La miseria di Napoli/Parte II - La ricchezza dei poveri/Capitolo II. Il Reale Albergo dei Poveri

Parte II - La ricchezza dei poveri - Capitolo II. Il Reale Albergo dei Poveri

../Capitolo I. Introduzione ../Capitolo III. La Reale Casa dell'Annunziata IncludiIntestazione 29 novembre 2022 75% Da definire

Parte II - La ricchezza dei poveri - Capitolo I. Introduzione Parte II - La ricchezza dei poveri - Capitolo III. La Reale Casa dell'Annunziata
[p. 63 modifica]

CAPITOLO SECONDO.

Il Reale Albergo dei Poveri.


Abbiamo visitato questo Stabilimento varie volte, e possiamo ringraziare tutti gli ufficiali e amministratori per la cortesia, mercè la quale col mostrarci tutto, col rispondere ai nostri quesiti, col fornirci i documenti necessarii, ci misero in grado di giudicare dei [p. 64 modifica]suoi pregi e dei suoi difetti, come istituzione di beneficenza.

Carlo III l’ha fondato col proponimento di riparare a «quei disordini che derivavano da tanti poveri che inondano la popolatissima città.» — Il Decreto riconosce il diritto dei vecchi, dei ciechi, degli storpi e degl’inabili alla fatica, ad essere soccorsi; ma nota che la maggior parte dei medici, vagabondi e robusti si determina a professare la mendicità per menare espressamente vita oziosa e libertina, e che pupilli e orfani vanno assuefacendosi al mestiere di limosinare senza apprendere arte alcuna, e divengono facinorosi e perniciosissimi allo Stato.

Fu dunque fondato l’Albergo per accogliere e man tenere i veramente miseri, ed insegnare ai sani arte o mestiere. Durante il dominio francese amministravalo una Giunta nominata dal re Giuseppe; e l’arricchirono molti beni di monasteri soppressi. — Al tempo della Restaurazione, si commise l’errore capitale di unire all’Albergo dei Poveri, sotto la diretta e immediata dipendenza dello stesso, altri otto stabilimenti, ciascuno colla propria dote, con un unico bilancio.

È però indubitabile che per molti anni l’Istituto rispondeva allo scopo della sua fondazione.

Nel 1835 l’Albergo e gli Stabilimenti riuniti accoglievano 6310 poveri, ben nutriti con 16 once di pane, due buone pietanze e vino ogni giorno, e con carne due volte la settimana.

La rendita di allora sommava a lire 1,062,139. C’erano poi scuola di leggere e scrivere, scuola di lingua italiana, scuola normale, frequentate da 700 [p. 65 modifica]giovani; scuola degli elementi di matematica, con sessanta allievi; scuola di musica, di figura e di ornato, e la famosa scuola dei Sordo-muti.

Più, una stamperia con sei torchi, litografia, officina dei punzoni d’acciaio, detti matrici, e dei caratteri a stampa, ove più di cento individui lavoravano. Una fabbrica di spilli con cento operai, che fabbricavano per dodicimila lire di spilli all’anno. Una fabbrica di piccoli chiodi, detti punte di Parigi, fabbrica di sete, fabbrica di piastre da fucile, fabbrica di lime e raspe. Aggiungivi piccoli lavori di bronzo e di pietre del Vesuvio. La fabbrica di vetro e di cristallo colorato andò molto rinomata; così il lanificio, ove lavoravano 120 poveri, e la manifattura di tele, che occupava cento uomini e cinquanta donne, provvedevano di panni l’Ospizio e il restante vendevasi.

Le scuole poi di sarto con 140 operai, di calzolaio con altrettanti, di fabbro con 120, di muratore con 40, di falegname e tornitore con 50, fiorivano.

Dalla parte delle donne poi c’erano scuole di cucire e di musica vocale, fabbriche di tessuti di cotone, di cappelli tessuti, di ricami d’ogni sorta.

Epoca splendidissima dell’Istituto. Ogni povero capace di lavorare apprendeva un’arte o mestiere; chi non poteva lavorare era mantenuto con decoro.

D’allora in poi troviamo un fatto singolare. — Le rendite crescono, i poveri mantenuti scemano, il trattamento peggiora sempre. Le scuole a poco a poco vengono sopprimendosi. [p. 66 modifica]

Poveri. Spesa.
1862 4,518 994,927
1870 3,024 1,452,407
1871 2,700 1,719,399
1872 2,700 1,483,912

Negli ultimi anni abbiamo un disavanzo ora di 200,000, ora di 220,000 lire, malgrado della notevole diminuzione dei mantenuti e la vendita di molti beni immobili.

Esaminiamo lo stato presente dell’Istituto:

La rendita totale è di L. 1,235,786
Detratte tasse e tributi » 89,106
Rimangono L. 1,146,680

Gli ospiti dell’Albergo e degl’istituti annessi il 28 aprile 1876 ascendono a 2545. Di questi ne sono mantenuti a carico delle Provincie, dei congiunti, o di pubbliche Autorità, o del Comitato di beneficenza napoletana, 558: restano dunque 1987.

