La peruviana/Atto III
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SCENA PRIMA.
Deterville, poi Pierotto.
Aza mi par che arrivi, ogni corsier ch’io sento.
La morte a poco a poco dammi un dolor funesto;
Ma poiché Zilia adoro, soffrir deggio anche questo.
Lontan da tali oggetti, meno sarei cruccioso;
Più assai d’un disperato s’affanna un cuor geloso.
E il mio destin pretende ch’io resti, peni, e taccia,
Che il mio rival rispetti, e me lo vegga in faccia.
Pierotto. Signore, da Parigi un altro messo or ora
Portato ha questa lettera.
(prendendo la lettera
Pierotto. Sta sulla colombaia col cannocchiale in mano
A veder di Parigi venire il Peruviano.
Deterville. Tal impazienza, o Numi, per lui nutre ne) seno?
Per me tanta freddezza? L’ira mi toglie il freno.
Chi recò questo foglio?
Pierotto. Un uom che, s’io non fallo,
Parmi dalla cittade sia venuto a cavallo.
Deterville. Chi lo manda?
Pierotto. Noi so; ma se saper volete
Il messo e l’ambasciata, apritela e leggete.
Deterville. Son fuor di me. (apre il foglio
Pierotto. Signore, voi siete innamorato...
Deterville. È Rigadon che scrive. Non è qui mio cognato?
Pierotto. Non signor; per Parigi saran, se nol sapete,
Due ore ch’è partito.
Deterville. Per qual ragion?
Pierotto. Leggete.
Deterville. Qualche arcano s’asconde... ma giuro al Ciel... Leggiamo.
(legge da sè, piano
Pierotto. Al mondo qualche volta ridicoli pur siamo.
Può leggere e sapere, e bada a domandare.
Il povero padrone principia a vacillare.
Ma suo danno, suo danno,1 che diavol di pazzia!
Nè anche se delle donne vi fosse carestia.
Tanta abbondanza adesso di donne al mondo c’è,
Che a ogni uom, se si spartissero, ne toccherebber tre.
Deterville. (Cieli, che sento!) da sè
Pierotto. E bene? Ora saprete tutto.
Deterville. (Eccoti, Zilia ingrata, della tua fede il frutto.
Paga il Ciel giustamente l’animo tuo crudele.
Aza per cui sospiri, Aza è teco infedele). da sè
Deterville. (Ecco la mia vendetta). (fremendo
Pierotto. (Oh se vi son de’ guai!)
Deterville. (Ma che farò?) da sè
Pierotto. Signore, cotanto non v’affanni...
Deterville. Chetatevi, importuno.
Pierotto. Non parlo per cent’anni.
Deterville. (Zilia lo sappia... ed io avrò sì crudo il cuore
Di darle da me stesso sì barbaro dolore?
Piangere la vedrò dinanzi agli occhi miei?
Alla tiranna odioso più allor divenirci2). da sè
Pierotto. (Non gli domando nulla). (osservando le sue smanie
Deterville. (Ma il ver celar non deggio.
Che se si scopre, è male; se non si scopre, è peggio).
Pierotto.
Pierotto. Signor mio.
Deterville. D’uopo ho di voi.
Pierotto. Son qui.
Deterville. Posso di voi fidarmi?
Pierotto. Per me direi di sì.
Deterville. Questo foglio tenete; ve lo confido aperto,
Giacché la fede vostra conosco, e ne son certo.
A Zilia nelle mani recatelo voi stesso,
Subito che potete.
Pierotto. Vado a recarlo adesso.
Deterville. Bene.
Pierotto. Gliel’ho da dare, sia sola o in compagnia?
Deterville. Abbialo in ogni guisa.
Pierotto. La cura sarà mia.
Vien Rollino correndo.
Deterville. Che rechi?
SCENA II.
Rollino e detti.
Ad altra gente unito, il Peruviano è giunto.
Deterville. L’altra gente chi è?
Pierotto. Vado, signor? (a Deterville
Deterville. Fermate, (a Pierotto
Chi vi è col Peruviano? (a Rollino
Rollino. In van mel domandate.
