενέσθαι τῶν ἐν τῷ Βίῳ χρησίμων,καὶ τὰς γενομένας παρ'αὒτοὶς πράξεις έκ πλείςτων χρόνων ἀναγραφῆςἠξιῶσθαι».
    7. (a) la qual si ha appresso Tacito, che tutti, ecc.
    8. Cioè nella SN1 e nella prima redazione, ora perduta, della SN2 che si doveva stampare a Venezia.
  2. Si vegga più oltre, p. 95.
  3. Eusebio poneva la creazione del mondo nel 5202 a. C. Secondo l’èra giudaica esso sarebbe stato creato nel 3761. Il divario, dunque, è di 1441 anno.