Diciamo mille novecento e ottanta sette individui, mantenuti con un milione cento e quaranta sei mila seicento ottanta lire, nette da tasse e da tributi.

E ignoriamo il debito odierno, oltre il deficit.

Vediamo ora il trattamento dei gratuiti e dei paganti.

Il vino prescritto dall’antica tariffa è abolito.

Due volte la settimana un chilogrammo di carne vaccina spartesi fra nove persone, cioè 107 grammi ciascuna; nella domenica a desinare si dànno 121 [p. 67 modifica]grammi di maccheroni e 74 grammi di semola la sera, con una porzione di frutta.

Il giovedì, carne la mattina. Gli altri giorni, 121 grammi di maccheroni la mattina, 51 grammi di semola la sera.

Il pane di ogni giorno 535 grammi per gli uomini, 428 per le donne.

S’immagini l’appetito ne’ giorni senza carne, e sono cinque sopra sette.

Il pane, del tutto insufficiente, diviso in tre parti:

la mattina ⅓ con sola acqua; a mezzogiorno ⅓ con sola minestra, e la sera colla semola o una meschina porzione di frutta; un boccone ogni volta.

Queste razioni basterebbero appena per i ragazzi di tenera età. In quanto alle donne, all’insufficiente nutrimento si aggiunge la vita sedentaria variata dallo star lungo tempo ginocchioni e non mai da passeggiate o esercizii ginnastici. Il colore terreo e la carne floscia di tutte senza eccezione chiama l’attenzione del meno veggente visitatore sulle violate leggi elementari dell’igiene.

Il trattamento degl’infermi è discreto. Un chilogrammo di carne per nove persone ogni giorno, e minestra di maccheroni, pasta minuta, semola o riso mattina e sera; e nell’Ospedale di Loreto la razione di carne è di grammi 134. Per gli ammalati gravemente si eseguiscono le prescrizioni mediche.

Sufficiente e di buona qualità il trattamento dei Sordo-muti.

In quanto alla mondizia lo Stabilimento lascia molto a desiderare; i dormitorii, segnatamente dei [p. 68 modifica]ragazzi, sono sporchi sotto i letti e malsani. È molto se ogni ragazzo ha un lenzuolo; nè vogliamo domandare quante volte all’anno le lenzuola si mutano. I letti quasi si toccano; le latrine sono schifose, e a pian terreno; è sale tal puzzo da indurre nella supposizione che il sottosuolo sia una vasta cloaca.

Nella mia prima visita allo Stabilimento rimasi attonita nel vedere pochissimi ragazzi,e mi fu detto che nella maggior parte erano a casa a cagione delle feste di Pasqua. Eppure io sapeva che, eccettuati i posti a pagamento, nessuno non assolutamente miserabile deve essere ammesso nello Stabilimento. E qui invece più che la metà della famiglia erasene ita a casa propria. Visitai allora le camere delle scuole vuote, e trovai umidità e cattivo odore pertutto, eccettuati il refettorio, la chiesa, il teatro.

Passai allora alla parte femminile, e quivi la polizia era veramente lodevole; ma i dormitorii affollati, le stanze umide, i lunghi corridoi senza ventilazione di sorta, rendono triste il soggiorno delle povere prigioniere. Le femmine essendo totalmente in balìa delle Suore e delle Figlie di Carità, che buscansi uno stipendio annuo di lire 12,705 e sono in numero di 24, si capisce che gran parte del tempo va speso in orazioni, messa, vespri ed altri esercizii spirituali; l’istruzione — quella delle Sordo-mute eccettuata — incompiutissima, ma i lavori femminili perfezionati. Le camere pulite, la tavola servita, la cucina fatta Calle ragazze a turno sotto la vigilanza delle Suore. Le donne mature lavorano guanti e calze, le ragazze ricamano meravigliosamente, e i fiori artificiali possono credersi venuti [p. 69 modifica]da Parigi. Ma il guaio sta qui; le ragazze uscendo non hanno appreso un mestiere, perchè il lavoro è diviso e suddiviso, sicchè una sa fare le foglie, un’altra i petali, una terza il gambo, e così via via, e nessuna può cominciare e compiere una ghirlanda. Si mira al guadagno e si guadagna; molte signore di Napoli affidano l’intero corredo di nozze allo Stabilimento, ma nè buone maestre di scuola, nè buone mogli di operai usciranno da quel convitto.

Nella mia seconda visita facevasi scuola, e mi riprometteva vedere in attività le fabbriche e le manifatture.

Derisione! delle fabbriche, manifatture, scuole di arti e mestieri rimangono appena le tracce, e per quel vantaggio che recano, sarebbe meglio fossero abolite.

C’è la tipografia, ove un direttore ha il quartiere gratuito coll’obbligo d’insegnare a 20 alunni, i quali per otto mesi non ricevono mercede, e dal nono al diciottesimo devono percepire 50 centesimi e indi 85 al giorno. — Nel passato, da quella tipografia escirono composizioni ragguardevoli e bravi tipografi, ma ora il lavoro è poco e non si ammaestrano i piccoli. Di fatto trovo solamente iscritti sei vecchi e sei giovani.

