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LA PERUVIANA 277

SCENA IX.

Aza, poi Don Alonso e Donna Zulmira.

Alonso. Aza, per compiacervi siamo fin qui venuti.

Ma come a noi conviene, non siam noi1 ricevuti.
Zilia par che ci fugga; Deterville non ci bada;
Per dove siam venuti, ripiglierem la strada.
Se voi restar volete, qui lascierò voi solo;
Insulti dai Francesi non soffre uno Spagnuolo.
Aza. Lasciatemi un momento. (Sento arricciarmi il crine).
Zulmira. (Ah partir non vorrei pria di vederne il fine).
Deh signor, perdonate; parla una vostra figlia.
(a Don Alonso
Come le detta il cuore, ragiona, e non consiglia.
Francia è la sede vera del popolo gentile;
Ma gentilezza istessa spiegasi in vario stile.
Da noi si stancan gli uomini a forza di onestà,
Qui s’usa per finezza lasciarli in libertà.
Alonso. Troppo erudita v’hanno scarsissimi momenti.
D’un labbro ch’io conosco, comprendo i sentimenti.
Ma che si parta io voglio. Aza, che rispondete?
Aza. Risolverò, signore.
Alonso.   Pensate, e risolvete.
Zulmira. Spiacemi che mi creda il genitor sospetta.
Un’altra cosa sola, ch’io possa dir, permetta;
Poi d’obbedir, partendo2, son pronta al suo comando:
Nè la ragion mi cale, nè la ragion domando.
Alonso. Sentiam, che dir3 vi resta.
Aza.   (Pena a lasciarmi, il vedo).
Zulmira. Che sia decoro nostro tosto partir, non credo.
Ci dichiariamo offesi; l’onor della nazione
Vuol che a noi dell’offesa si dia soddisfazione.
Se non è vero il torto, ridicolo vi fate;
S’è vero, e vi battete, la vita cimentate.

  1. Ed. Zatta: non siamo.
  2. Ed. Zatta: Poi d’obbedir intendo.
  3. Zatta e rist. torinese: a dir.