Veduto ho una signora di portamento altero;
Veduto ho a lei vicino un vecchio cavaliero;
E i servi ed i cavalli che saran trenta almeno.
Pierotto. La distruzion del vino, la distruzion del fieno.
Deterville. Zilia dov’è?
Rollino. Sentito ha le carrozze appena,
Precipitò le scale in men che non balena.
È corsa ad incontrarli.
Deterville. Presto la mia vendetta...
Pierotto. Signor...
Deterville. Dammi quel foglio... no, finch’io torno, aspetta.
parte
SCENA III.
Pierotto e Rollino.
Pierotto. È fuor di sè; sentite? mi ha anche dato del tu.
Rollino. Temo che Zilia sia...
Pierotto. Sì certamente è quella...
Ma chi è l’altra venuta?
Rollino. Non la conosco.
Pierotto. È bella?
Bello è quel che mi piace, e la ragion non rendo.
Più assai d’una signora, più assai d’una regina,
Per me degna d’amore mi par la contadina;
Mentre se in lei non trovo gran vezzi e gran bellezza.
Posso sperar almeno men arte e più schiettezza, parie
SCENA IV.
Pierotto solo.
Hanno la lor malizia, quant’han le cittadine.
Manca il comodo loro, non manca l’intenzione.
A chi non le ha provate, sembran discrete e buone.
Io che per mia disgrazia già ne ho provate due,
So che la contadina sa far le parti sue.
Del voglio e del non voglio anch’esse san l’usanza.
Dell’altre han meno stimoli, ma ancor meno creanza.
Gran strepito d’intorno, gran calpestio si sente,
Convien dir che vi sia davver di molta gente.
Vederei volentieri... Ma Deterville m’ha detto
Che qui l’aspetti, e in collera andrà, se non l’aspetto.
È tanto il buon signore; disgustar non lo voglio.
Di me si fida; aperto mi ha consegnato un foglio.
Nol mostrerei ad altri per cento mila franchi,
Ma se da me lo leggo, non si dirà ch’io manchi.
Non lo dirò a nessuno, nessun non lo saprà,
Son sol; posso appagare la mia curiosità. legge
Carissimo Cognato... è Rigadon, che scrive.
Pria che a codesta villa il Peruviano arrive.
Vi avviso che in Parigi poco fa l' ho veduto.
Vi avviso d’un arcano or or da me saputo.
Aza in Madrid s’accese di femmina Spagnuola,
Ed or conduce seco il padre e la figliuola.
Or vedete di Zilia al Peruvian se preme.
Bella, bella davvero, questa la godo assai.
A voi per lume vostro l’avviso anticipai.
Aprite gli occhi, e siate più cauto in avvenire.
Taccio quel più che a voce riserbomi3 di dire.
Ritornerò fra poco unito ad un curiale
Per far a voi del bene, per evitarvi un male.
E dalle mie ragioni, che sostener vogl’io,
Cerco il profitto vostro più che il profitto mio.
Ora intendo il mistero...
Rollino. Presto, il padron vi aspetta.
Pierotto. Vi è novità, Rollino?
Rollino. Fate presto, che ha fretta, parte
Pierotto. Vado subito. Adesso la verità si mostra.
Se il Peruviano è d’altri, la Peruviana è nostra. parte
SCENA V.
Zilia, poi Serpina.
Lungi dall’altrui sguardo con Aza una parola?
Cento novelle e cento fra noi gli chiederei.
Chi sia quella straniera, prima saper vorrei.
S’egli la stima e apprezza, degna sarà d’onore.
Avrà prove d’affetto dall’umile mio cuore.
Che tutto esser comune dee tra sposi felici,
Gli affanni ed i piaceri, gli amici ed i nemici.
Ehi, chi è di là?
Serpina. Signora.
Zilia. Due sedie.
Serpina. Ora vi servo.
Eccole, ma nessuno per occuparle osservo.
Questa per me destino, quella per lui preparo.
Serpina. Forse è maggior di voi? A lui la dritta mano?