Nella calzoleria il capocalzolaio lavora e fa lavorare per proprio conto, e, se non erro, riceve uno stipendio. Ha l’obbligo di mantenere sette operai almeno per coadiuvarlo nell’insegnamento, di sborsare lire 100 all’anno agli alunni che passano alla scuola di perfezionamento, di dare agli apprendisti centesimi 6, ai garzoni 15, e nella scuola di [p. 70 modifica]perfezionamento mercede secondo la tariffa. Appena vi figurano inscritti 28 giovani e 14 vecchi. Vorremmo sapere quanti calzolai escono di quella scuola!

Parebbemi derisione parlare della così detta bottega di falegname. Ne maestri, nè legname; solo alcuni ragazzi arrampicati su per le finestre e qualche ferro del mestiere.

Nella sartoria c’è un caposarto con stipendio; entrando, abbiamo visto molti ragazzi che giocavano e si bisticciavano; una vera babilonia. Il sarto disse mancare di lavoro da dar loro, e gli allievi di capacità.

Nella bottega di barbiere, con maestro retribuito, abbiamo visto dodici monelli trastullarsi, ed uno che mollemente insaponava la faccia ad un vecchio, al quale bastava l’animo di sottomettersi all’operazione.

Nella fabbrica d’istrumenti musicali c’era un bravo vecchio che insegnava a tre ragazzi, uno sembrava abile.

Queste scuole dei mestieri costano allo Stabilimento 8948 lire. La scuola d’orticultura, che ne costa 900, parvemi bentenuta; ma ha spazio così ristretto, che scarsa mèsse può dare.

Per l’istruzione elementare raccomandiamo all’Ispettore degli studii di fare esami rigorosi, e a uno dei 40 professori in medicina di proibire assolutamente che 150 ragazzi piccini (li abbiamo contati) stieno rinchiusi in una camera, ove esala tale fetore, che abbiamo dovuto andarcene al più presto. Certissimo il danno della salute, e il profitto intellettuale, considerando che un solo maestro insegna a 150 fanciulli, molto dubbio. [p. 71 modifica]

Finalmente, eccoci nella sala delle belle arti.

E qui almeno si può dire che gli allievi sono bene istruiti, e notabili i progressi tanto nel disegno, quanto nella scultura. Un ragazzo, a cui una vaporiera tronco le due gambe, diventò scultore valente; altri lavori.

di altri allievi, specialmente certe leste in terra cotta, sono ritratti viventi. Il disegno è largo e corretto, il maestro mira più all’imitazione della natura che alla produzione di eleganti lavori.

Anche nei lavori in lava vi ha del buono, e notai qualche cammeo ben tagliato.

Ci dicono la banda musicale eccellente; dev’esserlo di certo, perchè ci vennero veduti quasi altrettanti maestri che allievi, e una classe separata per ogni istrumento. Nondimeno l’istruzione impartita nell’Albergo dei Poveri sottostà a quella delle scuole industriali ed elementari altrove.

E per questi risultati s’impiegano 700 persone, come apparisce dalla seguente tavola dell’aprile 1876:

Amministrazione generale del Reale Albergo de’ Poveri e de gli Ospizii e Stabilimenti riuniti, Segretariato generale e Personale.

Spesa.
Num. Distinta. Mensuale. Annuale.
38 Ufficiali amministrativi 4,232 00 50,784 00
6 Direttori - Capi Stabilimenti 640 00 7,680 00
24 Suore e Figlie di Carità 1,058 00 12,705 60
35 Capi e Sottocapi comp. 1,425 50 17,106 00
331 Addetti alla Cassa discip. 1,738 94 20,867 28
25 Direttori e Maestri di Lettere 1,085 50 13,026 00
31 Direttori e Maestri di Musica 1,319 40 15,832 80
14 Direttori e Maestri di Belle Arti 490 25 5,883 00

[p. 72 modifica]

13 Arti e Mestieri. Maestri e spese 329 02 3,048 24
2 Insegnanti. Scuola ortic. 75 00 900 00
1 Direttore della Ginnastica 75 00 900 00
40 Professori in Medicina 1,373 00 16,476 00
11 Ecclesiastici 433 25 5,109 00
10 Inservienti. Culto 42 91 514 92
79 Infermieri ed Inservienti 818 28 9,819 36
12 Cappellani 366 07 4,392 84
3 Addetti alle esazioni fondi urbani 61 75 741 00
1 Guardiano-custodia fondi rustici 40 00 480 00
31 Sussidiati. Assegnatarii ed in disponibilità.
708 Totale... L. 16,426 59 197,119 08


Dunque ad ogni tre poveri si mantiene un impiegato per sopravvedere o ammaestrare o curare l’anima o il corpo.

Aggiungi 11 ecclesiastici, 10 inservienti e 12 cappellani . Il culto figura sul bilancio per 14,988 lire.

