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274 ATTO TERZO
Già lo vedesti, è quello che il Ciel fé’ mio signore,

E mi trattò qual padre con pietà, con amore.
Zilia.   Il nome suo qual è?
Aza. Don Alonso d’Almira.
Zilia. Quel della donna io chiedo.
Aza.   Ella ha nome Zulmira.
Zilia. È maritata?
Aza.   No.
Zilia.   Perchè in Francia è venuta?
Aza. Ha una germana in Corte.
Zilia.   Bella?
Aza.   Non l’ho veduta.
Zilia. Parmi gentil Zulmira.
Aza.   È ver, trovasi in essa
Negli atti e nel costume la gentilezza istessa.
Zilia. (Se di me ha maggior merto, se più di me gli piace.
Misera! temer posso... Aza non è capace), da sè
Aza. (Che pensa fra se stessa?)
Zilia.   Dimmi: con lei dimora
Facesti in un sol tetto? Con lei vivesti ognora?
Aza. Vissi con lei. La bella di me s’accese, e il forte
Amor quasi guidolla per mia cagione a morte.
Zilia. Dunque t’amò.
Aza.   Nol niego.
Zilia.   Ed or t’ama fors’anco?
Aza. Vano è l’amor, se mi ama alla mia sposa al fianco.
Zilia. Ma se con te sen vive, che fia d’un tale affetto?
Aza. Di Deterville l’esempio distrugga ogni sospetto.
Zilia. È ver, darsi non puote amor del suo maggiore,
E per nulla s’offende gradendolo1 il mio cuore.
Una ragione istessa ambi convinca, e sia
La virtù che distrugga il gel di gelosia.
Aza. Tu me conosci.
Zilia.   È vero. So la tua fè, il tuo zelo.

  1. Ed. Pitteri: gradindolo.