Zilia. Egli, se noi sapete, è del cuor mio sovrano.
E credo usar si debba da noi questo rispetto
Ad uom cui il nostro sesso il Ciel volle5 soggetto.
Anche le vostre leggi, benché male osservate,
M’hanno di tal dovere le massime insegnate.
Serpina. Di buona educazione in voi si vede il frutto.
Ma poi la mano dritta non gli darete in tutto.
Quei momenti verranno, verrà quell’occasione.
In cui per ogni verso vorrete aver ragione;
E quel che oggi solete stimar come un sovrano,
Vorrà ridurvi un giorno ad obbedirlo in vano.
Parlo per esperienza, perchè ho veduto anch’io
Di tali metamorfosi parecchie al tempo mio.
Fino che siamo amanti, siam dolci e sofferenti;
Ma son dopo le nozze finiti i complimenti.
Zilia. Così faran le vili, non l’anime bennate.
Presto, presto, Aza viene.
Serpina. E s’egli viene?
Zilia. Andate.
Serpina. Stare al vostro paese usan soli gli amanti?
Zilia. I sposi han lor segreti: abborriscon gli astanti.
Serpina. Tutto il mondo è paese; in tutte le nazioni
Fanno lo stesso effetto gli abusi e le passioni.
SCENA VI.
Zilia, poi Aza.
Noi a sturbare alcuno deh non venisse almeno!
Aza. Zilia, son teco alfine; alfin ti vedi innante
Aza tuo sventurato...
Veggo uno sposo alfine, che mi ha serbato il Cielo,
Mercè de’ voti miei, del mio amor, del mio zelo.
Siedi a Zilia vicino. Oh come ancora in queste,
All’Europea tagliate, meno superbe veste
La maestà risplende d’un figliuolo del Sole,
D’un che nell’Indie nostre nacque di regal prole!
Con quei morti capegli cambiato il biondo crine,
Splendono niente meno tue luci peregrine.
Nel lungo manto avvolto sembravi ancor più bello;
Ma il labbro tuo è lo stesso, ed il tuo ciglio è quello.
Vedo che le sventure han rispettato in te
Un eroe della terra, un Peruviano, un Re.
Qual delle mie sventure in mezzo al rio furore
Dall’incostanza illeso ho a te serbato il cuore.
Ma tu non parli! Oh Dio! sciogli quel labbro amato;
Dimmi, se m’ami almeno, se all’amor mio sei grato.
Fa che un momento solo tutta l’ingiuria emende
Delle finor passate durissime vicende.
Fa che aspettato in vano non t’abbia, idolo mio.
Dimmi che è mio quel cuore. Di’ che il tuo cuor son io.
Aza. Zilia, se vuoi piacermi, serba il sistema antico.
Son Peruviano ancora, son del mio stile amico.
Dal lungo dir confuso sovente il ver si guasta.
Dimmi che mia ti serbi; dimmi che mi ami, e basta.
Zilia. Hai ragion; della patria riprenderò il costume.
Ma dimmi: ami tu Zilia?
Aza. Zilia è sempre il mio nume.
Zilia. Basta così, lo credo; di ciò più non si parli.
Raccontami i tuoi casi.
Aza. Tempo avrò per narrarli.
Tu dimmi, ove siam noi.
Zilia. Godiam del Cielo i doni.
Quel che tu vedi, è mio; di quel ch’è mio, disponi.
Aza. Spiegati; egli è un mistero.
Soffrir ch’io non lo faccia con tronche voci e brevi;
Che se lodar io deggio quel che pietà mi usa.
Vuol la ragion che sia la lode mia diffusa.
Tu Deterville conosci, ma nol conosci appieno:
Un’anima d’eroe chiude nel di lui seno6.
Basta, perchè tu sappia quanta virtude ha in petto,
Il dir che ti somiglia nel cuor, nell’intelletto.
Egli cogli ori miei, che pure eran sue prede,
Questo asilo comprommi, fatta ha qui la mia sede.
Dir non ti posso intera la sua pietà, il suo amore.
Mi trattò da sovrana nata in regio splendore.