Venendo poi al Regolamento di disciplina, affermiamo che mai cosa più abbietta, più umiliante per i poveri, non ci è capitata fra le mani.

Sapevamo bene di rinvenirvi, come in tutti i regolamenti di Opere pie, capitoli sulla religione molti, sulla morale pochi; ma speravamo trovarvi anche l’orario degli studii, provvedimenti intorno ai bagni e agli esercizii ginnastici, e fra le mancanze disciplinari quelle di mentire e di rubare.

Nulla di tutto ciò. Ci sono due razze nell’Albergo: [p. 73 modifica]due caste: i superiori e gl’inferiori. Interdetto all’inferiore ogni esitazione o richiamo od osservazione, quand’anche ei si credesse ingiustamente punito.

«In questo caso potrà però in seguito presentare, le sue lagnanze nel modo prescritto dall’Art. 32.»

Ora ecco l’Art. 32:

«Nel caso che ad un inferiore venisse inflitto un castigo che fosse da lui riputato ingiusto, egli deve ubbidire senza fare doglianza alcuna, finchè non abbia scontata la punizione impostagli!»

Bella riparazione! L’Art. 33 dice poi:

«Ogni inferiore che voglia presentarsi ad un superiore, deve prima per la via gerarchica fare chiedere il suo assenso.»

Art. 34:

«Ogni reclamo o domanda, sia scritta che verbale, deve essere strettamente individuale è presentata per via gerarchica da un solo individuo. Se fosse collettiva o presentata da due o più individui, costituirebbe una grave mancanza di subordinazione e sarebbe quindi rigettata e punita!»

Non è questo fosfato di dispotismo?

Il capo IV del Regolamento di disciplina parmi tanto ameno da meritare la riproduzione. Esso riguarda, per la parte maschile, il saluto1.

Art. 40. — Ogni individuo della famiglia deve il [p. 74 modifica]saluto al SS. Sacramento, alle LL. MM. il Re e la Regina, alle persone della Famiglia reale, ai Ministri di Stato in divisa, al Sopraintendente, ai Governatori ed alle nazionali Insegne.

Chi è subordinato, secondo le prescrizioni del capitolo precedente, deve il saluto al Superiore di qualunque colonna della tabella A, ed al Superiore di qualunque corpo dell’Esercito.

Il saluto è dovuto in ogni tempo e luogo, sì di giorno come di notte.

I sergenti, caporali ed alunni salutano tutti i decorati dell’Ordine militare e civile di Savoia, e della medaglia al valor militare, civile o di marina.

Tutti i superiori, che ricevono il saluto dai loro subalterni, sono tenuti a restituirlo.

Nei luoghi pubblici e nelle passeggiate, ed in altre simili circostanze di andirivieni, si saluta una sola volta.

Art. 41. — Gl’individui che incontrano il SS. Sacramento mettono il ginocchio a terra e si scoprono il capo.

Art. 42. In tutte le altre circostanze si saluta colla mano nel modo prescritto dal Regolamento di esercizio.

Art. 43. — Gl’individui a capo scoperto salutano prendendo la posizione di attenzione. [p. 75 modifica]

Art. 44. Ogni individuo della famiglia saluta le LL. MM. il Re e la Regina,e le persone della reale Famiglia, arrestandosi di fronte a venti passi prima d’incontrarle, finchè siano oltrepassate di altrettanti.

I sergenti, caporali ed alunni salutano in simile modo, a sei passi di distanza, i Ministri di Stato in divisa, le Insegne nazionali, ed il Sopraintendente ed i Governatori.

Art. 45. — In ogni caso non specificato negli articoli precedenti deve salutarsi senza fermarsi.

Art. 46. Passando un superiore, l’inferiore, che fosse seduto od avesse in bocca la pipa o il sigaro, deve alzarsi in piedi e volgersi verso di lui, togliendosi di bocca il sigaro o la pipa.

Art. 47. L’inferiore che parla ad un superiore deve stare nella posizione del saluto sino a che il superiore accenni di cessarlo, rimanendo quindi nella posizione di attenzione.

Art. 48. I graduati che si presentano ad un superiore in una stanza si scoprono il capo, ed aspettano per accomiatarsi di esserne invitati.

Art. 49. – Allorchè gli alunni escono a diporto formati in compagnia, quegli che li comanda darà la voce di attenzione all’approssimarsi di un superiore, salutandolo egli solo colla mano; si arresta e mette di fronte all’occorrenza, secondo le norme suindicate, e quando incontri o passi in prossimità del SS. Sacramento fa scoprire il capo agli alunni, comandando: Ginocchio a terra.

E come se questo capitolo non bastasse, è replicato nel capitolo sul «Modo di ricevere i Governatori [p. 76 modifica]o altri superiori nelle camerate,» ove in tutte le circostanze gl’inferiori si tengono immobili sino alla partenza del superiore.

Troppo lungo sarebbe esaminare i doveri di religione eseguiti al comando di: Levàt berètt, dato dal rispettivo comandante.

