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la ricchezza dei poveri. 65

vani; scuola degli elementi di matematica, con sessanta allievi; scuola di musica, di figura e di ornato, e la famosa scuola dei Sordo-muti.

Più, una stamperia con sei torchi, litografia, officina dei punzoni d’acciaio, detti matrici, e dei caratteri a stampa, ove più di cento individui lavoravano. Una fabbrica di spilli con cento operai, che fabbricavano per dodicimila lire di spilli all’anno. Una fabbrica di piccoli chiodi, detti punte di Parigi, fabbrica di sete, fabbrica di piastre da fucile, fabbrica di lime e raspe. Aggiungivi piccoli lavori di bronzo e di pietre del Vesuvio. La fabbrica di vetro e di cristallo colorato andò molto rinomata; così il lanificio, ove lavoravano 120 poveri, e la manifattura di tele, che occupava cento uomini e cinquanta donne, provvedevano di panni l’Ospizio e il restante vendevasi.

Le scuole poi di sarto con 140 operai, di calzolaio con altrettanti, di fabbro con 120, di muratore con 40, di falegname e tornitore con 50, fiorivano.

Dalla parte delle donne poi c’erano scuole di cucire e di musica vocale, fabbriche di tessuti di cotone, di cappelli tessuti, di ricami d’ogni sorta.

Epoca splendidissima dell’Istituto. Ogni povero capace di lavorare apprendeva un’arte o mestiere; chi non poteva lavorare era mantenuto con decoro.

D’allora in poi troviamo un fatto singolare. — Le rendite crescono, i poveri mantenuti scemano, il trattamento peggiora sempre. Le scuole a poco a poco vengono sopprimendosi.