Sappi di più, donando merto col vero a lui,
Poteo Zilia infelice destar gli affetti sui.
Ma tenero egualmente, che generoso e onesto,
Mostrò più che in tutt’altro, la sua virtude in questo.
Tacque per riverenza lunga stagione oppresso,
Che fossi tua l’amante mi procurò egli stesso.
Tanta virtù sublime m’incanta e m’innamora,
Merta che a te sia nota, che tu lo lodi ancora.
Pregoti al cuor gentile essere grato e umano;
Ma il chiedere giustizia al tuo bel cuore, è vano.
Sei per uso gentile, sei per costume antico,
Dei generosi amante, delle grand’alme amico.
E se da un uom sì grande resa felice io fui,
Il cor vorrai dividere fra la tua sposa e lui.
Aza. Zilia, s’io t’amo e stimo, ravvisalo da questo:
L’innocenza comprendo del tuo parlare onesto.
Amerò Deterville, te lo prometto.
Zilia. Io quanto
Dirti dovea, ti dissi; fa tu meco altrettanto.
Chi è colei che vien teco?
Aza. D’uno Spagnuolo è figlia,
Che in virtù, che in pietade, a Deterville somiglia.
E mi trattò qual padre con pietà, con amore.
Zilia. Il nome suo qual è?
Aza. Don Alonso d’Almira.
Zilia. Quel della donna io chiedo.
Aza. Ella ha nome Zulmira.
Zilia. È maritata?
Aza. No.
Zilia. Perchè in Francia è venuta?
Aza. Ha una germana in Corte.
Zilia. Bella?
Aza. Non l’ho veduta.
Zilia. Parmi gentil Zulmira.
Aza. È ver, trovasi in essa
Negli atti e nel costume la gentilezza istessa.
Zilia. (Se di me ha maggior merto, se più di me gli piace.
Misera! temer posso... Aza non è capace), da sè
Aza. (Che pensa fra se stessa?)
Zilia. Dimmi: con lei dimora
Facesti in un sol tetto? Con lei vivesti ognora?
Aza. Vissi con lei. La bella di me s’accese, e il forte
Amor quasi guidolla per mia cagione a morte.
Zilia. Dunque t’amò.
Aza. Nol niego.
Zilia. Ed or t’ama fors’anco?
Aza. Vano è l’amor, se mi ama alla mia sposa al fianco.
Zilia. Ma se con te sen vive, che fia d’un tale affetto?
Aza. Di Deterville l’esempio distrugga ogni sospetto.
Zilia. È ver, darsi non puote amor del suo maggiore,
E per nulla s’offende gradendolo7 il mio cuore.
Una ragione istessa ambi convinca, e sia
La virtù che distrugga il gel di gelosia.
Aza. Tu me conosci.
Zilia. È vero. So la tua fè, il tuo zelo.
Anche il mio Deterville8 sa che in vano sospira.
Aza. Chiami tuo Deterville?
Zilia. Sì, come è tua Zulmira.
Aza. (Se noto non mi fosse il cuor suo, temerei).
Zilia. (D’Aza mio la virtute distrugge i dubbi miei).
SCENA VII.
Pierotto e detti.
Zilia. Che bramate? È il fattore, ad Aza
Pierotto. Deggio darvi una lettera per parte del signore, piano
Zilia. Datela pur.
Pierotto. Sentite: di darvela ho il divieto
In presenza di lui. Leggetela in segreto.
Zilia. Bene, la leggerò.
Pierotto. Ma da voi sola.
Zilia. Bene.
Aza, ritorno a voi. Leggere mi conviene.
(si ritira un poco leggendo
Aza. (Qual gelosia le vieta legger sugli occhi miei?)
Pierotto. Signor, mi vi protesto buon servitor.
Aza. Chi sei?
Pierotto. Si vede che venite dall’Indie del Perù;
In Francia non si pratica a favellar col tu.
Aza. Chi se ne duol, sen vada.
Pierotto. Detto per me non l’ho.
(Quel muso non mi piace; s’ei resta, io me ne vo).