Ci sembrava trasognare, vedendo che questo Regolamento porta la data di Napoli 1871, e che è firmato da uomini appartenenti al partito liberale, cioè: Castellano, De Zerbi, Melchionna, Castelli. E tutti ci dicono che l’Albergo dei Poveri è riformato, e aggiungono: «Se l’aveste visto nel 1860!» E noi rispondiamo adesso come allora: «Il popolo lo chiamava il serraglio, e fu ed è il nome appropriato.»

Nè basta la buona volontà del Segretario genera le, nè del Comandante, nè del Direttore, chè tutti mi sembravano ansiosi di bene e zelanti del proprio dovere — chi può riformare tale Istituto? — Essi non possono migliorare il cibo, nè trasformare ciarle in pane, e molto difficilmente possono rifiutare un ospite se proposto dal Prefetto o da un Governatore.

Vorrei una diligente statistica degli allievi; e apparirebbe quanti veri orfani ci sono e quanti godono ingiustamente i beni dei poveri!

Qui per rifare bisogna disfare — e verificato chi ha diritto di starci, mantenerlo decentemente se inabile al lavoro, obbligarlo al lavoro se abile. — E ai bambini e bambine sopprimere il lusso nell’istruzione, e, in quel cambio, cibo, aria, esercizii e quell’educazione che può farne nell’avvenire cittadini onesti, atti a guadagnarsi di che vivere. Così non assisteremmo [p. 77 modifica]allo sconcio spettacolo degli allievi usciti che alla porta mendicano; nè udremmo la risposta frequente nei giovani carcerati, richiesti donde vengano: «Dall’Albergo dei Poveri.»

Ci pensi il nuovo Municipio. Là ci sono 1,235,786 lire che appartengono di diritto ai poveri e non ai benestanti, mentre nei fondaci o nei bassi il vero povero muore di fame e di stento.

In una delle mie prime visite all’Albergo dei Poveri di Napoli provai grata meraviglia nella scuola femminile delle Sordo-mute, tenuta da una Suora di Carità che vi venne espressamente da Pisa. Le quindici o venti disgraziate ivi raccolte mi fecero impressione, per lo stato di salute assai più florido di quello delle altre ragazze rinchiuse. Il vitto, affatto insufficiente in generale, è, per queste, abbondante e nutritivo. Tutte le ragazze nate sordo-mute parlano ed intendono quanto voi dite, con tale rapidità e sicurezza da sembrarvi impossibile che non vi odano.

Non solamente risposero a tutte le domande della maestra sulla nascita, sui nomi del padre e della madre, sull’età, il numero e il nome dei sensi a loro man canti; non solamente ci diedero una lezione compiuta di geografia, l’una correggendo l’altra del più piccolo errore; ma appena terminato l’esame, cominciarono ad interrogarmi: «Chi sei? Donde vieni?» e saputo il nome e la patria, scrissero il primo sulla lavagna, e cercarono la seconda sulla mappa. Mostrarono con grande soddisfazione i loro quaderni; scrittura bellissima; quesiti in aritmetica bene sciolti; tèmi uguali, se non superiori a quelli delle altre ragazze dell’istessa [p. 78 modifica]età. La smania di apprendere, la curiosità di tutto sa pere, l’emulazione fra loro veramente singolare. «Chi è la più brava fra voi?» dimandai, «Io, io!» strillò una con una faccia molto intelligente, «io ho avuto la medaglia d’oro;» — «ed io d’argento,» un’altra fece; «ed io di bronzo,» una terza; «ed io la menzione onorevole,» una quarta.

Pregai la Suora d’indicarmi il sistema, onde aveva ottenuto così stupendi risultati. Allora mise tutte le ragazze di fronte a sè, e cominciò la ginnastica di lingua, di gola e di polmoni e di braccia. C’era da rimanere sordo, nè io capisco come quella gracile donnina resista a tale fatica.

Le ragazze sono trattate diversamente dalle altre, non hanno soggezione; la servilità, la cieca ubbidienza, generalmente notabili in queste convivenze, qui per buona fortuna non allignano; e la Suora mi disse, che, essendo mezzo principale di riuscita lo svegliare l’intelligenza, ella non perde mai occasione di secondare qualche iniziativa delle allieve stesse; che avendole da piccole, la fatica è minima, ma che pervenute ad una certa età nulla evvi da sperare. — Sarebbe grande fortuna che questa donna avesse sotto di sè un certo numero di allieve per comunicar loro la sua teoria e la sua pratica del sistema labiale. Essa sembrami una direttrice unica per una Scuola normale di persone che volessero dedicarsi all’istruzione ed all’educazione di questa classe di disgraziate.

Avendo saputo che nelle sedici Provincie napoletane si conta d’ambo i sessi un totale di 4535 Sordo-muti, ed avendo letto nella troppo lodata Nuova [p. 79 modifica]Guida di Napoli e dintorni, di Carlo Tito Dalbono, che la scuola famosa dei Sordo-muti fondata nel 1871 migliora sempre, passai nel quartiere maschile del Reale Albergo dei Poveri, tutta desiderosa di vederla.