Aza. (Zilia si turba. Ah temo che Deterville crudele
Non principii a chiamarla).
Zilia. (Ah stelle! Aza è infedele).
Pierotto. (Par che s’oscuri il tempo; di qua e di là mi pare
Che a minacciar principii qualche burrasca il mare).
Zilia. (Ora comprendo i modi.
Onde profuse ingrato alla rival le lodi).
Aza. (Ah, non potea sperarsi9 tanta virtù in un seno).
Pierotto. (Oh facesser davvero! S’attaccassero almeno).
Zilia. (Egli mi guarda appena. Il suo rimorso intendo).
Aza. (Vicina al gran cimento, il suo rossor comprendo).
Zilia. (Ma che farò? Si vada; tempo mi dia consiglio).
Aza, ti lascio.
Aza. E dove?
Zilia. (Mostra l’error nel ciglio).
Ci rivedrem fra poco.
Aza. Mi fa pietà il suo stato.
Zilia. Mi fa pietade il tuo. Ci rivedremo. (Ingrato), parte
SCENA VIII.
Aza e Pierotto.
Misera, si è perduta. L’ha avvelenata il foglio).
Pierotto. Signor, se nulla posso...
Aza. Vuo’ restar sol.
Pierotto. Restate.
Aza. (Zilia non è fedele).
Pierotto. Che genti indiavolate I
Ma se fra noi è altiero chi l’oro in casa serba,
Con ragion dove nasce, la gente è più superba.
Umil però dovrebbe esser or divenuto,
Poiché chi n’ha, si stima, e non quel che ne ha avuto.
parte
SCENA IX.
Aza, poi Don Alonso e Donna Zulmira.
Ma come a noi conviene, non siam noi10 ricevuti.
Zilia par che ci fugga; Deterville non ci bada;
Per dove siam venuti, ripiglierem la strada.
Se voi restar volete, qui lascierò voi solo;
Insulti dai Francesi non soffre uno Spagnuolo.
Aza. Lasciatemi un momento. (Sento arricciarmi il crine).
Zulmira. (Ah partir non vorrei pria di vederne il fine).
Deh signor, perdonate; parla una vostra figlia.
(a Don Alonso
Come le detta il cuore, ragiona, e non consiglia.
Francia è la sede vera del popolo gentile;
Ma gentilezza istessa spiegasi in vario stile.
Da noi si stancan gli uomini a forza di onestà,
Qui s’usa per finezza lasciarli in libertà.
Alonso. Troppo erudita v’hanno scarsissimi momenti.
D’un labbro ch’io conosco, comprendo i sentimenti.
Ma che si parta io voglio. Aza, che rispondete?
Aza. Risolverò, signore.
Alonso. Pensate, e risolvete.
Zulmira. Spiacemi che mi creda il genitor sospetta.
Un’altra cosa sola, ch’io possa dir, permetta;
Poi d’obbedir, partendo11, son pronta al suo comando:
Nè la ragion mi cale, nè la ragion domando.
Alonso. Sentiam, che dir12 vi resta.
Aza. (Pena a lasciarmi, il vedo).
Zulmira. Che sia decoro nostro tosto partir, non credo.
Ci dichiariamo offesi; l’onor della nazione
Vuol che a noi dell’offesa si dia soddisfazione.
Se non è vero il torto, ridicolo vi fate;
S’è vero, e vi battete, la vita cimentate.
Scordandovi che avete al fianco una fanciulla.
Abbiate in questa etade che altrui dee dar consiglio,
Voluto in una villa difendere un puntiglio.
Aza. (Amor la fa eloquente).
Alonso. Mostra di meritarlo,
Chi l’affronto non cura.
Zulmira. Convien dissimularlo.
In mezzo a giusto sdegno mostrar sereno il volto
Lice talor, se giova.
Alonso. Tacete, io non v’ascolto.
Aza, gli è13 tempo ormai che dichiarar vogliate
Se qui restar v’aggrada, o se con noi tornate.
Aza. Verrò con voi.
Zulmira. Signore, Zilia verrà ancor essa? ad Aza
Aza. Non verrà.
Zulmira. La lasciate?
Aza. Zilia non è la stessa.
Zulmira. (Me felice, se è vero).
Alonso. Andiamo, io vi concedo
Tempo a chiedere onesto agli ospiti congedo.
Zulmira. Uditemi, signore, quando partir vi preme,
(a Don Alonso
Meglio è subito farlo, e che si parta insieme.
Alonso. Amor che qua lo spinse, forse al partir s’oppone;
(a Zulmira
Zulmira. S’ei di partir promise, avrà la sua ragione.
E la ragion la vedo: Zilia che ha il cuore umano,
Cesse al vicino amante, scordatosi il lontano.
Miracolo sarebbe, straniero ad ogni sesso,
Serbar fede all’antico col nuovo amante appresso.
Deterville l’ha servita, la serve e l’innamora,
E ch’ella sia cangiata, dubiterete ancora?
E soffrirete, o padre, che resti un sol momento
Torniam tosto, signore, alla nazione ispana;
Diamo un addio a Parigi in fretta a mia germana,
E traggasi per voi Aza dal rio periglio,
Aza che voi sceglieste amar per vostro figlio.
Alonso. Come cambiò Zulmira sì tosto di desio?
Zulmira. Si cambian le ragioni, si cambia il pensier mio.
Trattavasi di poco, quando testè parlai;
Ora la ragion cresce, e trattasi d’assai.
Questo non è puntiglio.
Alonso. Aza risolva14 a lui
Non do consiglio in questo; segua i desiri sui.
Vuo’ i servi e l’equipaggio dispor pel mio ritorno.
Aza, partir io voglio, pria che s’avanzi il giorno.
parte
SCENA XI.
Aza e Zulmira.
Aza. Ahimè, dubito ancora.
Zulmira. Di venir non diceste?
Aza. Men ci pensava allora.
Zulmira. Zilia non è la stessa. Scordatevi di lei.
Aza. Sì, ma tornar io voglio a ragionar con lei.
Zulmira. Vi sedurrà quel labbro.
Aza. No, la conosco appieno.
La verità son certo trovar nel di lei seno.
Potrà di me scordarsi, potrà cambiar affetto,
Ma non potrà le fiamme dissimular nel petto.
Certo son dal suo labbro di rilevar l’arcano.
Spero partir contento, e non lo spero in vano. parte
Zulmira. Stelle! che sarà mai? A disperare avvezza,
Ogni lusinga vana mi reca una dolcezza.
Il mio cuor, la mia destra non averebbe a sdegno.
Spero partir contento: mi disse ora partendo.
Sembra un tal detto oscuro, ma in mio favor l’intendo.
Meco vorrebbe unito esser felice appieno,
Senza che Zilia fosse alle sue brame il freno.
Vogliano i Dei pietosi, voglia il bambino Amore,
Che Aza non sia scontento, che giubbili il mio cuore.
parte
Fine dell’Atto Terzo.
Note
- ↑ Nella ristampa di Torino (1775) e nell’ed. Zatta (1792): Ma oscilli a suo danno.
- ↑ Così nelle edd. Pitteri e Pasquali, e nelle ristampe di Bologne. Nella ristampa torinese e nell’ed. Zatta si legge: più allora diverrei.
- ↑ Ed. Pitteri: risserbomi.
- ↑ Edd. di Torino e Zatta: parlar.
- ↑ Edd. Pasquali, Zatta e ristampa torinese: vuole.
- ↑ Nell’ed. Zatta: si chiude nel suo seno.
- ↑ Ed. Pitteri: gradindolo.
- ↑ Così è stampato, qui e nel verso seguente, in tutte le edizioni.
- ↑ Ed. Zatti: spiegarsi.
- ↑ Ed. Zatta: non siamo.
- ↑ Ed. Zatta: Poi d’obbedir intendo.
- ↑ Zatta e rist. torinese: a dir.
- ↑ Ed. Pitteri: gl’è; ed. Zatta: egli è.
- ↑ Ed. Pitteri: rissolva.