E qui cominciano le dolenti note: girai e rigirai e ritornai in quello Stabilimento, e trovai i Sordo-muti, ma mesti, sporchi, senza ombra d’intelligenza sulle pallide faccie, benchè anche per loro seppi esservi la stessa distinzione nel vitto che c’è per le femmine.

«Ma la scuola? dimandai; fatemi vedere la famosa scuola!» «Pur troppo,» mi risposero in coro i direttori, che gentilmente mi accompagnavano, pur troppo la scuola non esiste più; la sciolse l’ex-ministro Scialoia nel 1871 col proponimento di ricostituirla sulle primitive e vere sue basi governative, ritogliendola dalla soverchia ed illegittima dipendenza dell’Albergo.» — «Come!» ripigliai, «io intesi che questo fosse l’unico Istituto governativo per i Sordo-muti, in tutte le sedici Provincie napoletane. Com’è possibile che per il solo arbitrio di un Ministro questi infelici trovinsi privi di un diritto così essenziale al loro bene fisico e morale?»

«Fatto sta che la scuola fu chiusa allora,» mi rispose uno, «e rimane chiusa tuttavia; nuovo nel mio ufficio, non conosco il colpevole, nè da me dipende il rimediarvi.»

Io uscii occupata da molto pensiero, non potendo capacitarmi di tanta ’enormità. Domandavo a tutti informazioni, e tutti vagamente mi ripetevano che la scuola fu chiusa dallo Scialoia; che il Bonghi deputato protestò, ma che il Bonghi ministro non la riaperse. [p. 80 modifica]

Finalmente, la merce d’una visita fattami dal signor Pietro Simoni e d’un giornale intitolato: La Beneficenza Napoletana, mi venne dato di mettere insieme i seguenti fatti.

Sia che Girolamo Cardano, pavese, o Pietro Ponci, monaco benedettino spagnuolo, contemporanei, fossero gl’inventori del sistema oggi in voga per l’educazione dei Sordo-muti, è certo che il Governo napoletano, ad imitazione di quello di Roma, istituiva nel 1790 la scuola dei Sordo-muti nel locale del Collegio detto del Salvatore, annesso all’Università, e che questa scuola fu oggetto dell’ammirazione degli stranieri che vennero a visitarla, e riprodurla in Francia, in Germania, in Irlanda è perfino in Filadelfia. E nell’Archivio generale dell’ex-Regno, sotto il titolo: Ministero dell’Interno di Napoli, Fascio n. 2310, Scuola dei Sordo-muti, trovansi due grossi volumi contenenti le carte legali ed amministrative riferentisi a detta scuola.

Nel 1806 essa ricevette determinato carattere governativo, con edificio suo proprio, riconfermato ed accresciuto sui fondi dell’Università medesima, tanto pe’ maestri e il direttore, quanto per gli allievi; ed in quel tempo fu esplicitamente dichiarato la vigilanza della scuola doversi spettare alla Commissione dell’istruzione. Analogo decreto di Giuseppe Napoleone, re di Napoli e di Sicilia, ristabilì la scuola dei Sordo-muti nel Gesù Vecchio e fornilla di tutto il necessario, e di più fu stabilito un insegnamento pei maestri che avessero in animo di dedicarsi all’educazione dei Sordo-muti, formandosi così una scuola magistrale. [p. 81 modifica]

Il metodo fisico, cioè l’insegnamento della parola al Sordo-muto, apparteneva integralmente a questa istituzione, adattata subito per ricevere in convitto cinquanta Sordo-muti, i quali: dovevano avere l’età non minore di anni sette, e non maggiore di quindici, avendo l’esperienza dimostrato che, se l’arte dei segni e della scrittura si può insegnare anche in età adulta, l’arte della favella non si può con organi, troppo deboli o indurati.

Il Cazzolini, direttore, riuscì in modo straordinario a dare la parola ai Sordo-muti, e per verità il Governo pose grande amore all’andamento dell’Istituto e gli assegnò 1600 lire mensuali con nuovo rescritto, e le lezioni davansi in pubblico, e Governo e popolo se ne innamorarono sempre più.

Nel 1818 fu deciso che la scuola si trasferisse dall’Università al Reale Albergo dei Poveri. Pur non cessò mai di essere Istituto governativo e d’insegna mento. Figuravano 17,000 lire annue sul bilancio dello Stato; ma reputate insufficiente appannaggio, si risolse che dovesse sopperirvi il largo patrimonio dell’Albergo dei Poveri.

Ed ecco il genuino motivo dell’interrogazione del deputato Abignente nel 1874 sulla chiusura della scuola dei Sordo-muti. Egli prese la parola sul capitolo XXXIII del bilancio per la Pubblica Istruzione, Istituto dei Sordo-muti. Richiamo l’attenzione del Ministro sopra un Decreto del 24 luglio 1873, che scioglieva la scuola dei Sordo-muti. Fece la storia, e la fece bene, fino all’anno 1862, quando scoppiò il conflitto fra la Direzione governativa e l’Amministrazione dell’Albergo [p. 82 modifica]dei Poveri. Egli mostrò che il Ministro, per non romper fede alla regola dell’economia fino all’osso, toglieva dal bilancio la somma di 17,772 lire, quasi che fosse stata un dono governativo, un atto di carità verso i poveretti, e non si trattasse invece di una dotazione risalente a molti anni addietro. Ma nel 19 aprile 1871, per cura dell’onorevole Bonghi, si dovette riconoscere che non si aveva facoltà di togliere dal bilancio quella somma, la quale non dono od elemosina, ma debito era strettissimo del Governo.

L’onorevole Bonghi fece scrivere la somma al suo posto, cioè nel bilancio dell’Istruzione Pubblica. Non perciò la scuola rifioriva. Anzi la sciolsero, ma sempre con la scusa di meglio ricostituirla. Di più, fu messo in disponibilità il Corpo insegnante della scuola.

Al lungo, ma giusto discorso dell’Abignente il Commissario regio riconobbe l’esattezza della storia narrata, e la verità che, in conseguenza dell’interrogazione Bonghi, la somma di 17,000 e tante lire dapprima notata sul bilancio del Ministero dell’Interno, dall’onorevole Lanza radiata nel 1870, passò nel bilancio dell’Istruzione Pubblica.

Egli però difese il Ministero della Pubblica Istruzione, dando torto all’Amministrazione dell’Albergo dei Poveri.

Disse che il Ministro fu attivissimo, ma che l’Amministrazione dell’Albergo. persistette nelle strane pretese di volere il denaro stanziato nel bilancio del Ministero di Pubblica Istruzione, e di ricusare il personale addetto all’istruzione e qualsiasi ingerenza governativa. Soggiunse altresì che il Ministero aveva [p. 83 modifica]fatto calda raccomandazione al nuovo Prefetto, e che certamente lo zelo del Mordini sarebbe riuscito a di panare la matassa. L’Abignente rispose: «Temere che il povero Ministro credesse di esser vivo essendo morto.» Nè oggi ripeteremmo lo scherzo, se non a cagione della sua verità pel Ministero d’allora e ancora più pel successore.

In quella stessa tornata, il Bonghi pronunciò nuovo discorso forbito, eloquente e concludente. Egli qualificò la condotta del Ministro come violenta e fiacca.

E fu tale. Violenta contro lo Stabilimento dei Sordo-muti, contro il suo Direttore che ci aveva messo intelligenza, impegno, passione, nell’istruire ed educare quei disgraziati. I maestri, mandati a Milano per sostenervi la prova degli esami, tornarono con gli attestati più lusinghieri di quell’Istituto reputato primario in Italia. E pure, per compiacere all’Amministrazione dell’Albergo de’ Poveri, vidersi obbligati a domandare la disponibilità.

Fiacca, perchè il Ministro non seppe fronteggiare le esigenze dell’Amministrazione. L’onorevole Bonghi rese, dunque, grande servizio ai Sordo-muti, coll’insistere nel 1871 che la somma tolta dal Lanza al bilancio dell’Interno fosse iscritta nel bilancio dell’Istruzione Pubblica; e col tornare nel 1874 alle offese, considerato che ai Sordo-muti si tolse quel poco di favella, onde la natura avevali orbati e la scienza regalati.

Ciò di che non sappiamo renderci conto, è come l’ardente campione dei Sordo-muti, divenuto Ministro, e Ministro dell’Istruzione Pubblica, sia uscito dal [p. 84 modifica]Ministero abbandonandoli nello stato, in cui li mise il suo violento e fiacco predecessore: cioè senza scuola, e in balìa dell’Albergo dei Poveri.

Ci punse il dubbio che forse le 17,775 lire pro messe non fossero veramente iscritte sul bilancio dell’Istruzione Pubblica, e tornati in Roma abbiamo voluto esaminare i bilanci di prima previsione, le nuove proposte, ed i bilanci definitivi dell’Istruzione Pubblica per cinque anni. In ognuno, sotto al capitolo Sordo-muti troviamo: Sordo-muti personale, Sordo-muti materiale, senza particolari come segue:

1871 Personale 43,776 Materiale 77,014 Totale 120,790
1972 » 31,840 » 147,080 » 178,920
1973 » 25,900 » 156,640 » 182,540
1974 » 22,820 » 166,565 » 192,385
1975 » 23,900 » 140,240 » 164,140

Solamente nei bilanci definitivi del 1875, pagina 117, Allegato n. 29, Cap. n. 33, troviamo particolari sul denaro speso per i Sordo-muti nei varii Istituti d’Italia:

Personale di Milano L. 20,500
» di Parma 1,200
» di Torino 2,200

E per il materiale degl’Istituti dei Sordo-muti in

Milano L. 49,433
Palermo 12,650
Siena 7,500
G. Alvise Venezia 2,938
Manin Venezia 5,925
Roma 27,021
[p. 85 modifica]
Genova 7,000
Napoli 17,772
Oneglia 2,000
Torino 8,000
L. 140,249
Personale 23,900
Totale 164,140


Si trova questa distinta unicamente nel 1875, ma lice presumere che lo stanziamento fosse fatto dal 1871, perchè sussiste una differenza notevole fra la somma approvata con lo stato di prima previsione e la previsione definitiva pel 1871.

Prima previsione.
Personale L. 43,776
Materiale 77,014
Totale L. 120,790
Definitivo.
Personale L. 45,576
Materiale 111,719
Totale L. 157,295

E per spiegare questo notevole aumento, leggesi a pagina 183 della situazione del Tesoro 1871: «Si ritiene necessario un maggiore stanziamento di lire 34,772 per mantenere in vita, fornendo i mezzi necessarii per l’istruzione, gl’Istituti dei Sordo-muti di Genova, Oneglia, Napoli e Torino, i quali si trovano nell’impossibilità di mantenersela con denari proprii, dopo la soppressione fatta dei rispettivi sussidii dal bilancio del Ministero dell’Interno.» [p. 86 modifica]

Emerge adunque la realtà dell’assegno delle 17 mila e 775 lire al Ministero dell’Istruzione Pubblica dal 1871 in qua, per l’Istituto dei Sordo-muti in Napoli.

Dall’altra parte quest’Istituto, sciolto dallo Scialoia, non rivisse più; sicchè in cinque anni accumularonsi presso a poco 90 mila lire nella Cassa forte del Ministero per questi infelici.

Speriamo che vi si trovino intatte al pari dei milioni decretati al Papa come lista civile, e per ragioni personali non mai tocchi da esso.

Ben ci ricordiamo che l’anno passato, l’onorevole Abignente annunciò tre interrogazioni: sui regolamenti, sull’istruzione secondaria, e sui Sordo-muti; alle quali nell’assenza, per malattia, del Bonghi, il suo Segretario generale Betti si dichiaro incompetente a rispondere e l’onorevole Abignente cortesemente acconsenti a differirle fino alla discussione del bilancio definitivo dell’Istruzione Pubblica. Vedemmo riannunciata l’interrogazione dopo la caduta del Bonghi; ma l’Abignente, consigliere di Stato, cessò pel momento d’essere deputato.

Non dubitiamo punto che l’onorevole Coppino, nuovo ministro dell’Istruzione Pubblica del Governo riparatore, riparerà anche a questo sconcio.

Parmi però che la stampa, quel quarto potere, in Inghilterra così potente da essere più temuto degli altri tre, e in Italia così debole da essere appena ascoltato, potrebbe ad ogni modo occuparsene.

Senza entrare nella questione del dove abbia ad esistere questa scuola, bisogna ricordarsi la decisione dei Tribunali competenti, che obbliga il Reale Albergo [p. 87 modifica]dei Poveri ad aiutare tutti i Sordo-muti di tutte le sedici Provincie napolitane.

A questo Albergo, che porta sullo scudo la seguente iscrizione: Regium totius regni pauperum hospitium, appartengono i seguenti Stabilimenti:

Santa Maria di Loreto,

San Francesco di Sales,

Cesarea,

Santa Maria dell’Arco,

Santa Maria la Vita,

Santa Maria Maddalena ai Cristallini.

Gli ospiti degli Stabilimenti riuniti al giorno 20 aprile 1876 sommavano a 2545 persone, di cui 449 a carico delle Provincie, dei Congiunti, o della pubblica Autorità.

Così il Reale Albergo dei Poveri con una rendita di 1,238,784 lire mantiene solamente 2096 persone.

Può dare pertanto tetto e vitto ai Sordo-muti, e, ciò fatto, le 17,772 lire di dotazione basterebbero pel personale dell’Istituto, che deve dipendere dal Ministro dell’Istruzione Pubblica.

Le 80 o 90,000 lire accumulate, anche senza in teresse, servirebbero a fornire la scuola di ogni necessario materiale, anche se si dovesse trasferirla ad altro luogo.

Del rimanente, come può accadere conflitto fra il Governo e l’Amministrazione, composta di un Sopraintendente e quattro Governatori, i quali rimangono in ufficio tre anni e sono nominati dal Re, e per sua delegazione dal Prefetto della provincia?


Note

  1. Variante di questo capo per i ciechi, fermo rimanendo pei graduati ciò che è detto nel capitolo stesso. I ciechi salutano, scoprendosi il capo, levandosi in piedi, se sono seduti, e togliendosi di bocca il sigaro o la pipa, se fumano, quando il superiore dice loro:: «Salutate,» o quando il quartigliere annunzi l’avvicinarsi d’un superiore o d’altra persona, alla quale, secondo il capo IV del Regolamento, pei reggenti è dovuto il saluto.
    Speriamo che l’autore dell’Art. 44 abbia provveduto un contatore apposta per numerare i saluti, e che i superiori in genere non siano distratti al punto da dimenticare di accennare che l’eterno saluto cessi.